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SERIE A - EUROPA OCCIDENTALE E UNIONE EUROPEA

INTRODUZIONE

1. La CED e la CPE nella situazione politica internazionale.

Fin dal lancio del Piano Marshall l’Italia si dichiarò favorevole al processo di costruzione europea. Tale presa di posizione rispondeva sia a ragioni ideali, sia a concreti interessi nazionali. La classe politica al Governo si riconosceva nell’ideale dell’unità europea e al contempo riteneva che nel quadro degli organismi che sarebbero nati l’Italia avrebbe potuto recuperare un ruolo internazionale di prestigio, superando il trauma del fascismo, della guerra perduta e del trattato di pace. Poiché inoltre il processo di integrazione era promosso dagli Stati Uniti, un atteggiamento costruttivo da parte italiana avrebbe rafforzato il rapporto fra Roma e Washington. Nel periodo tra il 1947 e il 1949 la costruzione europea trovespressione in forme di cooperazione intergovernativa, quali l’Organizzazione Europea di Cooperazione Economica (OECE), l’alleanza politico-militare del Patto di Bruxelles e il Consiglio d’Europa. Nel maggio del 1950 il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, su ispirazione di Jean Monnet, lancil’idea di una comunità integrata nei settori delle produzioni carbonifera e siderurgica con carattere sovranazionale. L’Italia aderì immediatamente all’iniziativa. Dal Piano Schuman, considerato il vero inizio del processo di integrazione, sarebbe nata, con il trattato di Parigi del 1951, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), attiva a partire dal 1952. Sul coinvolgimento italiano ebbero un’influenza significativa le motivazioni di carattere economico e sociale: la difesa dell’industria siderurgica nazionale, rappresentata in particolare dalla FINSIDER dell’IRI, la speranza nell’apertura dei mercati del lavoro all’emigrazione italiana, la tendenza a rifiutare la tradizione protezionista a favore dell’inserimento del Paese in una piampia economia di mercato.

Il 1950 rappresentò anche un momento di svolta nella guerra fredda perché lo scoppio della guerra di Corea fece divenire prioritario per gli Stati Uniti e per la Gran Bretagna l’obiettivo del riarmo della Repubblica Federale di Germania e il suo inserimento nel dispositivo difensivo atlantico. Il Governo francese respinse questa prospettiva e ritenne di far fronte a questa situazione attraverso il lancio di un progetto volto alla creazione di un esercito integrato europeo; tale iniziativa, ancora una volta ispirata da Monnet, venne resa pubblica nell’ottobre del 1950 dal Primo Ministro francese, René Pleven, da cui prese il nome, e si sarebbe trasformata rapidamente nella prospettiva della creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED), sul modello della costituenda CECA.

La reazione italiana alla “militarizzazione” della guerra fredda si era espressa nel sostegno alla prospettiva di riarmo dell’Occidente attraverso il “Military Assistance Program” (MAP). Quanto al Piano Pleven, l’Italia decise di aderire ai negoziati promossi dalla Francia e avviati nel febbraio del 1951. Palazzo Chigi nutriva scarsa fiducia nel progetto francese e il coinvolgimento nelle trattative fu determinato soprattutto dalla volontà di mantenere buoni rapporti con il Governo francese. Nei primi mesi dei colloqui di Parigi sulla CED la delegazione italiana assunse un atteggiamento passivo nella convinzione che il progetto non avrebbe avuto seguito. Ma nella primavera del 1951 vi fu un radicale ripensamento nelle posizioni dell’amministrazione Truman sulla CED e Washington divenne il più fortesostenitore della CED, che d’altronde si inseriva nel quadro della politica americana per la realizzazione di una piena integrazione europea. Il “Rapport intérimaire” approvato dai “sei” nell’estate del 1951, faceva presagire la possibile creazione della CED.

Questa prospettiva appariva confliggere con gli interessi italiani: la nuova Comunità avrebbe interrotto i positivi rapporti che l’Italia stava costruendo sul piano bilaterale con gli Stati Uniti nella NATO, avrebbe privato il Paese della sua sovranità su una parte consistente del bilancio, favorendo politiche di riarmo a scapito di investimenti in altri settori, e avrebbe, infine, privilegiato il “fronte centrale” dell’Alleanza Atlantica a detrimento dell’area del Mediterraneo. Al contempo perle autorità italiane si rendevano conto che era impossibile opporsi alla creazione della CED pena la messa in discussione del rapporto con gli Stati Uniti e l’immagine dell’Italia come nazione impegnata nel processo di integrazione. Queste contraddizioni vennero risolte da De Gasperi con la proposta di trasformare la CED nella premessa di una nuova fase di integrazione politica con un carattere federale; da ciò ebbe origine l’ipotesi di prevedere nel futuro trattato sulla CED un meccanismo che avrebbe dovuto quasi automaticamente condurre alla nascita di una Comunità Politica Europea (CPE). L’impegno europeo di De Gasperi in senso federalista trovpositiva risposta nei rappresentanti delle altre nazioni coinvolte nelle trattative di Parigi, in particolare in Schuman e nel Cancelliere tedesco Adenauer. Grazie all’iniziativa italiana, il trattato istitutivo della CED, firmato nel maggio del 1952, prevedeva all’art. 38, che, una volta realizzata la CED, sarebbe stato avviato il negoziato per la realizzazione della CPE. Nell’autunno dello stesso anno De Gasperi ottenne dai partner europei che, senza attendere l’entrata in vigore della Comunità, l’Assemblea comune della CECA, opportunamente ampliata – la cosiddetta “Assemblea ad hoc” – avviasse i lavori destinati alla redazione del trattato sulla CPE.

Tra la fine del 1952 e i primi mesi del 1953 il progetto degasperiano venne a scontrarsi con una serie di ostacoli sia di carattere internazionale, sia di natura interna italiana. Dal punto di vista internazionale, nel novembre del 1952 i repubblicani si imponevano alle elezioni presidenziali americane; la nuova amministrazione Eisenhower confermava la realizzazione della CED come obiettivo fondamentale della politica estera americana, ma nei rapporti con gli alleati europei si passava dalla “moral suasion” della precedente amministrazione alla volontà di spingere i propri partner, a volte in maniera assertiva, a concludere rapidamente il processo di ratifica del trattato di Parigi; ma proprio l’approvazione dell’accordo stava incontrando difficoltà all’interno dei Paesi firmatari, anche per la propaganda di movimenti pacifisti, quali i “partigiani della pace”. In Francia la “querelle de la CED” finì con il dividere non solo il mondo politico, ma anche l’opinione pubblica nel suo complesso, creando un clima definito simile al “caso Dreyfus”. Inoltre, a seguito della morte di Stalin, nel marzo del 1953, la nuova leadership sovietica – la “direzione collegiale” – decise di lanciare una “campagna di pace” i cui principali destinatari erano i Paesi europei occidentali e la loro opinione pubblica, facendo intendere che l’abbandono dell’ipotesi di riarmo tedesco, in altri termini della CED, potesse aprire la strada a quella che sarebbe stata definita come “prima distensione”. Soprattutto in Francia questa prospettiva contribuì a indebolire il fronte a sostegno della CED; inoltre, al Quai d’Orsay Schuman fu sostituito da Georges Bidault, ormai scettico sull’integrazione sovranazionale, e, in particolare, sul progetto di CPE, proprio mentre stavano progredendo i lavori dell’Assemblea ad hoc. Anche in Gran Bretagna il Primo Ministro Winston Churchill, tornato alla guida del Governo nel 1951, non nascondeva l’aspirazione a farsi promotore del dialogo con Mosca, ciò che lo avrebbe fatto passare alla storia come “uomo di pace” dopo essere stato il leader del Paese in guerra. Quanto all’Italia, De Gasperi continua puntare sulla CPE, dovendo perfronteggiare la propaganda della sinistra social-comunista, che presentava la CED come la rinascita della “Wehrmacht” e del militarismo tedesco. Le opposizioni, in questo caso le sinistre e le destre unite, potevano sfruttare l’irrisolta questione di Trieste quale esempio di una politica estera debole e rinunciataria, “asservita” agli interessi americani e pronta a “svendere” la sovranità nazionale. Come se gli aspetti internazionali non fossero sufficienti, De Gasperi, di fronte alle crescenti difficoltà di mantenere in vita la formula centrista, puntsu una legge elettorale maggioritaria – ben presto definita “legge truffa” dalle opposizioni – che, nelle speranze dello statista trentino, avrebbe potuto garantire maggioranze parlamentari stabili. In questo clima agitato da forti polemiche e con le elezioni ormai alle porte, De Gasperi ritenne di non poter presentare il trattato CED in Parlamento, dovendo tra l’altro cominciare a subire le prime pressioni della nuova rappresentante degli Stati Uniti a Roma, l’Ambasciatrice Clare Boothe Luce, il cui obiettivo era spingere la classe politica democristiana a un maggior impegno nella lotta contro il PCI.

Le elezioni del giugno 1953 si risolsero in uno scacco per De Gasperi: per un numero relativamente esiguo di voti, non scattò il meccanismo premiale della legge elettorale e nella DC si manifestarono in maniera aperta dissensi verso la leadership degasperiana. Il nuovo Governo formato dall’esponente trentino restò in carica poco più diun mese, quindi fu costretto a dimettersi; venne così nominato Presidente del Consiglio il democristiano Giuseppe Pella, a guida di una compagine monocolore, il cui compito primo sarebbe stato quello di permettere il ritorno a una coalizione centrista. Nella breve fase di permanenza di De Gasperi alla guida del Governo dopo le elezioni, lo statista democristiano tentdi favorire la prosecuzione del processo che avrebbe dovuto condurre a un negoziato vero e proprio sulla CPE in base ai lavori dell’Assemblea ad hoc. Questa aspirazione si scontrò però con la crisi ministeriale e con la freddezza del Governo di Parigi, in particolare del Ministro degli Esteri, Bidault. Il Governo francese d’altronde dubitava ormai della presenza di una maggioranza parlamentare a favore del trattato della CED e aveva avviato una strategia “attendista” nella speranza che l’evoluzione dei rapporti con Mosca rendesse inutile il riarmo tedesco; inoltre esso legava sempre pila ratifica della CED a un crescente sostegno americano alla guerra che la Francia stava conducendo in Indocina contro le forze del Viet Minh, provocando una sempre più forteirritazione da parte di Washington nei confronti di Parigi. L’ambiguo atteggiamento francese era ben compreso dall’Ambasciatore italiano nella capitale transalpina, Quaroni, il quale esprimeva scetticismo sulla sorte sia della CED, sia della CPE.

Quanto alla posizione del Governo Pella, questi, pur non rinnegando l’impegno nei confronti della ratifica della CED e del progetto di CPE, concentrl’attenzione sul problema di Trieste facendo comprendere a Londra e a Washington che l’approvazione del trattato sulla CED era condizionata all’impegno delle due potenze occidentali per la realizzazione di una soluzione della questione triestina in senso favorevole alle tesi italiane. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, in effetti, dichiararono la volontà di restituire in tempi brevi all’Italia il controllo sulla città giuliana, ma a questa presa di posizione non fece seguito alcuna decisione concreta, probabilmente anche a causa della dura reazione di Tito, la quale provocuna rinnovata tensione fra Roma e Belgrado. Questo clima avrebbe favorito agli inizi di novembre manifestazioni irredentiste a Trieste, duramente represse dalla polizia civile dipendente dall’amministrazione militare anglo-americana della città. Nel frattempo la diplomazia italiana aveva cercato di rafforzare i rapporti sia con Parigi, sia con Bonn, nel tentativo di trovare un sostegno al legame posto dal Governo Pella tra la soluzione del problema di Trieste e l’impegno europeo dell’Italia; ciò nonimplicava comunque il venir meno dell’adesione alle scelte della politica estera statunitense, in particolare circa la necessità di contare su un’alleanza atlantica più efficiente. Va comunque ricordato come fra i diplomatici italiani, in particolare a Palazzo Chigi, permanesse la speranza che la CPE andasse in porto, anzi si auspicava lo sviluppo di rapporti di collaborazione con altre istituzioni europee quali l’OECE e il Consiglio d’Europa in una visione di costruzione “politica” dell’Europa.

Agli inizi di dicembre del 1953 il vertice anglo-franco-americano delle Bermude mise in luce le sempre più gravicontraddizioni nei rapporti fra Washington e Parigi; cinonostante l’amministrazione Eisenhower accettla prospettiva di una conferenza dei Ministri degli Esteri delle quattro potenze, inclusa quindi l’URSS, sul futuro della Germania da tenersi a Berlino agli inizi del 1954. Inoltre, la Francia ebbe conferma del sostegno militare americano in Indocina. In questo stesso lasso di tempo in Italia si consumava la crisi del Governo Pella, a cui faceva seguito il tentativo di formare una nuova compagine ad opera di Amintore Fanfani, che stava emergendo come nuovo “uomo forte” della DC, ma questo esperimento era destinato a durare solo qualche settimana. Alfine in febbraio si formava un Gabinetto sotto la guida del democristiano Mario Scelba, già Ministro degli Interni e vicino a De Gasperi; alla guida del Ministero degli Esteri andava un altro esponente democristiano, Attilio Piccioni. In campo internazionale il nuovo Governo parve far pienamente ritorno alla tradizione degasperiana, con un rinnovato impegno nei confronti della costruzione europea, e in particolare della ratifica del trattato della CED; proseguirono tra l’alto i contatti con i partner europei della CECA, in particolare con Bonn, intorno alla definizione dei caratteri della CPE. Alcuni influenti diplomatici, fra cui Quaroni, sottolineavano le difficoltà della situazione interna francese e le scarse probabilità dell’approvazione del trattato di Parigi ad opera dell’Assemblea Nazionale; fra gli ostacoli alla ratifica vi erano proprio gli aspetti sovranazionali della CED e la prospettiva della CPE. Qualche speranza nasceva dalla decisione britannica di procedere a un accordo di collaborazione fra Londra e la CED. Sull’incertezza della posizione italiana influivano, da un lato, la mancanza di una soluzione circa il problema di Trieste e, dall’altro, le pressioni statunitensi, mentre il progetto di CPE subiva una battuta d’arresto.

Nel frattempo, nell’aprile del 1954, si apriva a Ginevra la conferenza internazionale sulla Corea e sull’Indocina, fortemente voluta dalle autorità francesi, che ormai puntavano a una soluzione politica del conflitto del Sud-Est asiatico. Ma la speranza di Parigi di presentarsi al negoziato con alle spalle un’affermazione militare risultò frustrata dalla sconfitta di Dien Bien-Phu, che provocla caduta del Governo Laniel e l’arrivo alla guida dell’esecutivo del radical-socialista Pierre Mendès France, deciso a risolvere rapidamente sia la questione indocinese, sia quella del trattato della CED. Era noto che il nuovo premier francese si era sempre mostrato molto freddo nei riguardi dell’integrazione sovranazionale, quindi sia della CED, sia della CPE. Di fronte a questi sviluppi la posizione dell’Italia restava incerta: il Governo aveva avviato la procedura di ratifica del trattato di Parigi, ma in forme che avrebbero richiesto tempo per la conclusione di tale processo. Da parte dell’Ambasciatore a Washington, Tarchiani, giungevano sollecitazioni affinché in ogni caso il Parlamento approvasse l’accordo al fine di mostrare la fedeltà all’impegno europeo e all’alleato americano, mentre altri diplomatici apparivano più cauti e disposti ad attendere l’evoluzione della posizione francese, e altri ancora continuavano a impegnarsi nell’attuazione della CPE.

Nel frattempo, la crisi indocinese si era risolta con un compromesso che, se avrebbe consentito alla Francia un “disimpegno con onore”, venne rifiutato dalle autorità americane che consideravano ormai Mendès France un pericoloso neutralista. Alla fine di giugno il Ministro degli Esteri belga, Spaak, prendeva l’iniziativa di convocare a Bruxelles una conferenza dei “sei” sul futuro del trattato della CED. Sostenuto da Adenauer e da Washington ed erroneamente convinto dell’esistenza in Francia di una maggioranza parlamentare favorevole alla CED, il leader belga riteneva fosse possibile costringere Mendès France a far ratificare la CED. L’Italia accettil progetto di Spaak, subendo tra l’altro in questo periodo ulteriori pressioni americane affinché il Parlamento ratificasse il trattato; da parte del Governo ci si limita far presente come il processo di approvazione fosse stato avviato. Tra il 19 e il 22 agosto si teneva nella capitale belga il programmato incontro tra i Ministri degli Esteri dei “sei”; Mendès France vi giungeva con un progetto di modifiche al trattato della CED che lo avrebbero privato dei caratteri sovranazionali. Il leader francese fu persottoposto agli attacchi di Spaak e di Adenauer. Il Ministro degli Esteri Piccioni, pur sostenendo il progetto europeo ed esprimendo disaccordo circa le ipotesi francesi, intese assumere un atteggiamento moderato e di parziale comprensione delle difficoltà di Mendès France. Mendès France decise di sottoporre il trattato al vaglio dell’Assemblea Nazionale. Il risultato fu favorevole agli oppositori della CED, che veniva definitivamente bocciata; con essa cadeva anche il progetto di CPE. De Gasperi, strenuo sostenitore della CPE, era scomparso solo pochi giorni prima della decisione dell’Assemblea Nazionale, continuando sino all’ultimo a sperare in un ripensamento da parte francese. Quanto al Governo italiano, esso si mostrò preoccupato della dura e irritata reazione di Washington, in particolare della minaccia di rinunciare all’impegno nei confronti della difesa dell’Europa occidentale. Per le autorità di Roma, a questo punto, ciò che contava era la sopravvivenza dell’Alleanza Atlantica, garanzia non solo della sicurezza europea, ma anche degli equilibri politici interni, nonché la prospettiva dell’impegno anglo-americano verso la soluzione della questione di Trieste. Per il momento l’impegno europeo venne messo da parte; ciò spiega l’accettazione italiana del Piano Eden e degli accordi di Parigi dell’ottobre 1954. Il fattivo coinvolgimento dell’Italia nei riguardi dell’integrazione europea sarebbe stato comunque ripreso nel volgere di meno di un anno con la conferenza di Messina e quel processo negoziale che nel marzo del 1957 avrebbe condotto alla firma dei trattati di Roma con la nascita della CEE e dell’EURATOM.

2. Criteri di edizione Il volume comprende la documentazione sul processo di integrazione europea dall’apertura della II Legislatura della Repubblica italiana, il 25 giugno 1953, al fallimento definitivo del trattato istitutivo della CED, il 30 agosto 1954, con il voto negativo dell’Assemblea Nazionale francese. Il periodo considerato comprende la fase finale dei negoziati e dei lavori per la redazione di uno statuto della CPE, in base all’art. 38 del trattato istitutivo della CED, e per la ratifica di quest’ultimo, e si apre con la crisi del progetto europeo segnata dalla caduta del Governo Mayer in Francia. Dal punto di vista istituzionale, al momento dell’apertura della Legislatura era in carica il VII Governo De Gasperi (26 luglio 1951-16 luglio 1953). A seguito delle elezioni del 7 giugno 1953, con il deludente risultato per la Democrazia Cristiana, che raggiunse il 40,1% dei voti, il 16 luglio Alcide De Gasperi formò il suo VIII Governo, un governo monocolore democristiano, nel quale il Presidente del Consiglio assunse, ad interim, il Ministero degli Affari Esteri, ma che era destinato a rimanere in carica per appena trentadue giorni, fino alle dimissioni rassegnate il 28 luglio con effetto dal 17 agosto. Venne quindi formato da Giuseppe Pella un Governo di “transizione”, in carica dal 17 agosto 1953 al 18 gennaio 1954, anch’esso monocolore democristiano, con l’incarico degli Affari Esteri ad interim allo stesso Presidente del Consiglio. Seguì il brevissimo Governo monocolore democristiano formato da Amintore Fanfani, il primo presieduto dallo statista, in carica fino al 10 febbraio 1954, nel quale il Ministero degli Affari Esteri venne affidato ad Attilio Piccioni. In seguito al fallimento del tentativo di Fanfani, Mario Scelba form il Governo di coalizione fra Democrazia Cristiana, Partito socialdemocratico e Partito liberale, destinato a rimanere in carica fino al 6 luglio 1955, nel quale agli Esteri rimase lo stesso Piccioni fino al 16 settembre 1954. Dunque, se la primissima fase dei negoziati per la CPE fu diretta da De Gasperi, che aveva insistito su tale iniziativa nel suo precedente Governo, la fase decisiva, fino al suo fallimento, fu caratterizzata dalle personalità prima di Pella, quindi di Fanfani e Piccioni e infine di Scelba e Piccioni. In questo quadro, l’elemento di continuità della politica italiana è stato rappresentato dalla presenza, in posizione di rilievo per i negoziati, del Direttore Generale della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale (DGCI), il Ministro plenipotenziario Massimo Magistrati, che rivestiva tale carica dal 1° marzo 1952, e avrebbe continuato a svolgere una funzione direttiva nella politica europeistica dell’Amministrazione, con l’incarico di Direttore Generale della Direzione Generale degli Affari Politici (DGAP), dopo l’unificazione della DGCI con la DGAP, il 4 marzo 1955, quando le competenze dell’Ufficio I passarono all’Ufficio Cooperazione Internazionale della DGAP, fino alla soppressione di tale ufficio e al passaggio delle sue competenze all’Ufficio Cooperazione Europea nel 1956. Oltre a Magistrati, le personalità e i funzionari del Ministero degli Affari Esteri che hanno avuto un ruolo di maggior presenza nello svolgimento dei negoziati sono stati l’On. Lodovico Benvenuti, Sottosegretario agli Affari Esteri nei successivi Governi dal 16 luglio 1953 al 6 luglio 1955, il Consigliere Giorgio Bombassei de Vettor, primo delegato alla conferenza CED e l’On. Ivan Matteo Lombardo, capo della delegazione presso la conferenza CED.

La documentazione è stata scelta sulla base del criterio della ricostruzione delle decisioni sulla politica del Governo italiano in merito alla questione dell’approvazione del trattato istitutivo della CED (27 maggio 1952) e, in particolare in questa fase, a quella dell’applicazione dell’art. 38 del trattato e quindi della formazione della CPE. Si sono quindi privilegiati i testi delle istruzioni ministeriali e i documenti utili a ricostruire la formazione delle decisioni del Ministro, nonché i resoconti degli incontri bilaterali e multilaterali a livello di Ministri degli Affari Esteri. I dispacci dei rappresentanti italiani sono stati inclusi laddove forniscono analisi e informazioni che hanno avuto rilievo per la formazione di tali decisioni e riproducono comunicazioni dei Governi presso cui essi sono accreditati; si è invece tendenzialmente rinunciato a pubblicare documenti utili alla ricostruzione della politica dei Paesi terzi. Si sono pubblicati, altresì, documenti su argomenti collegati a quello del trattato CED e della CPE, quali, in particolare, il problema tedesco e l’atteggiamento degli Stati Uniti sulle questioni relative all’integrazione europea, nonché il problema di Trieste, in quegli anni al centro dell’interesse della politica estera italiana.

In generale, la politica dei Governi italiani che si sono succeduti nel periodo considerato ha proseguito la linea impostata da De Gasperi nella precedente Legislatura con il negoziato e la firma del trattato istitutivo della CED e, soprattutto, con l’introduzione nel trattato dell’art. 38. Una linea, come noto, che puntava, piche alla realizzazione, a partire dalla base costituita dalla CECA, di un’istituzione europea “funzionale” nel campo della difesa, a un’unione politica, mediante l’istituzione della CPE (D. 114). La fase del processo di integrazione europea illustrata dal volume è, dunque, caratterizzata dal tentativo di dare seguito e sostanza alla decisione, promossa dal Governo italiano insieme a quello tedesco occidentale, di costituire la CPE, e dal fallimento del trattato CED alla fine di agosto 1954, che travolge con sé anche il progetto di CPE: quindi, in sostanza, il fallimento del progetto italiano di passare dall’impostazione “funzionalista” a quella dell’unione politica.

2.1. La Comunità Politica Europea e l’Assemblea ad hoc

Nella riunione di Parigi del 27-30 novembre 1951 e nella riunione di Strasburgo dei Ministri degli Esteri dei sei membri della CECA, l’11 dicembre, De Gasperi propose e ottenne di inserire nel progetto di trattato istitutivo della CED l’art. 38, con il quale si prevedeva di affidare all’Assemblea della CECA la preparazione, entro sei mesi, di un progetto di costituzione federale o confederale(1). Con la firma, a Parigi, il 27 maggio 1952, del trattato istitutivo della CED iniziava, dunque non solo l’iter della sua ratifica, ma anche quello delle trattative per la definizione dello statuto della CPE.


1 Verbali della riunione dell’11 dicembre 1951 a Strasburgo della Conferenza per l’esercito europeo dei sei Ministri degli Affari Esteri, in P.L. Ballini e A. Varsori (a cura di), L’Italia e l’Europa, 1947-1979, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, vol. I, pp. 150-159; vedi P.L. Ballini, La mancata ratifica italiana del trattato della Comunità Europea di Difesa: da De Gasperi a Scelba, in Id. (a cura di), La Comunità Europea di Difesa (CED), Soveria Mannelli, Rubettino, 2009, pp. 401-402 e D. Preda, Sulla soglia dell’unione. La vicenda della Comunità Politica Europea (1952-1954), Milano, Jaca Book, 1993.

Il 10 settembre 1952, a Lussemburgo, i sei Ministri degli Affari Esteri partecipanti alla CECA decisero (A) per dare corso a quanto previsto dall’art. 38, per l’elaborazione di un progetto di trattato istitutivo di una Comunità Politica Europea, di designare per cooptazione, fra i delegati dell’Assemblea consultiva che non erano già membri dell’Assemblea comune della CECA, dei membri supplementari nel numero che sarebbe stato necessario per ottenere un numero di effettivi uguale a quello previsto per ciascun Paese all’Assemblea della CED; (B) che l’Assemblea, così composta e completata, si sarebbe riunita in seduta plenaria presso la sede del Consiglio d’Europa, nonché in sedute di commissioni e che avrebbe fatto periodicamente rapporto dell’avanzamento dei propri lavori all’Assemblea Consultiva; (C) che i Ministri degli Affari Esteri, riuniti nel Consiglio della CECA, si sarebbero associati ai lavori dell’Assemblea secondo le condizioni che sarebbero state successivamente fissate; e (D) che entro sei mesi dalla convocazione dell’Assemblea comune della CECA, quindi il 10 marzo 1953, i risultati di tali studi sarebbero stati comunicati all’Assemblea della CED, incaricata dei compiti previsti all’art. 38 del Trattato istitutivo della CED, così come ai Ministri degli Affari Esteri dei sei Paesi(2).

Il 15 settembre 1952 si riunì, sotto la presidenza di Paul-Henri Spaak, l’Assemblea della CECA, integrata come previsto(3), che assunse in quell’occasione la denominazione di Assemblea ad hoc. Quest’ultima tenne nove sedute, il 15 settembre 1952, il 7-10 gennaio 1953, il 6-7 marzo 1953 e il 9-10 marzo 1953 e istituì una Commissione costituzionale di 26 membri, la quale a sua volta formò quattro sottocommissioni(4). Dal 7 al 10 marzo 1953 l’Assemblea ad hoc esamine infine approò vil testo dello statuto della Comunità Europea, come veniva denominata nel testo(5).

2.2. Le riunioni e conferenze dei sei Ministri degli Affari Esteri della CECA e le conferenze dei sostituti in relazione al progetto di trattato istitutivo della Comunità Politica Europea

Nel corso del periodo considerato nel volume si svolsero, a partire dalla riunione di Parigi, le seguenti riunioni o conferenze dei sei Ministri degli Esteri della CECA e dei sostituti per l’elaborazione dello statuto della CPE(6):


2 ASUE, CM1/CPE, 1.1; Session d’Ouverture, Séance du Mercredi 10 Septembre 1952, in «Journal Officiel de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier. Débats de l’Assemblée Commune. Compte rendu in extenso des séances», 2/1, 28 febbraio 1953, pp. 1-6; Règlement Intérieur Provisoire adopté par le Conseil le 10 septembre 1952, in «Journal Officiel de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier», 2/2, 12 febbraio 1953, pp. 8-9.


3 Era formata da 78 delegati dell’Assemblea comune della CECA, da otto membri cooptati (tre per l’Italia, tre per la Francia e due per la Germania) e da tredici osservatori del Consiglio d’Europa.


4 Vedi l’inventario del fondo AH-Assemblée ad hoc, ASUE, Firenze, febbraio 2008.


5 Assemblée ad hoc chargée d’élaborer un projet de traité instituant une Communauté Politique Européenne, Projet de Traité portant Statut de la Communauté Européenne, adopté par l’Assemblée Ad Hoc le 10 Mars 1953, à Strasbourg, Service des Publications de la Communauté Européenne, 1953.


6 Secondo le decisioni della conferenza di Parigi del 12 maggio 1953 la conferenza intergovernativa si sarebbe articolata in “riunioni” dei sei Ministri degli Affari Esteri e in “conferenze” dei supplenti (o dei sostituti). In effetti la riunione dell’Aja venne definita una conferenza e così anche quella di Bruxelles. Nelle riunioni dei sostituti il “supplente” del Ministro degli Affari Esteri italiano fu il Sottosegretario di Stato Benvenuti.

Conferenze e riunioni dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea (CECA) e dei sostituti
Denominazione ufficiale e sede della riunione Data Documenti Appendice II
Riunione dei sei Ministri della Comunità Europeaa Parigi 22 giugno 1953 D. 1
Riunione dei sei Ministri della Comunità Europeaa Baden-Baden 7-8 agosto 1953 D. 34 D. 1
Conferenza dei sostituti dei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea a Roma 22 settembre - 9 ottobre 1953 DD. 47, 51
Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea a L’Aja 26-28 novembre 1953 D. 64 D. 2
Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri dei Paesi firmatari del trattato per la CED a Bruxelles 19-22 agosto(1954) D. 282 D. 3

Contemporaneamente proseguirono i lavori del Comitato interinale della CED(7), organizzato in dieci Comitati, dipendenti dal Comitato di direzione, di cui si dà anche conto nei documenti.

Il periodo può quindi essere suddiviso, dal punto di vista della politica italiana, in tre fasi:

a) la fase degli ultimi due Governi De Gasperi, dalla riunione dei Ministri degli Affari Esteri dei Sei di Parigi, del 22 giugno, e dall’apertura della II Legislatura alla riunione di Baden-Baden del 7-8 agosto 1953 e alla costituzione del Governo Pella (17 agosto 1953);

b) la fase del Governo monocolore Pella, dalla conferenza dei sostituti dei Ministri degli Affari Esteri dei Sei di Villa Aldobrandini del settembre 1953 alla conferenza dei Ministri degli Affari Esteri dei Sei dell’Aja del novembre 1953, fino alla caduta del Governo (19 gennaio 1954);

c) la fase dei Governi Fanfani-Piccioni e Scelba-Piccioni, dalle riunioni della Commissione per la CPE (a volte definite come Conferenze dei sostituti di Parigi) del febbraio 1954, alla conferenza dei Ministri degli Esteri dei Sei di Bruxelles, dell’agosto 1954, con il fallimento definitivo della CED (30 agosto 1954).

2.2.1. La riunione dei sei Ministri degli Esteri a Parigi del 22 giugno 1953

Nel corso della prima fase la politica italiana fu caratterizzata dall’impostazione degasperiana che aveva informato la conduzione dei negoziati per la CED fino al trattato istitutivo nel maggio 1952 e, soprattutto, dalla proposta italiana di trasformare il negoziato per la CED in un negoziato per la formazione di una comunità politica europea, con l’adozione dell’art. 38 del trattato di Parigi. L’art. 38 prevedeva la procedura per la creazione di un’organizzazione permanente «concepita in modo tale da poter costituire uno degli elementi di una successiva struttura federale o confederale,


7 CED - Comitato interinale della Conferenza CED (così abbreviato e tradotto nei documenti) o Comité Intérimaire de la Conférence pour l’organisation de la Communauté Européenne de Défense. Istituito nel giugno 1952 come successore del Comitato di Direzione della Conferenza di Parigi e organizzato in vari comitati: vedi E. Fursdon, The European Defence Community: A History, London, Macmillan, 1980, p. 198. A capo della Delegazione italiana alla Conferenza CED (o del Comitato Interinale della Conferenza CED) fu l’On. Ivan Matteo Lombardo.

basata sul principio della separazione dei poteri e dotata, in particolare, di un sistema di rappresentanza di due camere».

Nella riunione di Parigi dei sei Ministri degli Affari Esteri del 12 maggio 1953 era stato deciso che il 12 giugno si sarebbe aperta a Roma una conferenza intergovernativa per la preparazione del trattato istitutivo della «Comunità Europea», sulla base del progetto elaborato dall’Assemblea ad hoc istituita ai sensi dell’art. 38 del trattato istitutivo della CED e approvato dall’Assemblea il 10 marzo(8). La riunione venne tuttavia rinviata a causa della crisi ministeriale francese e della formazione del nuovo Governo in Italia e De Gasperi propose di tenere la riunione il 22 giugno a Parigi, dove egli si sarebbe recato nel viaggio verso Londra. La proposta venne accettata da Bidault e la riunione si svolse al Quai d’Orsay. La riunione di Parigi avvenne sotto la presidenza di De Gasperi, in quel momento presidente di turno del Consiglio dei sei Ministri degli Affari Esteri della CECA, ed ebbe carattere ristretto, poiché Bidault si preoccupdi evitare che una vera e propria conferenza internazionale avesse ripercussioni negative sulla crisi politica francese, ancora in corso(9).

Il volume si apre con l’analisi di Magistrati, del 25 giugno, della conferenza di Parigi (D. 1, Allegato), e con la lettera del 30 giugno inviata da De Gasperi agli altri cinque Ministri degli Affari Esteri della CECA, in preparazione della successiva riunione di Baden-Baden, con cui doveva inaugurarsi la conferenza a livello dei sei Ministri degli Esteri e alla quale doveva fare seguito la conferenza a livello dei sostituti (D. 3). Alla lettera di De Gasperi risposero Bech l’8 luglio (D. 14), Adenauer il 14 (D. 20), van Zeeland il 22 (D. 24) e Beyen il 25 (D. 26), mentre non giunse una risposta di Bidault.

Nelle intenzioni di De Gasperi la conferenza a livello dei Ministri doveva segnare l’effettivo avvio del processo per la nascita della Comunità Europea, affrontando «i punti basilari del Trattato», e non doveva avere solo una funzione «procedurale»

(D. 3)(10). Per il Presidente del Consiglio italiano la conferenza avrebbe dovuto essere anche l’occasione per una discussione di problemi politici europei, come scriveva De Gasperi il 5 luglio (D. 10). Da parte della Germania e dei Paesi del Benelux si condivideva l’impostazione italiana. Il punto di vista di Adenauer risulta da un memorandum consegnato il 28 luglio da Hallstein, nel quale venivano delineati in quattro punti gli obiettivi delle decisioni da assumere e fissate le linee procedurali per la prosecuzione del negoziato attraverso la conferenza dei sostituti. Secondo l’impostazione tedesca, la Comunità avrebbe dovuto assorbire la CECA e la CED e «sottoporle al proprio controllo politico e democratico». Essa avrebbe inoltre dovuto «realizzare progressivamente un’ampia integrazione economica e in particolare un mercato comune» (punto


8 D. 1. Si veda Projet de traité portant statut de la Communauté européenne, cit.


9 Per i verbali delle riunioni dei sei Ministri degli Esteri per la redazione dello statuto della Comunità politica europea, vedi ASUE, CM1/CPE.


10 La già nota posizione di De Gasperi venne confermata nel discorso di presentazione del Governo alla Camera dei Deputati, il 21 luglio 1953: «Vero è che la Comunità di difesa, cioè l’esercito comune europeo, è un’iniziativa francese, ma il Governo italiano, pur dovendo superare obiezioni di carattere generale e tecnico in confronto a tale proposta, ne condizionl’accettazione all’impegno dei membri di passare dalla Comunità di difesa e da quella dell’acciaio e del carbone alla logicamente necessaria conseguenza di un’autorità politica europea, cioè all’impegno di creare una Comunità politica europea. Lo sforzo di tale evoluzione continua e va continuato: questa è la nostra concezione europeistica, il nostro contributo pacifico e costruttivo al rinnovamento del continente e al consolidamento della pace»: Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, Seduta del 21 luglio 1953, p. 75.

3). Inoltre le istituzioni della Comunità avrebbero dovuto essere configurate secondo i principi della separazione dei poteri, con un sistema bicamerale, con il mantenimento del consiglio dei Ministri e con la creazione di una «camera dei popoli eletta con elezioni europee dirette» (D. 29). Il Governo francese, invece, non intendeva dare un contenuto concreto alla conferenza, come avvertiva sin dal 2 luglio Quaroni, secondo il quale Bidault aveva accettato la riunione «restando inteso che non si sarebbe trattato di una vera conferenza, ma di una conferenza destinata a far finta di fare qualcosa, per evitare che in Germania si dicesse, alla vigilia delle elezioni, che tutta la politica europea è stata messa da parte» (D. 5; vedi anche DD. 19 e 23 e l’appunto per De Gasperi del 28 luglio, D. 28).

Il 24 luglio, inoltre, De Gasperi ricevette da Spaak, quale presidente dell’Assemblea comune della CECA, la comunicazione adottata dalla Commissione costituzionale dell’Assemblea ad hoc nella seduta del 23 giugno, tenutasi a Strasburgo, nella quali si proponeva di mantenere uno stretto contatto fra il Consiglio dei Ministri e la Commissione costituzionale per l’esame del progetto del 10 marzo (D. 15).

2.2.2. La riunione dei sei Ministri della Comunità europea di Baden-Baden, 7-8 agosto 1953

La riunione di Baden-Baden, la prima conferenza internazionale del dopoguerra, cui partecipava il Governo di Bonn, a tenersi su suolo tedesco, si svolse anch’essa sotto la presidenza italiana del Ministro del Commercio Estero, Paolo Emilio Taviani, quale delegato del Ministro degli Affari Esteri De Gasperi, essendosi aperta la crisi politica italiana che doveva porre fine all’ultimo Governo De Gasperi (DD. 31, 32, 34 e 35; sulla preparazione, vedi anche l’Appunto di Magistrati del 17 luglio, D. 23)(11).

Poco prima della riunione, il 3 agosto, il Governo olandese aveva presentato ufficiosamente un Projet de dispositions économiques du Traité portant Statut de la Communauté Européenne (D. 33, Allegato I). Il progetto olandese, che riprendeva il precedente progetto Beyen dell’11 dicembre 1952, reiterato il 14 febbraio 1953(12), era basato sul concetto della creazione di un mercato comune, comportante la libera circolazione delle merci e dei servizi, dei capitali e gli scambi internazionali piliberi che possibile con i Paesi terzi. Come si può notare, sia il Governo tedesco con il memorandum del 28 luglio, sia quello olandese con il progetto di disposizioni economiche del 4 agosto, ponevano già sul tavolo gli elementi essenziali della futura CEE; inoltre il memorandum olandese, all’articolo B («Chaque État membre s’engage à suivre une politique intérieure propre à assurer la stabilité monétaire») anticipava anche il tema della comune politica monetaria basata sul principio della stabilità della valuta.

La conferenza si apriva all’indomani della conferenza tripartita di Washington (10-16 luglio 1953) e sull’onda delle sue ripercussioni. La questione che era al centro


11 La delegazione italiana era composta dal Ministro Paolo Emilio Taviani, dai Ministri plenipotenziari Massimo Magistrati e Raimondo Giustiniani, dal Ministro d’Italia a Lussemburgo Francesco Cavalletti, dal Consigliere di Ambasciata Eugenio Prato, dai Primi segretari Eugenio Plaja e Pier Luigi Alverà, e dal Secondo segretario Carlo Perrone-Capano.


12 Vedi memorandum del Governo olandese dell’11 dicembre 1952 e lettera di Beyen del 14 febbraio 1953, in ASMAE, DGAP, Uff. IV, versamento CED, 1950-1954, b. 14, fasc. 47 e in ASUE, CM1/CPE, 31.2; Harryvan, A.G., Van Der Harst, J. (ed.), Documents on European Union, Department of International Relations and Organisations, University of Groningen. Basingstoke, Macmillan, 1997. pp. 71-74.

dell’attenzione era, quindi, il problema della riunificazione della Germania. La riunione dell’8 fu dedicata alla discussione dei problemi politici europei, come era stato auspicato dal Governo italiano, con la creazione di un «direttorio» di politica estera europea, discussione dedicata soprattutto al problema della Germania orientale.

Nel corso della conferenza venne stabilito di convocare la riunione di sostituti e di esperti, prevista già dalla riunione di Parigi del 12 maggio, che si sarebbe tenuta a Roma il 22 settembre, in modo che i risultati di tali lavori potessero essere esaminati in una nuova conferenza dei Sei Ministri, prevista all’Aja per il 20 ottobre(13).

2.2.3. La conferenza dei sostituti dei Ministri degli Affari Esteri della Comunità, a Villa Aldobrandini, Roma, 22 settembre-9 ottobre 1953

Con la crisi dell’VIII Governo De Gasperi e la formazione del Governo “amministrativo” formato da Pella, nell’estate del 1953, ebbe inizio una nuova fase. La questione della partecipazione italiana alla CECA e alla CED venne impostata con una chiara indicazione delle condizioni poste per l’adesione italiana al progetto europeo. Nel discorso di presentazione del Governo alla Camera dei deputati, il 19 agosto, Pella dichiar: «Sicurezza e pace! La sicurezza esige fedeltà alle nostre alleanze e leale esecuzione degli impegni con esse ed in esse assunti. La pace si raggiunge appoggiando ogni seria iniziativa che tenda a risolvere con accordi internazionali le questioni pendenti e – per quanto riguarda il nostro continente – si consolida e si garantisce creando, nella comunità europea, una organica solidarietà tra tutti quegli Stati d’Europa che liberamente e democraticamente accettino un comune statuto di pacifica difesa e di collaborazione intima e permanente. L’Italia continuerà in questa politica, adempiendo agli obblighi che da essa derivano e contribuendo a promuovere quelle iniziative che valgano a consolidarne e ad accelerarne l’attuazione in uno spirito di feconda e pacifica solidarietà. Ma a questa ferma determinazione corrisponde una determinazione altrettanto ferma nella difesa degli interessi nazionali, i quali, scaturendo da evidenti ed elementari principi di giustizia, oltre che da riconoscimenti solennemente espressi, non solo non contrastano con gli obiettivi della comune politica di solidarietà, ma ne costituiscono, nella profonda convinzione del Governo e del popolo italiano, un elemento essenziale ed indivisibile. È chiaro inoltre che anche il presente Governo si associa, con fermissima volontà, alle dichiarazioni ultimamente fatte da questo banco: se l’Italia deve essere, come vuol essere, un membro consapevolmente attivo della alleanza atlantica e della comunità europea, essa ha diritto di venire debitamente e previamente consultata in tutte le questioni di comune interesse; diritto a cui essa non intende in nessun modo ed in nessuna occasione di rinunziare»(14).

E, analogamente, nel successivo discorso del 6 ottobre: «Onorevoli colleghi, la Comunità del carbone e dell’acciaio e la Comunità della difesa non rappresentano nell’opinione del Governo italiano un fine a se stesso. Pur riconoscendone la portata nei rispettivi settori – anzi proprio perché ne riconosciamo tutta questa portata

– noi riteniamo, come ebbi già a dire in questa stessa aula, che queste Comunità


13 Vedi Appendice II, D. 1, Procès-verbal de la Réunion des Six Ministres des Affaires Étrangères tenue à Baden-Baden les 7 et 8 ao 1953, Procès-verbal de la séance du 7 ao 1953.


14 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, Seduta pomeridiana del 19 agosto 1953, p. 358.

debbono essere un aspetto, un elemento, un passo verso una pivasta unione politica che crei vincoli sempre più stretti fra i sei Paesi. È per questo fine che esse ci interessano. Per noi, la Comunità di difesa trova una sua particolarissima e definitiva ragion d’essere in una Comunità politica europea di cui la Comunità di difesa è soltanto uno degli aspetti, per quanto uno degli aspetti più importanti e fondamentali. […] Per questa pivasta Comunità politica europea si sta lavorando proprio in questi giorni a Roma, nella conferenza che siede a Villa Aldobrandini. Il Governo italiano ne segue gli sviluppi con ogni attenzione, e con piacere ha visto partecipare alle discussioni i parlamentari delle sei nazioni che rappresentano quell’assemblea a cui si deve il progetto di statuto europeo del quale si è opportunamente, in questa Camera, fatto ripetuto cenno»(15).

La fase che si inaugurò con la formazione del Governo Pella vide l’introduzione nel negoziato per la CED e la CPE di un elemento nuovo: la decisione di porre un collegamento esplicito fra i negoziati europei e la soluzione della questione di Trieste, entrata in quel momento in una fase critica con il discorso di Tito del 6 settembre a Okroglica (San Basso), che proponeva l’internazionalizzazione di Trieste e l’annessione del TLT; la risposta di Pella nel discorso del Campidoglio del 13 settembre, con la proposta di plebiscito; la decisione anglo-americana dell’8 ottobre di porre termine al Governo militare della zona A; il discorso di Tito a Skopje del 12 ottobre e la mobilitazione italiana e jugoslava il 17 ottobre. Il dibattito parlamentare sulla politica estera, che si svolse alla Camera dal 30 settembre al 6 ottobre, fu in gran parte incentrato sul problema di Trieste. Nel suo discorso di replica, il 6 ottobre, Pella dichiar «Oratori hanno accennato ad una interdipendenza tra la ratifica del trattato per la Comunità europea di difesa e il problema della nostra frontiera orientale. Anche a non voler assumere la posizione francamente negativa e pessimistica assunta da alcuni, una constatazione comunque nasce evidente dalle dichiarazioni che abbiamo udito in quest’aula, ed è che la ratifica del trattato sarà grandemente facilitata da una previa soluzione del problema»(16).

La decisione di condizionare la ratifica alla soluzione della questione di Trieste sollevava non pochi problemi, come evidenziato da Quaroni nei suoi rapporti, secondo il quale, una volta che la si era posta in quei termini, sarebbe stato difficile «rimettere la questione nel frigidaire» (D. 54). In effetti, tuttavia, tale condizionamento non venne espresso nelle discussioni sulla CPE durante la conferenza dei sostituti e, dopo la decisione alleata dell’8 ottobre, fu ritenuto «superato dagli avvenimenti» (Zoppi a Quaroni, lettera del 13 ottobre 1953, D. 56).

La conferenza dei sostituti e degli esperti per la redazione dello statuto della CPE si tenne nella sede dell’Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato, nella Villa Aldobrandini (già Vitelli), prospiciente su largo Magnanapoli a Roma. La conferenza si articolin riunioni plenarie e in riunioni del Comitato di direzione. Nel corso della conferenza la delegazione francese si dichiarò contraria al principio della sovranazionalità dell’organo esecutivo della Comunità contenuto nella bozza di costituzione di Comunità Politica (DD. 51 e 55).


15 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, Seduta pomeridiana del 6 ottobre 1953, p. 1505.


16 Ivi, p. 1504.

2.2.4. La conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea a L’Aja, 26-28 novembre 1953

La conferenza a livello dei Ministri degli Affari Esteri a L’Aja si svolse, sotto la presidenza del Ministro degli Affari Esteri del Lussemburgo, Bech, nella Ridderzaal del Binnenhof dal 26 al 28 novembre 1953 e di essa venne redatto il verbale ufficiale, che si pubblica in Appendice(17). Il bilancio per l’Italia è contenuto nell’appunto di Magistrati del 30 novembre (D. 64). Anche in questo caso, su richiesta del Governo italiano, si svolse uno scambio di idee sulle questioni politiche che interessavano i sei Paesi, e quindi, per l’Italia sulla questione di Trieste, su cui Pella, nella seduta del 28 novembre, espose la situazione, ponendola in relazione con la valutazione complessiva della politica estera jugoslava, quale finalizzata a rivestire un ruolo di egemonia regionale balcanica e a costituire una “terza forza” fra Occidente e Oriente(18).

L’intervento di Pella dimostrava che, in effetti, la questione di Trieste non si era conclusa con la decisione alleata dell’8 ottobre. Nel consiglio atlantico del 14-16 dicembre Pella espresse nuovamente l’esigenza di una soluzione della questione del confine orientale per consentire al Governo di ottenere l’approvazione del trattato istitutivo della CED, con una dichiarazione molto netta che «la richiesta del Governo al Parlamento di ratificare gli accordi per la CED verrebbe ad urtare in gravi difficoltà fino al momento in cui il problema della nostra frontiera orientale non venisse a trovare una soluzione soddisfacente» (DD. 71, 72 e 73).

2.2.5. La Commissione per la redazione dello statuto della CPE (o Conferenza dei sostituti dei Ministri degli Esteri per la CPE) a Parigi dal 12 dicembre 1953 all’8 marzo 1954

Alla conferenza dell’Aja, nel corso della prima riunione, su proposta di Beyen, venne deciso di incaricare una Commissione, composta degli stessi esperti che avevano fatto parte della conferenza dei supplenti di Roma, di «proseguire lo studio dei punti non ancora risolti». La Commissione si sarebbe riunita a Parigi e avrebbe preparato una prossima conferenza dei sei Ministri che si sarebbe dovuta tenere in primavera, «senza essere circondata da giornalisti, che ogni giorno vogliono vedere una scadenza»(19). La Commissione per la redazione dello statuto della CPE inizii lavori con la seduta plenaria del 12 dicembre 1953(20), a Parigi, e – in sostanza – fu la continuazione della conferenza dei sostituti di Villa Aldobrandini(21). Una nuova riunione plenaria si svolse il 23-24 febbraio 1954(22). I lavori si svolsero in analogia con quelli della conferenza


17 Vedi Appendice II, D. 2, Procès-verbal de la Conférence des Ministres des Affaires Étrangères tenue à La Haye, les 26, 27 et 28 novembre 1953. La delegazione italiana era composta dal Ministro Giuseppe Pella (Presidente), dall’On. Lodovico Benvenuti, Sottosegretario agli Esteri, dai Ministri plenipotenziari Massimo Magistrati e Giulio Del Balzo, dal Consigliere di Ambasciata Eugenio Prato, dal Ministro d’Italia a Lussemburgo, Francesco Cavalletti e dai Primi segretari Pier Luigi Alverà, Eugenio Plaja e Luciano Favretti.


18 Vedi D. 66, Allegato, Exposé de S.E. M. Pella sur la question de Trieste.


19 Vedi Appendice II, D. 2, Premier séance (jeudi 26 novembre 1953).


20 Projet de procès-verbal de la première séance de la Commission tenue, à Paris, le samedi 12 dé-cembre 1953, à 9 heures, in ASUE, CM1/CPE, 18.1.


21 Per tale ragione, nei documenti (DD. 111, 119, 127) la Commissione per la CPE viene a volte definita «Conferenza dei sostituti per la CPE» (o anche «Comitato dei Sostituti»).


22 Procès-verbal des troisième e quatrième séances plénières tenues les 23 et 24 février 1954, in ASUE, CM1/CPE, 19.1. Nell’archivio non risulta un verbale della seconda riunione plenaria.

di Villa Aldobrandini, quindi si articolarono in riunioni plenarie (a cui presero parte anche i rappresentanti dell’Assemblea ad hoc) e in riunioni ristrette del Comitato di direzione, a cui partecipavano i capi delle delegazioni (i sostituti dei Ministri degli Affari Esteri): per l’Italia il Sottosegretario di Stato, On. Lodovico Benvenuti, che presiedette la delegazione nelle riunioni del 22-24 febbraio e dell’8 marzo 1954, mentre la prima riunione del 28-29 gennaio 1954 fu presieduta dall’On. Ivan Matteo Lombardo(23). Nella prima riunione plenaria della Commissione, il 12 dicembre, venne inoltre deciso di organizzare i lavori con l’istituzione di un Comitato Istituzionale, un Comitato Economico e un Comitato per i principi dell’elezione della Camera dei popoli, nonché un Sottocomitato del Comitato Istituzionale per i problemi budgetari. Il Comitato di direzione si sarebbe riunito il 28 gennaio per esaminare i risultati dei comitati tecnici. Il 6 gennaio, in vista delle riunioni del Comitato Istituzionale e del Comitato Economico, che dovevano iniziare il 7(24), vennero fissate le istruzioni – redatte dal Sottosegretario On. Benvenuti – sulla conduzione del negoziato da parte dei delegati italiani (D. 75). L’8 marzo il Comitato di direzione della Commissione approvò il progetto del rapporto elaborato dal Comitato Istituzionale(25), che avrebbe dovuto essere sottoposto alla conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri, prevista per il 30 marzo a Bruxelles (DD. 136 e 161). La conferenza di Bruxelles, tuttavia, venne successivamente rinviata e il Comitato di direzione riprese le proprie riunioni e diede mandato ai Comitati di proseguire i lavori sulla base del rapporto ai Ministri (D. 217). La Commissione di Parigi, quindi, prolungi propri lavori con le riunioni del Comitato di direzione del marzo, aprile e maggio 1954 e il Comitato Istituzionale e il Comitato Economico proseguirono anch’essi i propri lavori, sempre a Parigi, dall’11 maggio (D. 217) fino alla fine di giugno, dopo di che, all’indomani della formazione del nuovo Governo Mendès France, si decise che i lavori si sarebbero aggiornati senza una nuova convocazione del Comitato di direzione (D. 222). Nel suo insieme, dunque, la Conferenza dei sostituti di Parigi (sotto il nome ufficiale di Commissione per la CPE) occupil periodo compreso fra la conferenza dell’Aja e quella di Bruxelles, dal 12 dicembre 1953 alla fine di giugno 1954.

Rivestono un particolare interesse, specie sotto il profilo del successivo “rilancio” dell’aprile 1955, con il progetto di mercato comune, le discussioni in merito alle questioni economiche, che presero avvio dalla presentazione del memorandum olandese, del 3 agosto 1953. Nella conferenza di Baden-Baden i sei Ministri degli Affari Esteri concordarono sulla necessità di creare un mercato comune, recependo la proposta olandese. Nella conferenza dei sostituti di Villa Aldobrandini venne riconosciuto il principio che il mercato comune, fondato sulla libera circolazione delle merci, dei capitali, delle persone e dei servizi, fosse condizione necessaria per lo sviluppo economico. E questi punti essenziali furono quindi approvati dai Mini-


23 La delegazione italiana nel Comitato di direzione della Commissione del 28 gennaio 1954 era composta da Ivan Matteo Lombardo (capo della delegazione italiana nel Comitato interinale della CED), il Ministro d’Italia a Lussemburgo, Cavalletti, i Consiglieri d’Ambasciata Bombassei de Vettor e Prunas, il Segretario di legazione de Rossi e l’Attaché di Ambasciata Pisa. Nelle riunioni del 22-24 febbraio e dell’8 marzo la presidenza venne assunta dall’On. Lodovico Benvenuti. L’8 marzo fu presente anche il Ministro Massimo Magistrati.


24 La riunione del Comitato Istituzionale in effetti si tenne l’8 gennaio 1954.


25 Projet de rapport aux Ministres des Affaires Étrangères, in ASUE, CM1/CPE, 24.1.

stri degli Esteri nella successiva conferenza dell’Aja, nel novembre 1953. Lo studio del problema venne, quindi, affidato alla Commissione per la CPE che fu stabilita a Parigi e, in particolare, al Comitato Economico della Commissione (vedi D. 78). Nelle riunioni del Comitato Economico, il Governo italiano chiese che il problema della libera circolazione delle persone, obiettivo prioritario di tutti i Governi italiani sin dal Piano Marshall, fosse inserito come «fattore fondamentale del mercato comune» e, il 15 febbraio 1954, presentun documento intitolato «Considerazioni sulla liberalizzazione delle persone nell’ambito della comunità politica europea», poi recepito come documento della Commissione, «Comité économique: Note sur la libre circulation des personnes (présentée par la délégation italienne)» (CCP/CE/ Doc. 29), e un breve documento di sintesi, anch’esso recepito come documento della Commissione, «Comité économique: Avant-Projet de Formules de Synthèse» (CCP/ CE/Doc. 33) (D. 183 e Allegati). Le proposte italiane vennero poi sostanzialmente accettate e incluse nel Rapporto finale della Commissione per la CPE dedicato alle questioni economiche(26).

2.2.6. I Governi Fanfani-Piccioni e Scelba-Piccioni

Con la caduta del Governo Pella, si chiuse il tentativo di collegare esplicitamente la ratifica della CED alla soluzione del problema di Trieste. La fase che venne avviata, a partire dal 19 gennaio 1954, dal Governo Fanfani-Piccioni e, poi, venne continuata dal Governo Scelba-Piccioni, sarebbe proseguita oltre il fallimento del trattato CED, con le due conferenze di Parigi e di Londra e l’avvio della fase del “rilancio europeo” nell’aprile 1955, fino alla caduta del Governo Scelba.

Fanfani espresse la posizione del nuovo Governo nel discorso alla Camera dei Deputati del 26 gennaio, affermando che «l’unità europea rappresenta un disegno che dovrà sboccare nella Comunità politica» e dichiarando che il Consiglio dei Ministri del 23 gennaio «riapprovando il disegno di ratifica della CED, [aveva] riespresso la sua convinzione che la Comunità difensiva garantisce la pace interna della Comunità e ne favorisce l’esterna sicurezza, preparando quell’intima integrazione che i piauspicano. Presentandosi prossimamente il disegno di legge dinanzi al Parlamento, questo avrà modo di manifestare il voto della suprema rappresentanza politica italiana»(27). La ratifica del trattato CED veniva formalmente svincolata dalla questione giuliana, ma la soluzione di quest’ultima avrebbe continuato a costituire pur sempre un’esigenza prioritaria per il Governo italiano, che si sarebbe trovato in difficoltà a far approvare la ratifica senza aver risolto la questione giuliana. Scelba, nel discorso di presentazione del nuovo Governo alle Camere, il 18 febbraio 1954, annunci che il Consiglio dei Ministri, nella sua prima riunione, aveva «confermato la decisione di chiedere al Parlamento che prossimamente discuta e deliberi la ratifica del trattato per la Comunità europea di difesa». A questo impegno, tuttavia, veniva collegato quello per la soluzio-


26 Si veda la versione italiana in ASUE, CM1/CPE, 24.7, Commissione per la Comunità Politica Europea, Rapporto ai Ministri degli Affari Esteri, Seconda Parte, Questioni Economiche – Segretariato, in particolare il Capitolo 2, Sezione C («Libertà nella circolazione delle persone»), paragrafo 3 («Collocamento dell’eccesso di mano d’opera»).


27 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 26 gennaio 1954, p. 5029; di identico contenuto le dichiarazioni al Senato: Ivi, Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 26 gennaio 1954, p. 2837.

ne della questione del problema di Trieste, dato che il Governo era convinto che «la Comunità dei popoli di cui facciamo parte» poteva tanto pirafforzarsi quanto maggiore si fosse dimostrata «la reciproca solidarietà e comprensione degli interessi vitali di ciascuno dei suoi componenti» e a «questo convincimento» esso avrebbe ispirato la propria azione «per raggiungere finalmente quella soluzione di giustizia del problema del Territorio Libero di Trieste, reclamata dal Paese e verso il quale si rivolge l’animo di tutta la nazione»(28).

Nello stesso senso Scelba si espresse in una lettera del 27 marzo al Segretario di Stato americano, Dulles, in cui affermava che «La maggioranza dell’opinione pubblica italiana è favorevole alla CED ma la forza stessa delle circostanze la porta a considerare il problema della ratifica in rapporto con la situazione oggi esistente alla frontiera orientale», situazione che si sarebbe potuta risolvere solo con l’attuazione della decisione dell’8 ottobre (DD. 160 e 167)(29). Dulles rispose assicurando che il Governo statunitense ben si rendeva conto dell’importanza della questione di Trieste e che stava compiendo ogni sforzo per risolverla, ma al tempo stesso raccomandando al Presidente del Consiglio italiano che «niente distolga dal fare uso della maggioranza, per quanto modesta essa sia, che appoggia il Suo Governo allo scopo di consolidare il posto dell’Italia nella Comunità a Sei» (D. 171)(30). Nel corso del Consiglio Atlantico del 25 aprile non si fece menzione della questione della frontiera orientale (D. 181). Tuttavia, in via di fatto, le due questioni rimasero collegate da un rapporto di condizionamento. Nell’incontro fra Scelba, Piccioni e Dulles di Villa Carminati a Gallarate, del 3 maggio, il Presidente del Consiglio italiano, pur affermando che il Governo manteneva distinte la questione di Trieste da quella della ratifica della CED, tuttavia rilevche le due questioni erano collegate e che «un voto parlamentare sulla CED, prima che sia risolta soddisfacentemente la questione di Trieste, sia quanto mai rischioso». Anzi, l’urgenza – riconosciuta dal Governo italiano – di far entrare in vigore la CED quanto prima faceva divenire urgente anche la soluzione del problema triestino, in ordine al quale il Governo italiano «non potrebbe accettare, come soluzione provvisoria, una soluzione meno favorevole di quella offerta l’8 ottobre al Governo precedente in quanto, in caso diverso, di fronte al Parlamento e all’opinione pubblica, il Governo subirebbe una sconfitta in campo internazionale e, di conseguenza, una grave perdita di prestigio. E senza prestigio non si pugovernare e tanto meno condurre una efficace resistenza al comunismo» (D. 187).

La linea che il Ministero degli Affari Esteri avrebbe seguito in questa nuova fase è quella decisa nel corso di una riunione ministeriale del 25 gennaio 1954, nel corso della quale venne messa a punto la posizione sul progetto di integrazione economica, sulla base di un appunto della Direzione Generale degli Affari Economici (D. 91 e D. 89).


28 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 18 febbraio 1954, p. 5537. Il disegno di legge per la ratifica del trattato, in effetti, venne presentato il 6 aprile: vedi Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 6 aprile 1954, p. 6713; Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, N. 767, Disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Scelba) e dal Ministro degli Affari Esteri (Piccioni) di concerto con tutti i Ministri: Ratifica ed esecuzione degli Accordi per la Comunità europea di difesa.


29 Sulle difficoltà di questa posizione si veda la L. riservatissima di Magistrati a Quaroni del 29 marzo 1954, D. 163.


30 Si veda, a tale proposito, l’importante messaggio di Eisenhower trasmesso a Scelba dall’Ambasciatrice Clare Boothe Luce il 16 aprile 1954 in D. 176 e nota 3.

2.2.7. La conferenza di Bruxelles per la CED, 19-22 agosto 1954

La formazione del nuovo Governo Mendès France, il 21 giugno 1954, al termine della crisi politica apertasi in Francia il 17 giugno, segn l’inizio della fase conclusiva della vicenda del trattato istitutivo della CED e della costituzione della CPE. Proprio in considerazione dell’atteggiamento del nuovo Governo francese e della probabile ricerca, da parte di esso, di una «soluzione di ricambio» rispetto al trattato di Parigi, i tre Governi del Benelux decisero di premere per la convocazione urgente della Conferenza dei Sei, a Bruxelles, fra il 30 giugno e il 3 luglio (DD. 205 e 206), iniziativa a cui Piccioni si dichiarsubito favorevole (D. 207), come anche la Cancelleria federale. Il Governo francese, tuttavia, in occasione dell’incontro fra Mendès France e Spaak del 30 giugno, chiese un rinvio della riunione. Sulla nuova situazione, aperta con la crisi del trattato CED, si vedano le istruzioni inviate a Quaroni il 5 luglio, all’indomani del colloquio Quaroni-Mendès France, in merito al prospettarsi di un «caso italiano», consistente nella possibilità che si indebolisse il processo integrativo politico, obiettivo essenziale in vista del quale il Governo italiano aveva aderito alla CED (D. 230). Ancora di maggiore importanza fu l’avvio a Londra, dal 5 al 12 luglio, a seguito dell’incontro Eden-Eisenhower, dei negoziati anglo-americani sull’applicazione degli accordi di Bonn sulla Germania, che avrebbero consentito alla Repubblica Federale di Germania di recuperare la propria sovranità, accordi conclusi contestualmente al trattato CED e condizionati alla sua ratifica (DD. 231 e 236).

Sin dalla formazione del nuovo Governo si pose la questione della ricerca di una “soluzione di ricambio” per la CED, questione peraltro già da tempo ventilata (vedi D. 243 e D. 244 sul colloquio Benvenuti-Guérin de Beaumont del 28 luglio). Il 13 agosto il Governo Mendès France approvò il testo delle modifiche del trattato istitutivo della CED da esso richieste come condizione per la ratifica del trattato(31), testo che venne comunicato ai sei Governi interessati il 14(32) (DD. 256, 257, 258 e 259).

La conferenza di Bruxelles, prevista già durante la conferenza dell’Aja per il 30 marzo, successivamente rinviata su richiesta francese, si tenne dal 19 al 22 agosto ed ebbe il ruolo decisivo di concludere negativamente il lungo processo seguito alla firma del trattato istitutivo della CED. La prima riunione della conferenza, la mattina del 19, fu breve e ne fu redatto un verbale ufficiale, che si pubblica(33). Il seguito della conferenza avvenne in seduta ristretta, senza redazione di un verbale ufficiale(34). L’intervento di Piccioni, il 19, seguì il contenuto elaborato dalla DGCI sulla base dell’analisi della proposta francese (D. 265)(35). L’impostazione della posizione italiana alla conferenza risulta dall’appunto del Segretario Generale, Zoppi, per il Ministro (D. 250). Le dichiarazioni di Mendès France all’inizio della riunione del 19 agosto, non verbalizzate, sono riportate nel testo trascritto da Magistrati e inviato – per conoscenza riservata – a Quaroni (D. 288). Inoltre si pubblicano i telegrammi con i quali Piccioni riferì a Scelba l’andamento della conferenza, con particolare riguardo per le discussioni concernenti le richieste francesi (DD. 266, 267, 268, 269, 270 e 272).


31 Vedi Appendice II, D. 3 e Projet de protocole sur la CED adopté le 13 ao 1954 par le Gouvernement français en vue de la conférence de Bruxelles, in P. Mendès France, Œuvres complètes, III: Gouverner c’est choisir, 1954-1955, Paris, Gallimard, 1986, pp. 804-813.


32 Vedi D. 256, nota 3.


33 Vedi Appendice II, D. 3. Per la composizione della delegazione italiana vedi D. 282, note 3 e 4.


34 I verbali non ufficiali della conferenza, redatti da Spaak, sono disponibili in ASUE, PHS, 6.308.


35 ASUE, PHS, 6.308, Conférence de Bruxelles. Séance restreinte du 19 ao 1954, pp. 16-17.

3. Uffici del Ministero degli Affari Esteri

Nel periodo trattato nel volume, come si è detto, si alternano tre Ministri degli Affari Esteri: Alcide De Gasperi, per il breve periodo fino al 17 agosto 1953, Giuseppe Pella, fino al 18 gennaio 1954, e Attilio Piccioni, che avrebbe continuato a tenere il dicastero anche nel periodo successivo. A capo del Gabinetto del Ministro, dal 14 agosto 1951, era Giovanni Scola Camerini, sostituito da Eugenio Prato dal 1° aprile 1954. I Sottosegretari furono Francesco Maria Dominedin tutti i cinque Governi che si sono susseguiti; Paolo Emilio Taviani fino al 16 luglio 1953, Lodovico Benvenuti da tale data e Vittorio Badini Confalonieri a partire dal 10 febbraio 1954 con la formazione del Governo Scelba-Piccioni. Fra costoro, come si è accennato, fu Benvenuti ad avere un ruolo di maggiore rilievo nella conduzione delle trattative per la CPE, rappresentando l’Italia nelle conferenze dei sostituti.

Nel periodo qui considerato il Ministero era strutturato, essenzialmente in base all’Ordinamento Sforza, così come modificato con i provvedimenti successivi, con una ripartizione “verticale” per materia anziché geografica. La struttura dell’amministrazione centrale del Ministero era, quindi, articolata in una Segreteria Generale, diretta dall’Ambasciatore Vittorio Zoppi dal 1° giugno 1948 al 6 dicembre 1954, in una Direzione Generale degli Affari Politici (DGAP), in una Direzione Generale degli Affari Economici (DGAE), in una Direzione Generale della Cooperazione Internazionale (DGCI) e in una Direzione Generale dell’Emigrazione (DGE). La DGCI, istituita con ordine di servizio n. 5 del 29 febbraio 1952, diretta da Massimo Magistrati, era organizzata in tre uffici: un Ufficio I per la NATO, la CED e la CPE, diretto da Eugenio Plaja, un Ufficio II per gli Istituti Internazionali per la Cooperazione Economica (l’OECE) e le questioni economiche e un Ufficio III per il Consiglio d’Europa e fu quindi competente per l’integrazione europea. Pertanto Magistrati fu il funzionario che coordinle trattative, delegate dal Ministro da un punto di vista politico, come si è detto, al Sottosegretario Benvenuti. Nel 1955, con ordine di servizio n. 8 del 4 marzo, la DGCI venne unificata con la DGAP e le competenze dell’Ufficio II della DGCI (Istituti Internazionali per la Cooperazione Economica) furono trasferite alla DGAE, mentre quelle dell’Ufficio I, per i rapporti politici multilaterali tra i Paesi aderenti al Patto Atlantico, all’UEO e al Consiglio d’Europa nonché per le Nazioni Unite, furono trasferite a un ufficio di nuova costituzione, l’Ufficio Cooperazione Internazionale, all’interno della DGAP, di cui Magistrati era divenuto Direttore Generale. Tale ufficio venne soppresso con l’ordine di servizio n. 10 del 31 maggio 1956, quando fu sostituito da due distinti uffici: dall’Ufficio Cooperazione Europea, per la trattazione delle questioni relative all’UEO e al Consiglio d’Europa, e dall’Ufficio NATO.

Per i dettagli dell’Amministrazione centrale e delle rappresentanze diplomatiche si rinvia all’Appendice I.

4. Fondi utilizzati

Fonte principale è l’archivio della DGCI, Ufficio I, competente per materia, pervenuto attraverso i versamenti dell’Ufficio I (versamento 1952-1954) e dell’Ufficio IV (versamento CED, 1950-1954) della DGAP. Oggetto di consultazione e ricognizioni sono stati anche gli altri fondi potenzialmente utili che hanno permesso di integrare il materiale rinvenuto nel fondo citato: Raccolta dei telegrammi della Cifra, Gabinetto del Ministro, DGCI-Ufficio II, DGAP e Rappresentanze diplomatiche.

Le ricerche sono state integrate con la documentazione depositata negli Archivi Storici dell’Unione Europea, ASUE, presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, consultabile digitalmente, con particolare riguardo per la sezione Conseil spécial de ministres CECA - Négociations du statut de la Communauté politique européenne (Consiglio speciale dei Ministri CECA - Negoziazione dello statuto della Comunità Politica Europea) (CM1/CPE).

La presenza dell’archivio dell’ufficio ‘capofila’, DGCI, Ufficio I, ha favorito il reperimento di documentazione particolarmente ricca e significativa, attestata abbondantemente in tutte le sue tipologie (appunti e verbali, rapporti, lettere, telegrammi) e a tutti i livelli di interlocuzione (Ministro degli Esteri, Sottosegretari, Segretario Generale, Ambasciatori e Direttori Generali).

Nell’Appendice II sono stati raccolti i verbali, gli annessi e i comunicati finali delle riunioni dei Sei Ministri degli Affari Esteri tenutesi a Baden-Baden (7-8 agosto 1953), a L’Aja (26-28 novembre 1953) e a Bruxelles (19-22 agosto 1954).

La documentazione relativa alla conferenza di Bruxelles consta in realtà soltanto di un resoconto della seduta plenaria del 19 agosto (compte-rendu, Communauté Européenne de Défense - Conférence de Bruxelles, Première séance, Jeudi, 19 ao 1954, CR/1) e del comunicato finale con i relativi annessi (protocole d’application du Traité instituant la Communauté Européenne de Défense; Project de déclarationproposé au nom de leur Gouvernements par les Ministres des Affaires Étrangères de la République Fédérale d’Allemagne, du Royaume de Belgique, de la République Italienne, du Grand-Duché de Luxembourg et du Royaume des Pays-Bas pour l’interprétation et l’application du traité de Paris instituant la communauté européenne de défense).

A proposito di questa riunione Magistrati osservava:

«[...] Occorre subito far notare – e la cosa ha un indubbio significato – che questa volta non si è trattato di una delle normali riunioni dei sei Ministri degli Esteri dei Paesi della Comunità Europea. L’organizzazione, infatti, della Conferenza non è stata affidata, secondo quanto era sempre avvenuto in passato, al Segretariato Permanente dei Ministri della CECA, ma è stata invece assunta direttamente dal Ministero degli Esteri belga, e lo stesso Ministro degli Esteri Spaak, pur essendo il Presidente di turno del Consiglio CECA, ha chiesto ai suoi colleghi un’investitura di Presidenza ex novo, cosa che è subito, del resto, avvenuta, all’inizio della Conferenza, su proposta del Cancelliere germanico Adenauer [...]. Subito dopo il Presidente Mendès-France ha chiesto che la riunione assumesse senz’altro un carattere del tutto privato e ristretto (carattere che è stato, del resto, severamente mantenuto sino alla fine dei lavori) dovendo egli esporre ai suoi colleghi, innanzi tutto, considerazioni di tono e contenuto del tutto riservati. Le delegazioni hanno così lasciato la sala delle riunioni nella quale sono rimasti soltanto due rappresentanti per Paese (per l’Italia, eccezionalmente, tre, per facilitare la traduzione, in lingua italiana, della documentazione)» (D. 282).

Non sono stati rinvenuti, nei fondi del Ministero né in quelli online della sezione “Istituzioni europee” dell’ASUE, verbali né minute sulle sedute ristrette. Si conservano soltanto delle minute nel fondo Paul-Henri Spaak, PHS, 6.308. Non è stata rinvenuta documentazione che attesti una circolazione di tali minute tra i partecipanti alla con-ferenza. Si può pertanto ipotizzare che, essendo nel frattempo sopraggiunto il voto contrario dell’Assemblea francese, non si sia ritenuto di procedere alla diffusione dei documenti e alla verbalizzazione definitiva.

I fondi consultati sono stati pertanto i seguenti:

A) Uffici centrali:

a. Cifra, Telegrammi segreti e ordinari in partenza e in arrivo

b. Gabinetto del Ministro, versamenti 1944-1958, 1953-1961

c. Direzione Generale Affari Politici, Segreteria, 1951-1958

d. Direzione Generale Affari Politici, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956

e. Direzione Generale Affari Politici, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 19521954

f. Direzione Generale Affari Politici, Uff. I, versamenti: 1951-1957, 19451960, 1947-1962

g. Direzione Generale Affari Politici, Uff. IV, versamento CED, 1950-1954

h. Direzione Generale Cooperazione Internazionale, Uff. II, 1951-1954

B) Rappresentanze diplomatiche:

i. Ambasciata d’Italia a Londra, versamento 1951-1954

j. Ambasciata d’Italia a Parigi, versamento 1951-1960

k. Ambasciata d’Italia a Washington, versamento 1940-1973

l. Rappresentanza italiana presso il Consiglio Atlantico (Ex Delegazione Ced), 1951 - 1954

Firenze, Istituto Universitario Europeo, Archivi Storici dell’Unione Europea (ASUE):

A) Istituzioni europee:

- Conseil spécial de ministres CECA - Négociations du statut de la Communauté politique européenne (CM1/CPE)

B) Archivi di personalità:

-Paul-Henri Spaak, PHS-06 - Troisième mandat en tant que ministre des Affaires étrangères

5. Riconoscimenti La pubblicazione di questo volume è dovuta alla decisione del Ministero degli Affari Esteri di mettere a disposizione degli storici e dei cittadini la documentazione sulla politica internazionale dell’Italia secondo criteri scientifici e oggettivi, senza alcuna finalità politica. Esso è stato realizzato dall’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica, diretta dal Ministro Armando Barucco, coadiuvato dal Dott. Lorenzo Vai nel coordinamento del settore storico-diplomatico. Il volume che presentiamo è stato il frutto della collaborazione del personale del Ministero degli Affari Esteri, che ha partecipato a vario titolo e con eccezionale impegno e competenza alle fasi della sua preparazione. Le ricerche della documentazione nei fondi dell’Archivio Storico-Diplomatico

del Ministero sono state compiute dalle archiviste di Stato della Sezione Pubblicazione Documenti Diplomatici, Dott.ssa Rita Luisa De Palma e Dott.ssa Ersilia Fabbricatore, le quali, oltre ad effettuare la ricerca e la selezione, sono responsabili per la preparazione complessiva del volume: collazione dei testi, redazione delle intestazioni e delle note critiche, ricerche storiche e bibliografiche necessarie; a tale lavoro di preparazione ha collaborato anche la Sig.ra Andreina Marcocci. Le dott.sse De Palma e Fabbricatore hanno altresì redatto i regesti dei documenti, la descrizione dei fondi utilizzati e degli uffici del Ministero e hanno dato un contributo essenziale alla redazione dell’introduzione. Hanno infine offerto un prezioso contribuito alle trascrizioni dei documenti in francese dell’Appendice II le signore Isabella Celata, Lucilla Manisco e Alessandra Morelli. Come nei volumi precedentemente pubblicati, la straordinaria competenza, la dedizione e la passione delle archiviste che hanno preparato il volume sono state un elemento indispensabile per poter portare a termine la pubblicazione, specie tenendo conto del difficile periodo in cui tale lavoro si è svolto, fra il marzo e l’agosto 2020.

I curatori inoltre desiderano esprimere il proprio apprezzamento nei confronti dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato per la cura che ha dedicato, come sempre, all’allestimento tipografico del volume. In particolare si ringraziano: il MEF, Direzione dei servizi erogati alle amministrazioni e ai terzi, e l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, nelle persone del Dott. Luca Fornara, del Dott. Francesco Greco, del Sig. Daniele D’Amato e della Sig.ra Ersilia Santi Amantini per l’allestimento e la stampa del volume, con la consueta perfezione tecnica.

I curatori hanno l’esclusiva responsabilità dell’impostazione del volume, della scelta dei documenti pubblicati e dei criteri dell’edizione, nonché della redazione dell’apparato critico e dell’Introduzione. Le ricerche e la scelta del materiale sono state effettuate con criteri esclusivamente scientifici da parte dei curatori e con assoluta indipendenza.

Prof. Francesco Lefebvre D’Ovidio Prof. Antonio Varsori


DOCUMENTI
1

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE E LEGAZIONI(1)

Telespr. segreto 21/2292(2). Roma, 25 giugno 1953.

Oggetto: Riunione dei Sei Ministri degli Esteri della CED a Parigi 22 giugno 1953.

Come è noto, nella riunione tenuta a Parigi il 12 maggio u.s., i sei Ministri degli Esteri della Comunità Europea decisero che il 12 giugno avrebbe avuto inizio a Roma una Conferenza intergovernativa per la preparazione del progettato Trattato istitutivo di una Comunità Politica Europea, sulla base sovratutto dell’esame del testo elaborato dall’Assemblea ad hoc. Qualche giorno prima dell’inizio della Conferenza il Governo Francese, in vista della crisi governativa, chiedeva un rinvio. Nei giorni successivi, il prolungarsi della crisi suddetta, il prossimo cambiamento ministeriale in Italia, l’incertezza sulla data d’inizio della Conferenza delle Bermude, unendosi ad altri elementi inerenti alla situazione politica generale, rendevano piuttosto complesso il problema della fissazione di una nuova data per l’inizio della Conferenza in questione.

In tali condizioni il Presidente De Gasperi, anche nella sua qualità di Presidente di turno dei sei Ministri, insisteva perché almeno una riunione dei sei Ministri si tenesse senza ulteriore ritardo e proponeva di effettuarla a Parigi ove egli si sarebbe trovato il 22 corrente nel corso del suo viaggio per l’Inghilterra. Una tale riunione appariva necessaria sovratutto di fronte alle opinioni pubbliche nazionali ed internazionali portate naturalmente ad attribuire un particolare significato, nelle presenti condizioni, all’avvenuto rinvio dell’inizio della Conferenza, era inoltre vivamente richiesta dal Cancelliere Adenauer che aveva accettato il predetto rinvio con non poca difficoltà; e presentava in fine, in vista della prossima riunione delle Bermude, interessanti possibilità politiche che conveniva, anche in favore delle posizioni europeistiche, non trascurare.

A seguito di tali insistenze il Ministro Bidault accettava di tenere la predetta riunione il 22 corrente a Parigi; dato peraltro la particolare situazione del Governo francese e sua personale, chiedeva che detta riunione avesse carattere intimo e «informal», senza redazione di processi verbali ufficiali e senza quindi che fosse necessaria la presenza del Segretariato del Consiglio dei Ministri CECA. La riunione si effettuava come previsto; per riservatissima notizia di codesta Rappresentanza si trasmette in allegato un appunto riassuntivo al suo svolgimento. Si unisce anche copia del comunicato stampa emesso al termine della riunione stessa.

Allegato I

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI

Appunto riservatissimo(3). Roma, 24 giugno 1953.

APPUNTO SULLA RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI DELLA COMUNITÀ EUROPEA (PARIGI, QUAI D’ORSAY, 22 GIUGNO 1953)

La genesi di questa riunione è stata tra le picomplesse e difficili. A Parigi, il 12 maggio era stato, come è noto, stabilito che alla data del 12 giugno avesse luogo, a Roma, una «Conferenza» i cui lavori dovevano essere dedicati allo studio delle questioni relative al futuro Statuto per una Comunità Politica Europea. Tale Conferenza avrebbe dovuto dividersi in due momenti: dapprima, a guisa di prologo, una riunione dei sei Ministri degli Esteri, atta a permettere, ad altissimo livello, l’avvicinamento di contrastanti punti di vista, ed in seguito, una vera e propria Conferenza di funzionari, tecnici ed esperti, divisi in delegazioni presiedute, ciascuna, da un «Sostituto» del Ministro degli Esteri.

La crisi politica francese, con il succedersi delle mancate convalide, da parte del Parlamento di Parigi, dei candidati alla Presidenza del Consiglio, spinse il Quai d’Orsay a chiedere un rinvio di due settimane della data di convocazione. In seguito, dopo ripetuti scambi di idee e di informazioni e di una vera e propria trattativa svoltasi per via diplomatica, e tenendosi conto del complesso momento politico in alcuni dei Paesi interessati, venne stabilito un incontro tra i sei Ministri, incontro destinato ad avere, secondo la precisa richiesta francese, un carattere del tutto «informal» e tale da non provocare impegni da parte dei partecipanti.

Il Presidente di turno del Consiglio, On. De Gasperi, ritenne, inoltre, opportuno che nel corso dell’incontro venisse offerta la possibilità ai sei Ministri di esprimere, in via del tutto confidenziale e personale, il proprio punto di vista su questioni di politica internazionale di alto interesse nell’attuale momento nel quale, specialmente a causa del cosiddetto «processo di distensione» tra occidente ed oriente, la fisionomia di talune delle questioni stesse appare gradualmente modificarsi: e ci in modo particolare, alla vigilia dell’incontro tripartito delle Bermude, cui uno soltanto dei sei Paesi della Comunità Europea, ossia la Francia, è destinato a prendere parte.

Questa interessante e felice iniziativa ha effettivamente permesso, come vedremo, di dare, per la prima volta alla riunione dei sei Ministri un carattere effettivo anche se non dichiarato, di vero e proprio «direttorio» per la politica estera in seno ai sei Paesi dell’Europa occidentale continentale. E per la prima volta, in vista d’un importantissimo incontro politico, di natura mondiale, quale potrà essere l’incontro delle Bermude si è potuto dare a Paesi non partecipanti l’occasione di esprimere, preventivamente, il proprio pensiero su qualche questione che direttamente li concerne. Naturalmente la pedana di lancio per un tale giro di orizzonte è stata costituita dallo studio delle eventuali ripercussioni che problemi discussi alle Bermude, a cominciare dalla questione tedesca, potrebbero avere sulla progettata costituzione della Comunità Politica Europea e sulla entrata in funzione e sui limiti di azione della Comunità Europea di Difesa.

I sei Ministri si sono così incontrati al Quai d’Orsay nella mattina del 22 giugno, sotto la presidenza del Presidente di turno del Consiglio dei Ministri della Comunità per il Carbone e l’Acciaio, On. De Gasperi. La riunione è stata di carattere – sempre a seguito di una richiesta personalmente avanzata dal Ministro degli Esteri di Francia, Bidault, giustamente preoccupato delle ripercussioni e delle interpretazioni che, nel delicatissimo momento politico attraversato dalla Francia, una vera e propria Conferenza avrebbe potuto provocare – estremamente ristretto in modo da permettere effettivamente quel desiderato e franco scambio di idee, personale e confidenziale, al quale si è sopra accennato. Così il Presidente On. De Gasperi è stato assistito soltanto dal Direttore Generale per la Cooperazione Internazionale e dal Direttore Generale degli Affari Politici di Palazzo Chigi, il Cancelliere Adenauer dal Segretario di Stato Hallstein e, in un secondo momento, anche dal Direttore Politico Blankenhorn, il Ministro degli Esteri Bidault dal Sottosegretario di Stato Maurice Schumann e dal Segretario Generale del Quai d’Orsay, Parodi, il Ministro degli Esteri van Zeeland dal Rappresentante Permanente Belga presso il NATO e la CED, Ambasciatore De Staercke, il Ministro degli esteri Beyen dal Rappresentante Permanente olandese presso il NATO e presso la CED, Ambasciatore Starkenborg e dal Direttore Generale degli Affari Politici, Eschauzier, il Ministro degli Esteri Bech dal Direttore Politico Reuter. Assente il Segretariato del Consiglio ed esclusa la compilazione di processi verbali.

La prima parte dei lavori avrebbe dovuto essere destinata alla continuazione della discussione, già apertasi a Parigi nella riunione del 12 maggio, tra i sei Ministri, circa taluni problemisorti particolarmente nel corso di un primo studio relativo al progetto di Trattato per uno Statuto Europeo formulato, come è noto, dall’Assemblea ad hoc e presentato dal suo Presidente Spaak, a Strasburgo, il 9 marzo. Ma viceversa i sei Ministri hanno ritenuto opportuno abbordare innanzi tutto alcune questioni di politica generale naturalmente legate con i problemi della Comunità.

Dapprima il Cancelliere Adenauer ha riferito, con una certa ampiezza, circa la situazione creatasi nella Germania Orientale a seguito dell’importante manifestazione di protesta del ceto operaio sviluppatasi a Berlino nella giornata del 17 giugno con immediate ripercussioni in altre grosse città della zona sotto controllo sovietico. Tale manifestazione – ha detto il Cancelliere

– mentre evidentemente era stata in un primo momento tollerata dalle Autorità sovietiche per dimostrare l’incapacità del Governo dalla Repubblica orientale Tedesca, ha poi rotto i freni ed i controlli di modo che quelle stesse autorità hanno dovuto compiere un’azione di durissima repressione e rappresaglia che ha provocato esecuzioni e vittime dovunque. Si è trattato quindi di una manifestazione di altissimo valore politico che dimostra chiaramente lo spirito anticomunista ed antisovietico, che dopo otto anni di un regime di oppressione, appare pervadere tutta la Germania Orientale, Oggi quindi – ha concluso il Cancelliere – ed in un momento non già di «distensione» come si vuol far credere da taluni, ma di rinnovata tensione, sarebbe augurabileche dalle riunioni internazionali, e particolarmente da quella dei sei Ministri e da quella delle Bermude, potessero uscire parole e deliberazioni atte a dare all’intero popolo tedesco delle due zone la sensazione che il mondo occidentale vede l’unificazione della Germania soltanto nel quadro di un sistema libero e democratico. Con ciò si darebbe coraggio ed anima a quanti, in Germania, operano per la formazione di un’unità tedesca destinata a prendere il suo posto nelle file dei Paesi democratici. Il Presidente De Gasperi, nel porre in rilievo come il problema dell’unificazione tedesca tocchi direttamente e profondamente la nascente Comunità Europea e dopo aver indicato come la manovra di distensione russa, per quanto essa contenga di utile e di positivo, sia la conseguenza diretta della politica seguita dai Paesi europei ed atlantici in questi ultimi anni, ha affermato come quel problema dell’unificazione germanica si presenti oggi quale una «ipotesi attuale» e tale da consigliare scambi di idee atti a permettere la precisazione di elementi suscettibili di contribuire alla formulazione di un punto di vista comune tra i sei Paesi della Comunità. Egli ha poi ricordato come il Cancelliere Adenauer avesse avuto già occasione, nelle passate settimane, di fissare cinque punti essenziali nei riguardi del processo di unificazione del suo Paese: 1) libere elezioni in tutto il territorio tedesco; 2) istituzione di un Governo unico; 3) conclusione di un Trattato di Pace liberamente negoziato; 4) regolamento, nel quadro di quel Trattato, delle questioni relative alle frontiere della Germania; 5) possibilità per il futuro Governo tedesco unico di concludere liberamente accordi internazionali secondo i principii e lo spirito delle Nazioni Unite.

Ora – mi ha ricordato 1’On. De Gasperi – questi punti dovrebbero incontrare la generale approvazione anche perché, in realtà, essi non costituiscono affatto un elemento di contrasto con il processo integrativo, nell’Europa Occidentale, della Germania: processo integrativo al quale sono dedicati e dovranno esserlo sempre più gli sforzi dei sei Paesi interessati. Tra questi sforzi in primo luogo, è la messa in moto della Comunità Europea di Difesa. In riassunto una Germania unificata nel quadro e nello spirito di quanto è stato sopra indicato non è affatto incompatibile con una Germania integrata nella Comunità di Difesa e quindi nella Comunità Politica Europea. In tale maniera si concorrerà davvero al mantenimento della pace in Europa e quindi nel mondo. L’integrazione europea costituirà così, essa stessa, una garanzia della pace mentre una Germania neutralizzata e smilitarizzata costituirebbe, per l’ampiezza e la difficoltà dei controlli, un problema di estrema complessità, pericoloso forse per la pace stessa.

In queste condizioni i Governi dei sei Paesi vedrebbero con soddisfazione il Rappresentante della Francia alle Bermude esporre, a loro nome, questi concetti in modo che gli uomini di Stato che vi rappresenteranno l’America ed il Regno Unito potessero avere la diretta sensazione e conoscenza di quanto nell’Europa occidentale si pensi circa il problema dell’unificazione tedesca: si tratterebbe cioè di affidare al rappresentante di Francia alle Bermude – che sarebbe augurabile possa essere personalmente lo stesso Ministro Bidault – un «mandato morale» la cui esplicazione sarebbe di indubbia utilità nel quadro dei rapporti politici internazionali.

Il Ministro Bidault ha, pur riservando in pieno le decisioni e gli intendimenti del Governo francese e pur facendo presente l’impossibilità da parte sua di un impegno formale ed ufficiale, mostrato di non essere alieno dal vedere formulato, anche se non in un documento scritto, questo «mandato». Esso darebbe indubbiamente consistenza ad uno spirito collettivo, nella considerazione dei problemi internazionali, da parte dei Paesi della Comunità la quale deve dimostrarsi viva e vivente anche all’infuori di talune forme di pressione che con una certa eccessiva e controproducente durezza (Bidault ha chiaramente accennato al pericolo costituito da manifestazioni americane del tipo Taft, per cui, ad esempio, gli aiuti militari americani verrebbero sospesi ai Paesi europei interessati qualora in breve tempo non venisse messa in moto la macchina della CED vero e proprio intervento di un elefante tra le porcellane!) l’America va compiendo di tempo in tempo.

Il Ministro van Zeeland ha manifestato l’intenzione e la speranza del Governo belga di vedere continuati gli sforzi perché sia data vita, sia nel quadro atlantico, sia in quello dei sei Paesi, al processo di rafforzamento e stabilità destinato ad evitare eventuali pericoli di aggressione e di turbamento della pace. Per quanto riguarda la ratifica della CED, il Governo belga spera che essa possa essere votata, in uno dei rami del Parlamento prima del periodo delle vacanze estive dichiarazione che ha provocato precisazioni da parte di alcuni degli altri Ministri.

Così il Ministro Bech ha informato i colleghi, per quanto riguarda il Lussemburgo, che una ratifica di quel Parlamento non appare possibile prima del prossimo ottobre ed il ministro Beyen nei riguardi della situazione in Olanda ha dichiarato che la Camera Bassa dell’Aja potrà probabilmente provvedere alla ratifica stessa prima delle vacanze mentre l’altro ramo del Parlamento potrà essere investito della questione prima della fine dell’anno sempre con riguardo, per a quanto verrà fatto, in merito, negli altri Paesi interessati. E il Presidente De Gasperi, nel rievocare come la Commissione della antica Camera dei Deputati di Roma avesse già provveduto, prima del suo scioglimento, all’approvazione del Trattato, ha detto che, evidentemente, la nuova posizione parlamentare non poteva non provocare un certo ritardo. Ma, almeno a quanto è dato comprendere, una parte dell’opposizione al Governo appare favorevole all’idea della formazione della Comunità di Difesa e cipotrà, senza dubbio, al momento opportuno, facilitare i lavori per la ratifica.

Ripresasi la discussione sul problema tedesco, in vista dell’incontro delle Bermude i sei Ministri, anche se con diverse sfumature di espressione e di intendimenti, hanno insistito sulla opportunità che a quell’incontro sia possibile esprimere una parola comune. Da parte tedesca si è così fatta nuovamente menzione di un vero e proprio «mandato», magari a mezzo di un documento interno scritto, da affidare al Rappresentante francese: proposta che ha sollevato riserve da parte di altri Rappresentanti e particolarmente del Ministro Beyen, il quale ha indicato come il Governo dell’Aja non si fosse mai posto, in termini esatti, questo problema e come quindi egli non fosse in condizione di dare un’approvazione ufficiale all’iniziativa. Egli inoltre, nel formulare un paragone di carattere marinaro, ha ricordato come i sei Paesi navighino in convoglio con navi a vela sulla cui navigazione non possono non avere grande importanza e ripercussione i venti e le correnti: occorrerà quindi procedere con la necessaria circospezione e lentezza per non provocare, con iniziative intempestive e troppo drastiche, ritardi o sbandamenti nella navigazione del convoglio stesso.

Il Ministro van Zeeland ha nuovamente ripreso l’argomento della necessità, per l’occidente, di essere «forte ed unito» tanto alla tribuna atlantica quanto alla tribuna europeista. È proprio una tale posizione che dovrebbe essere messa in risalto anche nell’incontro delle Bermude, in modo che, qualora dovessero aprirsi negoziati con l’oriente, gli intendimenti e la volontà dei Paesi occidentali venissero a formare un fronte unico. E cidovrebbe verificarsi anche qualora ci si dovesse avviare verso un disarmo mondiale.

Il Ministro Bidault, nell’accennare anch’egli, all’imminente incontro delle Bermude, ha comunicato ai colleghi come non sia prevista colà l’adozione di un ordine del giorno vero e proprio e come quindi ognuno dei tre partecipanti sia messo in grado di esprimere liberamente il proprio pensiero senza essere vincolato ad argomenti specifici. Tutto fa prevedere che da parte americana verranno ripresi, circa il problema di distensione con la Russia, i concetti già espressi durante la Conferenza NATO dello scorso aprile: accettazione, nel caso, di eventuali aperture di negoziati ma al tempo stesso continuazione dallo sforzo di potenziamento della difesa dei Paesi occidentali.

I sei Ministri sono poi passati, nell’ultima parte della riunione, a trattare della procedura e del seguito da dare ai lavori veri e proprii della prevista Conferenza per lo Statuto della Comunità Politica Europea. E si sono trovati d’accordo nello stabilire, per la data del prossimo incontro, il 7 agosto e per la località la città di Baden Baden. Una data posteriore avrebbe resa difficile la presenza del Cancelliere Adenauer che in quel mese dedicherà interamente la sua attività alle elezioni del Bundestag, previste per il 30 agosto.

In riassunto:

1) La riunione del 22 giugno, per la cui effettuazione il Presidente De Gasperi, nella sua duplice qualità di Presidente di turno del Consiglio CECA e di Rappresentante italiano, ha molto insistito, ha ottimamente servito ad «interrompere la prescrizione» nei lavori per la costituzione della Comunità Europea. Si sarebbe avuto altrimenti, in un momento tanto delicato quale l’attuale, la sensazione, non soltanto nei sei Paesi interessati, ma nel mondo intero, che l’idea costitutiva per l’integrazione europea andava nettamente affievolendosi con conseguenti poche probabilità di ripresa per l’avvenire.

2) L’atteggiamento francese è stato, naturalmente, di estrema riserva in vista della anomala e difficile situazione creatasi nel campo governativo a Parigi. Ma occorre riconoscere che il Ministro Bidault, nel prendere praticamente sulle sue spalle l’intera responsabilità della riunione, ha dato prova di grande spirito di collaborazione e di comprensione. E inoltre, nel dichiararsi propenso, anche se con evidenti cautele e riserve, a vedere affidato più o meno, alla Francia, un certo «mandato morale» dei sei Paesi, in vista dell’incontro delle Bermude, ha mostrato di comprendere tutta l’importanza, per il suo Paese e per la Comunità, di poter esprimere, ad una grande ribalta internazionale, talune idee collettive dell’Europa occidentale.

3) Tutto sommato il concetto, chiaramente esposto dal Presidente De Gasperi e, naturalmente, condiviso dal Cancelliere Adenauer, secondo cui una unificazione della Germania, in termini occidentali e con la formula del riarmo attraverso la Comunità di Difesa, non soltanto non è incompatibile ma anzi favorisce il processo dell’integrazione della Germania stessa in una comunità europea occidentale, non ha sollevato sostanziali contrasti.

Tutti, anzi, hanno mostrato di comprendere come una formulazione diversa del problema tedesco, a cominciare da quella della neutralizzazione e del susseguente controllo sulla Germania, aprirebbe un periodo di ingenti difficoltà.

4) L’adozione, da parte dei sei Ministri, dei cinque «punti», per 1’unificazione stessa, formulati dal Cancelliere Adenauer – come si è sopra accennato – e ricordati dal Presidente De Gasperi, ha incontrato qualche difficoltà, anche perché essa a taluni, e particolarmente al Rappresentante olandese, è apparsa esorbitare i limiti della riunione di Parigi.

5) Dei sei Paesi presenti quelli più«indietro nella mano» in tema di stretta collaborazionetra i sei Paesi sui grandi problemi internazionali, sono apparsi l’Olanda ed il Lussemburgo. Evidentemente sul Governo dei Paesi Bassi grava la difficoltà costituita, sia dall’estrema circospezione, in tema di politica europeista, del suo Presidente del Consiglio, sia il fatto che quel Ministero degli Affari Esteri ha, come è noto, due Capi, di modo che appare sempre difficile per il Ministro Beyen prendere posizioni precise. Persino nella compilazione del breve comunicato per la stampa, emesso alla fine della riunione, da parte olandese molto si è insistito perché non venisse menzionata la parola «Comunità Politica Europea», sostenendosi la tesi che essa ancora non esiste – come del resto ancora non esiste la Comunità di Difesa – e sia quindi intempestivo, e non rispondente alla realtà, pronunciarla.

6) Da parte belga è stata manifestata, per bocca del Ministro van Zeeland, una certa vivacità di «collaborazione» sia atlantica sia europeista e nello stesso tempo si è insistito sulla opportunità di dare sempre maggiore vigore ad un «fronte unico» occidentale. Naturalmente queste affermazioni non hanno del tutto dissipato quella nebulosità, sulle mete finali e sui concetti direttivi in tema di Europa, che hanno sempre più o meno, caratterizzato l’atteggiamento del Governo di Bruxelles.

7) Da parte tedesca è apparsa evidente la gravissima preoccupazione che un «processo distensivo» tra occidente ed oriente possa portare ad una diversa interpretazione del problema germanico con conseguente pratico fallimento della politica di integrazione europea di una Germania unificata promossa e perseguita dal Cancelliere Adenauer. Questi, come abbiamo visto, ha molto insistito perché dalle riunioni di Parigi e delle Bermude uscisse in merito e, naturalmente, in vista delle imminenti elezioni politiche al Bundestag, una parola di sostegno e di rafforzamento della tesi del Governo di Bonn: parola che, anche se a mezza voce, è stata effettivamente pronunciata durante la riunione di Parigi. Per quanto concerne direttamente i lavori dello Statuto della Comunità è stato stabilito che, in attesa del nuovo incontro di Baden Baden, il Segretariato di Lussemburgo possa procedere a far «circolare» tra i Governi interessati quei documenti di studio che essi ritenessero opportuno produrre nel corso delle prossime settimane.

Allegato II

COMUNICATO STAMPA PUBBLICATO AL TERMINE DELLA RIUNIONE TENUTA DAI SEI MINISTRI DEGLI ESTERI A PARIGI IL 22/6/1953.

Les six Ministres des affaires étrangères des États membres de la Communauté du charbon et de l’acier se sont réunis aujourd’hui au Quai d’Orsay sous la présidence de M. De Gasperi, président du conseil et ministre des affaires étrangères d’Italie.

Tenant compte de la nécessité de hâter les travaux relatifs à l’établissement d’une communauté politique européenne, ils ont examiné le calendrier des prochaines réunions et fixé au 7 ao la date à laquelle ils se rencontreront à Baden Baden pour continuer les études concernant la formation de cette communauté.

Prenant en considération l’imminente rencontre des Bermudes, les six ministres ont procédé sur les problèmes de politique internationale à un échange de vues personnel et confidentiel inspiré par une confiance réciproque qui a permis de constater l’esprit de coopération et d’unité européennes caractérisant les rapports des six pays.

1 1 DGCI, Uff. II, 1951-1954, b. 82.

1 2 Il Telespr., con sottoscrizione autografa, era diretto alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso la NATO, l’OECE e la CED a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici, della Cooperazione Internazionale, Uffici II e III.

1 3 Sottoscrizione autografa.

2

[LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE](1)

Appunto(2). [Roma, … giugno 1953](3).

APPUNTO PER IL COLLOQUIO FRA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E L’AMBASCIATORE BRUCE

Alla vigilia dell’incontro delle Bermude desidero rappresentare per Suo tramite al Governo degli Stati Uniti la posizione del Governo italiano nei riguardi della politica di integrazione europea.

Gli sviluppi della manovra politica sovietica non hanno mancato di sollevare o approfondire in alcuni ambienti politici europei qualche perplessità ed esitazione circa l’opportunità di mantenere il ritmo sinora seguito nel processo di integrazione europea.

Per ciò che si riferisce all’Italia, tengo a dichiarare che il Governo italiano rimane convinto che tale politica debba essere fermamente seguita, non solo perché essa offre il mezzo migliore per risolvere il problema tedesco, ma perché è solo per tale via che una Europa rinnovata potrà superare le tradizionali rivalità per risolvere nella pace e nella libertà il problema del benessere e del progresso dei popoli che la compongono e nello stesso tempo equilibrare il peso rappresentato dal blocco sovietico.

La fermezza della politica del Cancelliere Adenauer è una prova che il Governo ed il popolo tedesco condividono questo convincimento.

L’offerta di collaborazione con la CED avanzata nel corso degli ultimi mesi dal Governo britannico testimonia che il Governo di Londra, entro i limiti consentiti dalle necessità della posizione britannica, desidera offrire ogni possibile appoggio alla Comunità dei sei Paesi dell’Europa.

L’atteggiamento del Governo degli Stati Uniti è stato di costante incoraggiamento e di caloroso appoggio: la recentissima proposta circa l’assistenza militare presentata al Comitato Interinale è la più efficace testimonianza del desiderio del Governo americano di dare un concreto fondamento alla collaborazione degli Stati Uniti con la Comunità dei Sei.

Al convegno delle Bermude oltre agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna sarà presente uno dei maggiori rappresentanti della Comunità Europea: la Francia.

L’atteggiamento della Francia potrebbe risentire di alcune particolari interpretazioni della situazione che hanno caratterizzato il pensiero di alcune correnti dell’opinione pubblica e del Parlamento francese negli ultimi mesi e che hanno trovato espressione per bocca di autorevoli personalità politiche.

Tali correnti, come è ben noto a V.E., sono all’origine di un rallentamento che si è avuto occasione di constatare nella politica di integrazione europea, cui il Governo di Parigi si era dedicato con convincimento.

Sembra superfluo illustrare i pericoli delle conseguenze di un tale atteggiamento, ove avesse a confermarsi e precisarsi.

Il Governo italiano ha mostrato in più diuna occasione di essere pronto ad accettare in questa materia anche delle soluzioni che non riteneva completamente favorevoli ai propri interessi. Esso lo ha fatto a ragion veduta e nel convincimento che il fine che dobbiamo raggiungere vale bene i sacrifici che ognuno deve sapersi imporre.

La nuova Europa deve essere costruita con tale spirito.

Il Governo italiano confida che, in occasione dei colloqui delle Bermude, si potrà mettere in luce ancora una volta che si deve proseguire nel cammino intrapreso nell’interesse dell’Europa e del mondo libero.

2 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 71.

2 2 Il documento reca in calce la seguente annotazione, con la sigla di Plaja: «Il colloquio ebbe luogo in presenza di Magistrati, il quale potrà riferire. 30.6.1953» ed a margine: «Scrittone a Bombassei» con la sigla di Magistrati.

2 3 Il termine ante quem della datazione è il 30 giugno 1953, come si evince dall’annotazione in calce (vedi nota 2).

3

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI, AI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI DELLA COMUNITÀ EUROPEA(1)

L(2). Roma, 30 giugno 1953.

Signor Ministro,

secondo alcune informazioni pervenutemi tramite il nostro Segretariato sembra che qualche divergenza di interpretazione stia facendosi strada circa il carattere che avrà la nostra prossima riunione a Baden Baden. Mi preme quindi, per assicurare la buona riuscita di tale incontro, che questi dubbi siano tempestivamente eliminati e sarei perciò lieto di conoscere al riguardo il punto di vista di ciascuno dei nostri colleghi.

A mio modo di vedere, quando abbiamo discusso a Parigi della prossima riunione, non vi è dubbio che pensavamo ad un incontro dei Ministri degli Esteri destinato – come del resto appare dal comunicato finale – a fare avanzare sostanzialmente i nostri lavori per la costituzione della Comunità Europea. La riunione cioè deve avere carattere sostanziale, e non meramente procedurale.

Noi prevedevamo qualche settimana fa, per la Conferenza che doveva inaugurarsi a Roma il 12 giugno, due stadi: un primo cioè a livello Ministri per discutere i punti basilari del Trattato e per tracciare le linee generali entro le quali avrebbe dovuto muoversi ulteriormente la conferenza; un secondo a livello Sostituti per proseguire i lavori ed elaborare con maggior precisione e dettaglio i punti concordati. Mi sembra che il nostro prossimo incontro di Baden Baden sia stato previsto appunto come il primo di questi due momenti, restando inteso che a termine delle nostre discussioni colà verranno prese le opportune decisioni per i successivi lavori che si rendessero necessari.

Nel ringraziarla fin da ora, Sig. Ministro, della risposta che la E.V. mi farà pervenire al riguardo, La prego di voler gradire le espressioni della mia alta considerazione(3).

[Alcide De Gasperi]

3 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78

3 2 Trasmessa con Telespr. 21/2375 del 1° luglio da Straneo alla Legazione a Lussemburgo, con preghiera di consegnare la comunicazione al Segretariato del Consiglio dei Ministri CECA affinché provvedesse a diramarla ai Ministri degli Esteri della Comunità Europea.

3 3 Per le risposte vedi DD. 14, 20, 24 e 26. Quella di Bidault, alla data del 28 luglio (vedi D. 28) non risultava pervenuta.

4

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 10/416. Parigi, 30 giugno 1953.

Oggetto: Avvenire della CED e problema tedesco nei commenti degli ambienti del Comitato Interinale.

Negli ambienti del Comitato Interinale si parla di pidella connessione fra il problema tedesco, visto nel quadro delle attuali contingenze internazionali, e la sorte del Trattato CED.

È naturale, del resto, che esista un legame stretto fra le due questioni, dato che in origine proprio in funzione della situazione della Germania e dell’inserimento di quel Paese nel sistema difensivo occidentale – direi anzi esclusivamente perci– venne lanciata l’iniziativa di un esercito europeo integrato.

Il viaggio di Blank negli Stati Uniti, ha suscitato qui molti commenti.

In relazione alle discussioni che sulla CED avranno certamente luogo nel corso dell’incontro a tre ed a quelli che saranno per essere i risultati delle elezioni tedesche, si presente [sic] che si avvicina ormai il momento in cui il nodo della CED dovrà essere sciolto in un senso o nell’altro, poiché una qualche decisione dovrà ben essere adottata circa il riarmo della Germania, che viene ormai rinviato fin dall’epoca del Consiglio Atlantico di Bruxelles, vale a dire da circa tre anni.

A questi esperti militari la CED appare tuttora come l’unica soluzione che permetta di ottenere un contributo militare tedesco, sottoponendo al tempo stesso le forze della Germania occidentale ad un controllo internazionale, che sarà tanto più efficiente in quanto sopranazionale e reciproco.

Per contro si osserva che un esercito nazionale tedesco, oltre a rappresentare ciò che gli americani usano chiamare un «rischio calcolato» (un rischio in verità assai difficile da misurare), finirebbe fatalmente per costituire un elemento di turbamento sia dal punto di vista internazionale, sia all’interno stesso della Germania.

Se il Cancelliere Adenauer dichiara di essere disposto ad accettare un riarmo unilaterale soltanto dopo che siano fallite tutte le possibilità di realizzare la CED, lo fa sapendo che, in Germania, Stato Maggiore e Democrazia non riescono alla lunga ad andare d’accordo. Inoltre, la necessità di inserire quell’esercito nazionale nell’alleanza atlantica, provocherebbe indubbie reazioni in seno ad altri Paesi della NATO. Nessuno è oggi in grado di prevedere che cosa succederebbe nei vari Parlamenti quando vi si dovesse discutere l’ammissione della Germania nel Patto. Potrebbe uscirne un fatale e profondo motivo di divisione tra gli stessi Alleati e si rischierebbe di vederne indebolito, anziché rafforzato, lo schieramento atlantico.

Dal punto di vista internazionale poi, la formazione di un esercito nazionale tedesco, che è in sostanza la eventualità che i russi temono sopra ogni altra, potrebbe evidentemente – ben piche non la CED – aggravare tutta la situazione.

Gli stessi militari tedeschi riconoscono che un esercito nazionale germanico potrebbe essere un elemento di pericolosa divisione per il mondo occidentale.

Quanto poi alla eventualità di una neutralizzazione della Germania, si pensa in questi stessi ambienti che essa significherebbe soltanto che i russi sarebbero disposti a sacrificare il loro sistema politico nella Germania orientale per ottenere dei vantaggi militari, la cui importanza non può esseretrascurata. Con l’allontanamento di tutte le truppe di occupazione – fra l’altro – le forze americane, che oggi costituiscono il nucleo più importante della difesa dell’Occidente, finirebbero per trovarsi lontanissime da Berlino, mentre le divisioni corazzate sovietiche potrebbero raggiungere la città in sole 14 ore. Pertanto, si dice qui, la neutralizzazione di una Germania unificata minaccerebbe di costituire di per sé stessa una pura e semplice sconfitta dell’Occidente sul terreno più importante, quello tedesco.

È sulla base di queste considerazioni che al Comitato Interinale si crede ancora che, nonostante tutte le difficoltà attuali, la miglior soluzione per valersi dell’apporto tedesco alla difesa del mondo libero, senza troppo peggiorare la situazione internazionale e senza mettere in pericolo i legami atlantici, sia da ricercarsi nella realizzazione della CED, la quale inoltre appare come la sola soluzione militare che porti in sé anche un importante contenuto politico, vale a dire il raggiungimento di una tappa essenziale sulla via dell’unificazione europea.

Questa impostazione teorica riscuote negli ambienti del Comitato Interinale una approvazione unanime. Divise sono invece le opinioni circa le possibilità pratiche che un tale convincimento si faccia strada nel Parlamento francese in modo da formare intorno all’idea dell’integrazione militare europea quella maggioranza che oggi appare così difficile da raggiungersi per tutte le note opposizioni, i noti stati d’animo e le note tendenze ritardatrici; e sopratutto così direttamente collegata con quella che sarà l’evoluzione della situazione internazionale.

C’è peraltro chi crede sinceramente che l’Assemblea Nazionale, se posta decisamente e chiaramente davanti alle sue tremende responsabilità, e principalmente all’alternativa del riarmo unilaterale tedesco, finirebbe, per quanto a stento e dopo aspra battaglia, per ratificare.

Tutti concordano nell’attribuire la massima importanza alla linea politica che seguiranno gli americani nei prossimi mesi.

E, naturalmente, alla maggiore o minore abilità della diplomazia e della propaganda sovietica, anche in relazione alle elezioni tedesche. Ché, se infatti Adenauer riuscisse battuto dal responso delle urne, sul quale i sovietici avrebbero ogni interesse di influire eventualmente per mezzo di nuove iniziative spettacolari, potrebbe considerarsi definitivamente seppellito il Trattato di Parigi.

La formula della compatibilità fra l’unificazione tedesca e l’integrazione della Germania nell’Europa, lanciata da parte italiana nel corso dell’ultima riunione dei sei ministri a Parigi, ha molto interessato questi ambienti CED. Al riguardo si pensa qui che l’integrazione militare dovrebbe comunque precedere l’unificazione e costituire un fatto acquisito prima che si possa entrare in negoziati con i sovietici. Non si sa infatti immaginare come, da un punto di vista pratico, possa essere realizzata una sincronizzazione dei due obiettivi di cui l’uno dipende in fondo esclusivamente dalla buona volontà degli stessi europei (e dal fiancheggiamento degli americani e degli inglesi) mentre l’altro è legato a quelli che si riveleranno i veri disegni del Cremlino, sui quali è tuttora così arduo esprimere giudizi e far previsioni.

Sempre nel campo degli argomenti che vengono qui citati a sostegno della necessità della CED, ritengo forse non inutile – per debito di informazione – riferire anche un pensiero che si sente spesso affiorare, negli ultimi tempi, nel corso delle conversazioni con questi esperti militari, assai impressionati dai recenti avvenimenti in Corea. Secondo loro quanto sta accadendo colà starebbe a dimostrare che l’atteggiamento degli americani in problemi militari può esserespesso notevolmente influenzato da considerazioni di politica interna. L’armistizio in Corea – si dice – è stato voluto ad ogni costo perché faceva parte del programma elettorale col quale il Generale Eisenhower è giunto alla presidenza. Ma in realtà esso si risolverebbe in un pessimo affare dal punto di vista militare nel senso che, mentre da un lato non migliorerebbe la situazione strategica del settore estremo orientale, pur costringendo gli Stati Uniti a mantenervi lo stesso forze cospicue, dall’altro permetterebbe alla Cina di ottenere un notevole successo con la chiusura temporanea della partita senza vincitori né vinti.

Al riguardo, infatti, è opinione diffusa, sempre fra i militari, che la mancanza di materiali moderni e sopratutto di una adeguata organizzazione logistica non avrebbe consentito alle forze comuniste di resistere a lungo ad una vigorosa offensiva delle Nazioni Unite.

Si fa anche osservare che questa è la prima volta che gli Stati Uniti chiudono un conflitto senza uscirne vincitori e che è pure la prima volta che la Cina è riuscita a tener testa ad una Potenza occidentale, il che avrebbe profonde ripercussioni psicologiche e politiche.

Queste fonti concludono da tutto ciò che gli europei dovrebbero trarne un ammaestramento: quello che sia necessario di porre le premesse per costituire un efficace strumento integrato di difesa, che permetta loro – un giorno – di poter decidere autonomamente di sé stessi nel settore militare, senza dipendere esclusivamente, come attualmente avviene, da una Potenza extra-continentale anche per la sola difesa delle proprie frontiere.

Ragionamenti di questo tipo potrebbero esser visti in certo senso come una rifrazione sul terreno militare di quel terzaforzismo che per talune correnti è, coscientemente o incoscientemente, uno degli elementi del loro europeismo e potrebbero pertanto suscitare il timore di orientamenti più tiepi diverso i vincoli atlantici (per quanto un concetto di terza forza sia logicamente insito nell’idea europea e ne formi anzi uno degli obiettivi ultimi, è evidente che invece, oggi e per molto tempo ancora, l’inserimento dell’Europa nel quadro atlantico è una imprescindibile necessità). Nel caso dei miei interlocutori ritengo che non vi siano peraltro simili arrière pensées. È solo un ragionamento semplice e semplicista di militari che pensano e valutano tutto in termini tecnico-militari. Esso contiene, come elemento positivo, la prova di un processo evolutivo della coscienza europea ed un fondo ottimista di fiducia che gli sforzi che venissero fatti non sarebbero alla lunga vani, fiducia indispensabile perché ne riceva impulso la volontà di costruire qualcosa di concreto.

Queste reazioni locali fanno anche riflettere come sia acuta la sensibilità anche nei riguardi di avvenimenti che si producono in scacchieri lontani e come tutti i settori del duello in atto tra Occidente e Oriente siano, anche psicologicamente, interdipendenti l’uno dall’altro. Il che aggrava ed esaspera le responsabilità di quelli che la storia ha chiamato ad adottare decisioni di grande portata, che si ripercuotono sul destino di tutti.

4 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 71.

5

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. riservata 797. Parigi, 2 luglio 1953.

Caro Magistrati,

non ti nascondo come sia rimasto, io, un po’ sorpreso nel vedere il telegramma che è stato inviato a Calmes. Mi ero infatti illuso che le conversazioni avute qui avessero chiarito, per la parte che ci riguarda, l’equivoco. Tu parli di un equivoco fra i tedeschi ed i francesi: mi pare ce ne sia uno non meno grosso fra i francesi e noi.

Da parte francese, come tu sai, si è accettato la riunione di Baden Baden, restando inteso che non si sarebbe trattato di una vera conferenza, ma di una conferenza destinata a far finta di fare qualche cosa, per evitare che in Germania si dicesse, alla vigilia delle elezioni, che tutta la politica europea è stata messa da parte. E a questo fingere di fare qualche cosa, per aiutare Adenauer a non essere battuto alle elezioni, si può ottenere che Bidault si presti.

Ma, se noi vogliamo che si prendano delle decisioni concrete su questioni concernenti la CED, la CEP ed in generale la integrazione politica europea, altre che quella di fissare un calendario dei lavori ulteriori, allora non possiamo contare sul fatto che Bidault prenda degli impegni. Che ci sia adesso un Governo francese non cambia in niente il fatto che al Parlamento francese oggi non c’è maggioranza né pro né contro l’integrazione europea: non ci lasciamo illudere dal fatto che nell’attuale Gabinetto francese ci siano due ardenti europeisti come Teitgen e Reynaud: ne fanno parte altrettanto ardenti antieuropeisti. E un Gabinetto, il quale puandare avanti a condizione che non abbia la pretesa di decidere qualcosa: se lo vogliamo portare a prendere delle decisioni, non facciamo altro che farlo cadere anzi tempo.

Proprio in questi giorni, Bidault sta facendo tutto il suo possibile per evitare che ci sia alla Commissione degli Esteri un dibattito sul progetto della Commissione ad hoc, dibattito che, se avesse luogo, porterebbe alla decisione, a grande maggioranza, che il progetto dell’Assemblea ad hoc non è accettabile dal Parlamento francese. Spero che ci si riesca, perché altrimenti avremmo la smentita della Conferenza prima della Conferenza.

Tutta la questione europea, in questo momento, sta attraversando la sua fase più negativa possibile: può essereche, circostanze internazionali aiutando, si possa arrivare ad ottenere un miglioramento della situazione: ma si tratta di un processo lento e difficile: interventi dal di fuori non possono che guastare le cose.

Noi bisogna che ci contentiamo che Bidault faccia quello che la sua situazione parlamentare gli permette di fare, e che è molto poco. Se noi vogliamo forzarlo a fare,

o lo obbligheremo a mandare tutto in aria, o nella migliore delle ipotesi ci incammineremo verso lo studio di ancora un protocollo, accordo o trattato che non sarà poi ratificato dal Parlamento francese. E non riesco a vedere l’utilità pratica di questa politica.

Riassumo: apparenze quanto si vuole, ma sostanza niente(2). Cordialmente tuo

P. Quaroni

5 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

5 2 Magistrati rispose con L. 21/2455 del 7 luglio del seguente tenore: «Caro Ambasciatore, grazie per la tua lettera del 2 luglio, con la quale hai opportunamente segnalato l’eventualità della creazione di un equivoco tra noi ed i Francesi in vista di Baden Baden. Non si punegare che una certa confusione di linguaggio (e ne abbiamo quotidianamente la prova nelle segnalazioni che ci vengono dalle capitali degli altri cinque Paesi) esiste ed è difficile “fare il punto”. Quello che noi abbiamo cercato di spiegare, specialmente attraverso la lettera che il Presidente De Gasperi, a mezzo di Calmes, ha fatto ora circolare tra i suoi colleghi, è che a Baden Baden i sei Ministri dovranno pur una buona volta, se non altro, parlare, anche senza alcuna drastica decisione, di qualche questione relativa al futuro Statuto europeo. Non si tratterà, evidentemente, della vera e propria “Conferenza” ma, almeno, di un preludio che sempre per parlare in termini musicali contenga qualche nota e qualche motivo della futura opera. Sono d'accordo con te nel ritenere che, per evidenti motivi politici, occorrerà non insistere su tinte troppo marcate, lasciando, invece, molto campo alle formule esteriori, ma comunque un minimo di sostanza, nelle 24 o 48 ore di Baden Baden, dovrà pur essere toccato. Staremo poi a vedere se sarà possibile dare vita a Baden Baden. Ci auguriamo di sì, anche se da qualche settore comincino già a pervenire interrogativi. Ora poi con l’iniziativa, che ben conosci, qui presa, e che si riferisce alla situazione post-Washington, le cose sono ancora picomplesse. Ho scritto a Bombassei, che potrà informartene, circa talune idee qui espresse, nel corso della sua visita, dall'Ambasciatore Bruce, il quale prevede anche egli qualche grossa iniziativa sovietica, prima delle non lontane elezioni tedesche. Aggiungo che lo stesso Bruce considera il nuovo Gabinetto francese ‒forse per la presenza di Teitgen e di Reynaud ‒come il più europeista di questi ultimi anni: ma ciò non di meno prevede sempre difficoltà. Qui il Presidente De Gasperi è stato con lui, in tema di ratifica della CED, alquanto esplicito, come potrai rilevare, dalle mie a Bombassei» (ibidem).

6

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI(1)

L. 20/2404. Roma, 3 luglio 1953.

Caro Franz,

grazie per la tua del 25, n. 5227(2).

In realtà a Parigi non venne presa alcuna decisione circa una riunione di esperti economici dei sei Paesi all’Aja. Viceversa da parte belga ed olandese, con approvazione degli altri e quindi dello stesso Presidente De Gasperi, si fece presente la necessità che frattanto, ed in attesa della riunione di Baden Baden si intensificassero, se possibile, gli scambi di documentazione e di idee, particolarmente sul contenuto economico del futuro Statuto.

Sono d’accordo con te che vere e proprie riunioni aventi per scopo unicamente lo studio del settore economico sarebbero alquanto pericolose.

Quanto alla durata dell’incontro di Baden Baden credo che esso dovrebbe esaurirsi in due o tre giorni, a norma, almeno, della pratica delle riunioni precedenti. Ma per ora è ben difficile definire il tutto anche perché qui la crisi governativa minaccia di essere più lungae picomplessa di quanto da taluni previsto.

È giunta una lettera di Spaak controfirmata da von Brentano con la quale l’Assemblea ad Hoc prende chiara posizione a favore del suo pargolo(3).

La faremo circolare a mezzo di Calmes.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

6 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

6 2 Ibidem, con cui Cavalletti aveva riferito a Magistrati: «[…] mi è stato detto da Bech che il Presidente De Gasperi avrebbe avuto a Parigi autorizzazione dagli altri cinque di convocare, nel caso che la crisi del Governo francese si risolvesse a tempo, una riunione di esperti economici dei sei Paesi all’Aja per cominciare a studiare, anche prima della Conferenza di Baden Baden, la parte economica della CPE. Se così è, permettimi di osservare – vi possono naturalmente essere elementi e ragioni che qui mi sfuggono – che questa riunione prettamente economica sarebbe un po’ pericolosa. Mi sembra anzitutto che cisignificherebbe dare causa vinta, e senza nessuna contropartita, agli olandesi che, come sai, vogliono stralciare la parte economica, darle un peso primordiale e trattarla con priorità. D’altra parte cominciare con la parte economica, che è di gran lunga la più difficile, – Bech mi ha detto che preferirebbe lasciare completamente da parte tutto il capitolo relativo alla economia del progetto di Trattato – è prendere il toro per le corna e non so se, anche se noi avessimo le intenzioni a cui ho fatto allusione nella mia lettera a Zoppi che ti ho mandato in copia, convenga di rischiare di trovarci subito di fronte a difficoltà insormontabili».

6 3 Vedi D. 15, nota 2.

7

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. 3457(2). Londra, 3 luglio 1953.

Caro Zoppi,

come Del Balzo ti avrà riferito, il Ministro Selwyn Lloyd mi aveva pregato di mandargli un promemoria che riassumesse l’esposizione fattagli dal Presidente De Gasperi durante il colloquio avuto in Ambasciata e del quale avrai già letto il resoconto. Poiché però il Presidente preferiva non lasciare un documento scritto, ho incaricato Theodoli di recarsi da Dixon e di leggergli l’appunto che Del Balzo aveva preparato a tale scopo e di cui accludo copia. Dixon, dopo aver preso nota minutamente di tutto, ha dichiarato che in linea di massima egli era d’accordo sui punti da noi prospettati. In particolare, per quanto riguarda il punto 3, poteva assicurarci che il Foreign Office aveva ben presente l’importanza di realizzare in qualche modo prima dell’incontro con i sovietici una linea di condotta comune, fra tutti i Paesi interessati, almeno sui problemi fondamentali, quali Germania e Austria. Per quanto riguarda il punto 4, Dixon ha osservato che lo stesso Churchill si augurava vivamente che la ratifica della CED potesse precedere le conversazioni con Mosca; come del resto aveva dichiarato al Presidente De Gasperi nel recente colloquio(3). A questo proposito Theodoli ha osservato che leggendo il resoconto di tale colloquio non appariva chiaro se Churchill, nell’esaminare l’ipotesi di una Germania unificata ma neutralizzata, pensasse veramente che tale soluzione potesse rappresentare un’alternativa alla CED. Una simile ipotesi infatti, oltre che impossibile e pericolosa, sembrava in contrasto con la posizione iniziale adottata dal Governo britannico allorché, in luogo della CED, si era mostrato favorevole all’inclusione della Germania nel NATO. Dixon ha risposto che dalla lettura del verbale del colloquio egli non aveva tratto l’impressione che Churchill pensasse seriamente alla possibilità che in caso di unificazione della Germania essa potesse essere neutralizzata e disarmata; ma che avesse discusso il problema con De Gasperi anche per udire il punto di vista del suo interlocutore sui pericoli di una ripresa nazista o comunista in una Germania unificata. Comunque Dixon mi ha assicurato che, secondo il Foreign Office, nella deprecata ipotesi che per colpa della Francia la CED non dovesse essere ratificata, l’unica alternativa possibile rimaneva l’inclusione della Germania nel NATO; al che forse anche la Francia stessa finirebbe per non opporsi di fronte al pericolo, da essa ancora pitemuto, di un accordo bilaterale tra Washington e Bonn.

Credimi, con cordiali saluti,

tuo aff.mo

M. Brosio

Allegato

Appunto.

La riunione dei sei Ministri della Comunità Europea ha avuto carattere «informal» per le note esigenze della situazione francese ed italiana.

Gli scambi di vedute, appunto perché avvenivano a titolo personale, ne hanno guadagnato in franchezza.

I risultati che ne sono derivati possono così sintetizzarsi:

1) decisione di tenere il 7 agosto una nuova riunione dei Ministri degli Esteri a Baden-Baden. Con ciò si è riaffermata la continuità degli sforzi per l’integrazione europea e, indicendo per la prima volta una conferenza del genere su territorio tedesco alla vigilia delle elezioni politiche nella Germania Occidentale, si spera di giovare al successo del Cancelliere Adenauer che tutti concordano nel ritenere sommamente auspicabile.

2) Unanimità di consenso sul seguente principio: l’unificazione della Germania deve essere posta con la massima chiarezza come un obiettivo dell’Occidente in quanto essa non contrasta in alcun modo con l’integrazione militare e politica della Germania stessa nella Comunità Europea.

Per quanto non esistano ancora formalmente la CED e la Comunità politica e quindi non sia possibile affidare alla Francia il mandato di rendersi interprete dei principi comuni ai sei Paesi dell’Europa occidentale, è chiaro che il Rappresentante francese alle Bermude terrà conto del punto di vista concordemente espresso a Parigi sul principio su esposto che è considerato di fondamentale importanza.

3) È altresì riconosciuto come di fondamentale importanza che, al momento dell’eventuale – e auspicato – incontro con i rappresentanti sovietici, si sia concretata una linea di condotta comune dell’Occidente sui principali problemi. Pertanto alle conversazioni delle Bermude dovranno seguire scambi di vedute estesi ed approfonditi fra tutti i Paesi interessati. Cipotrà avvenire o attraverso una conferenza ad hoc, o in seno al Consiglio Atlantico o mediante scambi di vedute per singoli settori o gruppi di Paesi integrati dai normali tramiti diplomatici.

Più che il metodo conta in realtà la sostanza: e cioè che si stabilisca prima dell’incontro con i sovietici un piano comune e concordato, almeno su quelli che sono i problemi fondamentali. Ciò che, per l’Europa, significa unità di vedute sul problema tedesco e su quello austriaco.

4) Sarebbe auspicabile che la ratifica della CED precedesse l’incontro Est-Ovest. Sia per creare un fatto compiuto del quale l’URSS sarebbe costretta a tener conto, sia per evitare che – iniziatosi il dialogo con i russi prima di tale ratifica – risultassero indeboliti se non addirittura pregiudicati gli sforzi diretti a convincere le opinioni pubbliche e parlamentari più incerte o recalcitranti.

Per quanto riguarda in particolare il governo italiano esso è d’avviso che un’eventuale garanzia alla Russia contro un attacco tedesco e alla Germania contro un attacco russo, secondo lo spirito di Locarno, dovrebbe essere concepita come una integrazione alle garanzie derivanti dall’entrata in vigore del trattato CED e non come un’alternativa al trattato stesso.

7 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 25, fasc. Parte generale CED.

7 2 Il documento reca i timbri «visto dal Ministro» e quello del Segretario Generale con la sigla Zoppi.

7 3 Un riassunto di tale colloquio, svoltosi il 23 giugno alle 16,15 nella breve visita di De Gasperi a Londra, venne redatto in un appunto interno segreto, nel quale si legge tra l’altro: «Il colloquio è durato circa un’ora ed è stato molto cordiale. Molto tempo tuttavia è stato impiegato in digressioni e considerazioni di politica interna dei vari paesi. Il Presidente De Gasperi ha manifestato la necessità di coordinare nel tempo le conversazioni a Quattro previste come conseguenza del convegno delle Bermude colla ratifica della CED in modo che tale ratifica non ne sia compromessa. A suo parere l’unità europea è la migliore garanzia della pace futura. Churchill ha risposto che egli è favorevole alla ratifica della CED e la appoggerà sempre. Al riguardo ha fatto vedere un messaggio di istruzioni ai delegati britannici a Strasburgo che dovrebbe essere pubblicato domani o nei prossimi giorni. Tuttavia egli ha aggiunto che non si nasconde la possibilità che la CED non sia ratificata per la posizione della Francia o forse anche del Belgio. In sostanza egli ha detto: se è possibile vorrei ritardare la Conferenza a Quattro fin dopo la ratifica della CED, ma se dopo le elezioni tedesche all’inizio dell’autunno, la CED non facesse passi avanti e i francesi continuassero a menare in lungo le cose, allora per forza bisognerebbe pur pensare a procedere oltre. […] Il punto saliente di questa conversazione sta essenzialmente nel fatto che Churchill ha espresso il suo evidente scetticismo sulla entrata in vigore della CED e la sua incertezza circa i provvedimenti da prendere in sostituzione. Egli ha detto chiaramente che non si è ancora deciso fra una Germania integrata nel NATO e una Germania più o meno controllata e neutralizzata, e sembra avere fiducia nei suoi contatti coi sovietici per orientarsi sui loro intendimenti e sulla linea da seguire» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 71).

8

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI(1)

L. riservatissima 20/2407(2). Roma, 4 luglio 1953.

Caro Giorgio,

non so se l’On. Lombardo sia tuttora costà. In caso affermativo ti prego di metterlo al corrente di questa mia.

Abbiamo avuto, in questi giorni qui, come conosci, l’Ambasciatore Bruce che, per quanto in visita del tutto privata, ha avuto conversazioni con il Presidente De Gasperi, il Ministro Pella ed il Sottosegretario Taviani. Può darsi che egli stesso te ne parli.

Lo scambio di idee maggiormente interessante è stato quello con il Presidente. Questi, infatti, con molta vivacità e precisione, ha posto in rilievo come, voler contemporaneamente la ratifica della CED nel quadro dell’integrazione europea e promuovere contatti e conversazioni in modo alquanto caotico, in tema di distensione, di disarmo, ecc., significhi chiudersi, praticamente, in un vero e proprio «circolo vizioso» dal quale è ben difficile uscirne fuori. Circa le conseguenze nella politica interna, il Governo dell’On. De Gasperi ha già risentito da tutto ciò ben gravi conseguenze elettorali. Guai poi, ai fini sempre della CED e dell’integrazione, se anche il Governo di Adenauer dovesse soccombere sotto la pressione dei vari sforzi cosiddetti distensivi; per un bel pezzo non si parlerebbe pievidentemente, né di CED né di integrazione. ciò nonvuol dire, naturalmente, che in Italia si sia contrari ad un sempre maggiore consolidamento della pace attraverso una mobilitazione degli animi in occidente ed in oriente. Ma il «modus procedendi» va studiato con grande attenzione in modo da non permettere come purtroppo è già avvenuto, dannose speculazioni politiche che in realtà colpiscono gravemente quanto in Europa si cerca, con grandi sforzi, di creare. Gli Americani devono tener molto conto di tutto ciò

Bruce, per conto suo, si è limitato, sopratutto, a fare una disamina dello stato delle ratifiche nei differenti Paesi, ma ha mostrato di comprendere le interessanti argomentazioni del nostro Presidente.

Siamo stati lieti di vedere Eli benissimo e di averla con noi al pranzo che abbiamo offerto ai Bruce(3).

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

8 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 72.

8 2 Un resoconto analogo del colloquio con Bruce fu trasmesso da Magistrati con Telespr. riservatissimo 21/2458 del 7 luglio alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi, Washington, alla Rappresentanza presso la NATO a Parigi, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo, al Consolato a Strasburgo e per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 6).

8 3 Per la risposta vedi D. 13.

9

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

R. segreto 9715. Washington, 4 luglio 1953.

Oggetto: Conferenza tripartita di Washington

Riferimento: Telespresso urgente n. 9678/015 del 3 corrente.

Signor Ministro,

a complemento di quanto ho riferito ieri ritengo opportuno sottoporre all’esame di Vostra Eccellenza taluni elementi relativi alla prossima conferenza tripartita di Washington che possono avere riflessi di particolare importanza per la situazione europea.

I tre Ministri si riuniranno dal 10 al 16 luglio corrente e procederanno senza alcuna prefissata procedura ad uno scambio di idee sui principali problemi di attualità. È probabile che Lord Salisbury e Bidault vedranno Eisenhower e che alla fine delle conversazioni i tre Governi rendano nota la loro posizione in qualche documento pubblico. Non ci si attende invece qui che vengano prese concrete e definitive decisioni, a meno che gli sviluppi della situazione internazionale o gli elementi apportati dai due alleati non consiglino altrimenti. Comunque la prossima riunione non potrà essere, nel caso piottimistico, che una tappa dell’attività politica o diplomatica degli Alleati, sicché sarebbe prematuro voler azzardare sin da ora supposizioni circa la loro ulteriore azione. In particolare l’eventualità di un successivo incontro dei tre Capi di Governo non viene qui ammessa né esclusa.

Come ho riferito ieri, l’atteggiamento americano, pur restando ferme le sue principali linee direttive, si trova attualmente in una fase fluida, sia per i contrasti esistenti fra Congresso e Amministrazione sia per le incertezze che si registrano in seno a quest’ultima. D’altra parte le nuove circostanze che si vanno man mano verificando (pressioni anglo-francesi, incidenti di Berlino, evoluzione della situazione interna della Germania Occidentale, difficoltà per la ratifica del Trattato CED) richiedono un continuo esame della situazione europea ed un continuo processo elaborativo nei quali non sempre gli organi americani sanno o possono procedere con la necessaria speditezza.

Naturalmente la principale incognita del problema è costituita dall’attuale situazione al di là della cortina di ferro e dai veri propositi che animano i dirigenti della politica sovietica. Gli incidenti di Berlino e lo stato di inquietudine che essi dimostrano sono oggetto di contrastanti valutazioni, ma nel complesso si tende ad attribuire loro una funzione determinante per l’esame della situazione sovietica. Viceversa il clamore dei primi giorni per una politica di «liberazione» nei confronti dei satelliti si è notevolmente attenuato ed ora si tende ad attribuire alle recenti dichiarazioni di Foster Dulles un carattere prevalentemente propagandistico. Del resto lo stesso Eisenhower nella conferenza stampa tenuta il primo corrente ha affermato che gli Stati Uniti non intendono affatto svolgere un’azione «fisica».

Si riconosce inoltre qui che, mentre la situazione nei paesi satelliti puindurre a nutrire qualche speranza di futuri sviluppi, i problemi dell’Europa Occidentale non mancano di destare serie preoccupazioni per le divergenze sempre risorgenti fra i vari Governi e forse ancor più per lo stato d’animo d’indifferenza (se non di ostilità) che si registra nei confronti della politica d’integrazione e di riarmo sostenuta dagli Americani.

Per quanto in particolare concerne i problemi tedeschi non si riesce tuttora ad armonizzare la soluzione della integrazione con quella dell’unificazione. Il Dipartimento di Stato ritiene che, col mantenere una posizione rigida a favore dell’integrazione e col non prendere alcuna nuova iniziativa per l’unificazione, si rischia di danneggiare non solo la posizione degli Stati Uniti in Germania ma anche quella dello stesso Adenauer. Si riconosce tuttavia che, a voler compiere qualche serio tentativo in questo senso, si incorrerà fatalmente in altri pericoli, poiché sarebbe difficile rimaner fermi all’ultima nota tripartita che, come le precedenti, si basava anzitutto sulla premessa delle elezioni libere nelle due zone della Germania. Si tende pertanto ad aspettare che i flussi possano precisare meglio i loro scopi ed a questo proposito si pensa che qualche nuovo elemento chiarificatore possa venire, alla vigilia o durante la conferenza di Washington, proprio da Mosca. Si seguono intanto col pivivo interesse – anche se con sospetto

– tutti i sintomi suscettibili di fornire qualche indicazione al riguardo, non ultime le consultazioni tra Ambasciatori ed alti funzionari sovietici che hanno attualmente luogo nella capitale russa.

Intanto qui si fa di tutto per favorire la posizione di Adenauer in vista delle prossime elezioni tedesche. La Commissione degli Affari Esteri del Senato ha approvato una azione diretta a riaffermare la solidarietà dell’America con l’aspirazione del popolo tedesco all’unificazione da effettuare «mediante libere elezioni» e da parte dell’Amministrazione si è sottolineata l’importanza della visita della missione militare tedesca che si trova attualmente a Washington. Nelle conversazioni confidenziali però non si nascondono le più vive preoccupazioni per un possibile insuccesso elettorale del Governo Adenauer.

Comunque il Pentagono continua a valutare la Germania occidentale come elemento decisivo nell’equilibrio militare europeo e considera il suo riarmo condizione imprescindibile. Questo appare come un punto veramente solido della posizione americana e destinato a rimanere tale se non v’è un, non ancora visibile, rovesciamento di politica in senso isolazionistico.

Riassumendo, la politica dell’integrazione europea, mentre resta scopo essenziale di Eisenhower, rischia di subire anche qui una battuta d’arresto imposta da circostanze esterne. La fiducia degli Stati Uniti nella solidità del Governo tedesco attuale è assai diminuita e questo obbliga il Dipartimento ad una maggiore prudenza rispetto ai social-democratici e la loro politica estera. Anche la posizione italiana, con le difficoltà parlamentari scaturite dalle elezioni, con la tendenza di Nenni e di altri – accodata all’iniziativa di Churchill – con le possibilità di combinazioni effimere e insoddisfacenti che possono condurre ad una nuova prova elettorale, dà assai da pensare. Solo elemento ancora ben fermo: la fiducia personale in Vostra Eccellenza. In compenso le cosiddette incrinature nella cortina di ferro che, ripeto, non sembrano ancora così gravi da giustificare una politica più attiva, sono ritenute però abbastanza sintomatiche da far prendere in considerazione l’ipotesi che il movente dell’offensiva di pace sovietica non sia soltanto propagandistico.

Da queste considerazioni, accentuate dagli anglo-francesi, anche per le serie difficoltà estere, interne e parlamentari dei due Paesi, pueventualmente derivare una spinta verso un diretto accertamento delle reali intenzioni sovietiche, specie se da Mosca si compie qualche nuovo passo.

Questo tentativo può avere, ripeto, nelle intenzioni americane uno scopo prevalentemente tattico, per poter tornare, in caso di previsto insuccesso, con maggior vigore sull’abituale politica d’integrazione europea e di organizzazione della difesa.

Alla luce di tutti questi elementi mi pare ovvio che da parte nostra si ponga mente a quali potranno essere i riflessi di tale situazione sulla nostra posizione internazionale ed interna. Non ho mancato finora di ripetere qui che noi restiamo fermi – finché non sorga una seria, solida e concordata alternativa – nella nostra politica europeistica e NATO, e non ho nascosto come sia necessario veder chiaro e a fondo, dopo tante negative esperienze, circa la possibilità di intendersi utilmente e durevolmente con i Russi. E neppure ho nascosto le difficoltà, ancora maggiori delle presenti, che l’America potrebbe incontrare nella politica di potenziamento delle difese europee dopo tentativi di «appeasement» che rafforzassero le tendenze neutralistiche e favorissero il gioco dei comunisti nei vari Paesi NATO. Ho anche accennato ai pericolosi riflessi che un’evoluzione sia pure temporanea nei rapporti con la Russia potrebbe esercitare nei settori danubiano o balcanico, ai quali siamo particolarmente sensibili. Ho infine fatto presente ancora una volta la necessità che, qualunque sia lo svolgimento delle conversazioni di Washington, i membri della NATO siano tenuti al corrente e consultati.

Questa Ambasciata non mancherà di seguire gli sviluppi della situazione e di fornire a Vostra Eccellenza ulteriori elementi al riguardo.

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio più devoto ossequio.

[Alberto Tarchiani]

9 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.

10

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI(1)

T. s.n.d. 6874/c. Roma, 5 luglio 1953.

È convinzione Governo Italiano che prossimi incontri Washington offrano occasione favorevole anche per un approfondito esame questioni di preminente interesse europeo con particolare riguardo Germania e Austria.

Pur riconoscendo speciali responsabilità tre potenze firmatarie patti contrattuali con la Germania e immediati interessi dei Paesi in questione, è evidente che situazione oggi determinatasi nei rapporti est-ovest ed il componimento di tali rapporti sono in stretta connessione con la consistenza e funzionalità dell’Organizzazione atlantica e con azione per integrazione europea.

Onde promuovere sviluppi atti a consolidare la pace nella sicurezza risulta perciindispensabile che le Potenze più direttamente interessate possano nella loro azione rappresentare la solidarietà delle forze atlantiche ed europeistiche in modo che le soluzioni operino nello spirito di questa solidarietà.

In questo spirito e con queste premesse Governo italiano propone ai tre Governi alleati di promuovere, e di annunziare nel comunicato conclusivo dell’incontro di Washington, convocazione ai fini suddetti di una ampia consultazione collettiva alla quale parteciperebbero Ministri Esteri membri Patto Atlantico e Comunità carbone acciaio. Data conferenza dovrebbe venir fissata anche in relazione con elezioni germaniche.

Prego V.E. comunicare mia proposta, con le considerazioni che l’accompagnano, a codesto Ministro degli Affari Esteri prima dell’incontro di Washington(2).

10 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.

10 2 Per il seguito vedi DD. 11, 12 e 18.

11

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

R. segreto 9741. Washington, 6 luglio 1953.

Oggetto: Colloquio con Dulles. Conferenza Tripartita di Washington. Trieste.

Riferimento: Mio telegramma n. 417 in data odierna.

Signor Ministro,

ho intrattenuto oggi il Segretario di Stato sulla proposta formulata da Vostra Eccellenza nel telegramma di ieri n. 6874/c.(2), illustrandogli il nostro vivo interesse e quello della comunità occidentale alle condizioni della soluzione del problema tedesco ed austriaco, e alle ripercussioni, su ciascuno e tutti i membri del Consiglio dei Sei, che potrebbero essere determinate da una prevalenza di tattica americana, o russa, o da un compromesso che sfociasse da una conferenza a quattro, soddisfacente in apparenza e gravemente nocivo in sostanza.

Consegnando a Dulles una nota verbale sull’argomento, ho sottolineato come il Governo Italiano sia preoccupato della possibilità di una clamorosa iniziativa russa che, per certo, avrebbe per iscopo il diroccamento del progetto d’integrazione della Germania nell’Europa Occidentale, della faticosa opera CED, di ogni sistema di resistenza e di difesa dell’Occidente, rispetto alle insidie interne ed esterne dei Sovietici.

Ho aggiunto che la consultazione proposta da Vostra Eccellenza, a salvaguardia di questi fondamentali interessi europei e italiani, era tanto più utile ed opportuna in quanto gli Stati Uniti si sarebbero trovati soli nelle conversazioni a tre, con Francia e Inghilterra già disposte (per ragioni diverse di politica interna ed estera, ma per un’unica tendenza all’ «appeasement») a favorire lo svolgersi della manovra russa. In un ambiente pivasto, come quello NATO, gli Americani avrebbero certo trovato migliori apprezzatori della tesi della prudenza, basata sulle possibilità di coesione e di difesa degli affini, e dell’oculato procedere di fronte ad iniziative sovietiche, che hanno aspetti seducenti, ma che rivelano nel fondo il proposito di conquista a buon mercato, e senza rischiare quasi nulla, del mondo occidentale.

Dulles, letta molto attentamente la nota, ha domandato se una tale proposta fosse a conoscenza dei governi di Londra e di Parigi. Ho risposto di sì, giacché Vostra Eccellenza aveva date pari istruzioni ai due miei colleghi in quelle capitali.

Ha quindi dichiarato che il Governo americano riceveva la comunicazione col pivivo interesse; avrebbe esaminata la proposta di cui riconosceva il fondamento, con la massima attenzione, e mi avrebbe fatto conoscere, non appena possibile il suo parere.

Ha aggiunto che aveva la più grande e sincera ammirazione per gli sforzi che Vostra Eccellenza sta compiendo, sia per mantenere l’Italia su una sana linea mediana di politica interna ed estera, sia per il decisivo contributo alla causa dell’Europa unita e della civiltà occidentale.

Gli ho domandato se i tre avrebbero trattato del problema di Trieste e come.

Ha risposto che non era previsto di entrare in quella specifica questione, e neppure nell’eventuale discussione sul trattato di pace per l’Austria, giacché è sempre stata cura del governo degli Stati Uniti di tener separate le due questioni.

Gli ho detto che in ogni modo il problema di Trieste premeva e non lasciava vie di scampo. Occorreva quindi occuparsene. Le elezioni italiane lo avevano dimostrato e gli avvenimenti prossimi lo dimostreranno ancor più. Ho aggiunto che anche le conversazioni militari in corso o vicine erano una prova di quella necessità.

Dulles mi ha risposto che si rendeva conto di tutto ciò e che dal punto di vista del «timing», gli sembrava che l’epoca migliore per affrontare nuovamente la questione fosse l’autunno prossimo, allorché questa principale crisi centro-europea avrà avuto modo di evolversi chiarendo la situazione generale.

Ho fatto ancora presente, a conclusione del colloquio, che il problema di Trieste e dei nostri rapporti con la Jugoslavia ha riflessi di prim’ordine anche sul problema generale del nostro contributo alla collaborazione europea ed ho rilevato di non dubitare che Vostra Eccellenza non mancherà di cogliere la prossima occasione che si presenti (ad esempio, se matura la consultazione da noi proposta) per trattare direttamente la questione col Segretario di Stato.

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio più devoto ossequio.

[Alberto Tarchiani]

11 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.

11 2 Vedi D. 10.

12

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

T. s.n.d. 8167-8173/430-431(2). Parigi, 7 luglio 1953 (perv. ore 24)(3).

Ho esposto ed illustrato a Bidault contenuto suo telegramma 6874 e seguenti(4). Circa atteggiamento francese Conferenza Washington mi ha detto:

1) Non intende (ripeto non) fare opposizione a principio Conferenza a quattro tanto più che secondo sue informazioni attualmente anche Dulles non si oppone pia conversazioni con Russia e mantiene invece sua opposizione conversazioni con Cina e questo per atteggiamento Congresso;

2) accetterà principio Locarno dell’Est pur confermandomi che a tutt’oggi idee inglesi non appaiono chiare;

3) non è disposto accettare (ripeto non) principio neutralizzazione Germania sola (sebbene sue idee al riguardo non siano del tutto precise mi sembra aver capito abbia in mente neutralizzazione maggior parte satelliti);

4) insisterà su libertà per Germania concludere accordi con qualsiasi paese;

5) manterrà punto di vista che unificazione Germania non (ripeto non) incompatibile con integrazione Germania ad Europa ma nello stesso tempo, dirà chiaramente ad americani che sperare su possibilità ratifica CED o su altra misura integrazione europea fintanto che dura ipotetica possibilità distensione con Russia è per Governo francese impossibile;

Cercherà, se gli sarà ancora possibile, riprendere sua antica idea far includere nelle questioni da proporre alla Conferenza a quattro anche problema disarmo.

Circa proposta V.E. Bidault mi ha detto comprendere nostre ragioni, condividerle e che farà tutto il possibile perché si promuova consultazione formale prima eventuale Conferenza a quattro per quello che concerne Potenze atlantiche. Prega pernoi a nostra volta comprendere che non è possibile (ripeto non) per Ministro Esteri francese nell’attuale situazione prendere iniziativa per estendere consultazioni, almeno nella stessa forma, anche a Germania. Non può (ripeto non può perprendere impegno per quello che concerne forma e tempo queste consultazioni.

Bidault ritiene che Conferenza Bermude, anche sotto forma attuale proposta tenerla a Londra, potrà difficilmente aver luogo. Si dovrebbe quindi passare da Conferenza a Washington a Conferenza a quattro: nell’intervallo di tempo certamente lungo fra le due tappe dovrebbe secondo lui essere possibile trovare formula consultazione altri Paesi atlantici.

Ha compreso importanza che, quale che sia decisione che venga presa in merito consultazione altre Potenze atlantiche, di essa venga fatta esplicita menzione comunicato Conferenza Washington.

12 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 19 bis, fasc. 3.

12 2 La seconda parte del presente documento (T. 431) fu ritrasmessa da Zoppi con T. segreto 6976/c. del 9 luglio alle Ambasciate a Bonn, Londra e Washington.

12 3 La prima parte del presente documento (T. 430), partita alle ore 21,35 pervenne alle ore 23, mentre la seconda (T. 431), partita alle ore 23,50 pervenne alle ore 24.

12 4 Vedi D. 10.

13

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. riservata personale. Parigi, 7 luglio 1953.

Caro Ministro,

ti ringrazio di avermi voluto cortesemente mettere al corrente, con la tua gradita lettera n. 20/2407 del 4 luglio(2), di quanto il Presidente De Gasperi ha detto a Bruce nel corso del recente colloquio romano.

Il Presidente afferma cosa sacrosantamente giusta quando rileva che le sorti della CED – e quindi di tutto il processo di integrazione europea – sono oggi condizionate dagli sviluppi della cosidetta distensione. Io stesso, modestamente, ti scrivevo qualcosa di simile un paio di mesi fa quando mi azzardai a farti un breve quadro di quella che appariva, al mio occhio nuovo di osservatore appena arrivato a Parigi, la situazione francese nei confronti della ratifica del Trattato CED.

L’iniziativa della Comunità difensiva è sorta dalla coscienza di un pericolo grave e imminente, che imponeva di trovare il modo di riarmare la Germania, pur controllando la rimilitarizzazione di un Paese che, munito di un esercito indipendente, fa paura a tutti ed impedendo il risorgere della Wermacht e dello Stato Maggiore teutonico. Ne consegue direttamente che, man mano che il pericolo – o nella realtà o nella credenza o anche solo nella speranza degli europei – si allontana le opposizioni si rafforzano, i dubbi riaffiorano, le tendenze ritardatrici si invigoriscono e le correnti neutraliste si allargano.

Ecco perché – ha ragione il Presidente – lanciare iniziative premature o non sufficientemente meditate in tutte le loro conseguenze, affrontare il problema dei rapporti est-ovest in un modo caotico e senza una visione precisa di dove si vuole e fin dove si è disposti ad arrivare, dar l’impressione di tentennamenti ed incertezze è estremamente pericoloso.

Si rischierebbe infatti di provocare esattamente gli stessi effetti di disgregazione e di arresto – o almeno di rallentamento – degli sforzi di riarmo, che sarebbero fatalmente connessi ad una distensione effettiva, senza alcuna contropartita pratica e reale.

È giusto quindi che gli americani, sulle cui spalle grava tanta responsabilità, siano convenientemente consigliati da chi ha, come il nostro Ministro degli Esteri, l’autorità di far sentire la sua voce e di far riflettere i Grandi. Il momento è grave ed è in giuoco il destino di tutti.

C’è perda domandarsi quali siano le vere possibilità della diplomazia americana. Intendere il pericolo insito nella situazione che si è venuta a creare – e gli Stati Uniti invero hanno mostrato di rendersene conto, tanto che nello schieramento atlantico si sono dimostrati fra i pirestii ad incamminarsi ad occhi bendati sulla strada delle conversazioni con l’Oriente – non significa avere a disposizione i mezzi per controbatterlo.

Mi sembra che agli americani sia sfuggita, in questa fase, l’iniziativa, che invece i sovietici hanno saputo accaparrarsi con la loro nuova politica. Quella politica che – pur essendosi finora esplicata più in parole ed atteggiamenti che in fatti concreti – ha già trovato in Europa terreno così favorevole. (E questa circostanza ha, in fin dei conti, una sua logica in un continente non ancora riconciliato, tuttora sanguinante di ferite recenti e in prima linea in un eventuale futuro conflitto).

La politica di integrazione militare europea era, alla morte di Stalin, ancora nella fase in cui doveva trovare la sua base nella immutabilità dei dogmi del Cremlino quali ci erano divenuti familiari. Il repentino mutamento della linea di condotta dei successori – sia esso tattico o strategico, momentaneo o permanente, superficiale o profondo

– ha quindi colpito proprio nelle sue fondamenta l’edificio progettato ma non ancora costruito, neppure nelle impalcature essenziali.

Diverso sarebbe stato il caso se tutto ciò fosse avvenuto con qualche ritardo e fosse quindi stato, dal punto di vista sovietico, meno tempestivo; se cioè la CED fosse già stata realizzata, almeno giuridicamente. Ciavrebbe spostato tutti i termini del problema. Ma così non è avvenuto per tante ragioni anche troppo note. Si potrebbe qui rilevare, per incidenza, che la CED ha avuto comunque una sua importantissima funzione perché sembrerebbe che proprio davanti a tale eventualità i russi abbiano ritenuto necessario,

o più conveniente, di mutar direzione al fine di sabotare forse, se pensano veramente di spingere a fondo le impostazioni che fanno attualmente intravedere, di pagare un certo prezzo per impedirla. Ma, allo stato dei fatti, non è forse anche lecito chiedersi se fradistensione e CED non vi sia ormai una insanabile antinomia? È difficile vedere come, se i russi mostreranno di voler fare sul serio o riusciranno a persuaderne l’opinione pubblica europea, si possa resistere alla pressione che obbligherà i Governi a ingaggiarsi sulla via dei negoziati; e come, una volta preso l’abbrivio, si possano porre condizioni veramente tali da far raggiungere all’Occidente, per altro cammino, gli stessi risultati che ci si proponeva. Si potranno forse esigere garanzie che – rebus stantibus – offrano una certa tranquillità ma non quelle che ci potrebbero far giungere contemporaneamente alla realizzazione di tutti gli obiettivi. In altre parole non potranno essere poste condizioni che siano palesemente inaccettabili, o che possano essere presentate come tali dalla propaganda sovietica, ad una Russia dal volto pacifico, transigente e bonario.

Il mancato riarmo della Germania sarebbe il dazio che dovrebbe essere pagato in Europa se si vorrà entrare nel villaggio incantato della pace per una generazione. Dazio altissimo, se si pensa ai vantaggi che ne trarrà l’altra parte, e contropartita tutt’altro che sicura: ma come evitarlo di fronte alla spinta di tutti coloro che ne vedono solo gli aspetti contingenti, i lati interessanti, le rispettive politiche interne, la possibilità di uscire purchessia da un incubo spaventoso e paventatissimo?

Non conosco gli argomenti citati nel corso dell’ultima riunione parigina per dimostrare la conciliabilità della CED e della unificazione tedesca. A lume di naso, mi sembra peraltro che questa conciliabilità esista sì, in teoria, ma che appaia perin contrasto con la distensione, dato che i russi non potrebbero mai accettare, una volta creata la Comunità di Difesa, la riunificazione delle due Germanie, che non può esserepacificamente realizzata se non come sinonimo di smilitarizzazione reciprocamente garantita. Ed eccoci al dilemma: o CED o distensione (con tutte le incognite e le conseguenze che essa implica). Sembrerebbe un problema di scelta e di coordinazione di tempi da parte dell’Occidente e lo sarebbe forse se la politica estera potesse esser fatta all’infuori delle opinioni pubbliche e parlamentari. In realtà ho la sensazione che l’alternativa sia nelle mani dei russi e che essi abbiano i mezzi, se lo vogliono veramente e se sapranno giuocare abilmente le loro carte, di imporci l’accantonamento dell’integrazione militare – per non parlare che di questa, senza considerare i riflessi anche in campo atlantico – e di obbligarci a discutere il problema tedesco all’infuori di essa.

Naturalmente un loro errore o una politica che non portasse alle estreme conseguenze il loro odierno atteggiamento potrebbero avere l’effetto diametralmente opposto ed accelerare, attraverso la delusione o la prova palmare della loro malafede, il processo di unificazione continentale. Ma lo commetteranno questo errore? O non saranno stati ammaestrati da quelli di Stalin, che hanno, al postutto, portato al Patto Atlantico e al Trattato di Parigi?

Nelle presenti condizioni, cosa possono fare gli americani? Essere guardinghi, cercare di vedere il pilontano possibile, insistere su ragionevoli impegni di buona volontà, sì; ma sostenere la CED con ogni mezzo e subito, anche contro quella che può esserela forza degli eventi? Già mi sembra di intravedere qui segni di un meno rigido atteggiamento dei rappresentanti statunitensi in questo settore.

Se da queste frettolose considerazioni si volesse trarre una conclusione, mi parrebbe che di tutto ciò si debba tener conto da parte nostra. Nel senso di essere anche pronti, se le circostanze lo esigessero e gli avvenimenti evolvessero in una certa direzione, ad accantonare la CED, senza che civoglia dire che la caduta, forse temporanea, di uno degli obiettivi fondamentali della nostra politica europea ci lasci senza un «ubi consistam» per la nostra azione. Il che, d’altra parte, non significa che non facciamo benissimo ad essere, ed a mostrarci, ancora e finché ciò sia di attualità i pigelosi e vigorosi sostenitori di quella soluzione che non può non essere considerata di gran lunga la migliore se la corsa alla distensione dovesse subire un arresto. Né che dobbiamo astenerci dal nostro ruolo di attivo fiancheggiamento alla politica che gli americani mostrano tuttora di voler seguire in Europa, rivendicando il diritto di consigliare ed eventualmente di ammonire. Quello che voglio dire è soltanto che non dobbiamo lasciarci sorprendere dagli eventi. A questo proposito ho notato con grande interesse gli sforzi costruttivi del Presidente e della nostra diplomazia per inserire 1’Italia nelle discussioni di interesse europeo e per farla essere presente, sia pure col peso che la nostra situazione ci consente, laddove si adotteranno decisioni e si formuleranno orientamenti che non possono non toccarci nella nostra carne viva.

Scusa la lunga chiacchierata e credimi sempre, con devoto affetto,

tuo

Giorgio Bombassei

13 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 72.

13 2 Vedi D. 8.

14

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL LUSSEMBURGO, BECH, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

L.(2). Lussemburgo, 8 luglio 1953.

Monsieur le Président,

J’ai l’honneur de vous remercier de votre lettre en date du 30 juin relative à notre prochaine réunion à Baden-Baden(3).

En fixant la date de cette réunion les ministres avaient surtout l’intention, à mon sentiment, de documenter devant l’opinion publique la continuité des travaux relatifs à l’intégration européenne. Pour autant que je me souviens il n’a été à aucun moment question d’une conférence de l’envergure et de la durée de celle qui avait été prévue à Rome, à savoir une réunion des ministres suivie d’une conférence intergouvernementale au niveau des suppléants. En dehors des décisions à prendre sur la convocation ultérieure de la conférence intergouvernementale, les ministres devaient pour autant que possible dégager les principes permettant à cette conférence d’élaborer les questions de détail. Ceci n’impliquerait pas, me semble-t-il, que le travail préliminaire des ministres d être achevé lors de la réunion de Baden-Baden. Ils pourraient donc décider de se réunir à nouveau avant la date de la conférence ou au début de celle-ci.

Je vous prie d’agréer, Monsieur le Président, l’assurance de ma haute considération.

Joseph Bech

14 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

14 2 Trasmessa con L. CM/S (53) 4264, pari data, da Calmes.

14 3 Vedi D. 3.

15

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI, AL PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA COMUNE DELLA CECA, SPAAK(1)

L. 20/2484. Roma, 9 luglio 1953.

Signor Presidente,

ho ricevuto la cortese lettera in data 24 giugno scorso(2) con la quale Ella ed il Presidente della Commissione Costituzionale hanno portato a mia conoscenza una comunicazione della Commissione stessa adottata nella sua seduta di lavoro del 23 giugno. Sono lieto di constatare quanto l’elevato ideale europeistico che ha ispirato l’opera dell’Assemblea da Lei presieduta sia tuttora vivo ed operante tra gli autori del progetto di Trattato che di tale opera costituisce il concreto risultato.

Non ho mancato di rimettere la lettera al Segretariato del Consiglio Speciale dei Ministri affinché provveda a diramarla ai miei cinque colleghi.

La prego gradire, Signor Presidente, assieme al Signor von Brentano, l’espressione della mia alta considerazione(3).

[Alcide De Gasperi]

15 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

15 2 Ibidem, il cui testo era il seguente: «La Commission constitutionnelle de l’Assemblée ad hoc a tenu à Strasbourg, le 23 juin, une séance de travail. M. P.H. Spaak, président de l’Assemblée ad hoc assistait à cette réunion. Après un échange de vues sur l’état actuel des travaux concernant le projet de traité, la Commission constitutionnelle a prié les deux sous-signés de faire la communication suivante aux six Ministres des affaires étrangères réunis dans le Conseil de Ministres:1) La résolution des six ministres des affaires étrangères du 10 septembre 1952 a été considérée, aussi bien par l’Assemblée commune que par l’Assemblé consultative du Conseil de l’Europe, comme un pas décisif dans la voie de l’intégration européenne. Les deux assemblées se sont félicitées de cette démarche. L’Assemblée ad hoc s’est réunie sans tarder, et a constitué une Commission constitutionnel qui s’est aussit mise au travail. L’Assemblée ad hoc et sa commission partageaient l’avis des six ministres des affaires étrangères sur l’importance politique et sur l’urgence de la tâche qui leur était assignée. Cette conviction commune a eu pour conséquence qu’en dépit de toutes les difficultés qui ont surgi, l’Assemblée ad hoc a può terminer ses travaux dans le délai fixé et remettre, le 10 mars 1953, le projet de traité de la Communauté européenne aux six Ministres des affaires étrangères. 2) Ce projet n’est donc pas, ainsi qu’on a può lire çà et là, le résultat du travail d’un groupe d’étude quelconque. Au contraire, il est le résulté du travail d’un parlement européen convoqué à la demande des six ministres des affaires étrangères. Le projet a été élaboré par des parlementaires responsables appartenant aux parlements des six pays participants. Si l’on considérait ce projet uniquement comme un travail préliminaire, certes important et significatif, on ne tiendrait pas suffisamment compte de la genèse de ce texte, ni de la responsabilité politique de ceux qui l’ont établi. Le projet ayant été adopté par l’Assemblée ad hoc à très grande majorité et sans l’opposition d’une seule voix et ayant reçu à l’Assemblée consultative l’appui d’une majorité tout aussi impressionnant, il est amplement justifié que le Conseil de Ministres prenne ce projet comme document de travail. 3) Ni l’Assemblée ad hoc, ni la Commission constitutionnelle ne prétendent que dans sa teneur actuelle le projet revête le caractère d’une œuvre définitive. Il va sans dire – et nul ne songe à le contester – que les gouvernements intéressés auront à examiner le projet, à l’analyser dans un esprit critique et à l’amender dans la mesure nécessaire. Toutefois, ce travail serait considérablement facilité s’il se faisait en contact étroit et permanent avec la Commission constitutionnelle ou avec son groupe de travail. Même un examen soigneux du matériel abondant et de la nombreuse documentation ne peut fournir tous les renseignements sur la genèse du projet. Sans cette coopération avec la Commission constitutionnelle, la conférence des représentants gouvernementaux risque d’avoir à refaire pratiquement tout le travail déjà accompli par la Commission, par l’Assemblée ad hoc et par l’Assemblée consultative du Conseil de l’Europe. C’est pourquoi le groupe de travail de la Commission constitutionnelle propose une fois de plus qu’il soit appelé à participer à ces délibérations selon des modalités qui devront être fixées de plus près. Cette proposition parait d’autant plus justifiée que – comme il a été dit au début – le projet a été établi à la demande expresse des gouvernements des six pays intéressés. 4) Pour des raisons particulières, inhérentes à l’évolution de la politique intérieure de certains pays participants, la conférence gouvernementale, prévue pour le 12 juin a dêtre reportée à une date ultérieure; la réunion de La Haye destinée aux délibérations finales du Conseil de Ministres, ne pourra donc non plus avoir lieu, comme il avait été prévu, dans la première moitié de juillet. La Commission Constitutionnelle est heureuse de constater que malgré cette difficulté, le Conseil de Ministres a décidé, dans sa séance tenue le 22 juin à Paris, de convoquer une conférence gouvernementale à Baden-Baden pour le 7 ao. Elle espère que cette conférence se chargera des tâches qui avaient été prévues pour celle du 12 juin et qu’à la suite de cette réunion le Conseil de Ministres tiendra à bref délai, une séance au cours de laquelle il se prononcera définitivement sur le résultat du travail. 5) La Commission Constitutionnelle estime devoir souligner l’importance extraordinaire que revêt la question de l’intégration européenne. Elle prie vivement le Conseil de Ministres de poursuivre sans autre délai la voie qui a été ouverte par la résolution que, dans une claire vision de l’avenir, les six Ministres des Affaires étrangères ont prise le 10 septembre 1952. En faisant ces suggestions, la Commission Constitutionnelle répond à la résolution adoptée unanimement le 10 mars par l’Assemblée ad hoc et aux termes de laquelle la Commission est chargée de suivre l’activité gouvernementale relative au projet et de faire rapport à l’Assemblée ad hoc, en temps opportun, sur l’état des travaux ». La L. fu poi diramata da Calmes ai cinque Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea con L. CM/S (53) C.I. I del 13 luglio da Lussemburgo (ASUE, CM1/CPE, 34.1).

15 3 Per il seguito vedi DD. 38 e 43.

16

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

R. segreto 9782. Washington, 9 luglio 1953.

Oggetto: Conferenza Tripartita di Washington

Riferimento: Mio rapporto 9741 del 6 luglio corrente(2).

Signor Ministro,

il Dipartimento di Stato mi ha ragguagliato circa lo svolgimento della riunione di ieri dei Delegati Permanenti al Consiglio Atlantico, nella quale il nostro Rappresentante ha notificato ai suoi colleghi la nostra iniziativa per una sessione della NATO e della CECA da tenere prima delle elezioni tedesche. Il Delegato americano, mi è stato detto, è rimasto impressionato dalle argomentazioni del delegato britannico circa la «delicatezza» della questione e circa la necessità di seguire un determinato timing e determinate procedure. Il Dipartimento sta esaminando tuttora la nostra proposta e potrà fissare le sue idee al riguardo solo nel corso dell’imminente conferenza.

Ho da parte mia insistito sulle note considerazioni di politica estera e interna che hanno determinato il nostro passo e sulle quali ho pregato il Dipartimento di fermare molto seriamente la sua attenzione nel comune interesse della Unione Europea e degli stessi Stati Uniti che di essa hanno fatto uno dei punti essenziali della loro politica estera.

Vedrdomattina l’Assistant Secretary Merchant allo scopo di illustrargli tutti gli aspetti del problema e spingerlo ad agire avvalendomi anche delle opportune considerazioni svolte da Vostra Eccellenza col telespresso n. 1/1769/c. del 3 luglio corrente.

Circa l’imminente Conferenza Tripartita ed i suoi eventuali sviluppi successivi prevale ora l’impressione che si sia registrato un certo avvicinamento tra il punto di vista britannico e quello americano per quanto concerne sia la valutazione delle intenzioni sovietiche sia il problema tedesco.

Circa le prime si rileva che già il progetto russo del 10 marzo 1952(3) costituiva un «interessante sviluppo» del precedente atteggiamento sovietico e che esso potrebbe eventualmente costituire il punto di partenza di nuove proposte di Mosca (come ho telegrafato, si è smentito qui il dettagliato piano che, secondo l’informazione raccolta dalla nostra Delegazione alla CED, sarebbe stato presentato nel giugno scorso dai Russi). Le nuove agitazioni nei Paesi satelliti hanno poi rafforzato la ipotesi che la Russia si troverebbe, almeno dal punto di vista politico e psicologico in una situazione di «debolezza» nel caso di una riunione quadripartita.

Mentre pertanto da parte americana si sottolinea l’opportunità di non compiere passi affrettati, da parte inglese si ammette che occorre discutere sul timing, lasciando intendere che una volta accertata di comune accordo l’opportunità di un incontro con i Russi gli Inglesi si asterrebbero dall’esercitare pressioni per affrettare l’incontro stesso e tanto meno per determinare concessioni su quegli che gli Americani considerano punti essenziali della loro politica cominciando da quello dell’integrazione europea. In questo senso si è larvatamente espresso lo stesso Salisbury nelle dichiarazioni da lui fatte alla stampa al momento del suo arrivo qui.

Il proposito di procedere per tappe favorirebbe l’idea di tenere una conferenza a tre, la quale avrebbe il compito di decidere al massimo livello gli elementi predisposti a Washington dai tre Ministri degli Esteri. In tale procedura si potrebbe anche meglio inserire la riunione del Consiglio Atlantico da noi suggerita, per quanto mi pare di capire che l’accoglienza preliminarmente fatta alla nostra proposta a Londra e a Parigi non lasci prevedere per ora chiari sviluppi dell’atteggiamento anglo-francese.

Sulla riunione al livello massimo non esiste ancora qui alcun orientamento neppure di principio. Alle ripetute richieste dei giornalisti Eisenhower ha risposto ieri in modo evasivo pur non escludendo tassativamente una decisione positiva.

Per quanto concerne i problemi tedeschi, da parte americana si è molto insistito in questi ultimi giorni sul proposito di spingere avanti il processo dell’integrazione in qualunque evenienza, volendo con cisignificare che un eventuale tentativo con i Russi nel campo dell’unificazione dovrebbe essere fatto in modo da non danneggiare la progettata integrazione. Gli Americani, in altri termini, non accetterebbero affatto eventuali suggerimenti per la neutralizzazione della Germania ma sosterrebbero che il Governo tedesco unificato risultante da elezioni libere in tutta la Germania dovrebbe rimanere arbitro di decidere circa la sua difesa, in conformità a quanto è del resto già previsto da apposita clausola degli Accordi Contrattuali. Tale posizione si fonderebbe poi sul carattere difensivo della Comunità Europea di Difesa.

Da parte britannica non si muove alcun rilievo di massima a tale posizione americana, ma al tempo stesso non si manca di far rilevare indirettamente che esistono difficoltà’ per l’entrata in funzione della CED e non soltanto da parte Sovietica.

Il maggior senso di distensione che si registra alla vigilia dell’apertura della Conferenza Tripartita non implica pertanto un sostanziale progresso nella soluzione dei problemi di fondo, ma implica piuttosto una reciproca volontà di attenuare i contrasti con metodi tattici e procedurali o ricorrendo a generiche impostazioni di massima, da cui ciascuno spera di trarre conseguenze consone ai rispettivi propositi.

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio più devoto ossequio.

[Alberto Tarchiani]

16 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.

16 2 Vedi D. 11.

16 3 FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 65.

17

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI(1)

T. 227. Roma, 10 luglio 1953.

Oggetto: Riunione tripartita Washington.

Le è stato trasmesso, con telegramma 6976/c.(2) quanto Quaroni ha riferito circa suo colloquio con Bidault.

Due punti mi sembrano acquisiti:

1) Bidault conviene circa necessità consultazione collettiva Paesi atlantici prima eventuale incontro a quattro;

2) egli è d’accordo che, qualora nelle conversazioni a tre si raggiunga (come vivamente auspichiamo) decisione positiva in merito, se ne faccia esplicita menzione nel comunicato finale dell’incontro.

Per quanto riguarda data della consultazione non abbiamo, allo stato attuale, suggerimenti da formulare ma è certo che dovrà tener conto delle elezioni germaniche. Essa potrebbe fare oggetto scambio vedute tra i tre ministri che avanzerebbero al riguardo proposte agli altri Paesi interessati. Comunicato potrebbe quindi mantenersi nel vago su questo punto.

Resta purtroppo seria perplessità Bidault circa partecipazione della Germania alla consultazione collettiva.

Ci rendiamo conto dei motivi che la determinano e non ne sottovalutiamo il peso. Ma è lecito domandarsi se al punto in cui ci troviamo e con i motivi che animano (o dovrebbero animare) sforzi democrazie occidentali per conseguire massima possibile unità di propositi, sia concepibile una consultazione collettiva sul problema tedesco dalla quale Germania di Adenauer fosse esclusa. Non possiamo né intendiamo chiedere a Bidault di prendere iniziativa di estendere consultazione alla repubblica di Bonn. Gli chiediamo solo di non opporsi ad una altrui iniziativa in questo senso e confidiamo che iniziativa possa venire da Dulles.

Prego V. E. di voler trovare il modo di far valere costì considerazioni che precedono(3).

Per il seguito vedi D. 21.

17 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.

17 2 Vedi D. 12, nota 2.

17 3 Con T. segreto urgente 426, pari data, Tarchiani comunicava: «Da fonte strettamente confidenziale ma sicura ho inteso Governo francese, con appoggio Londra, già manifestato qui sua opposizione riunione NATO e CECA. Esso fatto presente essere inopportuno tre paesi occupanti sottopongano loro decisioni contemporaneamente Germania e alleati NATO. Appare molto difficile ad americani superare tale opposizione. Riunione Consiglio Atlantico a livello ministri non è invece esclusa. Ma suddetta fonte ritiene si voglia qui procedere per gradi evitando brusche decisioni, anche in vista fluidità situazione generale. Dirigenti Dipartimento già impegnati in riunioni tripartite. Conto tuttavia avere personalmente in giornata più diretti autorevoli elementi circa atteggiamento Dulles, anche in relazione suo 227 testé pervenutomi» (ibidem).

18

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 3549/1651(2). Londra, 10 luglio 1953.

Oggetto: Conferenza di Washington. Germania e CED.

Riferimento: Mio telegramma n. 199 del 7 luglio u.s.

Come ho comunicato telegraficamente, ho avuto stamane uno scambio di vedute con il Ministro di Stato Selwyn Lloyd, sulle conversazioni di Washington e i loro eventuali sviluppi.

Gli ho anzitutto ripetuto e precisato il punto di vista italiano, riassumendolo in quattro punti:

1) non pregiudicare la CED;

2) compatibilità tra la CED e l’unificazione della Germania;

3) appoggio al Governo Adenauer;

4) assicurare consultazioni con tutti gli alleati del NATO e con la Germania dopo la riunione di Washington.

Ho sottolineato al mio interlocutore che il pericolo di una conferenza a quattro derivava ora soprattutto dalle aspettative che essa aveva creato: il che aveva avuto un effetto paralizzante sulle iniziative occidentali. Bisognava assolutamente evitare che i Sovietici, senza essere disposti ad affrontare alcun problema concreto, consentissero a trattare unicamente per mantenere l’illusoria atmosfera di distensione e per minare la resistenza psicologica della nostra opinione pubblica.

Selwyn Lloyd mi ha assicurato che tale era anche il punto di vista britannico. Churchill, proponendo una conferenza a quattro, intendeva che essa fosse tenuta entro un breve periodo di tempo allo scopo appunto di accertare se le intenzioni distensive sovietiche fossero o meno serie e, in conseguenza, orientare l’opinione pubblica occidentale. L’attuale disagio era determinato non dall’iniziativa britannica ma dal ritardo subito dal progettato incontro con i Sovietici e ciera, a sua volta, dovuto alla forte opposizione americana e alla susseguente infermità di Churchill.

Allo stato attuale delle cose una Conferenza a Quattro non avrebbe potuto ormai aver luogo che in ottobre o novembre e non prima che un serio ultimo sforzo fosse stato fatto per varare la CED. Lloyd non escludeva l’opportunità di una conferenza a tre subito dopo le elezioni tedesche per esaminare la situazione che ne sarebbe derivata. Questa riunione a tre, egli ha detto, non era ancora decisa ma veniva seriamente considerata.

Abbiamo poi considerato l’atteggiamento francese. Selwyn Lloyd mi ha detto che il Governo inglese ne è seriamente preoccupato. Secondo lui, è difficile definire che cosa i francesi vogliano: se siano per o contro la CED, per o contro Adenauer, per o contro una neutralizzazione della Germania, perché profondo è il dissenso e il disorientamento tra Governo, Parlamento, uomini e partiti e all’interno stesso dei partiti politici. Unico sentimento comune, sottostante a tanto dissenso, è, secondo Selwyn Lloyd, una indefinita velleità di tenere la Germania sottomessa ad ogni costo, ma senza poi che gli stessi francesi sappiano esattamente come ciò possaavvenire.

A questo proposito Lloyd si è dichiarato, senza reticenze, contrario a ogni progetto di controllo e di neutralizzazione della Germania. Gli ho richiamato in proposito quanto Churchill aveva detto all’E.V. e le perplessità allora dimostrate dal Primo Ministro, per il caso che la CED fallisse, fra una Germania nel NATO e una Germania neutralizzata.

Lloyd mi ha risposto molto decisamente che, secondo lui, Churchill aveva inteso l’ipotesi della neutralizzazione come una ipotesi estrema e deprecabile. «Da parte mia non nutro dubbi, mi ha aggiunto Lloyd, su quella che dovrebbe essere la gerarchia delle preferenze: anzitutto vorrei la Germania occidentale nella CED, poi la Germania unita nella CED, in terzo luogo la Germania Occidentale nel NATO. Infine e solo nel caso che tutte queste possibilità venissero meno, non mi rifiuterei di considerare anche l’ipotesi di una Germania neutra e controllata, pur di fare qualcosa, ma considerando questa eventualità come un vero disastro».

Secondo Lloyd questo è in sostanza il pensiero britannico. Ne ho avuto poco dopo conferma da Dixon il quale si è espresso più o meno negli stessi termini e anch’egli, riferendosi all’ipotesi di una neutralizzazione tedesca, l’ha definita una soluzione assurda e pericolosissima.

Per quanto riguarda la consultazione dei Paesi del NATO, Lloyd è stato assai cauto. Anzitutto se dovesse esservi, come è probabile, una seconda riunione a tre, una simile consultazione sarebbe preferibile dopo questo convegno. In secondo luogo egli ha detto di consentire senz’altro sul principio della consultazione nel NATO, ma di essere in dubbio sulla opportunità di realizzarla mediante una conferenza «ad hoc» solennemente annunciata; forse sarebbe meglio valersi dei mezzi già esistenti come il Consiglio Atlantico o la CECA o gli ordinari contatti diplomatici. Infine, dovrebbe essere considerata con grande prudenza la partecipazione della Germania, specie in vista delle preoccupazioni francesi. Per i contatti con la Germania, ci si potrebbe piuttosto avvalere degli organi già costituiti come i tre Commissari alleati o simili.

Lloyd ha quindi ripetuto che un serio sforzo per la CED doveva essere compiuto prima della conferenza a quattro ed ha aggiunto parole più impegnative, autorizzando a ripeterle alla E.V. Egli mi ha detto che giungerà presto il momento di mettere la Francia di fronte alle sue responsabilità, intendendo per Francia il Parlamento francese perché in esso stava la chiave delle difficoltà e delle soluzioni.

Il Governo britannico riteneva cioè che, in modo opportuno e tenendo conto delle suscettibilità di oltre Manica, si dovesse prima della Conferenza dei quattro mettere il Parlamento francese di fronte alla vera alternativa: alla scelta fra la Germania nella CED e la Germania nel NATO. Lloyd mi ha dato la netta impressione che questa stia ormai diventando una precisa e maturata linea di condotta britannica.

Quale sia il vero pensiero dietro queste pur esplicite e apparentemente sincere affermazioni, se cioè Londra speri davvero che la CED si realizzi, è difficile dire: ma ritengo che questo Governo, volendo uscire dall’attuale equivoco, sia disposto a dimostrare di fare ogni sforzo per favorire la ratifica. Naturalmente, come Lloyd mi ha detto, cipresuppone che Adenauer vinca le elezioni, il che sarebbe facilitato se altri Parlamenti precedessero a breve scadenza quello francese nella ratifica.

Siamo rimasti d’accordo di vederci subito dopo il ritorno di Salisbury da Washington(3).

18 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 19 bis, fasc. 3.

18 2 Copia del telespresso fu inviata da Brosio, con L. 3581 in pari data, a Quaroni con il seguente commento: «La mia impressione è che il Foreign Office oggi si preoccupi di evitare che la Gran Bretagna venga considerata come responsabile di questa fase di rilassamento nella coesione occidentale. Donde il vigore con il quale si proclama l’appoggio inglese alla CED»(ibidem).

18 3 Vedi D. 25.

19

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 846/608. Parigi, 10 luglio 1953.

Oggetto: Integrazione europea. Colloquio con Paul Reynaud.

Allo scopo di vedere se qualche cosa possa essere fatto per corrispondere al desiderio di V.E. di far dare un contenuto piconcreto alla progettata riunione di Baden-Baden, ho voluto questa mattina intrattenere Paul Reynaud.

Le idee europeistiche di Paul Reynaud sono ben note: attualmente egli ha una posizione di particolare influenza nel Gabinetto francese, dato che il Presidente del Consiglio è considerato, ed a ragione, come una sua creatura. Il che è anche visibile materialmente; Reynaud si è attualmente installato, unico dei Ministri di Stato, alla Presidenza del Consiglio, nella stanza accanto a quella del Presidente.

Ho esposto a Paul Reynaud le Sue idee e le Sue preoccupazioni con particolare riguardo, sia al pericolo che rappresenta l’indulgere troppo in tentativi di distensione, che possono paralizzare tutto il movimento per l’integrazione europea, sia all’influenza nefasta che questo processo di rallentamento può avere sulla situazione interna tedesca in vista delle prossime elezioni.

Paul Reynaud mi ha detto di condividere intieramente le preoccupazioni di V.E., sia generali, che particolari sul problema tedesco. Ha peraggiunto che la situazione parlamentare francese non permette al Governo di superare certi limiti.

Il Governo francese, dice lui, è ormai legato dall’imprudente dichiarazione di René Mayer (che ha sempre detestato) che legava la ratifica della CED alla liquidazione della questione della Sarre; si poteva non stabilire questo principio, ma ormai è fatto e qualsiasi Governo francese ne è legato. D’altra parte la vigilia elettorale è il momento meno opportuno per un Governo tedesco per discutere della questione della Sarre.

D’altra parte, dice Reynaud – e non posso che condividere il suo pensiero – oggi, è materialmente impossibile far votare la CED dal Parlamento francese, anche se, teoricamente, si potrebbe forse legare la Sarre alla ratifica degli accordi di Bonn, e procedere indipendentemente alla ratifica della CED. Se ne potrà al massimo parlare alla ripresa dei lavori parlamentari, ossia in ottobre, e cioè dopo le elezioni tedesche.

Ma anche a questo riguardo, Reynaud ritiene che sia prima necessario levare l’ipoteca della distensione russa. Egli è d’avviso che, quali che siano le proposte dei russi, un settlement della questione tedesca, sola, non è che una illusione: il pericolo di guerra sta nello squilibrio enorme di forze fra il mondo europeo occidentale ed il mondo russo: la politica collettiva ha fatto dimenticare che non esiste altra maniera di stabilizzare, relativamente almeno, la pace, che l’equilibrio delle forze. Una soluzione del problema tedesco che comporti sì l’evacuazione della Germania da parte delle truppe russe ma anche la partenza delle truppe inglesi ed americane, non farebbe che accentuare tanto l’attuale squilibrio quanto il rischio di guerra. Bisogna porre ai russi la condizione di accettare il principio del disarmo controllato: se essi lo accettano sul serio, cosa di cui egli dubita, si potrà parlare. Se essi lo rifiutano – e l’Occidente dovrebbe portarli abilmente a rifiutarlo – allora la campagna dei neutralisti, o distensionisti, verrebbe in parte stroncata e solo allora potrebbe riprendersi con buone chances di successo la campagna per la ratifica francese della CED. Egli aveva particolarmente insistito, in Consiglio dei Ministri, presso Bidault perché egli sollevasse la questione del disarmo alla Conferenza di Washington.

Circa la questione dell’integrazione politica, su cui ho particolarmente insistito, Reynaud mi ha detto che, nella attuale congiuntura parlamentare, non è possibile al Governo francese di prendere delle decisioni di sostanza. Tutto quello che si potrebbe fare sarebbe cercare di salvare qualche apparenza: egli è disposto a fare il possibile in questo senso: dubita perche delle sole parole, o delle sole apparenze, possano realmente essere di aiuto ad Adenauer nella sua campagna elettorale.

Reynaud è piuttosto pessimista circa le elezioni tedesche e vede molto probabile una vittoria socialista. Questo lo preoccupa, non per le sue ripercussioni immediate, poiché pensa che Ollenhauer, al potere, potrebbe difficilmente prendere una posizione molto differente da quella di Adenauer, ma per considerazioni pilontane. Un Governo socialista in Germania non potrebbe, come in qualsiasi altro Paese, che rovinare la moneta, l’economia e la finanza tedesca. La destra tedesca, che la politica di destra ragionevole seguita da Adenauer, sul terreno economico, è riuscita fino ad ora a tenere in freno, si scatenerebbe e non potrebbe scatenarsi che in senso ultranazionalista e nazista; ricostituendo così un pericolo grave non solo per l’Europa ma per la stessa Germania. Detto questo, in vista delle illogicità della posizione inglese, della inelasticità degli americani e della confusione interna grave della Francia, non vede cosa si possa fare praticamente per evitare questo pericolo.

19 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

20

IL CANCELLIERE E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

L. 224-20 II/9859/53(2). Bonn, 14 luglio 1953.

Herr Präsident,

Für Schreiben vom 30. Juni 1953(3) über den Charakter unserer für den 7. August vorgesehenen Zusammenkunft in Baden-Baden darf ich meinen Dank aussprechen.

Ich teile Ihre Auffassung, dass diese Zusammenkunft einen konstruktiven Charakter haben muss und sich nicht auf die Erörterung von Verfahrensfragen beschränken darf. Sie muss daher meiner Meinung nach insbesondere die Grundlagen für die Arbeit der Aussenministerstellvertreter schaffen(4).

Was den Beginn dieser Arbeit der Stellvertreter betrifft, würde ich es für zweckmässig halten, wenn sie unmittelbar in Fortsetzung der Ministerkonferenz aufgenommen werden würde, so wie dies auch f die Konferenz in Rom vorgesehen war.

Genehmigen Sie, Herr President, den Ausdruck meiner ausgezeichnetsten Hochachtung.

Adenauer

20 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

20 2 Trasmessa da Guazzugli Marini con L. CM/S (53) 4542 del 21 luglio, unitamente alla seguente traduzione in francese: «Monsieur le Président, il me soit permis de vous remercier de votre lettre du 30 juin 1953 au sujet du caractère de notre réunion à Baden-Baden prévue pour le 7 ao. Je partage votre opinion que cette réunion doit avoir un caractère constructif et ne doit pas se limiter à une discussion de questions de procédure. A mon opinion elle devra en particulier servir de base pour le travail des suppléants des Ministres des Affaires Étrangères. Quant au commencement de ce travail des suppléants je le considérerais utile s’il se faisait immédiatement à la suite de la conférence de Ministres, ainsi que cela était prévu pour la conférence de Rome. Veuillez agréer, Monsieur le Président, l’assurance de ma plus haute considération».

20 3 Vedi D. 3.

20 4 Con L. CM/S (53) del 22 luglio, Guazzugli Marini scriveva a Calmes, nella prima parte della lettera: «La réponse allemande dont je vous ai déjà envoyé une copie, me semble, reflection faite, de nature à ne pas compromettre la convocation de la conférence. En effet les termes employés sont assez modérés. Avant encore que cette réponse arrive, Cavalletti avait suggéré à Rome que les Italiens interviennent pour obtenir de Bonn une attitude prudente. Je crois que cette intervention sera utile» (ASUE, CM1/CPE, 32.8).

21

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 447. Washington, 15 luglio 1953.

Oggetto: Conversazioni tripartite di Washington.

Ho visto Dulles in presenza miei colleghi francese e britannico, da lui parimenti convocati affinché insieme mi mettessero al corrente conversazioni tripartite testé concluse. Dulles ha espresso speranza che nette dichiarazioni comunicato finale su unità europea, CECA e CED diano V.E. piena assicurazione che esigenze da lei prospettate sono state tenute presenti. Ha aggiunto che mai Stati Uniti consentiranno che contatti con URSS si risolvano a scapito o anche soltanto in rallentamento processo unificazione europea. Proposta incontro quadripartito era necessario per togliere a URSS iniziativa. Anche riconoscimento tale esigenza gli sembrava conforme a giuste preoccupazioni pivolte espresse da V.E.

Era stata anche esaminata attentamente proposta convocazione NATO e CECA. Era poi stata scartata, nonostante suoi vantaggi, perché non avrebbe praticamente consentito informazione piampia di quella raggiungibile mediante contatti diretti con governi NATO. Germania, per la parte che la concerne, è stata minutamente informata ed è consenziente. Resoconto dettagliato seduta sarà comunicato oggi a Consiglio permanente NATO.

Data conferenza quadripartita sarebbe fine settembre e comunque posteriore elezioni tedesche. Circa sede si era accennato Vienna, ma è stata scartata. Si tratterà probabilmente altra località europea forse svizzera.

21 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.

22

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

R. segreto 10145. Washington, 16 luglio 1953.

Oggetto: Conferenza tripartita.

Signor Ministro,

salvo quanto potrà risultare dalle ulteriori informazioni che via via potranno raccogliersi e che saranno soprattutto «di colore», mi sembra che si possa già fare un bilancio abbastanza preciso dell’incontro tripartito di Washington.

È a tutti nota la genesi del convegno. L’idea di un contatto ad alto «livello» fra i governi delle tre principali Potenze occidentali è sorta a seguito dell’iniziativa di Churchill per un incontro quadripartito(2): la riunione a tre doveva costituire il preludio di quella a quattro; e quella a quattro era intesa ad esplorare la via verso una nuova impostazione dei rapporti fra Occidente e Oriente, tale da consentire una «distensione». Di qui le polemiche, la curiosità ansiosa del pubblico e, in generale, i dubbi sull’opportunità di una iniziativa, che, mentre ad alcuni sembrava necessaria a creare un fatto nuovo sul piano inclinato del riarmo e della «guerra fredda», ad altri appariva suscettibile soltanto di disorientare l’opinione pubblica dei Paesi occidentali e di favorire la propaganda comunista.

Annunciato su una nota chiassosa, l’incontro a tre si è effettuato e concluso su una nota assai più moderata. A ciò hanno contribuito, naturalmente, la malattia di Churchill e la conseguente sostituzione dei Capi di Governo coi Ministri degli Esteri. Tuttavia la ragione principale del tono smorzato rispetto alle previsioni sta, a mio avviso, nella realtà stessa della situazione internazionale, che si è imposta non appena i dirigenti della politica estera dei tre Paesi si sono seduti attorno alla tavola della conferenza. E questo «sgonfiamento» costituisce, forse, il risultato migliore dell’incontro perché ha permesso il ristabilimento di una sostanziale unità d’indirizzo fra le tre Potenze occidentali sul fondamentale problema dei rapporti con l’URSS.

Il dubbio se, sì o no, si doveva proporre all’URSS un nuovo dialogo ad alto «livello» sembrava separare profondamente gli Stati Uniti da un lato e la Gran Bretagna e la Francia dall’altro. Gli Americani non si sono scostati affatto dalla loro posizione, secondo la quale un nuovo dialogo non potrebbe condurre a nessun risultato pratico (per «americani», intendo non soltanto Dulles, al tavolo della conferenza, e i funzionari dal Dipartimento di Stato, ma anche il Presidente Eisenhower e gli uomini che gli sono particolarmente vicini e che lo consigliano in problemi di politica estera: ad esempio C.A. Jackson e R. Cutler, «special assistants to the President» incaricati del collegamento rispettivamente con gli uffici della «guerra psicologica» e col «National Security Council»). I Francesi ed i Britannici, sia pure con riserve di vario grado, hanno dovuto ammettere la sostanziale fondatezza della tesi americana, cosicché la discussione ha avuto per oggetto quasi esclusivo la convenienza di proporre un incontro quadripartito, soltanto a scopi «psicologici» e senza speranza di sviluppi concreti. A loro volta gli Americani, nel venire incontro ai loro interlocutori, hanno subordinato la loro adesione ad una cautela sostanziale: la limitazione dell’ordine del giorno dell’eventuale incontro al problema tedesco e al trattato di pace con l’Austria e, per quanto riguarda il problema tedesco, ai due punti indicati nella nota all’URSS(3).

È dubbio che, malgrado queste cautele, gli Americani avrebbero abbandonatola loro opposizione di principio, senza il decisivo intervento della Germania. È questo, un punto di grande importanza, non solo per quanto concerne la conferenza in questione.

Come è noto, Blankenhorn è stato a Washington durante l’incontro. Egli era latore di precise istruzioni ed anche di una lettera di Adenauer(4). Per suo tramite, Adenauer ha manifestato il fermo convincimento che l’URSS stesse per fare un qualche «gesto»

spettacolare di propaganda, atto a mitigare le ripercussioni della rivolta nella Germania orientale e a danneggiare la posizione del partito di governo della Germania occidentale; ed ha dichiarato essere indispensabile prevenire la mossa sovietica con la proposta di un incontro, da annunciarsi subito, ma da effettuarsi dopo le elezioni tedesche, per evitare che queste siano influenzate dal corso, probabilmente ondeggiante, delle conversazioni.

Giusto o errato che fosse il punto di vista di Adenauer, certo è che ha prevalso; e i tedeschi sono assai soddisfatti di ciò come pure dello strettissimo e continuo contatto che sono riusciti a mantenere coi tre ministri degli Esteri nel corso della conferenza. Essi vedono in questo un segno del vivo interessamento americano pei loro problemi e in particolare per quello delle imminenti elezioni.

I francesi, a quanto mi si dice, non hanno ostacolato né l’assegnazione di un peso notevole al punto di vista tedesco né il contatto col rappresentante di Adenauer; hanno, anzi, cercato di non turbare l’atmosfera con la discussione di altri problemi concernenti la Germania. (Non hanno, ad esempio, parlato affatto di Saar).

Risolta in questo modo la questione dell’incontro quadripartito è stato naturale che si insistesse sulla necessità di non rallentare gli sforzi per l’integrazione europea, e soprattutto per la ratifica dell’accordo CED, ma, in proposito, i francesi non sono stati in grado di fare nulla di più che le solite dichiarazioni di buona volontà.

Sul resto (Estremo Oriente ecc.) il comunicato espone esaurientemente il contenuto dei colloqui(5).

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio più devoto ossequio.

[Alberto Tarchiani]

22 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 25, fasc. 701.

22 2 Fu proposta da Churchill nel discorso alla Camera dei Comuni dell’11 maggio 1953. Si veda ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1953, pp. 12-13.

22 3 La nota degli alleati fu redatta ed approvata nel corso della Conferenza: FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 257.

22 4 Fu commentata nel corso della seconda giornata (11 luglio) della Conferenza Tripartita: FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 2, D. 300.

22 5 Tarchiani lo aveva riassunto nel T. 445 del [15] luglio: «Comunicato congiunto diramato conclusione Conferenza Tripartita sottolinea seguenti punti principali: 1) riconferma politica atlantica ed europeista cui devonsi migliorate prospettive pace; 2) necessità rafforzare unità europea ambito comunità atlantica e costituire CED; 3) considerazione speciale urgenza problema unità germanica. Tre governi, dopo consultazione Governo tedesco, deciso proporre riunione principio autunno Ministri Esteri quattro grandi discutere direttamente procedura soddisfacente soluzione problema tedesco: in particolare organizzazione libere elezioni e costituzione libero governo per intero paese. Tale riunione dovrà anche esaminare conclusione trattato austriaco; 4) tre ministri incaricheranno rispettivi rappresentanti permanenti NATO informare altri paesi membri risultati conversazioni attuali; 5) circa Estremo Oriente impegno in caso rinnovarsi aggressione comunista dopo conclusione tregua Corea, intervenire ristabilimento situazione» (ibidem). Per il testo integrale del comunicato vedi FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 2, D. 316.

23

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

Appunto riservato 20/2566(2). Roma, 17 luglio 1953.

Oggetto: Riunione di Baden Baden.

A tre settimane di distanza dal previsto inizio (7 agosto 1953) della riunione dei Ministri degli Esteri dei sei Paesi della Comunità Europea, decisa nel corso della riunione del 22 giugno a Parigi, può dirsi che – almeno fino a questo momento e contrariamente a quanto avvenuto altra volta – non si scorgono i segni precursori di un rinvio.

Può anzi affermarsi che il Comunicato finale della Conferenza tripartita di Washington(3)ha finito per ribadire, in modo inequivoco, i concetti che sono alla base dello sviluppo della cosiddetta politica «europeista» dell’Europa occidentale. Esso infatti così si esprime: «Convinti che nessuno sforzo debba essere risparmiato per rafforzare la unità europea nel quadro della Comunità Atlantica, i Ministri hanno constatato che la Comunità Carbone e Acciaio, nata dall’iniziativa francese, è ora allo studio delle realizzazioni pratiche. Il trattato relativo alla Comunità di Difesa costituisce una tappa necessaria nella stessa direzione, mentre proseguono, tra i sei Governi, i lavori relativi alla creazione di una Comunità politica Europea». E subito dopo: «In conseguenza i tre Ministri si sono trovati d’accordo nel considerare che la Comunità Europea rafforzerà la Comunità Atlantica e sarà, a sua volta, rafforzata dalla associazione con questa e che gli sforzi costruttivi in vista dell’edificazione di una Comunità Europea apportano un importante contributo alla pace mondiale poiché essa risponde ai bisogni durevoli dei suoi membri per quanto concerne la loro sicurezza e la loro prosperità».

In tali condizioni sembrerebbe effettivamente difficile e strano un rinvio della riunione di Baden Baden i cui scopi, come è noto, appaiono costituiti, da una parte, dalla necessità di non creare pericolose soluzioni di continuità nel processo evolutivo destinato a favorire l’integrazione europea e, dall’altra, dall’opportunità, ovunque riconosciuta, di dare al Cancelliere tedesco Adenauer un segno europeo di solidarietà alla vigilia delle elezioni al Bundestag, fissate per i primi giorni di settembre.

Ciò detto, occorre, per subito aggiungere che, nei riguardi del contenuto effettivo della prevista riunione, non si constatano, fino ad oggi, importanti novità di preparazione e di atteggiamento.

Le posizioni dei singoli Governi sono più o meno quelle già note. Da parte francese – anche se a mezza voce dopo il comunicato di Washington – si fa comprendere che il Governo di Parigi non desidera grosse novità e sarebbe lieto se alla riunione di Baden Baden venisse dato soltanto il carattere, a simiglianza di quanto avvenne a Parigi il 22 giugno, di uno scambio di idee tra i sei Ministri su problemi di carattere generale con lievi accenni al progetto di statuto per la Comunità europea.

Da parte tedesca, anche se con minore insistenza, si fa comprendere come Baden Baden dovrebbe costituire quel vero e proprio «preludio» alla Conferenza di lavori sullo Statuto europeo che avrebbe già dovuto tenersi a Roma il 12 giugno u.s.

I Paesi del Benelux, con qualche accenno – specie da parte olandese – a problemi inerenti allo Statuto, quale, ad es., il «contenuto economico» di esso, non hanno dato segni di grande attività.

In realtà, ed in riassunto, il Segretariato permanente del Consiglio dei sei Ministri non è stato messo in condizioni, fino ad oggi, di fare circolare alcun documento preparatorio.

Viceversa, in queste settimane, abbiamo avuto una importante presa di posizione

– a mezzo di una lettera diretta al Presidente di turno, On. De Gasperi, dal Presidente dell’Assemblea ad hoc, Spaak, e dal Presidente della Commissione Costituzionale della stessa Assemblea, von Brentano(4)– da parte della Assemblea ad hoc. Questa, infatti, nel mettere in rilievo l’importanza del progetto di Statuto, da essa compilato, chiede di poter partecipare, con modalità da determinarsi al più presto, ai lavori della prossima Conferenza intergovernativa. Tale lettera è stata già trasmessa integralmente al Segretariato permanente di Lussemburgo perché venisse portata a conoscenza degli altri cinque Ministri degli Esteri, anche perché essi siano messi in condizione di far conoscere su di essa il loro parere, in vista di una risposta.

In considerazione di quanto sopra, non appare né semplice né facile la formulazione dell’ordine del giorno per la riunione di Baden Baden: ordine del giorno che, comunque, dovrà essere fra non molto comunicato ai Ministri interessati.

In linea di massima, sembrerebbe opportuno che esso non contenesse eccessive specificazioni, proprio per evitare preventivi irrigidimenti da parte francese e da parte del Benelux, ma, d’altra parte, si ripete, sarebbe senz’altro controproducente non indicare assolutamente alcun argomento che si colleghi con lo studio del futuro Statuto europeo.

Forse l’ordine del giorno potrebbe, ad esempio, essere così formulato:

1) Approvazione dell’ordine del giorno.

2) Modalità per l’ammissione degli «osservatori».

3) Discussione generale in merito alle attribuzioni ed alle istituzioni della futura Comunità.

4) Scambio di idee su questioni di politica generale interessanti i sei Paesi.

5) Programma ulteriore dei lavori.

Circa la questione degli «osservatori» occorre ricordare come la presenza del Segretario Generale del Consiglio d’Europa sia già stata in precedenza stabilita. Naturalmente occorre considerare se la riunione di Baden Baden possa o non essere effettivamente considerata come la vera e propria «Conferenza» per lo Statuto Europeo. Quanto agli altri osservatori si penserebbe di attirare l’attenzione del Consiglio dei Ministri sulla necessità della presenza di rappresentanti del Governo americano, del Governo britannico, della CECA ed, eventualmente, della Comunità interinale della CED.

Quanto alla partecipazione, ai futuri lavori, dei rappresentanti dell’Assemblea ad hoc, a norma della richiesta avanzata dal Presidente Spaak, non è difficile immaginare che essa sia destinata ad incontrare non lievi difficoltà, specialmente da parte dei Paesi del Benelux. Una inclusione di tale questione nell’ordine del giorno potrebbe, forse, utilmente permettere una battuta d’aspetto, senza troppo pericolo e facendone assumere la responsabilità a tutti e sei.

Quanto al numero 3 del progettato ordine del giorno (Discussione generale in merito alle attribuzioni ad alle istituzioni della futura Comunità) si potrebbe utilmente, da parte della Presidenza della riunione, indicare qualche esemplificazione in merito, se si vuole, alle attribuzioni economiche della Comunità ed ai suoi organi, pur tenendo presente, si ripete, che argomenti troppo precisi o delicati potrebbero provocare preventivi irrigidimenti.

L’utile esempio, infine, costituito dalla recente riunione del 22 giugno a Parigi, fa pensare che non debba escludersi dalla riunione di Baden Baden – all’indomani dell’incontro tripartito di Washington ed alla vigilia di importantissimi avvenimenti internazionali, quali l’elezioni tedesche, il progettato incontro a quattro e la futura Conferenza Atlantica, che potrebbe essere anticipata sulla sua prevista data di ottobre

– un nuovo scambio di idee tra i sei Ministri su questioni politiche di comune interesse. In altre parole, quel carattere di «direttorio» della politica estera dei sei Paesi che trovuna sua prima affermazione a Parigi, dovrebbe essere, a Baden Baden, mantenuto.

Circa la parte pratica dell’organizzazione della riunione, è necessario aggiungere come contatti siano già stati presi con il Governo tedesco, tanto a mezzo del nostro Ufficio del Cerimoniale, interessato in merito dall’Ufficio del Cerimoniale della Repubblica Federale di Bonn, quanto con una visita già fatta a Baden Baden dal Segretario Permanente del Consiglio dei Ministri, signor Calmes, al quale occorrerà, tra breve, inviare l’elenco definitivo dei membri della nostra Delegazione. Questa – non è difficile prevedere – dovrebbe essere formata di non più disette od otto persone, anche perché tutto fa ritenere che la riunione di Baden Baden, pur destinata ad avere maggiore contenuto di quella di Parigi, non sarebbe ancora la vera e propria Conferenza per lo Statuto europeo. Sarà, anzi, proprio compito dei sei Ministri fissare a Baden Baden, come si è sopra accennato, le modalità, la data ed il luogo della futura Conferenza dei Sostituti.

23 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

23 2 L’appunto, diretto per conoscenza a Benvenuti, Zoppi, Del Balzo e Corrias, reca la seguente annotazione manoscritta con la sigla di Zoppi: «Per parte mia non sono tanto favorevole ai troppi osservatori proposti, facciamo le nostre cose fra di noi». Sottoscrizione autografa di Magistrati.

23 3 Vedi D. 22, nota 3.

23 4 Vedi D. 15, nota 2.

24

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI E DEL COMMERCIO ESTERO DEL BELGIO, VAN ZEELAND, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

L(2). Bruxelles, 22 luglio 1953.

Monsieur le Ministre,

J’ai l’honneur d’accuser la réception de la lettre que Votre Excellence m’a adressée, en date du 30 juin(3), au sujet de notre prochaine rencontre à Baden-Baden.

Il me semble qu’aucune divergence d’interprétation n’est possible quant au caractère de cette réunion et que nous nous étions mis d’accord sur ce point, à Paris, le 22 juin dernier. Le but de la Conférence du 7 ao est de nous permettre une discussion générale, au terme de laquelle il nous sera possible de prendre des dispositions quant à la manière dont nous paraîtront devoir se dérouler les travaux ultérieurs et, en particulier, ceux des experts économiques(4).

Je pense que cette manière de voir concorde parfaitement avec celle dont Votre Excellence me fait part dans sa lettre du 30 juin.

Je saisis cette occasion, Monsieur le Ministre, de renouveler à Votre Excellence les assurances de ma haute considération.

Paul van Zeeland

24 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

24 2 Trasmessa con L. CM/S (53) 4612 del 23 luglio da Guazzugli Marini.

24 3 Vedi D. 3.

24 4 Con L. CM/S (53) del 22 luglio, Guazzugli Marini scriveva a Calmes, nella seconda parte della lettera: «[…] Nous avons reçu aujourd’hui une communication téléphonique de Jacques Gérard, du Ministère des Affaires Étrangères belge qui nous annonce l’arrivée imminente de la réponse de van Zeeland. Cette réponse dit monsieur Gérard sera semblable à la réponse de monsieur Bidault. Puisque jusqu’à présent nous n’avons pas reçu de réponse française, il faut en conclure qu’il y a eu en effet des consultations entre Français et Belges et qu’à Bruxelles on connait déjà le point de vue de Monsieur Bidault. Je vous joins aussi les réflections auxquelles m’ont amené les résultats de la Conférence de Washington et les commentaires qui les ont suivis. Je m’excuse de la forme hâtive de cette note qu’aurait può être plus courte et plus claire, mais j’espère qu’elle sera quand même utile pour attirer votre attention sur certains aspects du problème européen, tel qu’il se présente maintenant. La conclusion que nous pouvons tirer de ces réflections en ce qui concerne l’attitude du Secrétariat est que la situation politique est assez embrouillée pour nous suggérer d’être extrêmement prudents. S’il y a un moment dans lequel nous n’avons qu’à faire la boîte aux lettres c’est justement celui-ci. [...]» (ASUE, CM1/CPE, 32.8).

25

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 3857/1788. Londra, 24 luglio 1953.

Oggetto: Conferenza di Washington. Germania e CED.

Riferimento: Mio telespresso n. 3549/1651 del 10 luglio u.s.(2).

V.E. ricorderà che nel colloquio di due settimane fa con Selwyn Lloyd si era convenuto che ci saremmo incontrati dopo il ritorno di Salisbury da Washington per uno scambio di idee sui risultati della Conferenza a tre.

Ho visto oggi il Segretario di Stato e mi sono intrattenuto a lungo con lui.

Lloyd ha iniziato il discorso scusandosi di aver commesso un errore di previsione allorché mi diede a comprendere che, dopo le elezioni tedesche, vi sarebbe stato un secondo incontro a tre, a livello dei Primi Ministri. I fatti sono andati diversamente, egli ha detto, ma ciè dovuto al verificarsi di situazioni nuove e imprevedibili.

Gli ho risposto che comprendevo benissimo e che, del resto, ritenevo positivi, in linea generale, i risultati raggiunti a Washington, sopratutto nel senso che essi avevano portato a ridurre l’obiettivo delle conversazioni con i sovietici ai due problemi fondamentali della Germania e dell’Austria. Avevo invece qualche dubbio, dal punto di vista tattico, sulla opportunità di fissare preventivamente l’agenda delle discussioni sulla Germania partendo dalle posizioni fin qui sostenute dagli Alleati. È vero che, a rigore, i sovietici aderiranno o no alla proposta di conversazioni dirette secondo le loro convenienze e indipendentemente da ogni formulazione di proposte, ma si sarebbe sembrato preferibile non dare loro un buon pretesto per il caso che volessero rifiutare un incontro a quattro.

Lloyd mi ha risposto senza esitare che questo è anche il punto di vista britannico: «This was rather our feeling here», egli ha detto.

La conversazione è quindi caduta sui tre punti che a noi più direttamente interessano. Sull’ultimo – Trieste – riferisco con rapporto a parte.

1) Consultazione dei paesi della NATO e specialmente della CED prima di una eventuale conferenza coi sovietici.

Gli ho ribadito quanto avevo detto al riguardo a Strang; noi eravamo stati informati delle decisioni dei colloqui di Washington attraverso Tarchiani e in sede NATO, ma non eravamo stati consultati. Per tenere i Paesi interessati – e noi lo eravamo in particolar modo – dei propositi e delle eventuali decisioni anglo-franco-americane, vi erano tre possibilità: l’informazione diretta, la consultazione e la partecipazione deliberativa. La prima era troppo poco, e la terza poteva forse apparire eccessiva agli alleati: ma la previa consultazione era doverosa e ben possibile, specialmente tenuto conto delle inevitabili ripercussioni che qualsiasi conversazione sulla Germania era destinata ad avere su di un problema come quello della CED così vitale per l’Occidente.

Gli ho quindi detto che era ancora possibile ed utile consultare i Paesi del NATO, e specialmente quelli della CED; cipoteva avvenire dopo una risposta positiva o negativa dei sovietici e, in ogni caso, dopo le elezioni tedesche. A quel momento vi sarebbe stata una situazione nuova da valutare e noi avevamo una parola importante da dire al riguardo. Se non si voleva indire una conferenza solenne si utilizzassero ancora i canali del NATO o di altre esistenti organizzazioni, ma in forma di vera e concreta consultazione e non soltanto a titolo di pura informazione come si era verificato dopo la Conferenza di Washington.

Selwyn Lloyd ha preso nota, ha mostrato di assentire e ha promesso di tener conto dei nostri desiderata.

2) Conversazioni sulla Germania nelle sue ripercussioni sulla CED. Ho detto a Selwyn Lloyd che mi rendevo conto delle difficoltà sul piano pratico di portare avanti parallelamente la ratifica della CED con le discussioni sulla unità della Germania; sopratutto tenuto conto dell’atteggiamento della Francia la quale non sembra voler compiere uno sforzo per la ratifica prima che sia stato discusso con i sovietici il problema tedesco.

Mi domandavo quindi cosa avverrebbe se Mosca non rispondesse o rispondesse negativamente al proposto incontro a quattro o mettesse condizioni inaccettabili. Questa ultima ipotesi poteva apparire particolarmente attuale dopo il recentissimo articolo della «Pravda». D’altra parte un editoriale del «Daily Telegraph» di stamane sembrava richiedere che una conferenza a quattro ad altissimo livello – secondo cioè l’idea di Churchill(3)– avesse luogo anche nel caso di mancate trattative per la Germania. Che cosa poteva significare questo? Si pensava davvero alla possibilità di una simile conferenza se quella al livello dei Ministri degli Esteri non aveva luogo o falliva?

E con chi, dato che nessuno poteva dire oggi quale fosse il vero reggitore dell’Unione sovietica? In tal caso vi era il rischio che fosse rimandata «sine die» ogni possibilità di indurre il Parlamento francese ad assumere le sue responsabilità sulla ratifica della CED. Avrei inteso volentieri l’impressione di Selwyn Lloyd: voleva la Gran Bretagna fare un nuovo sforzo, come egli mi aveva detto nel precedente colloquio, per forzare il Parlamento francese a una decisione? E come? Certe notizie giornalistiche a me pervenute sembravano indicare che l’alternativa della Germania nel NATO poteva essere bloccata dal veto francese, e non avere perciefficacia sulla decisione del Parlamento; quindi si pensava a un accordo bipartito o tripartito per il riarmo della Germania. Vi era qualche cosa di vero in queste notizie?

Selwyn Lloyd, dopo aver riflettuto, mi ha risposto molto chiaramente. Credo di poterle dire l’opinione non solo mia, ma anche del Primo Ministro. In caso di risposta negativa o di mancata risposta dei sovietici non è previsto che venga avanzata una proposta di conversazioni ad alto livello. Si compirebbe invece uno sforzo per varare la CED. Quanto al modo di realizzare tale fine, ritengo – ha detto Lloyd – che Gran Bretagna e Stati Uniti si accorderebbero direttamente con la Germania per un piano tripartito di riarmo, superando così una eventuale resistenza francese alla ammissione della Germania nel NATO.

La risposta di Lloyd è stata, ripeto, meditata e precisa.

Egli mi ha poi aggiunto che recentemente Massigli gli aveva fatto cenno alla possibilità di una CED ridotta, nel caso che il progetto attuale non potesse essere ratificato e cioè, di una Comunità Europea, nel settore della difesa, limitata alle industrie degli armamenti. Lloyd mi manifestava il suo scetticismo su tale piano che gli sembrava avere come unico effetto quello di perdere altro tempo in rinnovate trattative.

Gli ho aggiunto che per conto mio consideravo questa formula come una pura manifestazione di «escapism» da parte francese.

25 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, fasc. 78.

25 2 Vedi D. 18.

25 3 Vedi D. 22, nota 2.

26

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI OLANDESE, BEYEN, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

L. 86075(2). L’Aja, 25 luglio 1953.

Monsieur le Président,

J’ai l’honneur d’accuser la réception de votre lettre en date du 30 juin(3), au sujet de notre prochaine réunion à Baden-Baden.

J’ai retenu de nos délibérations lors de la réunion à Paris, le 22 juin dernier, que le but de la conférence prévue pour le 7 Ao est de continuer nos échanges de vues au sujet des principes généraux du Projet de Traité portant Statut de la Communauté européenne. D’autre part il me semble qu’il conviendra de nous concerter quant à la poursuite des travaux. Cette manière de voir s’accorde entièrement, me semble-t-il, avec l’interprétation que vous m’avez communiquée dans votre lettre du 30 juin.

Je vous prie d’agréer, Monsieur le Président, les assurances de ma très haute considération.

Johan Willem Beyen

26 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950 - 1954, b. 21, fasc. 78.

26 2 Trasmessa con L. CM/S (53) 4828 del 30 luglio da Guazzugli Marini.

26 3 Vedi D. 3.

27

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. riservata 20/106. Parigi, 25 luglio 1953.

Caro Ministro,

con la Tua gradita lettera 20/2633 del 21 corrente(2)mi hai chiesto cosa avviene dei lavori del Comitato Interinale CED.

In realtà essi hanno proceduto finora assai attivamente e i dieci Comitati principali dipendenti dal Comitato di Direzione – articolati a loro volta in circa sessanta fra sottocomitati, sezioni e gruppi di lavoro – si sono dati piuttosto da fare, sia pure con diverso grado di energia e di speditezza a seconda delle materie trattate e della personalità dei diversi Presidenti e Delegati.

Naturalmente non sempre i risultati pratici sono stati sostanzialmente corrispondenti alla mole del lavoro per i motivi generici che conosci e cui Ti accennerò nuovamente più sotto.

Adesso il Comitato Interinale è entrato in un periodo se non proprio di completa vacanza (ché si è deciso di non interromperne del tutto l’attività ma solo di allentarne il ritmo per il lasso di tempo 15 luglio – 31 agosto) almeno di dormiveglia e di funzionamento a scartamento ridotto. Eccezione fatta per i lavori relativi all’accordo USA -CED, all’esame annuale CED (di nuovo conio) ed alla convenzione per l’associazione politica con la Gran Bretagna, che sono poi le tre maggiori questioni di portata internazionale attualmente in cantiere. Sull’attività specifica di molti settori, come potranno dirti i Tuoi collaboratori costà, ho riferito costantemente – o direttamente o per mezzo di relazioni di esperti – tanto in merito alle singole questioni quanto circa l’inquadramento dei lavori su un piano pigenerale (Comitato Aiuti Esterni, Comitato Speciale per l’Esercizio CED, Comitato Armamento, Comitato Finanziario, Comitato per la Sicurezza). Mi riservo di farlo fra breve anche per i Comitati dello Statuto e giuridico nonché, per quel poco che ci sarà da dire al riguardo, per quello delle Informazioni. I nostri militari, dal canto loro, stanno preparando una relazione completa sui lavori cui essi partecipano in sede di Comitato Militare (e relative numerosissime diramazioni), che pure inviera giorni. Circa il Comitato ad Hoc per l’Organizzazione del Commissariato è invece prematuro fare un quadro esauriente di quanto vi sta avvenendo, dato che si è ancora nella fase di raccolta degli elementi forniti dai vari Comitati interessati.

Sull’insieme dei lavori Ti ho già detto a voce le mie prime impressioni. Esse si sono, con l’esperienza di questi mesi, confermate. In alcuni settori si sta svolgendo opera indispensabile e che potrà comunque riuscire utile in avvenire, mentre invece in altri siamo giunti, o si sta per giungere, al punto di saturazione e procedendo ulteriormente, sempre sulla base di ipotesi successive non avallate da decisioni del Commissariato, si corre il rischio di creare fantasmi e di compiere sforzi ed elucubrazioni destinati a cadere nel vuoto. E, siccome si lavora su un piano teorico senza il controllo di quella che sarà per essere la realtà obiettiva, i problemi tendono a moltiplicarsi ed a sminuzzarsi sempre di più.

A tutto l’insieme dell’attività del Comitato Interinale si applica la considerazione che il metodo di lavoro è macchinoso, farraginoso e lento perché tutte le questioni che il Commissariato dovrebbe affrontare, esaminare e risolvere con sua decisione unitaria vengono adesso sviscerate dai delegati di Sei Paesi (ognuno dei quali Paesi ha i suoi particolari interessi da difendere) nell’intento anche di raggiungere, attraverso questa fase preparatoria, quei risultati che non era stato possibile ottenere al momento della redazione del Trattato, frutto di laboriosi negoziati e risultato di tutta una serie di compromessi, di reciproche concessioni e di complicati equilibri. Ognuno sfrutta al massimo la facoltà di vetare, di riservare, di riesaminare, di rinviare: manca insomma quella autorità sopranazionale che, sola, potrà dare un impulsoveramente spedito alla formazione della Comunità. È certo che, con l’attuale sistema, si fa in sei mesi quello che il Commissariato potrebbe realizzare in due, per non dire addirittura in uno solo. Si risente insomma del fatto che il Comitato Interinale, costituito per un breve periodo intermediario, ha dovuto invece aver vita assai più lungadel previsto.

In più finché non sarà chiara l’organizzazione del futuro Commissariato, come uomini e come impostazione generale, ogni Comitato tecnico, anche nel suo complesso internazionale, cerca di tirar l’acqua al suo mulino a scapito degli altri. E anche qui si nasconde un certo elemento di pericolo nel senso che i Delegati nazionali in seno a un Comitato tecnico (per esempio, quello militare) possono esser portati a sostenere punti di vista, basati su considerazioni esclusivamente tecniche o funzionali e su solidarietà e visioni professionali, che possono poi venire a contrastare con quelli che saranno gli interessi esclusivamente nazionali. Lo spirito del Trattato dovrebbe infatti portare ad una vera collegialità del Commissariato, che è stato concepito come un tutto unico, e quindi alla maggiore possibile suddivisione dei compiti e delle responsabilità fra le diverse branche di esso per assicurare ad ogni Paese la sua equa parte di influenza; si rivela invece la tendenza, ben comprensibile del resto, di ogni Comitato tecnico a gonfiare il pipossibile le funzioni di questo o di quel Commissario, prima di sapere in quale settore i singoli Paesi siano destinati ad avere maggior peso. Si verificano quindi all’interno delle stesse Delegazioni nazionali vivaci contrasti.

Nella nostra, per fortuna, pur rimanendo aperti certi punti di ineluttabile frizione che dipendono anche dalle istruzioni che ognuno riceve dalle proprie Amministrazioni romane, regna buon accordo e spirito di collaborazione personale. C’è quindi sempre il modo di confrontare i divergenti punti di vista per coordinarli ed armonizzarli. A questo compito dedico – va da sé – una cura ed una attenzione tutte particolari.

Su ogni cosa plana poi l’incertezza delle sorti della CED e ciò non è troppo incoraggiante quando si cerca di valutare il lavoro che si sta svolgendo qui su un piano pigenerale. Nel campo dell’attività quotidiana questo ha peraltro una rilevanza minore di quanto potrebbe immaginarsi da lontano poiché tutti sono molto presi dai problemi che trattano, il che li porta a dimenticare che non si sa ancora se le loro costruzioni siano destinate a poggiare su pietra salda o su sabbie mobili.

C’è evidentemente una forza intrinseca di movimento nelle macchine fatte di uomini e gli ingranaggi sembrano capaci di girare da soli all’infinito.

Ma mi sembra comunque chiaro che, se la situazione del Trattato dovesse rimanere fluida ancora per lunghi mesi, bisognerebbe pensare, ad un certo momento, a tagliare, smobilitare e ridurre. Grosso modo, penso che quest’operazione chirurgica possa coincidere con la fine dell’anno – o, al massimo, con la primavera ventura – quando cioè molti degli studi intrapresi e delle pianificazioni in corso saranno giunti ad uno stadio di completa maturazione. E cianche se, da un punto di vista politico, si dovesse ritenere opportuno di mantenere in vita il Comitato Interinale per non dare la sensazione, con la chiusura dei suoi battenti, che anche le ultime speranze sono cadute.

È difficile oggi far previsioni di quale sarà per divenire la situazione internazionale (sempre che il Trattato non sia, allora, ancora in vigore) e quindi fissare in anticipo una precisa linea di condotta su cosa converrà di decidere. In ogni modo, fra l’altro, la nostra posizione di gonfalonieri dell’integrazione europea – e quindi della CED in quanto essa ne è un’indispensabile pilastro – ci impegnerà ad agire con discrezione ed a seguire piuttosto iniziative di altri. So, per esempio, che i belgi, in sede politica, stanno già mordendo un po’ il freno.

Intanto per i mesi di settembre e ottobre il programma già predisposto è pieno e vasto.

Da parte mia cerco di seguire il pipossibile il lavoro dei nostri (il che peraltro non è sempre agevole, anche per questione di tempo, poiché si tratta di parecchie decine di persone) e di interessarmi non solo – il che è facile e piacevole – delle grosse questioni, veramente sostanziose e gonfie di implicazioni di ogni genere, ma anche – il che è talvolta pistancante – del colore delle carte di identità delle suocere dei militari CED e delle approfondite discussioni sulla opportunità di applicare o meno gli spacchi alle giacche dell’uniforme di uscita degli ufficiali delle aliquote delle marine nazionali che diverranno europee.

Con affettuosi e devoti saluti credimi,

tuo

Giorgio Bombassei

27 1 DGAP Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 72.

27 2 Con la quale (ivi, b. 21, fasc. 78), Magistrati aveva inviato a Bombassei gli appunti riservati 20/2566 del 17 luglio (per il quale vedi D. 23) ed il 20/2610 del 20 luglio (ibidem), non pubblicato, concernenti la riunione di Baden-Baden.

28

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

Appunto riservato 21/2695(2). Roma, 28 luglio 1953.

Oggetto: CPE. Riunione dei sei Ministri degli Esteri a Baden Baden (7 agosto).

Si fa seguito all’appunto 20/2610 del 20 corrente(3).

La posizione dei Governi interessati, nei riguardi dalla riunione di Baden Baden prevista per il 7 agosto p.v., risulta alla data di oggi la seguente:

Germania – nella risposta(4)inviata alla lettera che V. E. indirizza fine giugno agli altri cinque Ministri degli Esteri allo scopo di definire il carattere della prossima riunione, il Cancelliere Adenauer confermava che egli si attende – come noi – che la riunione stessa abbia carattere costruttivo; essa non dovrà occuparsi cioè solo di procedura ma dovrà trattare questioni sostanziali relative alla costituenda CPE sì da fornire le basi al futuro lavoro dei Sostituti.

Il Cancelliere aggiungeva di ritenere opportuno che tale lavoro dei Sostituti venisse iniziato subito dopo la riunione dei Ministri, come a suo tempo previsto per la Conferenza di Roma. In realtà quest’ultima richiesta andava oltre le decisioni prese nello scorso giugno a Parigi, e, di fronte sovratutto all’atteggiamento negativo francese, non si vedeva come potesse essere varata. Si è provveduto a far presenti a Bonn, tramite la nostra Ambasciata queste considerazioni: e ieri detta Ambasciata ci ha informato che il governo Federale concorda, e non insiste nella sua idea di far seguire immediatamente alla riunione dei Ministri il lavoro dei Sostituti.

Il Cancelliere Adenauer annette grande importanza a che la riunione venga tenuta alla data prevista. Lo si sapeva fin da quando essa fu decisa; comunque Blankenhorn ha ancora il 23 corrente pregato espressamente la nostra Ambasciata in Bonn di farlo nuovamente presente al Governo Italiano. Blankenhorn si è dichiarato estremamente preoccupato, riflettendo analoghe preoccupazioni del Cancelliere Adenauer, dell’impressione negativa che specie in America potrebbe produrre anche un semplice rinvio. evidentemente peraltro le principali preoccupazioni di Adenauer riguardano le sfavorevoli reazioni sul piano interno, in relazione alle imminenti elezioni.

Francia – Non è pervenuta a tutt’oggi una risposta di Bidault alla succitata lettera di V.E. La posizione francese è peraltro nota ed è stata confermata ancora il 22 corrente da Parodi all’Ambasciatore Quaroni in questi termini: Bidault ed il Governo Francese sono disposti a fare qualche cosa di apparente per aiutare Adenauer, essendo anche interesse francese che egli riesca vincitore alle prossime elezioni; ma essi non possono prendere nessun impegno e nessuna decisione che siano di sostanza nel corso della riunione di Baden Baden (in tal senso Bidault ha anche dato precise assicurazioni alla Commissione degli Esteri della Camera francese) e se la riunione apparisse mettersi su tale impegnativa linea, Bidault all’ultimo momento non parteciperebbe personalmente e farebbe rappresentare la Francia da Parodi.

Belgio – Nella risposta inviata alla suindicata lettera di V.E., il Ministro Van Zeeland(5)scrive che scopo della riunione del 7 agosto deve essere di consentire ai sei Ministri una discussione generale, al termine della quale sarà possibile prendere decisioni circa il modo in cui si riterrà che debbano svolgersi i futuri lavori, e, in particolare, quelli degli esperti economici. L’interpretazione belga, pur con una qualche latitudine di formulazione, si avvicina piuttosto a quella francese, ma non esclude che la discussione abbordi anche questioni di merito relative alla costituenda CPE.

Olanda – La risposta del Ministro Beyen(6)è analoga a quella belga: ritiene che lo scopo della riunione è di continuare gli scambi di vista riguardo ai principi generali del Trattato istitutivo dalla Comunità Europea, e di fissare l’ulteriore seguito dei lavori.

Questo Ministro d’Olanda ha fatto presente ancora ieri che, a modo di vedere del governo olandese, sarebbe in questo momento particolarmente grave se la riunione venisse rinviata, considerato sovratutto che il rinvio dovrebbe essere di qualche settimana, nella migliore delle ipotesi.

Lussemburgo – Come già indicato nel precedente appunto, il Ministro Bech(7)pensa che nella riunione di Baden Baden, il cui scopo principale resta quello di documentare dinnanzi alle pubbliche opinioni la continuità dei lavori relativi alla integrazione europea, possano cominciarsi ad abbordare questioni di merito relative alla CPE, onde cercare di «dégager les principes» da applicare nella futura Conferenza a livello Sostituti; ma non è necessario che tale lavoro preliminare dei Ministri venga senz’altro completato nella riunione di Baden Baden.

28 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, pos. 11/5.2.

28 2 Trasmesso con Telespr. riservato urgente 21/2696 in pari data da Straneo alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso la NATO e presso la CED a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo e alla Direzione Generale degli Affari Politici.

28 3 Vedi D. 27, nota 2.

28 4 Vedi D. 20.

28 5 Vedi D. 24.

28 6 Vedi D. 26.

28 7 Vedi D. 14.

29

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA, HALLSTEIN, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BONN, PINNA CABONI(1)

L(2). Bonn, 28 luglio 1953.

Sehr geehrter Herr Geschäftsträger,

Der Herr Bundeskanzler wde es im Interesse der Fderung des europäischen Gedankens f dringend wschenswert halten, wenn die Baden-Badener Konferenz zu gewissen konkreten Ergebnissen fren knte. Das Ergebnis unserer Überlegungen hinsichtlich solcher Beschlse finden Sie in dem anliegenden kurzen Memorandum zusammengefasst.

Ich wäre Ihnen sehr dankbar, wenn Sie Herrn Ministerpräsidenten de Gasperi

vom Inhalt dieses Memorandums unterrichten wollten. Mit dern Ausdruck meiner ausgezeichneten Hochachtung Ihr sehr ergebener

[Walter Hallstein]

Allegato

Memorandum(3).

I) Erneute Feststellung, dass die sechs Staaten grundsätzlich einig hinsichtlich der Notwendigkeit der Schaffung einer Europäischen Politischen Gemeinschaft sind. Das Schlusskommuniqué sollte enthalten, dass die Aussenminister der sechs Staaten mit den im Kommuniqué der Washingtoner Aussenministerkonferenz vom 15. Juli 1953 niedergelegten Auffassung ereinstimmen, dass die Bildung einer stabilen und sicheren europäischen Gemeinschaft einen wesentlichen Beitrag f den Weltfrieden darstellt und dass diese Gemeinschaft ohne Rksicht auf gegenwärtige internationale Spannungen eine Notwendigkeit an sich darstellt. Im Schlusskommuniqué sollte weiter zum Ausdruck kommen, dass die sechs Staaten erneut mit Nachdruck ihren Entschluss bekräftigen, die Arbeiten zur Bildung der Politischen Gemeinschaft unverzlich und mit aller Kraft zu Ende zu fren.

II) Die Konferenz der sechs Aussenminister in Baden-Baden sollte Einigkeit in folgenden wichtigen Einzelfragen feststellen und damit im Grunde den Inhalt des Artikels 38 EVG, die Luxemburger Beschlse und die Ergebnisse der freren Konferenzen der Aussenminister der sechs Staaten erneut bestätigen:

1) Eine Politische Gemeinschaft soll gebildet werden, die supranationale Funktionen aust, jedoch die souveräne Rechtsperslichkeit der Staaten unangetastet lässt.

2) Diese Gemeinschaft soll allen europäischen Staaten, die sich zur Achtung der Menschenrechte verpflichten, offenstehen. Auch Staaten, die nicht Mitglieder sind, knen zur Gemeinschaft in ein Verhältnis der Assoziation treten. Die Gemeinschaft unterhält mit dem Europarat so zahlreiche und so enge Bindungen wie mlich.

3) Die Gemeinschaft soll die Montan-Gemeinschaft und die Verteidigungsgemeinschaft in sich aufnehmen und ihrer politisch-demokratischen Kontrolle unterstellen.

Sie hat ferner schrittweise eine umfassende wirtschaftliche Integration und insbesondere einen einheitlichen Markt zu schaffen. Hierbei ist die Notwendigkeit zu berksichtigen, das wirtschaftliche Gleichgewicht aufrechtzuerhalten und tiefgreifende Stungen auf wirtschaftlichem oder sozialem Gebiet zu verhen. Zu diesem Zweck knen Sicherheitsvorschriften sowie Ausgleichsmassnahmen vorgesehen werden.

4) Die institutionen der Gemeinschaft sind nach folgenden Grundsätzen zu gestalten: Gewaltentrennung; Zweikammersystem unter grundsätzlicher Aufrechterhaltung des Ministerrats; in diesem System Einrichtung einer Vkerkammer, die aus direkten europäischen Wahlen

hervorgeht; unabhängiger Gerichtshof der Gemeinschaft.

III) Weiteres Verfahren.

1) Die Konferenz sollte zu dem Beschluss fren, dass die Aussenminister selbst alle grundsätzlichen Entscheidungen zu treffen haben. Zur Vorbereitung der Sitzungen der Aussenminister und ihrer Entscheidungen treten nach Bedarf die Stellvertreter der Minister und Sachverständige zusammen.

2) Es wäre zweckmässig, wenn die Konferenz zunächst folgende Punkte den Ministerstellvertretern und Sachverständigen zur Untersuchung ertragen wde mit dem Auftrag, zu dem naher festzusetzenden Termin einer erneuten Aussenministerkonferenz Vorschläge zu unterbreiten er die mit der Dauer des Vertrages zusanmenhängenden Fragen;

die mit dem Zweikammersystem und dem Ministerrat zusammenhängenden Fragen; die mit der wirtschaftlichen Integration zusammenhängenden Fragen.

29 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

29 2 Trasmessa con Telespr. riservato 13982/1686 del 31 luglio da Pinna Caboni al Ministero degli Esteri (ibidem). Con T. 9094/119 del 28 luglio, egli aveva riassunto il contenuto del memorandum, comunicando al Ministero: «Promemoria preannunciatomi ieri da Blankenhorn è stato stamane inviato a François Poncet. Nel farmene pervenire copia con preghiera di informare V.E. del suo contenuto, Hallstein ha tenuto ripetere che nell’interesse dell’idea europea Adenauer considera sommamente desiderabile che Conferenza Baden registri qualche risultato concreto. Promemoria rispecchia pensiero tedesco su lavori Comunità politica nella forma approvata ieri sera da Cancelliere Federale» (ibidem).

29 3 Dal Governo tedesco era stata consegnata all’Ambasciatore François-Poncet ed anche all’Ambasciata italiana in Bonn per conoscenza il 27 luglio una traduzione in italiano del testo del memorandum, del seguente tenore: «a) Rinnovata la constatazione che i Sei Paesi sono fondamentalmente concordi sulla necessità della creazione di una Comunità politica europea, il comunicato finale dovrebbe dichiarare che i Ministri esteri dei Sei Paesi concordano con la concezione espressa nel comunicato della Conferenza dei Ministri Esteri a Washington del 15 luglio corrente anno, nel senso che la formazione di una Comunità europea stabile e sicura rappresenta un essenziale contributo alla pace mondiale e che questa Comunità rappresenta di per sé stessa una esigenza che prescinde dall’attuale tensione internazionale. Nel comunicato finale dovrebbe inoltre venire espresso che i Sei Stati riaffermano nuovamente con fermezza la loro determinazione di portare a termine senza indugi e con ogni energia i lavori per la formazione della Comunità Politica. b) La Conferenza Ministri Esteri Baden Baden dovrebbe constatare il comune accordo sulle seguenti importanti questioni particolari e con ciconfermare di nuovo sostanzialmente il contenuto dell’articolo 3 della CED, la risoluzione di Lussemburgo e i risultati delle precedenti Conferenze dei Ministri Esteri dei Sei Paesi:1) Deve essere formata una Comunità Politica che eserciti funzioni sopranazionali ma lasci intatta la personalità sovrana degli Stati; 2) Questa Comunità deve essere aperta a tutti gli Stati europei che si impegnano al rispetto dei diritti dell’uomo. Anche Stati che non sono membri possono entrare nella Comunità in un rapporto di associazione. La Comunità…intrattiene col Consiglio Europa legami per quanto possibile numerosi e diretti; 3) La Comunità deve assorbire in sé la Comunità Carbone Acciaio e la Comunità di Difesa e sottoporle al proprio controllo politico democratico. Essa inoltre deve realizzare progressivamente un’ampia integrazione economica e in particolare un mercato comune. A questo proposito è da tener presente la necessità di salvaguardare l’equilibrio economico e di evitare profondi turbamenti nel settore economico e sociale. A questo scopo possono essere previste disposizioni di salvaguardia e perequazione. 4) Le istituzioni della Comunità dovrebbero essere configurate secondo i principii seguenti: – Separazione dei poteri. – Sistema bicamerale e mantenimento in linea di massima del Consiglio Ministri – Creazione in questo sistema di una camera dei popoli eletta con elezioni europee dirette. – Corte di Giustizia indipendente. c) – Procedura ulteriore: 1) La Conferenza dovrebbe giungere alla conclusione che i Ministri degli Esteri devono prendere essi stessi tutte le decisioni fondamentali. Sostituti dei Ministri e gli esperti si riuniscono a seconda delle necessità per la preparazione delle sedute dei Ministri Esteri e delle loro decisioni; 2) Sarebbe utile se la Conferenza trasmettesse anzitutto i seguenti problemi all’esame dei sostituti e degli esperti, con l’incarico di sottoporre proposte a una nuova Conferenza dei ministri Esteri; da fissare a data ravvicinata; – questioni inerenti alla durata del Trattato; – questioni inerenti al sistema bicamerale e al Consiglio dei Ministri – questioni inerenti all’integrazione economica» (ibidem).

30

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

Appunto urgente 21/2693(2). Roma, 29 luglio 1953.

Oggetto: CPE. Riunione dei sei Ministri degli Esteri a Baden Baden (7 agosto).

Si fa seguito all’appunto 20/2610 del 20 corrente(3).

Per quanto riguarda i riflessi, nei riguardi della riunione di Baden Baden, della nuova posizione determinatasi per il Governo Italiano, si fanno presenti le seguenti considerazioni riferentisi naturalmente ad aspetti puramente internazionali della situazione:

1) – Il Cancelliere Adenauer annette grandissima importanza a che la riunione venga tenuta come previsto. Uno dei principali motivi del resto per il quale essa venne decisa è stato appunto quello di favorire il Cancelliere sul piano interno in relazione alle imminenti elezioni. Ancora il 23 corrente Blankenhorn ha pregato espressamente la nostra Ambasciata in Bonn di ripetere al Governo Italiano quanto il Cancelliere tenga alla riunione. Blankenhorn si è dichiarato estremamente preoccupato, riflettendo analoghe preoccupazioni di Adenauer, anche della impressione negativa che specie in America potrebbe produrre un semplice rinvio

2) – Non bisogna nasconderci che, in realtà, un rinvio a lunga scadenza produrrebbe effettivamente una impressione negativa sia negli Stati Uniti sia nelle opinioni pubbliche dei Paesi interessati.

3) – Questo Ministro d’Olanda, Boon, ha ancora ieri fatto presente che, a modo di vedere del Governo Olandese, sarebbe in questo momento particolarmente grave se la riunione venisse rinviata; sì che esso si augurava che la riunione stessa potesse aver luogo anche nella deprecabile ipotesi che il Governo Italiano non ottenesse la fiducia del Parlamento. È stata al riguardo ricordata la posizione di Bidault al Convegno di Parigi.

4) – Analoghe considerazioni ci sono state fatte da questa Ambasciata del Belgio.

5) – Per quanto riguarda la data di un eventuale rinvio occorre ricordare (a parte il fatto che alcuni Ministri – e questo risulta in maniera specifica per Beyen – hanno predisposto le loro vacanze a partire dalla seconda decade di agosto) che il Cancelliere Adenauer, nella riunione di Parigi, sottolineche avrebbe trovato particolare difficoltà a dedicarsi ad una riunione del genere nelle ultime settimane che precedono le elezioni tedesche, fissate per i primi di settembre.

Sembra comunque inevitabile che, se V.E. non pupartecipare alla riunione, il 7 agosto, venga richiesto subito un rinvio, come fece per analogo motivo il Ministro Bidault nei riguardi della Conferenza di Roma. Occorrerebbe che il rinvio fosse richiesto per il pibreve termine possibile (Bidault chiese 15 giorni), lasciando se mai ad altri la responsabilità di non potersi accordare sulla nuova data e quindi prolungarla ancora:

V.E. vorrà cortesemente indicare quale termine di rinvio ritiene opportuno proporre.

30 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

30 2 Diretto per conoscenza a Benvenuti, Del Balzo e Corrias.

30 3 Vedi D. 27, nota 2.

31

L’INCARICATO D’AFFARI A BONN, PINNA CABONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto urgente 9249/123(1). Bad Godesberg, 31 luglio 1953, ore 14,25 (perv. ore 18,30).

Blankenhorn mi ha convocato stamane per pregarmi, per espresso incarico del Cancelliere, di far nuovamente presente vivissimo desiderio e fiducia Adenauer che riunione Baden Baden possa essere presieduta da V.E. il sette agosto. Mi ha inoltre detto che qualora presenza V.E. non fosse assicurata, dovrebbero ritenersi problematiche anche venuta di Bidault e partecipazione dello stesso Cancelliere. In questa ipotesi, egli ha aggiunto, riunione acquisterebbe tutt’altro carattere, e Governo federale terrebbe molto a che cipotesse essere evitato(2).

31 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

31 2 Pinna Caboni aveva riferito anche telefonicamente riguardo all’incontro con Blankenhorn, secondo quanto comunicato da Plaja a Zoppi con appunto urgente, pari data, aggiungendo: «Blankenhorn ha tenuto a ripetere quale importanza abbia la riunione di Baden Baden da ogni punto di vista per la Germania e per il Cancelliere Adenauer: si tratta infatti della prima conferenza internazionale a così alto livello che viene tenuta dopo la guerra. Dato sovratutto l’oggetto della conferenza, Blankenhorn pensa che la presenza di S.E. De Gasperi è indispensabile poiché la sua personalità costituisce elemento fondamentale per la riuscita della riunione stessa, anche nel caso – anzi forse proprio nel caso – che ancora manchi a quel momento al Governo italiano l’investitura parlamentare» (ibidem).

32

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto urgentissimo 9384/507-508-509. Parigi, 4 agosto 1953, ore 13,29 (perv. ore 14,15).

Mi è stato detto da Bidault che il Governo francese non ha deciso ancora se a Baden Baden andrà lui o un altro delegato. Egli mi ha assicurato che questa decisione è del tutto indipendente da chi rappresenterà l’Italia. Insistentemente mi ha chiesto che, anche qualora

V.E. non intervenisse personalmente, il delegato italiano non ceda ad altri la presidenza. L’eventuale proposta di tenere sotto la presidenza di Adenauer la Conferenza, che già suscita tante contestazioni in Francia, provocherebbe qui una tale reazione da obbligare il rappresentante francese ad andarsene. Egli mi ha spiegato che la insistenza con cui si è detto che le decisioni della conferenza di Washington corrispondevano ai desiderata dei tedeschi e la lettera di Eisenhower ad Adenauer(2), ha finito per creare qui l’impressione che il rappresentante francese ha dovuto piegarsi non alle esigenze americane ma alle esigenze tedesche e che è stata la Germania assente a dominare di fatto la Conferenza. Come era da attendersi, la reazione è stata qui forte ed il Governo francese non può non tenerne conto. La delicatezza della situazione è creata appunto dal fatto che l’occidente è obbligato a fare la campagna elettorale per Adenauer e che tutto quello che si dice o si fa per la Germania ha effetto negativo su larghissimi settori dell’opinione pubblica francese. Si osserva da parte del Governo francese che la Conferenza si tiene in un momento in cui il Governo tedesco è alla vigilia delle elezioni, il cui risultato pumetterlo anche in grandi difficoltà a continuare la politica finora seguita; il Governo francese è estremamente instabile e solo garantito da sorprese dalla momentanea vacanza parlamentare; il Governo italiano è ancora in formazione. In queste condizioni data la delicatezza della situazione delle tre principali Potenze interessate, è evidente per tutti che la Conferenza si tiene principalmente se non esclusivamente per fare propaganda elettorale per Adenauer. Si ritiene da Francia che questo possa essere pericoloso per stessa causa europea. Se in favore Adenauer, perché fa politica europea, si getta tutto il peso dell’occidente si portano naturalmente i suoi avversari a accentuare il loro atteggiamento antieuropeo. Difficoltà ripescare politica europea, per quello che concerne Germania, in caso insuccesso Adenaeur anche relativo, saranno tanto maggiori quanto più in favore di Adenauer stesso si sarà scoperto l’Occidente.

Da complesso informazioni in suo possesso, ritiene anche che Adenauer si sbagli ritenendo che gli giovino di pinella campagna elettorale tutti questi interventi stranieri in suo favore. Nel suo stesso partito egli ha già molte opposizioni per suo carattere estremamente autoritario. Per lui non è (ripeto non) vantaggio, dal punto di vista elettorale, apparire come «uomo dello straniero» nell’atmosfera di rinascente sentimento nazionale che caratterizza l’attuale situazione tedesca. Non bisogna dimenticare che sono ex nemici della Germania la grande maggioranza delle Potenze che oggi aiutano Adenauer. Ci sono oltre a questo difficoltà francesi. Francia nelle attuali condizioni, come mi aveva detto varie volte, non poteva andare oltre conferenza sostanzialmente formale che prescrizione, decisioni e termini Commissione ad hoc. E cioè generica riaffermazione principio di cui tutti siamo d’accordo sostanzialmente: fissazione calendario per lavori esperti e delegati, fissato in maniera da poter cominciare lavori dopo elezioni tedesche in atmosfera maggiormente chiarificata, almeno su questo punto. Si aveva invece timore da parte francese di andare a Baden per trovarvi una specie di ponte unico degli altri cinque, cui scopo principale era quello di mostrare una Francia isolata ed unico ostacolo ad unificazione europea. Lui personalmente ed il Governo francese, erano molto riluttanti a prestarsi alla ripetizione in altro ambiente del giuoco fatto a Washington dagli inglesi. Per quello che concerne Italia ha molto recisamente smentito. Bidault ha continuato dicendomi avere spiegato molto onestamente a tutti le gravi difficoltà di fronte a cui il Governo francese si trova, che del resto non dovrebbero essere mistero per nessuno, se gli altri non vogliono tenerne conto non è colpa sua. Egli confida ancora che possano essere superate le difficoltà ma non è (ripeto non) con pressioni esterne che il Governo francese si aiuta. Mi ha detto, per quello che concerne i progetti olandesi ed in parte anche belgi nel settore economico, che si tratta di pazzie nella situazione attuale francese ed altri Paesi, quindi è solo disposto a rimettere allo studio di Commissione esperti la questione. Quanto mi ha detto Bidault circa esitazione e dissensi in seno al Governo francese a quanto mi consta, corrispondono a realtà. Sono realmente esitanti fra il desiderio reale di aiutare Adenauer che, con tutti suoi difetti, riconosce esser minor male il dubbio circa l’efficacia di quello che si sta facendo e più che reali difficoltà interne. Spero che all’ultimo momento prevalga il principio di breve partecipazione di Bidault, ma non ne sono sicuro.

32 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

32 2 Del 23 luglio: FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 207.

33

IL CAPO DELL’UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, PLAJA, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE, LEGAZIONI E DIREZIONI GENERALI(1)

Telespr. 21/2753(2). Roma, 4 agosto 1953.

Oggetto: Comunità Politica Europea. Questione integrazione economica. Progetto olandese.

Riferimento: telespresso 21/2202 del 16.6.1953.

A seguito del telespresso in riferimento, si trasmette in allegato, per opportuna documentazione, copia di un progetto, non ufficiale, di redazione degli articoli sulle attribuzioni economiche della CPE, consegnatoci ieri in via ufficiosa dal Ministro dei Paesi Bassi in Roma.

Allegato I

PROGETTO OLANDESE, NON UFFICIALE, DI REDAZIONE DEGLI ARTICOLI SULLE ATTRIBUZIONI ECONOMICHE DELLA CPE, RIMESSO DAL MINISTRO DEI PAESI BASSI IN ROMA IL 3.8.53

Projet de dispositions économiques du Traité portant Statut de la Communauté Européenne.

ARTICLE A.

1) La Communauté a pour mission d’assurer le relèvement du niveau de vie dans les États membres; notamment en créant des conditions favorables à une augmentation de la productivité, à une extension de la production et à un développement de l’emploi.

2) À cet effet, la Communauté stimule l’établissement progressif d’un marché commun, comportant la libre circulation des marchandises, des services, des capitaux, échanges internationaux aussi libres que possible avec les pays tiers.

3) La Communauté s’efforce de faire dresser par les États membres une politique commune dans la mesure nécessaire pour atteindre les buts visés au paragraphe premier.

4) Les attributions dont dispose la Communauté et les engagements pris par les États membres, pour l’accomplissement des missions visées ci-dessus, sont fixés par le présent chapitre.

ARTICLE B

Chaque État membre s’engage à suivre une politique intérieure propre à assurer la stabilité monétaire.

ARTICLE C

1) En vue de contribuer à la réalisation des objectifs visés à l’article A, les États membres instituent entre eux, dans un délai de dix ans, une Union douanière, comportant pour les échanges commerciaux à l’intérieur de la Communauté l’abolition des droits de douane et des restrictions quantitatives ainsi que dans les relations commerciales avec les pays tiers un système commun de droits de douane et de restrictions quantitatives.

Pour ce qui concerne les échanges commerciaux à l’intérieur de la Communauté les États membres s’abstiennent d’augmenter les droits de douane existant au moment de l’entrée en vigueur du présent Traité, ou d’introduire de nouveaux droits de douane, ils renoncent également à établir des restrictions quantitatives autres que celles existant pour les quantités et les produits déterminés au moment de l’entrée en vigueur du présent Traité.

2) L’établissement de l’Union douanière est effectué dans les conditions prévues au Proto-cole No…, faisant partie intégrante du présent Traité.

ARTICLE D

La Communauté est habilitée à proposer les mesures, visant à l’harmonisation de la politique économique, sociale, financière, fiscale et monétaire des États membres, qu’elle estime nécessaires pour l’établissement et le maintien du marché commun, tout en tenant compte de l’exigence d’échanges internationaux aussi libres et étendus que possible avec les pays tiers.

ARTICLE E

1) Lorsqu’il existe un danger immédiat de nature à provoquer un déséquilibre sérieux de balance de payement en comparaison avec ses réserves de devises un État membre peut saisir la Communauté d’une demande motivée en vue d’obtenir l’autorisation de prendre ou de maintenir des mesures relatives aux restrictions quantitatives en dérogation des dispositions découlant de l’article C.

2) S’il y a lieu pour la Communauté, après consultation du Fonds Monétaire International, de reconnaître l’existence d’une telle situation, elle autorise l’État membre demandeur à prendre pour une période déterminée les mesures dérogatoires nécessaires.

3) La Communauté peut donner une autorisation provisoire, valable jusqu’au moment de la décision finale, résultant de l’examen prévu au paragraphe précédent; cette autorisation ne préjuge nullement sur la décision finale.

4) Le Conseil exécutif européen ainsi que tout État membre intéressé peut former un recours contre les mesures prises par l’État membre demandeur en vertu de l’autorisation prévue au paragraphe 2 ci-dessus, s’il estime que lesdites mesures ne sont pas justifiées par les objectifs pour lesquels l’autorisation a été délivrée ou ne tiennent pas suffisamment compte des intérêts de la Communauté et des autres États membres.

5) L’État membre demandeur peut former un recours contre la décision finale de la Communauté, comportant refus de l’autorisation.

ARTICLE F

1) Lorsqu’un État membre estime qui, dans un cas déterminé, l’application de l’Article C est de nature à provoquer des troubles fondamentaux dans un secteur de son économie, il peut proposer à la Communauté un plan détaillé de mesures concrètes, destinées à faire face à la situation. Ce plan peut prévoir une aide à fournir par le Fonds Européen, visé à l’Article G, ainsi qu’une autorisation de la Communauté de prendre des mesures en dérogation des dispositions du Protocole pour une période déterminée.

2) La Communauté, en consultation avec les États membres, examine l’efficacité du plan dans la lumière des principes énoncés aux articles A et B, et décide, s’il y a lieu,

a) de donner une autorisation telle que prévue au paragraphe précédent,

b) de fournir une aide conformément aux dispositions de l’article G. La Communauté peut subordonner l’autorisation ou l’octroi d’une aide à la réalisation, par l’État membre demandeur, des mesures, qu’elle estime les plus appropriées pour faire face à la situation.

3) L’État membre demandeur peut formuler un recours contre la décision de la Communauté comportant refus de l’autorisation ou de l’octroi d’une aide ainsi que contre les conditions auxquelles l’autorisation ou l’octroi est soumis.

ARTICLE G

1) Il est institué un Fonds Européen, destiné à apporter, en cas de besoin une aide sous forme de garantie, d’emprunt ou de contribution, en vue de faciliter la réalisation du marché commun, visé à l’Article A et de l’Union douanière, prévue à l’Article C.

2) Le budget annuel du Fonds est établi suivant la procédure prévue pour la fixation du budget général de la Communauté.

3) Le Conseil Économique et Social de la Communauté peut être consulté sur la gestion du Fonds Européen.

4) Les dispositions des paragraphes précédents sont élaborées dans le Protocole No…, faisant partie intégrante du présent Traité.

ARTICLE H

1) Les dispositions de l’Article 55 s’appliquent aux propositions à faire en vertu des Articles A et D ci-dessus.

2) Les décisions, prévues aux Article E et F, sont prises par le Conseil Exécutif Européen sur avis conforme du Conseil des Ministres nationaux.

ARTICLE I

1) Le Gouvernement de chaque État membre présent chaque année au mois de janvier un rapport au Conseil Exécutif Européen, concernant les mesures prises en application des Articles B, C et D ci-dessus.

Le Conseil Exécutif Européen établit, sur la base de ces informations, un rapport annuel général sur la réalisation des objectifs de la Communauté visés au présent Chapitre, et le soumet avec ses conclusions au Parlement pour la première session ordinaire.

ARTICLE J

1) La Cour est compétente pour se prononcer sur les recours formés en vertu des Articles E, paragraphe 5, et F, paragraphe 3, pour autant que ces recours sont basés sur les motifs d’annulation, visés à l’Article 43. Toutefois, s’il est fait grief à la Communauté d’avoir violé le Traité ou une règle de droit relative à son application par une appréciation fausse de la situation économique telle que prévue aux Articles précités, l’examen de la Cour ne peut porter sur cette appréciation, sauf pour autant qu’il est prétendu que la violation est patente ou la décision entachée de détournement de pouvoir.

2) La Cour est compétente pour se prononcer sur les recours en annulation, formés par le Conseil Exécutif Européen ou un État membre contre les mesures prises en vertu de l’autorisation, visées à l’Article E, paragraphes 2 et 3, pour les motifs mentionnés au paragraphe 4 dudit article.

Toutefois, s’il est fait grief à l’État membre en cause de ne pas avoir suffisamment tenu compte des intérêts de la Communauté ou des autres États membres, l’examen de la Cour ne peut porter sur l’appréciation de ces intérêts sauf pour autant qu’il est prétendu que l’État membre a méconnu d’une manière patente lesdits intérêts ou que la mesure en litige n’est pas justifiée par les motifs pour lesquels l’autorisation a été délivrée.

3) Dans tous les cas autres que ceux visés aux deux paragraphes précédents, le recours est porté devant une Commission Consultative, composée du Président de la Cour, qui assure la présidence de la Commission, et de quatre experts, nommés par la Cour, sur requête de l’une des parties.

La Communauté, représentée à cet effet par le Conseil Exécutif Européen, est partie de droit aux litiges, dans lesquels un État membre invoque la méconnaissance des intérêts de la Communauté ou des États membres en vertu de l’Article E, paragraphe 4.

La Commission délibère à la majorité simple de ses membres.

L’avis peut comporter des propositions, tendant à concilier les prétentions opposées. L’avis est transmis au Conseil Exécutif Européen qui décide; la décision du Conseil est obligatoire pour les parties au litige. L’avis de la Commission est publié par les soins du Conseil.

La décision du Conseil ne peut s’écarter de l’avis de la Commission que sur avis conforme du Conseil des Ministres nationaux.

4) Les dispositions du paragraphe précédent concernant la composition et la procédure de la Commission Consultative sont élaborées dans le Protocole No…, annexé au présent Traité.

Allegato II

Esquisse du protocole visé à l’article C

Les buts à atteindre dans un délai de dix ans sont les suivants:

abolition totale des droits de douane et des restrictions quantitatives aux échanges entre les pays de la Communauté, ainsi que l’établissement d’un tarif commun des droits de douane et d’un régime commun de restrictions quantitatives à l’égard des pays tiers, pour autant que de telles restrictions s’avéreraient nécessaires.

Les problèmes essentiels que suscite la réalisation de ces objectifs sont énumérés ci-dessous.

1) Droits d’entrée

a) dans les échanges entre les pays de la Communauté

L’abolition des tarifs devra être générale et devra s’effectuer selon des méthodes progressives et automatiques. Elle devra être générale afin d’éviter les immobilisations résultant d’une application par secteur; elle devra être progressive pour permettre aux pays de s’adapter aux nouvelles situations; enfin elle devra être automatique pour assurer un progrès continu de l’abolition dans le délai convenu.

Tous les droits d’entrée devront être abolis dans un délai total de dix ans. Chaque année les droits sont abaissés de 10 pour cent par poste tarifaire. Un tel régime automatique pourra provoquer des déséquilibres temporaires; d’autre part tous les autres systèmes présentent des inconvénients tels, que la solution proposée semble préférable.

Afin d’éviter une disparité excessive entre les sacrifices à supporter par les pays membres pendant la période envisagée, il est proposé de fixer un certain pourcentage au-dessous duquel il n’existe pas d’obligations d’abaisser les droits d’entrée jusqu’au moment oles tarifs de tous les états membres ont atteint le dit pourcentage. Ce moment venu, l’abolition des droits d’entrée, par poste tarifaire, devra s’effectuer en quelques étapes selon une méthode commune. Les postes tarifaires soumis à un droit d’entrée égal ou inférieur au dit pourcentage, pourront donc selon cette procédure être maintenus pendant quelques années sur le niveau existant. Le pourcentage mentionné sera différent pour les matières premières, pour les demi-produits et pour les produits finis.

Le système développé ci-dessus diffère, en ce qui concerne son objectif, des autres projets en matière tarifaire proposés dans le passé sur le plan international. En effet, ceux-ci visaient en général ou bien la suppression de la disparité des droits de douane, ou bien uniquement l’abolissement du niveau général des tarifs. Par contre le système ici proposé vise l’abolition totale des tarifs dans l’intérieur de la Communauté.

b) dans les échanges avec les pays tiers

Un régime tarifaire commun envers les pays tiers, basé sur une nomenclature uniforme, devra être élaboré à bref délai, tant en vue de renforcer et d’éclaircir la position envers l’extérieur qu’en vue d’éviter dans la mesure possible une confusion des idées à l’intérieur de la Communauté. Cependant, il ne faudra pas attendre la réalisation du régime tarifaire commun envers les pays tiers avant d’entamer la suppression progressive des tarifs existants dans les échanges entre les pays de la Communauté. Après que quelques abaissements périodiques des tarifs seront réalisés, il sera nécessaire de se former une idée claire du tarif commun à appliquer par la Communauté envers des pays tiers; en effet, si l’importation notamment des matières premières et des demi-produits s’effectue par l’intermédiaire d’un État membre dans le territoire des autres États membres, cela peut avoir pour effet l’abaissement du prix de revient et, par conséquent, l’amélioration en général du pouvoir concurrentiel; il n’en reste pas moins que pour certains cas des difficultés peuvent en résulter.

La position économique des six pays de l’Europe occidentale dans le trafic commercial mondial nécessite le plus grand pouvoir concurrentiel possible de la Communauté. L’isolation économique de la Communauté par le moyen d’un tarif élevé à la frontière extérieure est donc incompatible avec le but et susceptible de menacer l’existence même de la Communauté.

Un tarif généralement peu élevé à la frontière extérieure a pour effet d’assurer l’entrée à bas prix de matières premières et auxiliaires; d’autre part, vu la protection assez faible qui en résulte, un tel tarif stimule à porter l’efficience au niveau le plus élevé possible. Une pareille efficience est à son tour favorable à la position de la Communauté sur les marchés d’exportation ainsi qu’aux acheteurs sur le marché intérieur.

Pour l’élaboration du tarif commun, il faudra donc retenir comme norme les droits les plus bas existants dans la Communauté.

Restrictions quantitatives.

a) dans les échanges internes de la Communauté

L’abolition des restrictions quantitatives doit porter tant sur les importations que sur les exportations.

Pour les importations on peut prendre comme point de départ le niveau de libération que les pays ont atteint dans le cadre de l’OECE. Vu le pourcentage atteint par la plupart des six pays, c. à d. 90% ou plus, il ne s’agit en général, que de restes d’un control quantitatif, dont la liquidation, dans un délai de quelques années, ne doit pas être estimée impossible. Il est vrai que les secteurs qui n’ont pas encore été libérés comportent souvent les positions les plus difficiles.

Le but de l’abolition des restrictions quantitatives à l’exportation est principalement d’assurer, aux pays partenaires, sur un pied d’égalité, l’accès aux ressources et aux produits de l’ensemble de la Communauté.

b) dans les échanges avec les pays tiers

Au fur et à mesure de l’abolition des restrictions quantitatives dans les échanges commerciaux internes de la Communauté, il sera nécessaire de poursuivre une politique commune ence qui concerne les restrictions quantitatives que les pays auraient à maintenir envers les pays tiers, et cela tant à l’importation qu’àl’exportation.

33 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE

33 2 Diretto alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso la NATO, la CED e l’OECE a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici, della Cooperazione Internazionale, Ufficio III.

34

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto segreto(2). Roma, 10 agosto 1953.

APPUNTO SULLA RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DELLA COMUNITA’ EUROPEA

(Baden Baden, 7-8 agosto 1953)

Allorché, nella loro riunione di Parigi del 22 giugno, i sei Ministri della Comunità Europea decisero di dare vita, prima delle elezioni politiche tedesche, ad un loro nuovo incontro e fissarono quale data il 7 agosto e quale località Baden Baden, non mancarono accenni, di stampa e di Cancelleria, di scetticismo circa la possibilità che la nuova riunione – in considerazione anche dell’evoluzione politica internazionale – potesse effettivamente avere luogo.

Viceversa l’incontro, dopo brevi momenti di incertezza dell’ultima ora, causati in parte dalla crisi politica italiana, circa un qualche rinvio della data fissata, ha avuto luogo e, tutto sommato, ha costituito – contrariamente a previsioni avanzate fino all’ultimo momento – un certo successo ed una pagina indubbiamente costruttiva nel complesso e difficile cammino verso l’integrazione europea.

Così a Baden Baden, esattamente alla data del 7 agosto 1953, si sono riuniti, sotto la Presidenza di turno del Rappresentante italiano, On. Taviani, Ministro del Commercio Estero ed appositamente delegato dal Presidente On. De Gasperi: per la Repubblica Federale Tedesca, il Cancelliere Adenauer accompagnato dal Segretario di Stato Hallstein e dai Direttori Generali Blankenhorn e von Maltzan; per la Francia, il Ministro degli Affari Esteri Bidault, accompagnato dal Segretario Generale del Quai d’Orsay, Parodi e dal Direttore Politico di Europa Seydoux; per il Belgio, il Ministro degli Affari Esteri van Zeeland, accompagnato dai Ministri Plenipotenziari de Staercke e Walravens; per i Paesi Bassi, il Ministro degli Affari Esteri Beyen, accompagnato dall’Ambasciatore van Starkenborgh e dai Direttori Generali Fock e Eschauzier; per il Lussemburgo, il Ministro degli Affari Esteri Bech, accompagnato dal Ministro Majerus. Con il Ministro Taviani erano, per l’Italia, il Direttore Generale per la Cooperazione Internazionale di Palazzo Chigi, Magistrati, ed i Direttori Generali Aggiunti per gli Affari Politici e per gli Affari Economici, Giustiniani e Prato.

Questa volta era presente anche il Segretariato del Consiglio dei Ministri della Comunità, sotto la guida del Segretario Calmes.

La circostanza, di indubbio significato, per cui per la prima volta nel dopoguerra una Conferenza Internazionale di notevole importanza veniva tenuta su suolo tedesco, ha contribuito indubbiamente a dare all’incontro un carattere alquanto particolare ed il Governo della Repubblica Federale di Bonn non ha mancato di dare ad esso una cornice ed una atmosfera di molto rilievo.

L’ordine del giorno, predisposto a cura della Delegazione Italiana, nella sua qualità di organizzatrice di turno della Conferenza e che non aveva, in precedenza, sollevato obiezioni, comportava quale argomento iniziale una continuazione dell’esame, da parte dei singoli Ministri, di questioni di sostanza relative al Trattato per la costituenda Comunità Politica Europea: argomento, questo, che nella riunione di Parigi del 22 giugno, aveva trovato ben poca rispondenza tanto nella discussione, quanto nel suo comunicato finale(3).

Anche questa volta, all’inizio dell’incontro, si sono verificati silenzi ed interrogativi quasi che nessun Ministro volesse direttamente abbordare, sotto un profilo tecnico oltre che politico, i primi problemi – dei quali alcuni indubbiamente scottanti – relativi al futuro Statuto Europeo.

Ed allora è stato il Delegato Italiano, On. Taviani, a prendere per primo una certa posizione e ad indicare alcune idee del Governo Italiano, tanto in merito alle istituzioni della futura Comunità, quanto nei riguardi delle sue attribuzioni. Così egli, circa il Parlamento e nel rilevare come possa oramai considerarsi acquisito il fatto che esso verrà ad essere bicamerale, ha ripetuto il concetto della assoluta opportunità che uno dei suoi rami e cioè la Camera dei Popoli, sia eletta a suffragio universale e diretto.

Quanto al sistema di elezione (proporzionale o uninominale) ciascun Paese sarà libero di adottare le modalità che potranno apparirgli maggiormente adatte. Circa la composizione del Parlamento stesso, da parte italiana, si considera accettabile che nel Senato la rappresentanza dei singoli Paesi possa essere paritaria con l’adozione invece per la Camera dei Popoli – quale naturale conseguenza – del principio della ripartizione dei seggi in proporzione diretta al numero degli elettori di ciascuno Stato, salvo qualche necessario correttivo, alla base od all’apice per i Paesi di piccolissima o grande popolazione.

Circa l’Esecutivo della Comunità, l’On Taviani, nel ricordare come questa debba comunque mantenere il carattere di una organizzazione politica, ha affermato che i settori ed i poteri da attribuirsi all’Esecutivo stesso, anche se, specie in un primo tempo, limitati e ristretti, non possano non essere chiaramente stabiliti in modo che esso sia messo in posizione di agire con piena responsabilità. Quanto al Consiglio dei Ministri Nazionali, il suo controllo dovrà esercitarsi, eventualmente all’unanimità ma soltanto su di un certo numero di decisioni chiave espressamente determinate in modo che esse siano in armonia con le esigenze degli Stati Membri. In altre parole sarà opportuno che quel controllo non sia tale da imporsi all’intero funzionamento della Comunità.

Circa infine le attribuzioni della Comunità stessa, l’On. Taviani, pur ripetendo come da parte italiana si sia dato l’assenso, fin dal primo momento, alla proposta olandese perché il settore economico abbia, con l’eventuale futura creazione di un mercato comune, particolare rilievo ed importanza, non ha mancato di porre in risalto come, da parte italiana, si ritenga necessario conservare, al futuro Statuto, un equilibrio generale senza quindi creare, in tema di attribuzioni, eccessivi approfondimenti e specializzazioni di questo o di quel settore: si rischierebbe altrimenti di lasciare nell’ombra altri aspetti essenziali della futura integrazione.

Queste dichiarazioni italiane hanno dato «il via» ad esposizioni ed affermazioni, più o meno limitate, da parte degli altri Rappresentanti, e tali da confermare nel complesso le tendenze, già note, esistenti nei diversi Paesi. Così da parte olandese e belga si è ritornati sulle attribuzioni economiche, anche se in forma meno drastica di quanto si era verificato in riunioni precedenti, mentre da parte francese è apparsa evidente la tendenza a limitare per quanto possibile l’estensione delle attribuzioni stesse ed a marciare con i piedi di piombo su qualsiasi altro terreno che non fosse quello già oggi precisato e costituito dalla CECA e dalla CED.

Di notevole rilievo – anche perché fuori dell’ordinario – è stato l’intervento del Ministro degli Esteri del Lussemburgo il quale, riferendosi a contatti da lui recentemente avuti con membri del suo Parlamento, si è dichiarato sempre più favorevole ad una estensione di controllo sull’attività della futura Comunità da parte del Consiglio dei Ministri Nazionali e ha posto in rilievo i pericoli che verrebbero costituiti dalla creazione di una «superburocrazia» destinata a rendersi indipendente ed arbitra delle future decisioni: chiaro, anche se indiretto, accenno a talune difficoltà che l’attività dell’Alta Autorità della CECA deve già creare attualmente in seno al Lussemburgo. Quanto alle future attribuzioni della Comunità stessa, il Ministro Bech ha, in materia economica, elevato fin da ora un grido d’allarme circa la sorte che sarebbe riservata all’agricoltura del suo Paese, qualora, almeno in un primo periodo, non venissero messe in azione opportune clausole di salvaguardia e ha inoltre fatto presente le difficoltà che sorgerebbero nel suo Paese qualora dovesse venire senz’altro accettato il principio della libertà dei movimenti di mano d’opera.

Tutto sommato, per dalla discussione è emerso chiaramente – e contrariamente, si ripete, alle previsioni da taluni avanzate prima della Conferenza – un notevole spirito di collaborazione inteso a facilitare gli sviluppi dei futuri lavori: e così, da parte di tutti e nell’abbordare senz’altro il «Calendario» delle prossime riunioni si è stabilito finalmente di dare vita a quella riunione di Sostituti e di Esperti, già prevista fin dall’incontro di Parigi del 12 maggio e che non ha trovato fino ad oggi il modo di realizzarsi. Essa avrà luogo a Roma il 22 settembre in modo che le sue prime conclusioni e l’esito dei suoi primi lavori potranno essere presentati ad una nuova riunione dei sei Ministri prevista all’Aja per il 20 ottobre.

Molto facilmente sono state sorpassate anche le questioni relative tanto alla presenza, ai futuri lavori, di «Osservatori», quanto alla richiesta, avanzata dal Presidente Spaak e da von Brentano, a nome dell’Assemblea ad hoc, ed intesa ad ottenere la collaborazione dell’Assemblea stessa, e particolarmente della sua Commissione Costituzionale, alla futura attività della Conferenza dei sei Ministri(4). Per la prima delle due questioni si è stabilito di riprenderla in esame al momento ritenuto opportuno e che i contatti verranno presi, tra i sei Paesi, circa tale argomento, per via diplomatica, mentre per la seconda è stato deciso che, nel futuro incontro dei Sostituti e degli Esperti, questi, qualora cidovesse rendersi necessario, verrebbero autorizzati a chiedere l’intervento informativo di membri dell’Assemblea ad hoc che abbiano particolarmente concorso alla formazione del noto Progetto di Statuto per la Comunità Europea.

Si è esaurita così la prima parte della riunione. E ad essa ha fatto subito seguito – allo scopo di guadagnare tempo – una convocazione di un comitato di redazione per il comunicato conclusivo della Conferenza. E qui si sono rivelati quei contrasti che, al tavolo dei sei Ministri, erano stati previsti ma non si erano verificati. Così da parte tedesca (ed il Governo di Bonn aveva già, come è noto, fatto circolare in precedenza un suo progetto di comunicato) si è insistito con ogni mezzo perché questa volta venissero presentati alle opinioni pubbliche, attraverso il comunicato stesso, maggiori precisazioni e maggiori risultati circa il lavoro «costituzionale» inteso a favorire il processo integrativo europeo. E da parte francese invece quell’atteggiamento di guardinga riserva e di assoluta staticità, al quale si è fatto già accenno, si è solidificato nel comportamento e nelle affermazioni dei Rappresentanti del Quai d’Orsay. Piuttosto avanti invece questa volta sono apparsi i Rappresentanti del Benelux e specialmente quelli del Belgio che opportunamente hanno appoggiato l’azione italiana intesa ad ottenere il massimo possibile di contenuto nel comunicato, pur senza addivenire a posizioni atte a creare una pericolosa rottura tra francesi e tedeschi.

Ben sette ore di discussioni notturne (la seduta di questo Comitato di redazione è terminata alle cinque del mattino mentre il sole già illuminava in pieno la Foresta Nera!) hanno finalmente portato ad un accordo con un certo cedimento dell’intransigenza francese con la compilazione di una bozza di Comunicato, che in seguito approvato, con alcune modificazioni dei Ministri, (il testo finale è qui integralmente unito(5)) contiene indubbiamente – e per la prima volta – argomenti ed indicazioni di notevole rilievo circa i principi che dovranno condurre alla costituzione della Comunità Politica Europea. Forse l’imminente visita di Bidault a Bonn, il cui annunzio è stato appunto dato a Baden- Baden, ed una certa disillusione del dirigente del Quai d’Orsay in merito alla risposta sovietica alla Nota alleata per l’incontro Quadripartito, hanno finito per influenzare l’atteggiamento finale dei Rappresentanti di Parigi.

La seduta del giorno 8 è stata invece interamente dedicata al previsto scambio di idee sulle questioni di politica internazionale interessanti i sei Paesi. E qui si è rivelato sempre più utile quell’accordo di fatto in precedenza verificatosi, per cui è stato [sic] oramai definitivamente ammessa l’inclusione, negli ordini del giorno delle Conferenze dei sei Ministri, di questi «scambi di idee»: si è così a poco a poco e molto utilmente creato un certo «direttorio» di politica estera tra i sei Paesi e si è così dato in pratica e fin da oggi attuazione ad una delle «attribuzioni», previste per la futura Comunità, in tema di connessione nel campo della attività internazionale dei Paesi stessi.

Anche questa volta il primo ad entrare in argomento è stato il Cancelliere Adenauer il quale, nel nuovamente rievocare i fatti di Berlino del 17 giugno e le loro conseguenze, ha messo in rilievo come – dalle notizie venute recentemente in suo possesso

– possano confermarsi un orientamento antisovietico di tutta la Germania orientale ed una tendenza della sua giovente delle sue classi lavoratrici verso i principi della libertà occidentale. A Berlino, durante quei fatti, le proprietà private sono state scrupolosamente rispettate dai dimostranti i quali hanno manifestato la loro avversione soltanto nei riguardi delle istituzioni filo-comuniste e delle loro sedi.

La recentissima Nota sovietica di risposta agli alleati(6)– ha aggiunto il Cancelliere

– deve essere praticamente considerata un rifiuto in merito alle libere elezioni generali in Germania e l’accenno, in essa contenuto, alla Cina comunista, sta a dimostrare come a Mosca un contrasto di direttive di tendenze oggi esista e sia destinato probabilmente a consolidarsi. Si cercherebbe altrimenti colà di facilitare la distensione, semplificando le questioni e non accumulando invece nuovi elementi di difficile composizione.

Ma occorre anche non dimenticare come oggi la Russia consideri la sua politica soltanto in funzione ed in contrasto con gli Stati Uniti. Tutti gli altri elementi sono per essa quantità trascurabili. Ed in questo conflitto il Cremlino conosce perfettamente come l’Unione Sovietica, anche se in progresso in tema di energia atomica, non potrà mai possedere le riserve e le capacità produttive degli Stati Uniti nei settori del ferro, dell’acciaio e del carbone. Soltanto una caduta, nelle mani sovietiche, delle attrezzature produttive esistenti nella Germania occidentale, nella Francia settentrionale ed in Belgio potrebbe ristabilire l’equilibrio in tale decisivo settore e capovolgerebbe probabilmente l’attuale situazione. Ecco quindi – ha concluso il Cancelliere – come sia sempre pievidente e necessaria l’integrazione difensiva occidentale europea. Oggi i sei Paesi – ed occorre non dimenticarlo – sono sempre sotto la diretta minaccia di ben 170 Divisioni sovietiche alle quali si uniscono 70-80 Divisioni dei Satelliti. La distensione in Europa e nel mondo potrà avvenire soltanto il giorno in cui l’Unione Sovietica sarà definitivamente convinta dell’impossibilità di ottenere il sopravvento sulle forze del mondo che proteggono la civiltà occidentale. Da cila necessità assoluta di vedere affrettato il processo integrativo ed unificatore europeo.

Il Ministro Bidault si è dichiarato sostanzialmente d’accordo con il Cancelliere Adenauer circa la valutazione effettiva della Nota sovietica. Questa non costituisce, formalmente, un vero rifiuto a trattare (ed anzi una buona parte della stampa europea ha finito per proclamarne un aspetto positivo) ma in realtà quella pretesa accettazione modifica tutti i termini della proposta alleata confondendone sostanzialmente tutti gli elementi favorevoli. Col passare sotto silenzio le proposte elezioni libere in Germania e la creazione di un futuro Governo libero tedesco e con lo smisuratamente allargare la cornice ed i termini del problema della distensione, i Russi apportano, in pratica, un elemento nettamente controproducente ai fini della conversazione. Non si può quindi nascondere l’impressione che l’Unione Sovietica abbia oggi ben poche intenzioni di venire davvero ad un tavolo di pratiche ed efficaci trattative.

Tutto ciò– ha continuato, in termini particolarmente brillanti, il Ministro Bidault – non può non porre sempre pialla ribalta il pericolo di uno sbandamento delle opinioni pubbliche occidentali in quanto che esiste indubbiamente in non pochi Paesi una pregiudiziale tendenza ad accettare per buono, ai fini della distensione, qualsiasi atteggiamento sovietico, mentre è viceversa chiaro che tutta la politica del Cremlino è portata alla creazione di un’Europa divisa ed incerta. Quel lavoro quindi, fatto presente dal Cancelliere Adenauer ed inteso a facilitare l’affermazione della politica di unificazione europea, deve essere non abbandonato ed anzi intensificato. Occorrerà però tenere il massimo conto delle opinioni pubbliche sulle quali e con le quali occorre costruire il nuovo edificio dell’Europa.

Il Ministro van Zeeland, a sua volta, ha ricordato le conseguenze della morte del Dittatore sovietico in tema di manovre distensive del Governo di Mosca. Evidentemente si è entrati ora in un periodo di possibili ed auspicabili negoziati ma questi, ai fini dei Paesi occidentali, saranno indubbiamente resi più facili da una vera ed effettiva unione dei Paesi europei, tanto nel quadro atlantico quanto in quello della costituenda Comunità. Comprensione, quindi, ma coordinazione e fermezza senza «complessi di inferiorità» e senza sbandamenti nelle pubbliche opinioni. A questo scopo la riunione di Baden Baden ed il Comunicato ad essa relativo potranno costituire un elemento positivo di indubbio valore.

Il Ministro Taviani, nel riassumere l’interessante scambio di idee, e nel porre anch’egli in rilievo il significato, negli attuali momenti e sul piano della collaborazione europea, della riunione di Baden Baden, ha, con una nota opportuna di realismo, sottolineato le dichiarazioni del Ministro Bidault in tema di «disorientamento» delle pubbliche opinioni. Ed ha espresso il pensiero che l’importantissimo problema della coordinazione in tale settore dovrà essere posto, ormai, ed al più presto possibile, allo studio delle prossime Conferenze dei Rappresentanti dei sei Paesi.

La Conferenza – che è stata opportunamente completata da due cordiali riunioni conviviali offerte l’una, nella sua qualità di Presidente, dal Ministro Taviani e l’altra dal Cancelliere Adenauer, – si è conclusa con l’approvazione del Comunicato e con alcune dichiarazioni dei Ministri dinanzi ai numerosissimi giornalisti stranieri e tedeschi convenuti a Baden Baden. A questa Conferenza Stampa il Ministro Taviani, nell’illustrare il comunicato, ha affermato che la solidarietà europea occidentale, dopo la nota sovietica è oggi effettivamente un fatto concreto, di cui l’importanza ed il grande significato devono essere compresi ed acquisiti, in tutto il loro crescente valore, dalle opinioni pubbliche dei sei Paesi.

In riassunto:

1) la Conferenza di Baden Baden ha indubbiamente costituito – contrariamente, si ripete ancora una volta, a molte previsioni un «passo in avanti», in tema di integrazione europea. Per la prima volta nel Comunicato finale si è parlato di «funzioni sopranazionali» da esercitarsi da parte della futura Comunità e si è affermato che, nelle istituzioni della Comunità stessa, dovrà esistere un efficace controllo politico e democratico degli organi «esecutivi».

2) Ciò detto è evidente che gli ostacoli sono ben lungi dall’essere sorpassati. Se esiste una maggiore coscienza collettiva circa l’importanza ed il valore, anche ai fini politici contingenti, del processo integrativo europeo, sussistono tuttora le riserve ed i dubbi di taluni circa l’opportunità di inoltrarsi senz’altro su nuovi terreni, oltre quelli costituiti dalla CECA e dalla CED. E qui, come si è visto, gli atteggiamenti maggiormente discordanti tra loro sono quelli del Governo di Bonn e del Governo di Parigi.

3) La Delegazione francese, rappresentante, in linea di massima, le idee degli Uffici del Quai d’Orsay, è appunto apparsa estremamente guardinga e quasi ancora sulle posizioni dell’anno scorso allorché la Francia dichiarava di volersi attenere strettamente ai Trattati esistenti, in tema di integrazione europea, senza procedere sulla strada di nuove estensioni di accordi. In posizione piavanzata è apparso invece il Ministro Bidault, specialmente in tema di valorizzazione dei valori europei nell’attuale momento politico internazionale.

4) I Tedeschi si sono mostrati attivi e vivaci. Consapevole dell’importanza di vedere il suolo tedesco prescelto, per la prima volta, ed evidentemente anche ai fini di un sostegno elettorale, per una vera e propria Conferenza internazionale nella quale la Germania si è seduta in condizioni di assoluta parità, il Cancelliere Adenauer è apparso fiducioso ed ottimista su di un suo successo nelle prossime elezioni.

5) L’Italia ha fatto benissimo a conservare – anche nella sua situazione di crisi di Governo e nella forzata assenza del Presidente De Gasperi – la Presidenza della riunione grazie alla quale ha potuto svolgere una funzione coordinatrice e direttrice di indubbia importanza e di notevole significato. Occorre peraggiungere che è proprio sull’Italia che oggi appaiono mano a mano appuntarsi il maggiore interesse e la maggiore curiosità quasi che i progressi verso l’integrazione europea siano legati in buona parte alle capacità ed alle possibilità parlamentari dei futuri Governi Italiani. Non per nulla è stato pivolte da tutti messo in rilievo il valore e l’importanza dell’apporto sempre dato al problema dal Presidente De Gasperi verso la cui opera sono andati i sentimenti di riconoscimento e di apprezzamento dei Rappresentanti dei sei Paesi.

6) Il Belgio, nelle parole del Presidente van Zeeland, si è mostrato animato da spirito di collaborazione europea ed in certi momenti è sembrato anzi un elemento di propulsione sul cammino ingaggiato, mentre il Rappresentante olandese non ha svolto azione di particolare vivacità. Riservato e perplesso, nonché geloso degli interessi del suo Paese nel processo integrativo europeo, è apparso questa volta, in termini maggiormente precisi, il Rappresentante del Lussemburgo.

7) Si è evitato, questa volta, di fare il solito «giro di ispezione» circa la situazione esistente, nei confronti dei diversi Parlamenti, in tema di ratifica del Trattato CED e si è preferito invece porre, più o meno direttamente, in rilievo l’importanza del rafforzamento della difesa integrata europea anche ai fini delle future conversazioni con l’Unione Sovietica.

8) La Conferenza è stata improntata, dal punto di vista dei rapporti personali tra i Ministri e tra le Delegazioni a particolare cordialità: segno questo che in fondo, ed anche attraverso le mille sostanziali difficoltà, riunioni di tale natura, che portano a frequenti ed ormai regolari scambi di idee e di impressioni, costituiscono in Europa un elemento positivo che non va perduto di vista.

34 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78

34 2 Il documento reca il seguente timbro: «Visto dal Segretario Generale» e la sigla Zoppi.

34 3 Vedi D. 1.

34 4 Vedi D. 15, nota 2, in particolare il punto 3 della lettera del 24 giugno di Spaak e Von Brentano.

34 5 Vedi Appendice documentaria.

34 6 Del 4 agosto (FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 259), rispondeva ad una nota degli Alleati del 15 luglio (Vedi D. 22, nota 2).

35

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. 5852(2). Lussemburgo, 11 agosto 1953.

Caro Zoppi,

come di consueto per debito d’ufficio mi permetto di inviarti alcune mie impressioni sulla Conferenza di Baden Baden.

La Conferenza è stata, mi sembra, come varie delle precedenti un successo piuttosto formale che sostanziale; si è ottenuto quel che si desiderava e cioè una riconferma ai fini elettorali tedeschi di alcune decisioni e alcuni principi già accettati, ma sul terreno concreto non si è fatto nessun passo avanti.

La negativa posizione francese è riapparsa nettissima, sopratutto nel corso dei lavori del Comitato di redazione (i Ministri si sono tenuti sulle generali). Tale posizione è identica a quella che trovai nell’ottobre scorso, allorché partecipai a Bonn al Comitato che redasse il noto questionario per i lavori dell’Assemblea ad hoc e che allora si riuscì a smuovere. Essa si è ora ripresentata fermissima.

Tale posizione è la seguente: i francesi sono disposti ad accettare una sola cosa: una Assemblea europea elettiva e nulla di più Essi cioè non vogliono nessuna comunità sopranazionale, nessuna estensione delle competenze delle comunità esistenti, nessun eventuale sviluppo automatico della comunità, nessun esecutivo politico e probabilmente nemmeno la fusione degli esecutivi della CECA e della CED.

I delegati francesi nel comitato di redazione hanno resistito dalle 10 di sera alle cinque del mattino per consentire che nel comunicato finale della conferenza venissero menzionati, sia pure in maniera indiretta e vaghissima, i termini di «sopranazionale» e «esecutivo».

Le intenzioni francesi sono apparse particolarmente chiare, quando si è discusso della bicameralità della Comunità. I francesi si sono opposti, osservando, fra la meraviglia generale che i Ministri non avevano mai parlato di bicameralità. È stato loro obbiettato che l’art. 38 e la risoluzione di Lussemburgo parlano appunto di sistema bicamerale. Sì, è stato risposto dai francesi, ma in una «fase ulteriore», facendo così capire che la comunità politica non deve, a loro avviso, costituire quella fase ulteriore preconizzata dall’art. 38.

I delegati francesi nel comitato di redazione appartenevano al Quai d’Orsay, rappresentavano cioè l’indirizzo pizelantemente antieuropeista; Bidault si è mostrato alquanto – ma solo alquanto – meno negativo e ha finito, ad esempio, per ammettere, sotto le insistenze di van Zeeland, che il comunicato contenesse un accenno alla istituzione di un sistema bicamerale.

Un punto concretamente positivo della Conferenza è stata la discussione di politica generale, interessante non solo per le dichiarazioni di Bidault sulla nota russa(3), ma anche perché, dopo il precedente della Conferenza di Parigi del 22 giugno(4), permette di istaurare la consuetudine di un simile scambio di idee (ricorderai che nel Consiglio d’Europa non ci si è mai riusciti), che, in questo momento in cui i 3 grandi sembrano voler ignorare gli altri, potrà servire a dare una consistenza politica e una voce alla comunità dei sei. E nulla impedisce che se Adenauer parla di unificazione tedesca, noi non possiamo a un certo momento portare sul tappeto la questione di Trieste. Con Giustiniani avevamo preparato un progetto di intervento per Taviani (necessità di consultazione della comunità e salvaguardia degli interessi di ciascuno ivi compreso Trieste), ma Taviani non ha creduto di intervenire nella discussione politica data la nostra situazione governativa.

Infine un altro punto, sia pure minore, che mi pare buono, è di aver riportato in Italia la conferenza dei sostituti (questa volta sotto presidenza lussemburghese), dopo che van Zeeland aveva già proposto l’Aja. È stata una cortesia di Bidault, che la nostra delegazione aveva opportunamente messo sulla strada.

Credimi devotamente

F. Cavalletti

35 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

35 2 Cavalletti trasmise copia della lettera a Quaroni con L. 5855, pari data, in cui riferiva riguardo alla Conferenza di Baden-Baden: «Bidault è stato effettivamente un po’ meno ostico del consueto; ci hanno perpensato i suoi funzionari. Quella del comitato di redazione è stata una battaglia epica, fra Hallstein e Blankenhorn da una parte, sospinti dallo spettro delle elezioni, e Parodi e Seydoux, atterriti da anche una parvenza di progresso europeista. Battaglia terminata alle luci dell’alba, per logoramento delle due parti. Bidault è stato con noi particolarmente cortese, sia con la proposta della conferenza a Roma, sia partecipando alla colazione offerta da Taviani. (Parodi e Seydoux non sono intervenuti: gli ho detto: vous craignez que nous vous empoisonnons, après que vous nous avez tellement empoisonné la nuit dernière!). Cosa strana Bidault, che giungeva in seduta con una enorme automobile delle forze di occupazione con bandierone militare, è stato costantemente applaudito dalla folla. Forse erano i resti del Propaganda Ministerium che funzionavano ancora! Tuttavia non si può dire che l’atmosfera fra francesi e tedeschi fosse idilliaca. Quello che i francesi dicevano dei tedeschi in separata sede e i tedeschi dei francesi era da far rizzare i capelli. Le dichiarazioni Bidault sulla risposta russa sono state molto interessanti e importanti. Ne riceverà certamente il testo. È stata una netta e perentoria affermazione che la Russia non vuole l’accordo, uno sconfessare solennemente la politica del ponte. Ha fatto perla riserva della opinione pubblica» (Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 17, pos. 11/5.2).

35 3 Vedi D. 34, nota 5.

35 4 Vedi D. 1.

36

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI, GIUSTINIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

Appunto segreto(2). [Roma], 13 agosto 1953.

NOTA SOVIETICA, RIUNIONE DI BADEN BADEN E DISCORSO DI MALENKOV

Come risulta dalla relazione sulla recente riunione a Baden Baden dei sei Ministri della Comunità europea – vedi anche i sunti allegati dei discorsi tenuti nell’occasione

– i Ministri Adenauer, Bidault e van Zeeland si sono trovati d’accordo nel giudicare negativa la risposta sovietica(3). Sostanzialmente negativa. Vi sono tuttavia, nei giudizi pronunziati dai tre Ministri, differenze di apprezzamenti e di prospettive. Adenauer ha posto per suo conto – e si puintendere – in fortissimo rilievo il carattere, per così dire, di esplosione spontanea e irrefrenabile dei moti di Berlino e della Germania orientale. Nel che si puconvenire con più o meno di convinzione. Ha poi rappresentato lo stato d’«estrema miseria» non solo della Germania orientale ma anche, e in forme più gravi, quello della stessa URSS. Il che puparere dubbio, almeno per quanto riguarda l’URSS, se si tiene presente quanto le nostre Rappresentanze, in particolare Mosca, hanno riferito in proposito. Tutto ciò rappresenta d’altronde, nell’argomentazione di Adenauer, una premessa: lo stato di debolezza dell’URSS. La conclusione del suo ragionamento – nella quale gli altri due Ministri si sono dichiarati consenzienti – sta nell’affermazione che soltanto l’unione e l’integrazione europea possono far vincere all’Occidente la posta della guerra fredda: il potenziale di ferro, carbone e acciaio dell’Occidente. L’integrazione, da attuarsi il pirapidamente possibile, è pertanto la premessa necessaria di un utile negoziato con l’Oriente.

Stato di debolezza interna dell’URSS e unione dell’Occidente appaiono essere i motivi che hanno determinato una pivigorosa reazione di Malenkov nel suo recente discorso al Soviet supremo. È tornato infatti sull’argomento dei moti di Berlino per stigmatizzare i «provocatori», ha fatto la rivelazione della bomba all’idrogeno e, nel suo giro d’orizzonte di politica estera, ha moltiplicato le occasioni di dissenso e di confusione nel mondo occidentale: proprio come Bidault aveva preannunziato nella sua analisi della Nota sovietica. Ha poi preso netta posizione contro l’integrazione tedesca. Il contrasto Adenauer - Malenkov non potrebbe esser piforte.

Sostanzialmente d’accordo con Adenauer, Bidault ha tuttavia messo in rilievo le difficoltà derivanti da quella che ha definito la «deriva delle opinioni pubbliche». Il che ha fornito a van Zeeland lo spunto per fare delle proposte positive. Continuare cioè a esplorare le possibilità del dialogo con Mosca, in considerazione del fatto, da tutti riconosciuto che la porta ai negoziati non è stata tuttavia chiusa, in stretta unione con le opinioni pubbliche cui si tratta di dimostrare l’eccellenza del nostro metodo.

Qual è ora la posizione che, data la situazione del nostro Paese, ci conviene di prendere in tema di dialogo tra Occidente e Oriente, in seguito alla Nota sovietica e al discorso di Malenkov?

Non si ha la pretesa di rispondere esaurientemente a questo interrogativo. Si cercherà soltanto di svolgere qualche considerazione, che potrà preparare una decisione che, in ultima analisi, spetterà al Ministro responsabile.

1) Come è stato messo in rilievo da Bidault, il tentativo di saggiare le reali intenzioni sovietiche limitando il negoziato ai soli problemi della Germania e dell’Austria, è fallito. I Sovieti non si sono prestati al gioco.

2) Ma, almeno parzialmente, è fallito anche il tentativo di addossare, nei confronti dell’opinione pubblica, la responsabilità di un rifiuto alla parte sovietica. Poiché un rifiuto non c’è stato: né formalmente, né, all’atto pratico, nel modo in cui l’opinione pubblica ha accolto la risposta sovietica. Così Bidault faceva presente che la stampa francese ha in genere presentata la risposta come un’accettazione o, se mai, come un non rifiuto.

3) Il quesito che si pone ora ai Tre è quello della replica: modo e tempo della replica.

4) Si potrebbe pensare – come, secondo quanto ha detto, sembra pensare van Zeeland – a dare una risposta sostanzialmente affermativa approfittando del fatto, riconosciuto come tale dai tre Ministri che manifestarono le loro opinioni a Baden Baden

– che i Sovieti non appaiono desiderosi di iniziare il negoziato.

5) È vero che, così facendo, si accetterebbe di scendere sul terreno scelto dall’avversario: un terreno infido di cui questi si varrebbe, come già si vale, per seminare la discordia nel campo occidentale. Ed è anche vero che, per lo meno in alcuni paesi dell’Occidente, maggiormente lavorati dall’interno, la lunga fase di negoziati che da tale accettazione deriverebbe sarebbe particolarmente pericolosa e piena di incognite inquietanti.

6) Tuttavia, dato che le considerazioni di cui al punto precedente non fossero giudicate tali da sconsigliare una operazione troppo rischiosa, varrebbe forse la pena di correre il rischio calcolato cui, nel suo agnosticismo nei confronti della politica sovietica, faceva allusione van Zeeland: dato che gli scopi, strategici o tattici non importa, della politica sovietica sono imperscrutabili, è il caso di esplorare se in fondo alle manovre sovietiche non ci sia una reale volontà di distensione. Con fermezza e senza complessi di inferiorità.

7) Ammessa tale ipotesi sarà da tener presente che un eventuale insuccesso porrà l’Occidente in una situazione di maggiore asprezza nei confronti di Mosca. Esaurita infatti anche questa prova di buona volontà e compiuto l’ultimo tentativo per dimostrare ai popoli che tutte le vie sono state tentate – come sembra sia l’idea di Churchill

– che altro resterà se non, quanto meno, una tensione accresciuta?

8) Non sembra il caso di esaminare ora il contenuto eventuale di una replica dell’Occidente sostanzialmente negativa: che potrà essere diversamente graduata a seconda delle circostanze. Col che si viene a considerare l’altro aspetto del quesito proposto: il tempo della replica.

9) Una replica pronta se non immediata, avrebbe il vantaggio di fornire tempestivamente una guida all’opinione pubblica bisognosa sempre d’orientamento. Anche perché intanto l’azione sovietica si sviluppa, come appare chiaramente dal discorso di Malenkov. Basterà in proposito segnalare gli allettamenti rivolti alla Francia e all’Italia ricordando alla prima la persistenza del trattato di alleanza (contro la Germania) e alla seconda le favorevoli prospettive che si presenterebbero all’economia italiana, con conseguente riassorbimento della disoccupazione, da un intercambio accresciuto: con la sola condizione dell’osservanza (in apparenza innocente) degli impegni presi.

10) Tuttavia apparirebbe necessario, per una replica, conoscere il risultato delle elezioni tedesche: l’avvenimento è troppo importante e le sue conseguenze appaiono di portata troppo ampia perché non convenga attendere.

S’intende che le considerazioni di cui sopra, d’altronde esse stesse discutibili, non hanno la pretesa di esaurire l’argomento. Esse vorrebbero piuttosto fornire lo spunto per uno scambio di idee interno – cui potrebbero essere invitate a partecipare le nostre Rappresentanze interessate – al fine di cercare di definire una nostra linea di azione. È vero che non siamo tenuti a prendere posizione, che la Nota sovietica è diretta ai Tre e non a noi, ed è anche vero che, almeno finora, non ci è stata chiesta la nostra opinione. È perevidente che per poterla dare occorre prima averla e che quando si avesse, richiesti o non richiesti, avremmo sempre il modo di farla valere.

36 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

36 2 Il documento reca le seguenti annotazioni manoscritte: «per il Segretario generale» e «al ministro Magistrati», con le sigle di Magistrati e Straneo.

36 3 Vedi D. 34 e nota 6.

36 4 In calce è riportato il seguente stralcio del discorso di Malenkov: «La questione tedesca deve e può essererisolta. A tale scopo è necessario considerare gli interessi del rafforzamento della sicurezza di tutti gli Stati d’Europa, e prima di tutto la sicurezza dei vicini occidentali ed orientali della Germania, come pure gli interessi nazionali del popolo tedesco. Per questo motivo è necessario abbandonare la politica che tende ad attirare la Germania in un blocco militare aggressivo, la politica della rinascita di una Germania militarista ed aggressiva. (…) Una Germania militarista, sia nella sua veste attuale che sotto la maschera della “comunità europea di difesa”, è una mortale nemica della Francia e degli altri Paesi vicini».

37

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DE GASPERI(1)

R. segreto. Bad Godesberg, 14 agosto 1953.

Oggetto: Situazione politica nella Repubblica Federale tedesca.

Signor Ministro,

credo utile al mio ritorno a Bonn dopo un breve periodo di assenza e appena reduce da Baden-Baden riassumere gli elementi principali che dominano la situazione interna tedesca in questo momento e che possono riassumersi in questo modo: relazioni franco-tedesche; preparazione della nota di risposta all’Unione sovietica e campagna elettorale.

Sul primo di questi punti occorre anzitutto notare che si è verificato in questi ultimi giorni un notevole miglioramento nei rapporti franco-tedeschi, grazie prima all’atmosfera creatasi durante la Conferenza di Baden-Baden e poi alla visita immediatamente seguitane del Ministro Bidault a Bonn. Avevo a suo tempo riferito le preoccupazioni tedesche per un presunto atteggiamento di ostilità da parte dei francesi a Baden-Baden, preoccupazioni che non si erano attenuate dopo la notizia della inclusione nella Delegazione francese di Parodi e di Seydoux. Tanto maggiore quindi è stata la soddisfazione dei tedeschi, e forse non priva di una certa sorpresa, per la costruttiva partecipazione di Bidault ai lavori della Conferenza e per le esplicite dichiarazioni da lui fatte in favore del proseguimento dei lavori per la Comunità europea.

Ma l’elemento che ha veramente consolidato questo miglioramento nei rapporti tra i due Governi è costituito dal viaggio di Bidault a Bonn. Il Ministro degli Esteri francese e il Cancelliere federale si sono intrattenuti a quattr’occhi in un colloquio che ha durato [sic] circa un’ora. L’incontro, secondo notizie confidenziali ma sicure avute, è stato cordiale e si è iniziato col riconoscimento reciproco che lo stato delle relazioni fra i due rispettivi Paesi si era in questi ultimi tempi notevolmente peggiorato. È stato da ambedue riconosciuto che al centro di tutti i problemi internazionali e particolarmente europei, compreso il movimento per la Comunità europea, stava il ristabilimento di buone relazioni tra la Francia e la Germania. Che era quindi necessario affrontare una buona volta decisamente e in modo positivo tutte le questioni che si opponevano allo stabilimento di normali relazioni fra i due Paesi. Lo studio approfondito di tali questioni è stato tuttavia logicamente rinviato ad un momento successivo alle elezioni tedesche. Adenauer che si è dimostrato sicuro della propria vittoria, e su questo riferisco appresso, ha dichiarato a Bidault e questi ne ha convenuto, che solo dopo le elezioni con un Governo libero da preoccupazioni contingenti sarà possibile affrontare con maggiore probabilità di successo questioni non facili come quella della Saar, come quella dei contingenti militari tedeschi anche in caso di riunificazione, e tutte le altre connesse ad una normalizzazione dei rapporti franco-tedeschi.

Ho cercato di sondare il pensiero di questo Governo sui motivi che avrebbero determinato questo migliorato atteggiamento francese. Essi sarebbero soprattutto due; il primo è rappresentato da una disillusione francese per la proposta sovietica che – e se ne è avuta l’impressione anche a Baden-Baden – è considerata sostanzialmente negativa. Per conto loro i tedeschi condividono l’opinione francese secondo la quale dovrebbesi ritenere che in questo momento i sovietici non avrebbero alcuna voglia di impegnarsi, forse per motivi interni, in una conferenza di vasta portata. Secondo elemento è stato portato qui da Bidault, il quale ha riferito ad Adenauer sui risultati di una riunione dei principali Ambasciatori francesi all’estero da lui convocati recentemente. L’argomento discusso, ha detto Bidault, era il seguente: doveva o no la Francia proseguire nella politica di integrazione europea. Il giudizio di tutti i Capi Missione, compreso quello di François-Poncet, è stato decisamente affermativo: non solo, ma l’Ambasciatore francese a Mosca Joss ha dichiarato che il processo di unificazione europea era il solo elemento che veramente impressionasse Mosca e che potesse spingerla a trattative concrete. Come conclusione di questa Sua esposizione Bidault ha dichiarato ad Adenauer che contava con prospettive favorevoli di riprendere il problema delle ratifiche al rientro delle Camere.

Non posso chiudere questo breve paragrafo, che in un modo o nell’altro è connesso anche alla Conferenza di Baden-Baden, senza riferire l’esplicito compiacimento che il Cancelliere Adenauer mi ha fatto giungere attraverso Blankenhorn per il modo con cui l’On. Taviani ha presieduto ai lavori della Conferenza, compiacimento espressomi anche, nel campo francese, personalmente da François-Poncet.

Sul secondo dei punti sopra enunciati, mi e stato detto da Blankenhorn che la nota tripartita di risposta all’Unione Sovietica è attualmente in redazione a Parigi(2). I tedeschi non hanno ancora conoscenza del progetto ma si ritiene che ciò avverrà nei prossimi giorni. Mi risulta tuttavia che essi erano già in contatto con gli americani. Dalle notizie finora pervenute a Bonn si sarebbe orientati verso una risposta conciliante per i sovietici con riserva perdi riaffermare la preminenza dei problemi tedeschi. Per quanto riguarda l’atteggiamento del Cancelliere Federale egli sembra, e farà certo valere la sua opinione in sede consultiva, orientato verso una riconferma delle risoluzioni di Washington, con una apertura tuttavia verso l’Unione sovietica attraverso l’ammissione di un possibile ampliamento della Conferenza ad altri problemi. Non credo che nessuno abbia per ora molta fretta di rispondere a Mosca. È possibile che il testo concordato venga inviato colà un po’ prima, ma non troppo, delle elezioni tedesche, in altri termini verso i primi di settembre. Sulla campagna elettorale riferisco con rapporto a parte e mi limito qui a segnalare come la sua base si sposti sempre maggiormente al campo della politica estera. (Sui tentativi social-democratici di questi ultimi giorni di accentuare maggiormente i motivi di politica interna riferisco con lo stesso rapporto sopra citato). Adenauer continua a mostrarsi del tutto sicuro del risultato delle elezioni e, a giudicare dallo stato delle cose ad oggi, dovrei condividere il suo ottimismo. Mancano però più ditre settimane alla votazione e l’elettorato puancora essere influenzato da nuove mosse sovietiche e da elementi ancora imprevisti. Potrebbe anche in Germania verificarsi il caso che il segreto delle elezioni risieda nella più o meno consistente affermazione dei piccoli partiti di centro. Ad ogni modo, a parte la sicurezza di Adenauer, l’opinione generale oggi, inclusa quella degli ambienti alleati, è per un chiaro successo del CDU (non a spese del SPD che potrebbe anche lievemente migliorare le sue attuali posizioni) e per una vittoria di misura della coalizione governativa. Riserva va fatta a questo riguardo per le possibilità di una crisi pre o post - elettorale del partito liberale e per l’atteggiamento ancora indeciso del partito dei profughi, elementi negativi questi che potrebbero tuttavia trovare forse compenso da un qualche incremento del Deutsche Partei.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

[Franco Babuscio Rizzo]

37 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. Conferenza CPE a Baden-Baden.

37 2 La nota di risposta fu poi trasmessa da Parigi il 1° settembre: FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 268.

38

IL SEGRETARIO DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA CECA, CALMES, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

L. CM/S (53)5306. Lussemburgo, 20 agosto 1953.

Monsieur le Ministre,

Me référant à la lettre adressée le 24 juin 1953 par MM. Spaak, Président de l’Assemblée Commune et von Brentano, Président de la Commission Constitutionnelle, à M. De Gasperi, Président du Conseil Spécial de Ministres, et à la réponse de M. De Gasperi en date du 9 juillet 1953(2), je suggère que Votre Excellence informe MM. Spaak et von Brentano de la décision que les Ministres ont prise lors de la Conférence qui s’est tenue à Baden-Baden, les 7 et 8 ao 1953, concernant les contacts à maintenir avec les auteurs du projet de Traité portant Statut de la Communauté Européenne.

Je joins à la présente le texte d’un projet de réponse, et Vous saurais gré de bien vouloir me communiquer copie de la réponse qu’il Vous aura plu de donner à MM. Spaak et von Brentano(3).

Je Vous prie de croire, Monsieur le Ministre, à l’assurance de mes sentiments respectueusement dévoués.

Calmes

Allegato

PROJET

Monsieur le Président, Comme suite à la lettre qui vous a été adressée, le 9 juillet dernier(2), par mon prédécesseur,

M. De Gasperi, en réponse à la communication que vous-même et M. von Brentano aviez faite en date du 24 juin 1953, j’ai l’honneur de vous faire savoir que les Six Ministres des Affaires Etrangères des États membres de la CECA ont décidé, au cours de la réunion qu’ils ont tenue à Baden-Baden, les 7 et 8 ao 1953, de charger leurs suppléants de poursuivre, avec l’aide d’experts, les travaux relatifs à la création d’une Communauté Politique Européenne.

Les Six Ministres ont convenu de confier à leurs suppléants le soin de prendre contact, au stade de leurs travaux qui leur paraîtra le plus utile, avec les auteurs du projet de Traité, en vue d’avoir avec ceux-ci les consultations qui pourraient s’avérer nécessaires dans l’intérêt de ces travaux.

Je vous prie d’agréer, Monsieur le Président, les assurances de ma haute considération(4).

[Giuseppe Pella]

38 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

38 2 Vedi D. 15.

38 3 Il testo del progetto di risposta fu inviato da Calmes a Bech, Van Zeeland, Bidault, Beyen con L. CM/S (53) 5362-5365 del 24 agosto (ASUE, CM1/CPE, 32.8), con il seguente invito: « M. le Président Pella me prie de porter cette lettre à votre connaissance en vue d’obtenir votre accord, ou éventuellement vos observations sur le texte proposé».

38 4 Per il seguito vedi D. 43.

39

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 4247/1704. Bruxelles, 1° settembre 1953.

Oggetto: CPE. Conferenza dei Sostituti.

In vista della prossima Conferenza dei sostituti e di esperti per l’elaborazione dello statuto della CPE, che dovrà aver luogo a Roma il 22 p.v., il Governo belga sta procedendo alla composizione della sua Delegazione, che risulterà costituita, oltre che da alcuni funzionari del Ministero degli Esteri (fra cui i ministri De Staerke e Walravens), anche da rappresentanti dei Ministeri della Difesa, degli Affari Economici, delle Finanze, dell’Agricoltura e del Lavoro, nonché, probabilmente, da un funzionario del Ministero dell’Interno incaricato di partecipare all’esame del sistema elettorale da applicare al costituendo Parlamento europeo.

Quanto all’atteggiamento che assumerà la Delegazione nel corso della Conferenza, esso sarà ovviamente ispirato, dato anche il carattere essenzialmente tecnico della riunione, alle direttive già esposte dal Ministro Van Zeeland nei precedenti convegni della CPE. Allo scopo di concretare tali direttive hanno avuto luogo in questi giorni contatti fra i membri della Commissione interministeriale creata nel maggio scorso (telespresso n. 3249/1202 del 22 giugno u.s.) e in particolare una riunione del suo Gruppo di lavoro per lo studio dei problemi di integrazione economica.

Per quanto rimangano pertanto, nel complesso, invariate le posizioni che il Governo belga continuerà a sostenere nell’elaborazione dello Statuto della Comunità politica europea, si è potuto tuttavia rilevare, da contatti a livello funzionari, come su taluni aspetti del progetto, su cui venivano finora fatte le piampie riserve, esso appaia più disposto a transigere, mentre su altri sembra deciso a mantenere il suo punto di vista.

In linea generale, la Delegazione belga sosterrà di non ritenersi in alcun modo vincolata dal progetto dell’Assemblea ad hoc, considerata da questo Governo come un semplice documento di lavoro alla stregua del rapporto della «Commission d’études européennes» belga, rapporto che esso si riserva infatti di presentare egualmente alla Conferenza.

Per quanto riguarda il contenuto pispecificatamente politico del Trattato, i belgi tenderanno a conservare il massimo delle prerogative della sovranità dei singoli Stati e a salvaguardare il principio della parità giuridica fra i membri della comunità. Nell’ambito di tale direttiva, mentre continueranno a sostenere l’opportunità di conferire le attribuzioni piampie al Consiglio dei ministri nazionali e di stabilire un efficace sistema di controllo parlamentare, essi sono decisi a richiedere il mantenimento del sistema bicamerale – previsto dallo statuto elaborato dall’Assemblea ad hoc, ma nei cui riguardi i francesi sembrano aver mostrato a Baden Baden alcune resistenze – e la composizione paritetica del Senato. Su quest’ultimo punto, è stato esplicitamente affermato, essi saranno intransigenti. Viceversa meno intransigenti saranno, su un piano di reciproche concessioni (secondo quanto è stato accennato in via confidenziale da un funzionario di questo Ministero degli Esteri) circa il diritto di recessione dalla Comunità, su cui essi hanno finora particolarmente insistito.

Circa l’aspetto economico del Trattato, i belgi concordano con gli olandesi sulla necessità di dare un contenuto piconcreto al progetto dell’Assemblea ad hoc. Tuttavia essi ritengono che tale contenuto non possa limitarsi, come propongono gli olandesi(2), alla costituzione di una comunità tariffaria o doganale, ma debba comprendere il coordinamento anche della politica commerciale, finanziaria, sociale e monetaria dei singoli Stati, in maniera da porre le condizioni necessarie per la creazione di un mercato unico. Secondo il punto di vista dei belgi – cui l’esperienza del Benelux ha dimostrato gli inconvenienti di una unione limitata al campo doganale, lasciando sussistere le diversità fra i sistemi produttivi di due paesi – una integrazione economica non può essererealmente utile e vantaggiosa per tutti se non è completa, o per lo meno non tenda ad esserlo nella misura piampia. L’ideale da conseguire – secondo le idee espresse dallo stesso Ministro Van Zeeland – sarebbe la creazione di un mercato unico in cui fosse assicurata la libera circolazione di tutti i fattori della produzione, beni, capitale e lavoro. Naturalmente a ciò nonsi potrà giungere che per gradi. Ma si ritiene qui che l’evoluzione debba effettuarsi sviluppando contemporaneamente e parallelamente l’azione di coordinamento in tutti i campi della vita economica dei vari paesi, secondo un «itinerario» stabilito di comune accordo, che impegni tutti i contraenti a percorrere le varie tappe del processo di unificazione entro un dato termine e a determinate condizioni. Naturalmente, tali impegni non dovrebbero figurare in modo esplicito nel Trattato, che per la sua stessa natura statutaria deve contenere soltanto i principi direttivi della nuova Comunità politica, ma dovrebbero fare oggetto di un protocollo annesso, in cui siano stabilite le modalità di attuazione del programma da eseguire per raggiungere l’obiettivo prefisso. Inoltre, l’attuazione per gradi del processo di unificazione dovrebbe avvenire nell’ambito di adeguate misure di salvaguardia, atte a tutelare le singole economie dalle perturbazioni che esse potrebbero risentire nel periodo transitorio, e con l’ausilio del fondo comune di riadattamento previsto dall’Art. 85 del progetto dell’Assemblea ad hoc.

Circa il possibile esito della Conferenza, malgrado le difficoltà che qui si prevedono al raggiungimento di un accordo su taluni aspetti del Trattato, si ritiene in questi ambienti, dove tuttora prevale la tendenza a marciare verso l’integrazione, che il passaggio della discussione della CPE a una fase tecnica costituisca un sostanziale progresso, permettendo di concretare le idee finora elaborate in un progetto definito, che potrà costituire a sua volta una base di discussione nella successiva Conferenza dei Ministri degli Esteri.

39 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE.

39 2 Vedi D. 33.

40

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto segreto 20/2966(2). Roma, 3 settembre 1953.

Oggetto: Conversazione tra il Presidente Pella ed il Generale Gruenther.

Il nuovo Comandante in Capo delle Forze Europee NATO, Generale Gruenther, giunto a Roma in visita di «presentazione» e per avere un primo contatto ufficiale con

le nostre Autorità, ha avuto al Viminale, nel pomeriggio del 3 settembre 1953 – presenti il Direttore Generale della Cooperazione Internazionale di Palazzo Chigi, Ministro Magistrati, ed il Generale Bertoni, Capo dell’Ufficio Collegamento con il Comando Supremo Atlantico – una conversazione con il Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, On. Pella.

Il Generale Gruenther, dopo aver espresso la sua soddisfazione nel riprendere le relazioni personali con il Presidente Pella, da lui da tempo conosciuto, ha, in linea generale, riassunto l’azione organizzativa compiuta dallo SHAPE nel corso di questi ultimi tre anni. Si puoggi dire, in una parola, che le Forze Europee Atlantiche sono oramai in condizione di impedire qualsiasi attacco che venisse portato dalle forze sovietiche stazionanti, attualmente, in forma stabile, nei Paesi dell’Europa Orientale. Naturalmente, qualora queste forze sovietiche dovessero essere rinforzate da unità terrestri ed aeree stazionanti in territorio russo, la situazione cambierebbe e, quindi, appare necessario rinforzare sempre più il dispositivo protettivo atlantico. I prossimi due anni, quindi, comporteranno un nuovo e forse più delicato lavoro in quanto l’attuale fase di cosiddetta «distensione» internazionale, nonché le difficoltà finanziarie esistenti in taluni Paesi appaiono dover costituire indubbi ostacoli per il completamento dei programmi formulati.

L’azione sua personale – ha continuato il Generale – in questi ultimi tempi è stata quella di sostenere, dinanzi alle Commissioni del Congresso americano, la vigorosa opera del Presidente Eisenhower, intesa a «varare» gli stanziamenti necessari per il sostegno delle Forze Atlantiche. Ora è bene ricordare come, tra i principali interrogativi e dubbi manifestati dai membri del Congresso, sia sempre in prima linea la questione della formazione della Comunità Europea di Difesa e degli ostacoli frapposti in taluni Paesi, e principalmente in Francia, alla sua entrata in vigore. Se nel maggio prossimo, al momento cioè delle nuove decisioni del Congresso, la CED, o qualche cosa di simile, non dovesse realizzarsi, le difficoltà parlamentari americane per la approvazione dei nuovi stanziamenti sarebbero senza dubbio grandissime. A tale proposito sarebbe opportuno conoscere cosa si pensi di fare, in tale campo, in Italia.

Il Presidente Pella, dopo aver accennato alla linea politica italiana, sostanzialmente favorevole, tanto all’Alleanza Atlantica, quanto alla CED, ha messo in rilievo come, per l’Italia, esistano, per taluni «acuti» problemi che andrebbero – sempre nel quadro di questa alleanza – risolti oramai in maniera consona agli effettivi interessi italiani.

Si è così venuti a parlare specificamente del problema di Trieste che, a giudizio anche del Generale Gruenther, non può non essere considerato quale la «prima», delle questioni italiane. La sua mancata soluzione comporta, evidentemente, conseguenze non piccole, proprio nel quadro degli apprestamenti difensivi NATO, in quanto ché il grave ed esistente «vuoto di Lubiana» sarebbe facilmente colmabile se potesse ottenersi una collaborazione tra le Forze italiane e quelle jugoslave. Ma oggi ciò non è possibile e, quindi, è veramente nel desiderio di tutti di vedere presto risolto con soddisfazione italiana, l’importante problema il quale – come ha ricordato il Presidente Pella – rappresenta, per l’Italia, una somma di immensi sacrifici sostenuti durante la grande guerra 1915-18. Una soluzione del problema di Trieste, consona agli interessi italiani, risponde, del resto, ad innegabili situazioni storiche, economiche ed etniche.

Sempre sul tema dei rapporti tra la Jugoslavia ed il NATO, il Presidente Pella ha chiesto al Generale Gruenther qualche informazione circa l’andamento delle conversazioni militari tra Alleati e Jugoslavi a Washington. Ed il Generale ha detto risultargli che, in esse, la Jugoslavia si stava mostrando «un poco più conciliante». Da parte americana, inoltre, a Washington era stata fatta presente agli Jugoslavi la necessità di una soluzione della questione triestina quale elemento necessario e pregiudiziale nel quadro di possibili collaborazioni tra Belgrado ed il NATO.

In tema di preparazione atlantica, il Presidente Pella ha comunicato al Generale Gruenther che da parte italiana si sta provvedendo, secondo il solito, alla compilazione del Rapporto Annuale, destinato ad essere esaminato nel corso della «Revisione» NATO 1953. L’Italia, per molti motivi che sono del resto comuni ad altri Paesi – deve inscrivere le somme per spese straordinarie militari, calcolate in un’ulteriore «tranche» di 250 miliardi di lire, in un triennio anziché in un biennio. Questo avviene anche perché, come è noto, l’Italia non ha piusufruito, in questo ultimo periodo, di alcun nuovo aiuto economico americano. Inutile aggiungere – ha concluso il Presidente Pella – che qualora tali aiuti dovessero essere ripresi, il loro controvalore in lire verrebbe impiegato dal Governo Italiano in nuovi stanziamenti straordinarii per la difesa. Di tutto ciò il Generale Gruenther ha preso buona nota, ripetendo di essere convinto che la collaborazione italiana al NATO sarà, come per il passato, piena ed efficace(3).

40 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 19, fasc. P.A., Parte generale 3.

40 2 L’appunto è autografo. Magistrati lo trasmise a Quaroni con L. segreta 20/2979 del 6 settembre aggiungendo: «[…] il Generale Gruenther, al momento della sua partenza da Roma, ebbe a fare alla stampa, in accordo con noi, alcune dichiarazioni che sono risultate molto utili nell’attuale momento, avendo egli chiaramente affermato essere l’Italia una “chiave di volta” della posizione difensiva Atlantica».

40 3 Gruenther riferì ad Eisenhower circa questa prima visita ufficiale a Roma con L. del 5 settembre (FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 98), trasmettendo al Presidente anche un messaggio privato da parte di Pella.

41

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

R. 15298/1990. Bad Godesberg, 10 settembre 1953.

Oggetto: Perplessità tedesche sugli orientamenti della politica estera italiana.

Signor Ministro,

avevo già avuto occasione di riferire sulle perplessità con cui la Germania aveva seguito l’evoluzione politica in Italia successiva alle elezioni di giugno. Una prima eco ne era stata data dalla stampa; ma né Adenauer né questi circoli politici ne erano andati esenti. La ragione fondamentale ne andava con tutta probabilità ricercata nella sensazione che la situazione creatasi in Italia imponesse una revisione se non della sostanza almeno dei tempi dell’attuazione del nostro programma di politica estera; ma già da tempo e precisamente dal momento in cui non presentammo la CED alla ratifica parlamentare nella passata legislatura, si era diffusa l’impressione che il fervore con cui fino allora ci si [sic] eravamo battuti per un rapido processo di integrazione europea fosse un po’ calato di tono. Qualche ricorrente anche se isolata voce di stampa su un preteso allineamento della nostra politica sulla politica francese in tema di ratifica lo indicava. I chiarimenti che non avevo mancato di fornire all’Auswärtiges Amt sui motivi (legge elettorale e ostruzionismo) che ci avevano impedito di portare in Parlamento il trattato CED avevano potuto tranquillizzare, ma forse non del tutto convincere. Ciò spiega come molti possano aver visto nelle elezioni italiane il momento critico per la maturazione di un nuovo indirizzo che da tempo si andava lentamente preparando.

Il fatto che questo stato d’animo si sia espresso solo in forme assai prudenti e velate, era dovuto da un lato alla fedeltà ed ai sentimenti di amicizia che Adenauer nutre per il nostro Paese, e dall’altro alla convinzione che nonostante qualche possibile aggiornamento tattico i nostri obiettivi di fondo non potevano nel nostro stesso interesse cambiare; ma esso esiste.

Ne ho avuto ancora recentemente una conferma, quando illustrando all’Auswärtiges Amt il discorso parlamentare di V.E. sulla politica estera italiana(2)e sottolineando l’esplicito richiamo in esso contenuto agli obiettivi dell’integrazione europea, ho potuto notare un vero e proprio senso di sollievo nei miei interlocutori. Un’altra conferma è stata la premura con cui Adenauer ha, all’indomani del suo trionfo elettorale, citato a due riprese nella stessa giornata, prima in una conferenza stampa e poi in un pubblico discorso, il telegramma di felicitazioni di V.E. che sottolineava il proposito italiano di continuare nella politica di integrazione europea.

L’esito delle elezioni tedesche, si pensa a Bonn, ha ora aperto la crisi finale e risolutiva della politica di integrazione europea in cui ciascuno dovrà chiaramente assumere le proprie responsabilità e in cui si dovrà decidere se il riacquisto da parte della Germania di una piena parità giuridica e militare, che sanzioni il suo rientro in Europa e il suo prestigio morale uscito fortificato dalle elezioni, dovrà avvenire nel quadro di un’associazione degli stati europei oppure in altra forma. Se finora cioè le esitazioni dell’Occidente potevano trovare qualche giustificazione nella esistenza nella stessa Germania di correnti contrarie alla CED, la cui forza doveva essere messa al vaglio, esse diventerebbero ora inammissibili dopo che tali correnti sono state nettamente sconfitte, eliminando ogni residuo ostacolo giuridico e politico alla ratifica tedesca; l’Occidente, si ritiene, dovrebbe oramai definitivamente convincersi della bontà di una politica che ha trovato fra i tedeschi una così piena adesione. Tutto ciò vale in primo luogo per la Francia, ma subito dopo anche per noi. Adenauer nel suo discorso di lunedì ha chiaramente detto che l’esito delle elezioni tedesche non mancherà di influenzare l’Italia e la Francia; e questo riavvicinamento del nostro atteggiamento in tema di ratifica a quello francese che fino a qualche tempo addietro non sarebbe stato concepibile in Germania è da solo assai eloquente; e ancora piesplicito è stato uno degli uomini politici più in vista nella Germania occidentale, Kaisen, socialdemocratico ma di notorie simpatie governative, che ha confermato che tocca ora alla Francia e all’Italia dare una risposta alla questione della riunificazione europea. E non si dimentichi che per moltissimi tedeschi che hanno votato per Adenauer, Europa vuol dire anche una migliore prospettiva di riunificazione nazionale; il concetto di Adenauer, che la formazione di un’Europa unita è la condizione e la premessa della riunificazione tedesca, avallato come è stato dagli americani, a torto o a ragione ha fatto breccia. Riprendere vigorosamente quel processo di integrazione europea che da qualche tempo segna il passo è quindi oltre a tutto qui in Germania anche un atto di buona volontà nei confronti della riunificazione tedesca. E questa buona volontà è qui il metro di cui ci si serve per giudicare della sincerità delle intenzioni dell’Occidente nei confronti della Germania e costituirà il migliore cemento della integrazione della Germania a tale Occidente.

Non sono in grado di giudicare se l’attuale situazione politica interna italiana consenta un’immediata ratifica della CED o si intenda prima superare attraverso nuove elezioni l’attuale periodo di transizione. Internazionalmente non credo che una nostra pronta ratifica potrebbe compromettere nulla. Anche per l’ipotesi Parigi non dovesse mai ratificare, una sollecita ratifica italiana non credo ci alienerebbe la Francia, ma ci gioverebbe assai certamente in Germania e negli Stati Uniti. E l’ipotesi che Parigi non ratifichi sembra ora assai meno probabile che per il passato: l’Alto Commissario francese François-Poncet mi diceva recentemente la sua impressione che le elezioni tedesche non potranno fare a meno di spingere Bidault alla ratifica della CED, nella convinzione che altrimenti il riarmo tedesco avverrebbe sotto altra forma. Una pronta ratifica da parte italiana potrebbe poi scongiurare la possibilità, assai remota, è vero, ma non per questo completamente da scartarsi nel calcolo degli imponderabili, che l’Italia, per una ragione o per un’altra sia pure solo di carattere tecnico, finisca per ratificare per ultima e, dato l’abbinamento tra CED e accordi di Parigi, diventi la sola causa di un ritardo nella entrata in vigore del nuovo statuto internazionale della Germania.

Ad ogni modo ciò che mi premeva di sottolineare è che, se nonostante le aspettative qui create dall’esito delle elezioni, la battuta d’arresto alla nostra ratifica dovesse protrarsi di molto, quel capitale di credito e larga simpatia che la nostra attiva politica di avanguardia per una riunificazione europea ci aveva fruttato qui in Germania potrebbe essere seriamente compromesso. E, in vista della posizione che la Germania assumerà nell’Europa di domani e per le prevenzioni ed i sospetti che si potrebbero allora risvegliare sulla coerenza in genere della nostra politica estera, non mi sembra questa una eventualità che possa essere affrontata a cuore leggero.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

[Franco Babuscio Rizzo]

41 1 DGAP, Uff. IV, Versamento Ced, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.

41 2 Per le dichiarazioni programmatiche di Pella sulla politica estera si vedano Atti Parlamentari, Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 19 agosto 1953, p. 358 e Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 24 agosto 1953, p. 640.

42

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

R. segreto riservato 1114. Parigi, 11 settembre 1953.

Oggetto: Comunità di difesa.

Signor Ministro,

in un momento in cui, a causa delle ferie, la maggior parte dei parlamentari sono assenti, non è possibile dare, sulle sorti delle comunità di difesa, dopo le elezioni tedesche, che delle prime impressioni che mi riservo di completare, e correggere, non appena questo mi sarà possibile.

Indiscutibilmente tutta la manovra neutralista e anti-europeista, la manovra Mendès-France, in una parola, era centrata su di un successo, anche relativo, dei socialisti alle elezioni tedesche.

La manovra, come ho cercato di spiegare in dettaglio in un mio precedente rapporto, era infatti complessa: evoluzione in senso centro-sinistro sociale all’interno, distensione colla Russia, a spese di una Germania più o meno neutralizzata, e quindi niente più Europa e poco più Patto atlantico. Ai fini di questa manovra le elezioni italiane erano state proprio quello che ci voleva: progresso delle sinistre, indebolimento, sia pure relativo, delle personalità e dei partiti che erano stati antesignani del movimento europeo: e si era detto: «Vedete, l’Europa va a sinistra, lo schieramento attuale francese è già sorpassato, bisogna orientarsi a sinistra e all’interno e all’estero». Se la stessa cosa fosse accaduta in Germania, l’affare era fatto. Il successo di Adenauer ha rimesso tutto in discussione.

Bidault è attualmente assente, in cura a Vichy: mi è stato riferito per da fonte sicura, che egli ha già dichiarato che si prepara a sottoporre alle Camere il Trattato CED in dicembre od in gennaio. Quanto egli sia effettivamente deciso a farlo, non lo saprei dire: da qui alla fine dell’anno ci sono vari mesi: siccome per appena avutesi le notizie sulle elezioni tedesche, Schuman ha subito rialzato il capo, e si è cominciato a parlare dell’opportunità che torni al Quai d’Orsay, così questa sua presa di posizione potrebbe essere anche una parata. Laniel, nel suo ultimo discorso, è stato molto nuancé: ha parlato della necessità di un’intesa colla Germania nel quadro europeo, della necessità della partecipazione coll’Inghilterra... e dell’accordo con l’URSS.

Come ho già spiegato altra volta, per quello che concerne tutta la politica estera francese, atlantica e soprattutto europea, esiste in Parlamento un gruppo decisamente pro, ed un gruppo decisamente contro; quest’ultimo, molto meglio organizzato ed attivo. Ma sono tutti e due dei gruppi ristretti. In mezzo, e sono quelli che decidono, una massa di deputati, che, in buona fede, cercano di raccapezzarsi, per sapere dove è la verità, dove è l’interesse della Francia. Questi esitanti, in tutti i partiti (perché tutti i partiti sono ben lontani dall’essere unanimi sulla questione), dopo la morte di Stalin erano stati in gran parte guadagnati, o per lo meno scossi, dalle teorie distensioniste. Adesso è probabile che essi siano di nuovo influenzati in senso contrario, anche se, in fondo, piuttosto a malincuore.

Nel complesso, già l’ultima nota sovietica(2)aveva un po’ deluso: non quelli che vogliono credere, ad ogni costo, alle buone intenzioni sovietiche: parlo sempre della brava gente, in buona fede. Adesso, naturalmente, mi sembra, queste illusioni sono ancora diminuite. Si dice qui, da molte parti: se le elezioni in Germania Occidentale hanno dato risultati, delle elezioni libere in Germania Orientale daranno dei risultati anche peggiori per i russi: evidentemente, in queste condizioni, è ben difficile che i russi consentano all’unificazione – anche sotto qualche forma di neutralizzazione – della Germania.

A quanto mi è dato giudicare, l’atteggiamento degli antieuropeisti mi sembra orientarsi a guadagnare tempo. E per guadagnar tempo, è stato immediatamente ricordato che tutti i governi francesi si sono impegnati a far precedere la ratifica da un accordo per la Sarre: ed è questo un punto su cui tutti, in Francia, sono d’accordo. Il disaccordo comincia sulla maniera con cui risolvere la questione della Sarre perché qui, nazionalisti e neutralisti convergono nel diffidare della soluzione dell’europeizzazione. Grandval, Ambasciatore di Francia in Sarre, magna pars di tutta l’attuale politica sarrese, e ardente antieuropeo – come per caso anche lui è ebreo – ha già annunciato che, in caso che questa soluzione dovesse prevalere, darebbe con fracasso le dimissioni. Tutti questi ambienti sperano che Adenauer, forte della sua vittoria, dell’appoggio dell’America e della posizione di primo ordine che gli dà la sua brillante vittoria all’interno, sia adesso meno ragionevole di quanto lo era quando ne trattava con Schuman. Gli europeisti invece sperano che adesso Adenaeur sia in grado di far accettare ai suoi all’interno delle soluzioni ardite – leggi una europeizzazione – che permettano di conservare qualche legame economico con la Francia.

Ma con tutte queste riserve e queste fluttuazioni, mi pare di poter dire che, di massima, le personalità politiche più responsabili sono decise o rassegnate ad affrontare verso la fine dell’anno, e cioè dopo le elezioni alla Presidenza della Repubblica, il dibattito sulla CED.

Resta un’incognita, e seria: la risposta russa alla nota occidentale: se la Russia accetta la riunione a quattro, sia pure con tutte le riserve della terra, la CED rientrerà in sordina, perché le speranze di distensione riprenderanno il sopravvento. Ripeto, a questo riguardo, che qui tutti, neutralisti o no, sono convinti che un accordo con la Russia sulla Germania, e quindi per l’Europa, è incompatibile con l’integrazione della Germania, unificata o non unificata, all’Europa occidentale: e debbo aggiungere che non si può nemmeno logicamente dar loro torto.

Personalmente dubito molto — per non dire di più— che la Russia abbia veramente l’intenzione di arrivare, in Europa ad una distensione: dubito ancora di più che la Russia abbia, od abbia mai avuto l’intenzione di abbandonare la Germania Orientale. Ma è evidente che se si ritiene che esista un interesse per la Russia ad arrivare ad un accordo sulle questioni europee, questo interesse non può essereche quello di evitare la congiunzione fra l’esercito tedesco e la produzione americana. Può essere che la Russia si convinca che non può far niente per evitare che la Germania Occidentale si integri alla comunità europea ed atlantica e si rassegni, di fatto, allo statu quo: ma che essa voglia regalare al mondo occidentale per niente anche la Germania Orientale, questo non è proprio nelle abitudini russe. Di regali gratuiti, in genere, nel mondo, non ci siamo che noi a farne. Tuttavia, una conferenza a quattro farebbe rinverdire, qui, molte speranze e la CED dovrebbe rassegnarsi ad attendere il suo fallimento.

Riassumendo, se le elezioni tedesche fossero andate male per Adenauer, la CED sarebbe stata morta e sepolta: la vittoria di Adenauer le ha ridato una nuova speranza: la situazione perè ancora troppo fluida perché si possa parlare di certezza, di vittoria dell’idea europea, ecc.

Restano ancora due grosse incognite: i negoziati per la Sarre e gli eventuali negoziati a Quattro: o, se si vuole essere piesatti, le ripercussioni che sulla fluida e nevrastenica opinione parlamentare francese questi due fattori possono avere.

Resta adesso a vedere quale dovrebbe essere in queste circostanze il nostro atteggiamento.

Noi abbiamo apertamente sollevato, in questo momento la questione di Trieste ed è evidente che, adesso, «il paletnon pupiessere rimesso nell’armadio». Questa situazione richiede che qualsiasi mossa della nostra politica estera sia subordinata ad essa.

In materia di integrazione europea, noi abbiamo, da un paio di anni a questa parte, tenuto a fare i primi della classe. Questo puaverci giovato in altri campi: non mi sembra perche abbia molto influito sull’atteggiamento americano per la questione di Trieste.

Se noi ritorniamo di nuovo alle nostre posizioni di punta in materia di integrazione europea, questo ci porta, fatalmente, a metterci, di nuovo ed ancora di più in linea con la Germania: questo significa anche metterci contro la Francia.

Credo di non aver mai fatto illusioni a V.E. su quello che effettivamente la Francia poteva fare per noi nella questione di Trieste. Né voglio dire che possiamo dichiararci intieramente soddisfatti della posizione presa dalla Francia nello stadio attuale: possiamo solo dire che il Governo francese è stato il meno insensibile alle nostre esigenze.

Ora, qui in Francia, i più indifferenti alla questione triestina, per noi, sono appunto gli europeisti: ed è logico, in un certo senso che sia così: la gente che ha superato la concezione nazionale è anche la meno suscettibile di capire, in altri, delle reazioni nazionali. Quando si parla con Bidault della questione di Trieste, qualche reazione in nostro favore la si ha: quando se ne parla con Schuman, ne abbiamo sopratutto il consiglio evangelico di sacrificare certi interessi limitati ad un ideale pivasto.

La sola posizione conseguente e logica che noi possiamo prendere, adesso, in materia di CED è che noi siamo, come prima, favorevoli all’idea europea ed alle sue realizzazioni, ma che prima, sia i nostri compagni europei, sia quelli che, dal di fuori, la appoggiano o la spingono, ci debbono dar prova di una piena, comprensiva solidarietà nella questione che pici sta a cuore, la questione di Trieste.

Ossia una posizione assai simile a quella assunta dalla Francia per la questione della Sarre.

A questo punto ritengo mio dovere di aggiungere una considerazione non piacevole, ma realistica. Gli americani vogliono la CED, ma la vogliono sopratutto per potere dar mano al riarmo della Germania: ora se alla CED mancano la Francia

o la Germania, la CED non esiste più Ma, purtroppo, lo stesso non si può dire dell’Italia: non che sia indifferente che noi ci siamo o no, ma si pufare benissimo la CED senza di noi, lasciando ad un tempo ulteriore una nostra eventuale adesione.

Perché la nostra minaccia abbia tutto il suo peso, e possa veramente, più che indurre, obbligare a prendere seriamente in esame il nostro caso, bisogna che la Francia si solidarizzi con noi: che la Francia arrivi a dire che, se non c’entriamo noi, anche lei non entrerà nella CED.

Ancora agli inizi dell’anno scorso, questo sarebbe andato da sé: adesso le cose sono differenti. Il nostro zelo europeistico ci ha messo contro in Francia tutti quelli, e sono molti, che non lo condividono: il riavvicinamento italo-tedesco, dovuto al comune zelo europeo, ha fatto il resto.

Se Adenauer pue vuole assumere l’atteggiamento rovesciato, ossia dichiarare lui che se non c’entra l’Italia, la Germania non entra nella CED, allora possiamo scegliere tra Francia e Germania: si tratterebbe in questo caso solo di vedere chi dei due è più influente a Washington ed a Londra, perché non bisogna che dimentichiamo il peso considerevole che ha Londra in tutta la questione di Trieste: è questa una scelta nella quale non mi sento di pronunciarmi.

Se vogliamo invece tentare il giuoco con la Francia, abbiamo già il precedente del Patto Atlantico che sta a dimostrarci quali risultati esso pudare. Si tratta di vedere se ci possiamo riuscire. Non è facile: non credo, francamente, sia possibile arrivare realmente fino alle ultime conseguenze: ma ottenere all’inizio una dichiarazione francese di solidarietà, in modo da impressionare gli americani, questo lo si potrebbe almeno tentare. Dopo tutto abbiamo comunque qualche mese di tempo davanti a noi e in qualche mese di tempo si potrebbe anche cercare di ristabilire la situazione.

Quello che mi sembra impossibile – V.E. mi correggerà se sbaglio – dal punto di vista interno italiano, è ritornare sic et simpliciter a fare la pattuglia di punta della CED senza condizioni, sperando solo in buone disposizioni americane generiche come conseguenza della nostra politica europea: oggi, mi pare, come che vadano a finire le cose, tanto il merito del successo della CED andrebbe ad Adenauer, per il fatto che è stato capace di vincere le sue elezioni, molto più che a noi.

Mi sembra quindi che siamo obbligati a dire che, se non proprio la soluzione, almeno una manifestazione di solidarietà inequivoca con noi per la questione di Trieste, è condizione «sine qua non» perché il Governo italiano presenti alla Camera la ratifica del Trattato CED e perché la Camera italiana lo possa ratificare.

Ma, ripeto, e pregherei V.E. di voler dare tutta la sua considerazione a questo mio timore, anche queste nostre riserve potrebbero non essere del tutto sufficienti, ai fini di politica italiana che noi perseguiamo: potrebbero cioè indispettire solo gli americani, senza obbligarli a venire incontro alle nostre condizioni. Perché possiamo essere sicuri del risultato, bisogna che qualcuno si solidarizzi con noi: e questo qualcuno non può essereche la Francia o la Germania. Ottenere che si solidarizzino tutti e due, facendo diventare la questione di Trieste una questione europea, francamente, mi sembra un po’ difficile.

Se V.E. è d’accordo con me su questa mia interpretazione della situazione e qualora venisse nella conclusione che ci conviene di tentare di solidarizzare la Francia alle nostre tesi, mi riserverei di esporle, nelle sue linee generali, un piano di azione. Perché evidentemente, se qualche cosa posso fare qui, bisogna anche che V.E. faccia, per conto suo, un certo numero di cose.

La prego di credere, signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

[Pietro Quaroni]

42 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19 bis, fasc. 2 CED.

42 2 Del 15 agosto: vedi FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 264.

43

IL SEGRETARIO DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA CECA, CALMES, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

L. CM/S (53)5656. Lussemburgo, 11 settembre 1953.

Monsieur le Président,

Comme suite à ma lettre du 8 septembre 1953(2) j’ai l’honneur de vous transmettre, ci-joint, le texte de la lettre que vient de m’adresser M. le Chancelier Adenauer et concernant le projet de réponse(3)que vous envisagez de donner à la Communication adressée le 24 juin par MM. Spaak et von Brentano au Président en exercice du Conseil de Ministres(4).

D’autre part, les Ministres des Affaires Étrangères de France et de Luxembourg m’ont fait savoir qu’ils approuvaient votre projet de réponse.

La présidence du Conseil de Ministres étant assurée depuis le 7 septembre par leMinistre des Affaires Étrangères du Luxembourg, j’ai communiqué les divers éléments du dossier à M. Bech(5).

Je vous prie de croire, Monsieur le Président, à l’expression de ma très haute considération.

Christian Calmes

Allegato

IL CANCELLIERE E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER, AL SEGRETARIO DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA CECA, CALMES

L. CM/S (53)215. Bonn, 1° settembre 1953.

Monsieur,

Je vous remercie d’avoir bien voulu me transmettre le projet de réponse que Monsieur le Président Pella envisage de donner à la communication que Messieurs Spaak et von Brentano avaient adressée, le 24 juin, au Président en exercice du Conseil de Ministres.

Je me rallie entièrement aux idées contenues dans le projet; toutefois, je souhaiterais que la décision prise sur ce point (page 15 du procès-verbal) au cours de la conférence de Baden-Baden, apparaisse plus clairement. Il semble que la rédaction suivante, que je vous prie de transmettre à titre de suggestion et qui reprend dans une large mesure les termes du projet du Président Pella, tiendrait compte de cette remarque:

«Comme suite à ma lettre du 9 juillet 1953, j’ai l’honneur de vous informer qu’au cours de la récente réunion de Baden-Baden, les six Ministres de la Communauté Européenne n’ont pas manqué d’apporter leur attention à la communication que vous-même et le Président de la Commission Constitutionnelle m’aviez adressée le 24 juin 1953.

En conséquence ils ont convenu de suggérer à leurs suppléants de prendre contact pendant la Conférence, au moment opportun, avec les membres de la Commission Constitutionnelle.

Cette décision est conforme à la communication que Monsieur le Président Bidault vous a adressée en date du 14 mai 1953, et dans laquelle il était dit que les gouvernements étaient d’accord pour recourir à la haute compétence des principaux auteurs du Projet de Traité.

Il est en effet, de notre intérêt commun, pour aboutir à la réalisation de la grande tache que nous nous sommes assignée de mettre à profit leur expérience, leur talent, ainsi que l’idéal élevé qui les anime».

Veuillez agréer etc.

[Konrad Adenauer]

43 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 78.

43 2 L. CM/S (53) 5568 dell’8 settembre da Lussemburgo (ASUE, CM1/CPE, 32.8), con la quale Calmes aveva informato Pella di aver inviato ai cinque Ministri degli Esteri della Comunità Europea il progetto di risposta alla L. del 24 giugno, e di aver ricevuto l’approvazione dello stesso da parte dei ministri degli Affari Esteri dei Paesi Bassi il 2 settembre, del Belgio l’8 settembre.

43 3 Vedi D. 38.

43 4 Vedi D. 15, nota 2.

43 5 Bech, in qualità di presidente in esercizio del Consiglio dei Ministri della CECA, rispose a Spaak, con L. CM/S (53) CIR 10 del 19 settembre da Lussemburgo (ritrasmessa da Calmes a Pella con L. CM/S (53) 3827 pari data) nei seguenti termini:« Monsieur le Président, comme suite à la lettre qui vous a été adressée le 9 juillet 1953, j’ai l’honneur de vous informer qu’au cours de la réunion qu’ils ont tenue à Baden-Baden les 7 et 8 ao derniers, les six Ministres de la Communauté Européenne n’ont pas manqué d’examiner la communication que vous-même et Monsieur le Président de la Commission Constitutionnelle de l’Assemblée ad “hoc” avez bien voulu adresser au Président du Conseil de Ministres de la Communauté le 24 juin 1953. Ils ont convenu de suggérer à leurs suppléants de prendre contact, au moment opportun, pendant la Conférence qui doit s’ouvrir à Rome le 22 septembre, avec les membres de la Commission Constitutionnelle. Cette décision a été prise en conformité de la lettre par laquelle Monsieur le Président Bidault vous avait fait connaître, le 24 mai 1953, que les six Gouvernements étaient d’accord pour recourir à la haute compétence des principaux auteurs du Projet de Traité. Il est, en effet, de notre intérêt commun, pour aboutir à la réalisation de la grande tache que nous nous sommes assignée, de mettre à profit leur expérience, leur talent, ainsi que l’idéal élevé qui les anime. […]» (ASUE, CM1/CPE, 32.8).

44

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

R. 15904/2081. Bad Godesberg, 18 settembre 1953.

Oggetto: Reazioni tedesche alla connessione tra la ratifica CED e Trieste. Pericoli di un parallelismo tra Trieste e Saar.

Signor Ministro,

avevo con il mio rapporto in data 10 corrente(2)riferito sulle aspettative che qui, specie dopo l’esito delle elezioni del 6 settembre si riponevano in una sollecita ratifica italiana della CED e sulla particolare sensibilità con cui l’opinione pubblica tedesca reagiva ad ogni notizia al riguardo proveniente dall’Italia. Vi è da chiedersi ora se, dopo il discorso di Vostra Eccellenza di domenica scorsa(3), con cui sono stati chiariti i legami di connessione esistenti fra la nostra politica europeistica e atlantica ed il soddisfacimento dei nostri legittimi interessi nazionali per Trieste, possiamo contare che il Governo e l’opinione pubblica tedesca mostrino la necessaria comprensione per quell’eventuale battuta d’arresto della nostra politica di integrazione europea che, nella peggiore delle ipotesi, la carenza di un fattivo concorso alleato per la soluzione della questione triestina dovesse rendere necessaria.

Vi sono due elementi che possono giocare negativamente nei nostri confronti. Il primo concerne strettamente l’interesse tedesco ad affrettare i tempi della ratifica e quindi del risollevamento della Germania; l’altro concerne un preteso parallelismo fra il problema della Saar e quello di Trieste.

Per quanto concerne il primo punto è vero che Adenauer si è sempre reso conto dell’interesse collettivo, e quindi anche tedesco, a che il problema di Trieste sia risolto in un senso per noi soddisfacente, ed ha capito l’intempestività di certe iniziative alleate che potevano portare, come pare sia stato il caso, ad un irrigidimento dell’atteggiamento di Tito; il passo da lui compiuto personalmente e di propria iniziativa presso Eisenhower tramite Conant in occasione della visita della Missione militare jugoslava in America – e su cui ebbi a riferire con tel. 138(4) – lo prova. Ma il Governo tedesco ha un interesse così preminente ad una ratifica della CED che non può non rammaricarsi di tutto ciò che puconfigurarsi come una pietra d’inciampo sulla strada dell’integrazione europea.

Per quanto riguarda il secondo di tali elementi, occorre ricordare che la Germania si è sempre dimostrata insofferente alle pregiudiziali poste a Parigi per la ratifica della CED e che ha accettato una politica di contrattazione sulla Saar solo come uno scotto che bisognava pagare per liquidare il passivo della guerra. Tutta la politica tedesca è stata ispirata all’intento di far sì che la questione saarese venisse accantonata, attraverso una formula che permettesse di riprenderla in un momento successivo. Se dovesse mettere profonde radici tale idea di un parallelismo fra la questione della Saar e la questione di Trieste, c’è fatalmente da attendersi che non sarebbe salutato [sic] con entusiasmo una pregiudiziale che sorga ora improvvisamente da un’altra parte proprio nel momento in cui tutto lo sforzo della politica diplomatica tedesca si concentra su un tentativo di sfruttare la congiuntura favorevole prodotta dalle ultime elezioni tedesche e di superare le resistenze francesi. Questo parallelismo che i tedeschi hanno l’aria di vedere, se fino ad ora ci aveva assicurato, pur nel quadro della neutralità politica osservata dalla Germania sulla questione triestina, una certa maggiore dose di simpatia morale per la nostra tesi, più in futuro quindi giocare contro di noi. Mi permetto attirare particolarmente l’attenzione di

V.E. su questo punto poiché non si tratta di un pregiudizio limitato alla sola Germania: il recente editoriale de «Le Monde»circa l’opportunità che tanto la questione triestina, che quella saarese siano risolte su un piano europeo lo indica.

Mi riservo naturalmente di svolgere un’opportuna azione per chiarire che un parallelismo del genere non esiste. Per quanto concerne il Governo tedesco in particolare, non mancherdi fare presente in questi ambienti governativi che, mentre per la questione saarese il tempo lavora per la Germania (o almeno così qui si ritiene), il contrario è vero per quanto concerne il rapporto tra l’Italia e Trieste. Quanto poi all’opinione pubblica e agli ambienti politici cercherdi far capire come, nel mentre la Francia e la Germania faranno parte di una futura Europa integrata e quindi la ratifica della CED e la Comunità politica europea contengono già in sé le premesse di una soluzione futura della questione saarese, ciò nonvale per i rapporti italo-jugoslavi per Trieste.

Non so quanta presa potranno avere tutte queste argomentazioni nel caso che fossimo effettivamente costretti a rallentare il processo delle ratifiche. Occorre però non nascondersi che non mancheranno qui reazioni negative nei nostri confronti.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

[Franco Babuscio Rizzo]

44 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946 - 1956, b. 25, fasc. P.G. CED.

44 2 Vedi D. 41.

44 3 Del 13 settembre in Campidoglio con cui Pella, rispondendo ad un discorso di Tito del 6 settembre a Okroglica (San Basso), richiedente l’internalizzazione di Trieste, l’annessione alla Jugoslavia del retroterra triestino e il ritiro delle truppe italiane ai confini, proponeva un plebiscito nelle due zone del TLT, , le cui modalità sarebbero state stabilite d’intesa tra i rappresentanti dei tre Governi alleati, gli italiani e gli jugoslavi, lasciando intendere che l’Italia avrebbe subordinato la partecipazione alla CED alla soluzione del problema triestino. Testo del discorso ne «La Nuova Stampa» del 14-15 settembre 1953, n. 218, pp. 1, 7. Si veda anche ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1953, pp. 70-72.

44 4 T. s.n.d. 138 del 2 settembre, con cui Babuscio Rizzo riferiva: «[…] Mi ha detto Blankenhorn che gli ultimi avvenimenti sono stati seguiti dal Governo Federale con particolare interesse, e, piena comprensione del nostro punto di vista. Anzi, mi ha aggiunto che Adenauer si è preoccupato, anche per il passato, per i suoi riflessi non solo italiani ma europei, dell’aggravamento del dissidio italo-jugoslavo ed in occasione della visita della missione militare jugoslava negli Stati Uniti aveva, anzi, di sua iniziativa pregato Conant di porre a parte Eisenhower di queste sue preoccupazioni e della opportunità, a suo giudizio, di evitare pubblicità su tale visita, conservando un atteggiamento il più discreto possibile […]» (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946 -1956, b. 25, fasc. P.G. CED).

45

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 15902(2). Bad Godesberg, 18 settembre 1953.

Carissimo Massimo,

ti ringrazio vivamente della tua lettera del 10 corrente e ho già informato Bossi Pucci che la nostra lettera cumulativa sul regalo Campello ti era giunta in ritardo.

Con l’occasione rispondo anche alla parte della tua lettera concernente sia la prossima conferenza di Roma alla quale, secondo quanto ho notato ieri l’altro in Hallstein, i tedeschi si preparano con rinnovato fervore, sia Trieste.

Sulla speranza che da parte nostra, pur con le note riserve, si prosegua nell’opera iniziata, credo sia sufficiente ricordare, come tu stesso hai fatto, la soddisfazione con la quale il Cancelliere federale ha voluto rilevare il telegramma del Presidente Pella non in una ma in due riprese nella stessa giornata.

Sul presente stato d’animo perdei tedeschi verso di noi, anzi sulle perplessità sorte in essi, spero tu abbia già letto il mio rapporto n. 15298/1990 del 10 c.m.(3). Desidero pure richiamare la tua attenzione e ti sarei grato se ne vorrai fare parola anche a Zoppi e a Giulio, sul telespresso urgente che parte con questo corriere, con il quale segnalo la decisione con cui Adenauer si prepara ad affrontare tutte le divergenze franco-tedesche in vista di spianare la via a Parigi alla ratifica della CED. Ho anche segnalato la sensazione generale, di cui ho avuto conferma anche attraverso una recente conversazione avuta con il Sottosegretario americano all’Aria [sic] Douglas, che ci si stia avviando al punto di crisi a Washington per la politica americana verso l’Europa. Da più parti mi è stato indicato come tempo limite il rientro del congresso a gennaio; in altri termini – cosa che appare importante per noi – dietro Adenauer, in questa sua premura verso le ratifiche, vi è l’America e personalmente Eisenhower. Non ho mai perduto di vista, nel segnalare il mio pensiero ancora una volta sulla necessità di una pronta ratifica della CED in Italia, l’esistenza dell’angoscioso problema di Trieste. Spero molto invece che proprio tali esigenze politiche, anche personali, di Eisenhower, di non vedere crollare all’ultimo momento tutta la costruzione europea su cui ha puntato (e Bérard mi ha detto che nell’opinione dei francesi crollerebbe in tal caso anche la Comunità Carbone-Acciaio) costringeranno ora il Governo americano ad agire per venire incontro all’Italia sul problema di Trieste. Da mezze parole udite qui nel campo alleato (non americano) la tendenza sarebbe quella di tenere il problema «in ghiaccio» corrispondente in questo caso alla parola «naftalina» da te adoperata.

L’atteggiamento di Tito che ha oramai dichiarato di considerare un atto di aggressione la cessione all’Italia della Zona A può qualcuno mi ha pure detto e te ne riferisco, risolversi in un elemento favorevole alla ricerca di una soluzione. Pil’opposizione di Tito diventa aspra verso la cessione all’Italia della Zona A, e piquesto sentimento si impadronisce dell’opinione pubblica italiana, pipotrebbe essere accolta con sollievo in Italia una soluzione parziale del problema triestino in nostro favore, a condizione ben inteso che sia psicologicamente e opportunamente preceduta da una campagna di stampa che illustri la minaccia pesante sulla Zona A. Gli alleati potrebbero perfino, sul rifiuto di Tito ad una conferenza a cinque sul plebiscito, arrivare ad una conferenza a quattro solo con l’Italia, intesa ad esaminare i limiti di applicazione pratica, che sono ovvi, dell’accordo tripartito. Inutile dire come cipotrebbe assumere il carattere di un grosso successo italiano.

Non sono queste certo cose nuove per voi, ma ho ugualmente voluto riferirtene sommariamente, per il caso che possa esservi utile conoscere tutte le idee circolanti fuori su di noi.

Voglio aggiungerti anche un altro dettaglio della mia conversazione con Douglas che è in procinto di rientrare a Washington. Gli ho detto che, oltre ai ben noti motivi, vi è per noi a rendere piacuto il problema di Trieste, anche la sfiducia dell’Italia nella fedeltà di Tito all’Occidente. Tanto da potersi forse ritenere che se il problema della Zona B fosse un problema italo-tedesco, francese, svizzero o altro, che vi fosse in altri termini la sicurezza che i territori contestati rimangano in Occidente, la tensione in Italia sarebbe certamente meno grave. Il timore di vedere passare alcuni territori italiani al di là della cortina di ferro, renderebbe il problema piangoscioso per il Governo e per il popolo italiano e questo ragionamento mi è parso impressionarlo profondamente.

Per quanto concerne Adenauer, questi si è sempre reso conto dell’interesse collettivo, e quindi anche tedesco, a vedere risolto il problema di Trieste, e prova ne sia il passo da lui personalmente compiuto, e di sua iniziativa, presso gli americani al momento dell’invito della Missione militare jugoslava negli Stati Uniti. Ciononostante è bene non nascondersi che un nostro ritardo alla ratifica della CED, sia pure per motivi così legittimi come quello di Trieste, se non fosse che per le dannose ripercussioni che avrebbe sulla Germania, accentuerebbe lo stato d’animo già da me descritto nel rapporto della scorsa settimana. Purtroppo Adenauer è ora assente da Bonn per due settimane, e Hallstein è in partenza per Roma. Parlerdi Trieste, senza chiedere nulla per a Blankenhorn il quale, trovandosi in contatto quotidiano con Adenauer, reagirà probabilmente verso gli americani nel senso da me desiderato.

Mi riservo di riferire ancora a Roma su tutto questo e intanto abbiti con mille scuse per la chiacchierata i più cari saluti.

Tuo aff.

Franco

45 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.

45 2 Il documento reca il timbro del Segretario generale e la sigla di Zoppi.

45 3 Vedi D. 41.

46

DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)(Roma, Villa Aldobrandini, 22 settembre 1953)(2)

Messieurs les Délégués,

Je suis heureux de vous souhaiter, au nom du Gouvernement italien, la bienvenue à Rome et de vous exprimer, en ma qualité de Ministre des Affaires Étrangères d’Italie, ma profonde satisfaction de voir s’ouvrir dans notre Capitale les travaux d’une Conférence qui revêt une aussi haute signification.

Suivant le chemin qui vous a été tracé par les six Ministres des Affaires Étrangères, au cours de leurs nombreuses réunions, vous allez entamer un travail d’importance capitale pour les buts que nous poursuivons. Et votre responsabilité est aussi grande que cette importance. Permettez-moi, Messieurs, de souhaiter que l’esprit qui a marqué les réunions des Ministres – depuis celle du Luxembourg, en septembre de l’année dernière, qui ouvrit le chemin vers la constitution de la Communauté Politique Européenne, jusqu’à celle qui a eu lieu récemment à Baden Baden(3)– de souhaiter disje, que cet esprit de collaboration inspirée par l’idéal européen et de compréhension mutuelle, conduise votre travail à des résultats positifs.

Un témoignage efficace de cet esprit a été donné par les Parlementaires de nos six Pays, qui, en élaborant, suivant la tâche qui leur avait été confiée par les Ministres, leur projet de Traité, ont apporté une contribution si importante aux buts que nous poursuivons.

C’est maintenant aux représentants des Gouvernements, à leur œuvre éclairée d’hommes politiques et d’experts, d’atteindre rapidement une nouvelle étape dans la voie de l’unité européenne.

Je sais, Messieurs, combien votre tâche se présente délicate et difficile. L’action politique de ceux à qui incombe la responsabilité du gouvernement doit être méditée avec une attention et une prudence toutes spéciales; d’autant plus lorsque leurs décisions ont trait à des éléments et à des questions d’importance vitale. Cela est particulièrement vrai en ce qui concerne le domaine dont vous vous occupez. A chaque pays – et naturellement aussi à l’Italie – se posent des problèmes particuliers; chaque Pays compte des situations politiques, des états de l’opinion publique différents. Et chaque Gouvernement doit, évidemment, s’en faire l’interprète. Mais la force de l’idée d’union européenne s’affirme chaque jour davantage; et tous ceux qui ont à cœur la destinée de notre continent et de notre civilisation considèrent chaque jour davantage cette idée comme le seul moyen susceptible de permettre à notre continent, à notre civilisation, d’apporter une contribution nouvelle et de plus en plus décisive à la paix et à la prospérité mondiales.

Pour ce qui est de l’Italie, nous poursuivons notre tâche dans la conviction d’avoir donné un apport d’importance fondamentale dans ce domaine. L’action européenne de mon illustre prédécesseur, M. De Gasperi, a eu un retentissement tellement vaste et a abouti à des résultats tellement satisfaisants, que je n’hésiterai pas à la définir comme un élément déterminant de l’essor pris par l’idée européenne et des progrès qu’elle a accomplis, ces dernières années. Et je suis heureux que cette réunion et ces travaux en soient un nouveau témoignage.

Mon Gouvernement se propose de poursuivre cette œuvre, avec une foi dans la cause européenne que les événements récents ont renouvelée et dans la ferme conviction de servir – au nom des idéaux communs – la cause de la paix et de la liberté, ainsi que l’aspiration de nos peuples vers une vie meilleure. Ces fermes sentiments qui nous animent aujourd’hui comme par le passé, nous font espérer que l’œuvre que vous allez entreprendre – couronnement logique et nécessaire de celle qui a déjà été accomplie dans les domaines du charbon et de l’acier, et de la défense – trouvera son chemin entièrement libéré des problèmes dont la nature délicate pourrait retarder la réalisation de buts si ardemment souhaités et si pressants.

Je suis s que ce chemin sera parcouru sans retard et sans entraves et que les six Gouvernements et les six Pays que vous représentez seront bient à même de donner au monde l’exemple d’une Communauté dans laquelle les intérêts légitimes et les buts particuliers de chaque pays, se coordonnant, trouveront leur entière satisfaction.

C’est animé par ces sentiments et par cette confiance que le Gouvernement italien vous accueille à Rome et vous souhaite un travail fécond et éclairé.

46 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE Consiglio d’Europa.

46 2 Il documento reca il visto del Segretario generale e la sigla Zoppi. Il testo del discorso per l’inaugurazione della Conferenza dei Sostituti dei Ministri degli Esteri della Comunità Europea, fu trasmesso da Cancellario d’Alena con Telespr. 8/6132 del 25 settembre a tutte le rappresentanze diplomatiche e consolari e per conoscenza alle Direzioni generali della Cooperazione Internazionale e degli Affari Politici.

46 3 Vedi D. 34.

47

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

R. segreto riservato 1163. Parigi, 22 settembre 1953.

Signor Ministro,

credo che sia venuto il momento di cercare di fare il punto sullo stato attuale della questione di Trieste, prima di decidere quale possa essere la nostra azione ulteriore.

La prima constatazione spiacevole, che bisogna fare, è che noi in questo affare siamo terribilmente isolati. Non possiamo effettivamente contare sull’appoggio di nessuno: l’atteggiamento francese, in particolare, è di comprensione infastidita. Le simpatie sono piuttosto dalla parte di Tito.

Analizzare il perché sarebbe lungo: limitiamoci a constatare un fatto, che sarebbe purtroppo difficile negare.

Dato questo, non è su simpatie attive per la nostra causa che possiamo contare, ma solo sulle nostre possibilità di pressione. Quali sono?

Qualche forma di broncio atlantico.

Mi permetto di dire senz’altro che questo può esseremolto pericoloso anche dal punto di vista interno. Per un complesso di ragioni noi siamo arrivati a dire che, sul piano interno e sociale, si potrebbero trovare delle possibilità di accordo con i socialisti di Nenni, e perfino quasi con i comunisti e che è solo la politica estera che ci divide. Se allora, sia pure per ragioni di tattica, ci troviamo a mollare sulla politica atlantica, cosa ne diventa della situazione politica all’interno?

Questo non avrebbe molta importanza se potessimo supporre che, al primo nostro accenno di broncio, gli americani mollerebbero. Ma esempi anche recenti di altri paesi ci hanno insegnato che le reazioni americane sono lentissime. Saremmo quindi portati, visto che una cosa tira l’altra, ad una serie di atti successivi che potrebbero costituire un rovesciamento completo della nostra politica e che non sarebbe poi facile di rirovesciare, il giorno in cui gli americani si fossero decisi a cambiare la loro politica.

Non è poi affatto detto, inoltre, che una simile evoluzione della nostra politica non sarebbe interpretata dagli americani, e non solo dagli americani, come, diciamo pure la parola, un ricatto di politica estera. Benevoli come lo si è generalmente nei nostri riguardi, essa sarebbe interpretata all’estero – e probabilmente anche all’interno – come uno slittamento della nostra politica verso un fronte popolare, conseguenza del risultato delle nostre elezioni; ed è molto probabile che, invece di cercare di riguadagnarci, ci si dichiarerebbe puramente e semplicemente perduti: non è affatto detto, quindi, che il risultato di questa politica, invece di essere il passaggio a noi della Zona B, non potrebbe essere il passaggio di Trieste e della Zona A a Tito.

Una simile politica potrebbe essere tentata, senza gli inconvenienti di cui sopra, e con qualche speranza di successo, solo se essa fosse accompagnata sul campo interno da una posizione, non solo dura, ma aggressiva e repressiva contro i comunisti. Si sente il Governo italiano di farla?

Nel deprecato ventennio ci è accaduto più diuna volta di imbarcarci in una politica di reazioni che ci sembrava a prima vista attraente ed utile e che poi ci ha, per la logica interna delle cose, trascinati a situazioni catastrofiche. Vediamo di non dimenticare la lezione.

Molto meno pericolosa ed impegnativa, sia all’interno che all’estero, è evidentemente una presa di posizione che dica: l’Italia non ratificherà la CED fino a che non sarà stata risolta la questione di Trieste.

Come ho già detto a V.E.(2), mi sembra del resto che, al momento, non abbiamo altra scelta. Non vedo come, dal punto di vista interno, noi potremmo giustificare un ritorno alla vecchia posizione europeista, senza condizioni: si tratta solo di misura. Cipuò esserenoioso, ma non vedo come possiamo intieramente evitarlo.

Il mio dubbio è un altro. Basta questo? Non ne sono del tutto sicuro. Ammettiamo, per ipotesi, che la CED sia ratificata dai Parlamenti francese e tedesco, e che le questioni fra i due paesi siano risolte – non è molto probabile, ma non si puescluderlo a priori. Siamo proprio sicuri che tutti si fermerebbero aspettando noi? Per essere veramente sicuri che il bluff riesca, bisognerebbe che la Francia o la Germania si solidarizzassero a fondo con noi. È del resto un argomento che ho già sottoposto a V.E.

Aggiungo poi: perché questo nostro ricatto riesca, bisogna che la CED realmente si faccia, il che anche non è affatto sicuro. Ho detto che le chances in Francia sono migliorate, ma siccome le chances, qualche settimana addietro, erano nulle, miglioramento non vuol dire risoluzione. La questione della Sarre, la conferenza a quattro, l’agitazione sociale interna, possono rimettere tutto nel frigidaire.

Ed infine, anche perché questo mezzo di pressione giuochi, ci vorranno parecchi e parecchi mesi.

Le cose si sono svolte tanto rapidamente che non è stato possibile per me chiarire le vere intenzioni del Governo italiano. Suppongo che noi ci siamo decisi al colpo di forza per dire al mondo: non si pucontinuare ad ignorare la questione. Ho l’impressione che vorremmo qualche decisione subito, e dovrei supporre che, in fondo, lo scopo almeno primo del Governo italiano è quello di essere messo in possesso della Zona A. Se è esatto — e prego V.E. di correggermi se mi sono sbagliato – piuttosto che esaminare quello che si pufare a lunga scadenza, bisogna vedere cosa ci puservire subito. Ottenere il possesso della Zona A poteva essere facile quando, molti mesi addietro, gli inglesi ce lo hanno proposto e noi non ci siamo decisi. Era possibile, anche se un po’ meno facile, al momento delle proposte Dulles: ma anche allora non ci siamo decisi.

Adesso è certamente molto meno facile.

L’obiezione americana, di cui mi parlava Bidault, che questa soluzione non è consigliabile perché, di fatto, aumenterebbe invece che diminuire il dissidio italo-jugoslavo non è nuova: già la prima volta che ne parlarono a Brosio, gli inglesi, se ben ricordo, gli accennarono a questa difficoltà. Ed è un’obiezione del resto che ha la sua logica. Se ci si fanno delle «concessioni», è soltanto perché noi acconsentiamo a collaborare militarmente con la Jugoslavia: perché farcele se, dopo, le relazioni saranno ancora peggiori? E perché rinunciare ad un pegno che oggi è un mezzo di allettamento, ma che domani potrebbe anche diventare un mezzo di pressione su di noi?

Anche ammettendo quindi, da parte dei nostri alleati, le migliori disposizioni, e visto che non siamo disposti a dichiarare – almeno lo penso – che una volta datoci il possesso della Zona A – che equivale poi ad una spartizione di fatto – staremo tranquilli, collaboreremo con la Jugoslavia, salvo – e questo non c’è nessun bisogno di dirlo, tanto va da sé – a riaprire la questione in caso di scompiglio generale, bisogna che si trovi un pretesto passabile perché questo possa essere fatto.

Era per questo che alla riunione dell’aprile scorso, ci siamo trovati tutti d’accordo, i tre Ambasciatori all’estero piZoppi e Del Balzo, per consigliare al Governo italiano di accettare la proposta fattaci da Dulles, senza troppe e troppo importanti variazioni, Se gli jugoslavi dicevano di sì, era una soluzione, non certo ideale – nessuna soluzione, nemmeno quella dell’intiero TLT, è ideale – ma almeno accettabile. Ma insistemmo sulla riserva o condizione che, Tito rifiutando, ci si sarebbe messi in possesso della Zona A; in pigli alleati dovevano non riconoscere eventuali annessioni da parte di Tito della Zona B.

Adesso, mi sembra, il massimo che possiamo sperare è cercare di ritornare a quella soluzione.

Ed è per questo che mi permetto di chiedere a V.E. di prendere in seria considerazione la proposta da me fatta a Bidault a titolo personale. Ossia, di fronte ad un rifiuto di Tito di accettare il plebiscito(3)– su questo mi pare non ci sia dubbio – dire che noi siamo disposti ad accettare una conferenza a cinque per una soluzione definitiva, a condizione che le basi di questa soluzione definitiva siano le proposte già fatte da Dulles a Belgrado e da questo rifiutate. E con la condizione che, se Tito rifiuta comunque la conferenza o si rifiuta ad un componimento ragionevole sulle basi anzidette, gli alleati risponderanno mettendoci in possesso della Zona A.

Vorrei non essere frainteso: non mi sembra molto facile che la proposta sia integralmente accettata: ci si dirà probabilmente che, col nostro gesto, abbiamo peggiorato l’atmosfera, che abbiamo irrigidito Tito, etc. etc. Il minimo che ci si domanderà sarà di dare un po’ di tempo per calmare le acque: potremmo cercare di fissare un termine, ma non di pochi giorni. È comunque il massimo che possiamo sperare di ottenere, ed è una posizione che, mi sembra, si regge.

Se vogliamo invece tentare, o speriamo di potere ottenere di più allora bisogna che ci rassegniamo di nuovo a rimandare la soluzione e di molto: e allora bisognerà studiare seriamente la nostra linea di azione e misurarne tutte le conseguenze. Ed anche in questo caso, resta sempre il problema se gli avvenimenti futuri giuocheranno in nostro favore, o contro. Fin qui non si può certo dire che il tempo abbia giuocato in nostro favore.

Voglia gradire, signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio

[Pietro Quaroni]

47 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, b. 19 bis, fasc. 3.

47 2 Vedi D. 42.

47 3 Vedi D. 44, nota 3.

48

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA, CON L’AMBASCIATRICE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA, BOOTHE LUCE(1)(Roma, 23 settembre 1953)

Promemoria(2).

L’Ambasciatore Luce ritiene che possa interessare al Presidente Pella sapere cosa sia stato detto e quali utili conclusioni siano state raggiunte alla recente riunione di Lussemburgo di Capi Missione americani in Europa(3).

Erano presenti gli Ambasciatori a Londra, Parigi, Bruxelles, L’Aja, Mosca nonché l’Alto Commissario a Bonn, gli Ambasciatori Bruce e Hughes (NATO) ed il Sottosegretario Merchant. L’agenda della discussione riguardava particolarmente la CED e la CPE. Esaminata la situazione con particolare riguardo alle situazioni ed agli atteggiamenti dei singoli paesi presso cui sono accreditati, gli Ambasciatori sono giunti ad alcune concordi conclusioni circa la CED stessa e le sue possibilità di ratifica. Esse si possono così riassumere: Considerazioni positive. Il successo del Piano Schuman, l’aumento raggiunto dalle forze armate occidentali; i risultati delle recenti elezioni tedesche hanno creato un clima nel quale è possibile giungere ad una ratifica entro l’inverno. È nell’interesse comune di tutte le nazioni NATO, e particolarmente della Francia, di vedere la Germania incorporata al più presto possibile nella CED. L’Alto Commissario Conant ha illustrato con particolare ammirazione la ripresa industriale della Germania, sottolineando come, da visibili segni, essa potrà diventare in breve una potenza militare di prima grandezza. Con la sua azione personale a favore della CED e della CPE, con la buona volontà da lui mostrata di addivenire ad una soluzione concordata per la Sarre, Adenauer ha in realtà offerto, «su di un piatto d’argento» alla Francia, il leadership europeo: è da sperare vivamente che la Francia sappia approfittare dell’occasione per incorporare e ad un tempo contenere la potenza tedesca in una cornice di collaborazione europea. Aspetti negativi: sono state riconosciute le difficoltà parlamentari che ostacolano in qualche paese, e particolarmente in Francia e in Italia, una ratifica della CED. L’Ambasciatore Dillon (Parigi) si è mostrato convinto del personale entusiasmo di Laniel e di Bidault nei riguardi della CED: ma ha espresso l’opinione che se essi non faranno uno sforzo per manifestare e difendere pubblicamente questo loro pensiero non mancheranno di sorgere dubbi nell’opinione pubblica americana circa i loro reali intenti. Per parte sua l’Ambasciatore Luce nell’illustrare la situazione italiana, non ha avuto alcun bisogno di convincere gli intervenuti circa l’intenzioni del Presidente Pella, essendo tutti al corrente delle sue passate prese di posizioni al riguardo. Naturalmente ella non ha mancato di illustrare il problema di Trieste, sottolineandone l’importanza quale fattore limitativo della ratifica della CED da parte italiana. L’Ambasciatore Aldrich (Londra) ha riferito di aver trovato Churchill sempre più favorevole alla CED quale soluzione del problema europeo e strumento percontenere la Germania. È prevedibile una sua pubblica presa di posizione in tal senso.

Passando ad esaminare la situazione da un altro punto di vista, un elemento fondamentale, illustrato dal Sottosegretario Merchant, e che la Signora Luce ritiene dover segnalare alla attenzione del Presidente Pella, è che l’opinione pubblica americana mostra una crescente impazienza nei riguardi della NATO e della CED. Non è tanto che in America si dia eccessiva importanza ad alcune revisioni che sono state apportate da parte di paesi europei ai rispettivi sforzi finanziari e militari per la difesa: ciò che invece preoccupa è l’apparente evoluzione del pensiero politico in vari paesi, indicante un diminuito interesse a quei problemi. Il Sottosegretario Merchant considera indispensabile un progresso della CED: se non si giungesse ad una effettiva azione (action) in questo campo prima della prossima riunione del Congresso, nel gennaio 1954, è da prevedere che si manifesteranno in quella sede serie reazioni contro la NATO e la CED, basate sul concetto che l’Europa non è seriamente interessata alla propria difesa. Ne potrebbero conseguire forti decurtazioni negli stanziamenti relativi, ed il serio pericolo di un dibattito pubblico su qualche soluzione alternativa. Dipartimento di stato, Casa Bianca e Pentagono sono convinti che la creazione della CED è un interesse non solo europeo ma anche americano; essi sono decisamente contrari ad una diversa soluzione la quale si ispirasse ai soli e immediati interessi degli Stati Uniti. L’Ambasciatore Bruce ha insistito a questo riguardo sul concetto che pur essendo la ratifica della CED l’obbiettivo immediato, non si deve dimenticare che l’obbiettivo finale è rappresentato dalla CPE, nel quadro della quale tutti i problemi europei dovrebbero trovare armonica e pacifica soluzione.

Concludendo, l’Ambasciatore Luce sottolinea come l’opinione unanime raggiunta a Lussemburgo si riassume nella speranza che il Presidente Laniel e il Presidente Pella riescano a far trionfare i loro convincimenti ed i loro sforzi. Questo il quadro generale della discussione. Nel corso della medesima sono stati esaminati anche altri problemi, ad esempio nel campo economico e dell’emigrazione. L’Ambasciatore Bolhen ha anche riferito interessanti aspetti della situazione e della politica sovietica (egli ha affermato tra l’altro che la personalità estera che gode in Russia del maggior prestigio è l’On. Togliatti). Per questi aspetti l’Ambasciatore Luce si ripromette di riferire piparticolarmente all’Ambasciatore Zoppi(4).

Il Presidente Pella ringrazia la Signora Luce delle informazioni fornitegli le quali sono l’espressione della cordialità e della comprensione alle quali l’Ambasciatore d’America ha informato il suo atteggiamento.

Il nostro sentimento nei riguardi della collaborazione europea e atlantica – egli prosegue – è lo stesso oggi di quello di ieri, di due anni fa, di cinque anni fa. Speriamo di trovare la strada della realizzazione di questi nostri intendimenti libera di qualche grosso sasso che attualmente ostruisce il cammino. Egli pensa con attenzione ed apprensione alla prossima settimana quando verrà in discussione il bilancio degli Esteri e spera che il dibattito si svolgerà nelle condizioni che consentano di procedere sulla strada che noi desideriamo. Tanto lui che il Governo sono animati dalla migliore buona volontà. Se per Trieste vi è la possibilità di una buona notizia, sarebbe bene che essa giungesse prima del dibattito.

AMBASCIATORE LUCE: Il Dipartimento di Stato sta lavorando sui dettagli di una proposta. Il ritardo è facilmente spiegabile con la necessità di un coordinamento con gli inglesi, i quali si mostrano d’accordo in linea di massima (in general agreement) con Washington. Non vi è nessun indizio che possa far ritenere che il ritardo non sia naturale e normale. Crede che vi potranno essere notizie tra giorni.

PRESIDENTE PELLA: Se le notizie sono buone, spera di averle presto. Se sono cattive, scongiura la Signora Luce di fare il possibile perché esse diventino buone. Sarebbe difficile discutere il bilancio degli Esteri sotto l’ombra di cattive notizie.

48 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 5, fasc. 66.

48 2 Trasmesso da Grillo con Telespr. segreto 1681/c. Segr. Pol. del 30 settembre alle Ambasciate a Londra, Parigi e Washington e per conoscenza alle Direzioni Generali della Cooperazione Internazionale e degli Affari Politici, Ufficio IV.

48 3 Del 18-19 settembre 1953: vedi FRUS, 1952–1954, Western Europe and Canada, vol. VI, Part 1, D. 304 [l’intervento dell’ambasciatrice Luce sulle linee di politica estera del Governo Pella e la questione di Trieste si svolse nella sessione pomeridiana del 18 settembre (pp. 673, 674)]; FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 1, D. 430 e FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 43.

48 4 Vedi D. 49.

49

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

Appunto(2). Roma, 24 settembre 1953.

Ho avuto un’ora di conversazione con l’Ambasciatore Luce venuta a continuare con me il colloquio interrotto ieri con V.E.(3).

Mi ha ripetuto che il risultato delle elezioni tedesche apriva ormai la via alla realizzazione della CED in quanto il popolo germanico aveva, votando in gran parte maggioranza per Adenauer, dato la netta sensazione di non voler aderire a progetti di unificazione che avessero come base la neutralizzazione del Paese. Venivano così a cadere da un lato gli scopi cui la politica sovietica aveva ispirato la sua azione in questi ultimi mesi e le tendenze neutraliste coltivate in certe correnti d’opinione francese. Cisarebbe apparso anche pichiaramente quando, sempre in conseguenza delle elezioni nella Germania Occidentale, l’URSS rettificherà la sua linea politica come l’Ambasciatore Bohlen si attende. Bohlen pensa tra l’altro che l’URSS lascerà cadere l’invito alla Conferenza di Lugano. Quanto precede costituirebbe la principale constatazione fatta dagli Ambasciatori americani in Europa riuniti a Lussemburgo. La Signora Luce mi ha anche sottolineato la ripresa delle conversazioni franco-tedesche per la Sarre come elemento destinato ad aprire la via alla ratifica del Trattato CED da parte della Francia, e mi ha detto di sperare che si possa arrivare a togliere di mezzo l’impedimento triestino per facilitare la ratifica italiana.

Ho ripetuto alla Signora Luce che il Governo italiano si mantiene fedele alla linea europeista cui l’Italia ha sempre dato determinante e convinto impulso. Essa conosceva per altro come me la situazione parlamentare e lo stato d’animo della opinione pubblica italiana. Ho cercato di mettere in evidenza come la Sarre sia una questione aperta fra due paesi entrambi membri della CED e della Comunità Europea, mentre la questione di Trieste è una questione aperta – e in modo acuto – con un paese al di fuori della CED. Non si potevano quindi fare paragoni anche perché la Francia è in possesso della Sarre e la Germania sa che il tempo vi lavora per essa, mentre il territorio di Trieste è in parte in mano jugoslava e in parte in mano anglo-americana e il tempo lavora contro di noi. Le ho anche ricordato che se per la Germania, che non ha forze armate, la CED rappresenta il modo di riaverle, per l’Italia la CED rappresenta la perdita della sovranità sulle forze armate esistenti. Questa rinuncia può esserevolentieri consentita al fine di un ideale superiore, ma può esseregiudicata pericolosa sin che abbiamo una questione aperta con un così turbolento vicino.

L’Ambasciatore Luce ha convenuto e mi ha assicurato che il suo Governo sta adoperandosi per eliminare questo impedimento. A tale proposito le ho detto che da parte americana, dopo le prime pressanti informazioni, precedenti al discorso di V.E.(4), secondo cui era imminente una comunicazione sulle idee del Dipartimento di Stato, non ci era stato pidetto niente. In più mentre nel darci quelle informazioni ci era stato detto che erano segretissime e che non ne dovevamo accennare né agli inglesi, né ai francesi, ci è poi risultato che erano in corso consultazioni a Tre. L’impressione che abbiamo, anche per notizie fornite dai nostri Ambasciatori a Londra e Parigi, inducono a ritenere che, passato il momento di spavento per l’improvvisa crisi determinata dalle prese di posizione jugoslave e dalla nostra pronta reazione, la questione si stia arenando, nelle secche del Foreign Office e nell’illusione che si possa ancora attendere. Le ho ricordato quanto detto da V.E. nel Suo discorso al Campidoglio sulla prorogabilità di una decisione. Perdurando la situazione attuale non solo non si migliora l’atmosfera, ma si accentua la tensione. La Signora Luce mi ha risposto che se ne rendeva conto e che per questo continuava a raccomandare al Dipartimento di Stato di risolvere il problema. Le ho aggiunto che se ci si ostina a ricercare una soluzione preventivamente concordata con Tito non si arriverà a capo di nulla perché il discorso di San Basso(4)deve essere preso alla lettera e deve essere chiaro che Tito non accederà, spontaneamente ad alcun compromesso che sia accettabile per noi. Le ho poi chiesto se avesse informazioni sull’esito delle conversazioni militari di Washington con gli jugoslavi: ci avevano promesso notizie, ma sinora non ne erano pervenute. Mi ha risposto di non avere ricevuto ufficialmente alcuna notizia. A Bonn aveva pervisto il Gen. Handy. Questi le aveva detto che agli jugoslavi era stato fatto chiaramente intendere che ogni intesa militare non avrebbe valore se non appoggiata all’Italia e gli jugoslavi, mentre avevano convenuto in tale apprezzamento, ne avevano tratto pretesto per non impegnarsi a fondo. Converrà controllare queste notizie chiedendo a Washington, Parigi e Londra che ci informino ufficialmente secondo le promesse fatteci.

Alla fine del colloquio siamo venuti a parlare della Conferenza attualmente in corso a Roma per la Comunità europea. Le ho accennato al comportamento – per nulla di punta – della Delegazione germanica e alla interpretazione da noi data a tale cauto atteggiamento che ci pare dovuto, da un lato alla necessità di non irritare i francesi (molto prudenti sempre in fatto di unità europea) nel momento in cui stanno per aprirsi le conversazioni per la Sarre, e dall’altro alla impossibilità in cui si trova la Germania di sostituirsi all’Italia nella posizione di «leader» della politica di unione europea in quanto ciò nonfarebbe che allarmare i francesi.

49 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.

49 2 Trasmesso da De Rege con Telespr. segreto 1680/c. Segr. Pol. del 30 settembre alle Ambasciate a Londra, Parigi e Washington e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, Ufficio I e della Cooperazione Internazionale.

49 3 Vedi D. 48.

49 4 Vedi D. 44, nota 3.

50

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. segreta 20/123(2). Parigi, 24 settembre 1953.

Caro Ministro,

Alphand, che si dimostra sostanzialmente ottimista circa l’esito della battaglia parlamentare sulla CED all’Assemblea Nazionale francese (pur senza dissimularsi che vi saranno certamente difficoltà grosse), ha confidato all’On. Lombardo ed a me che da parte francese si sta seriamente considerando l’opportunità di proporre ai sei governi la redazione di un documento di carattere politico, che contenga l’offerta di una qualche forma di accordo con l’Unione Sovietica (tipo patto di non aggressione), secondo le linee accennate dal Cancelliere Adenauer in diverse occasioni e indicate anche nel recente discorso di Spaak a Strasburgo(3).

Per quanto i termini precisi di una simile iniziativa non siano ancora concretati (non è infatti chiaro – fra l’altro – se contraenti dell’eventuale accordo dovrebbero essere i sei Paesi o la Comunità), dovrebbe trattarsi di una proposta unilaterale e non, in alcun caso, di una condizione per l’entrata in vigore della Comunità. Non si dovrebbe quindi aspettare la risposta russa ma soltanto aprire una porta.

Indipendentemente dagli eventuali successivi sviluppi, un simile gesto sarebbe destinato a fornire una dimostrazione che la CED non ha scopi aggressivi, sottolineando il concetto che l’Europa deve costruirsi non contro l’Unione Sovietica ma perché l’unione continentale rappresenta una necessità storica e la soluzione di problemi che esistono indipendentemente dalla minaccia militare sovietica.

Pare che i francesi pensassero già a qualcosa di simile da parecchi mesi ma che non ne avessero mai fatto parola per timore di reazioni negative tedesche. Le dichiarazioni pre-elettorali del Cancelliere avrebbero ora fatto cadere tale preoccupazione.

Quello che si vuole qui è che, comunque, l’iniziativa non parta dai tedeschi ma che il merito di essa possa essere attribuito alla Francia, alla quale sta a cuore tanto quanto alla Russia di non veder rinascere il militarismo prussiano e che quindi non sarebbe fonte sospetta.

Alphand ha aggiunto di aver già parlato della cosa a Bidault e che questi sarebbe pienamente consenziente.

Egli ha altresì raccomandato la massima discrezione su quanto ci ha detto perché non sono stati ancora interpellati gli americani. Civerrebbe fatto soltanto nel momento che potesse venir giudicato psicologicamente più appropriato, dato che evidentemente l’approccio presenterebbe carattere di particolare delicatezza.

Ho voluto, d’accordo con l’On. Lombardo, informarti subito di quanto sopra, sia pure a titolo preliminare, perché sarebbe interessante che la questione venisse fin da ora esaminata costà affinché potessimo essere pronti a prendere posizione a tempo opportuno. Naturalmente ti sarparticolarmente grato di ogni indicazione orientativa che potrai poi fornirmi – per nostra norma di linguaggio e di atteggiamento – sul pensiero di Palazzo Chigi.

Con devoti e affettuosi saluti

tuo

Giorgio Bombassei

50 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.

50 2 Il documento reca il timbro del Segretario generale e la sigla Zoppi.

50 3 Vedi D. 53.

51

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

Appunto riservatissimo 21/3134(2). Roma, 26 settembre 1953.

Oggetto: Conferenza dei Sostituti dei Sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea (Roma - Villa Aldobrandini).

Sono trascorsi cinque giorni dall’apertura, a Villa Aldobrandini, della Conferenza dei Sostituti, ed appare possibile e lecito dare un primo sguardo d’insieme a

questi lavori e sopratutto all’impostazione che le singole Delegazioni hanno cercato di porre in rilievo nella loro azione per l’avviamento delle discussioni.

In linea di massima può affermarsi:

1) La Delegazione francese, alla cui testa si è trovato, per improvvise circostanze, costituite da polemiche verificatesi in seno al Governo di Parigi, l’Ambasciatore a Roma Fouques Duparc, è giunta alla Conferenza con istruzioni evidentemente restrittive ed è apparsa inspirare il suo atteggiamento ad estrema prudenza. La tesi francese è tuttora quella di accettare una Comunità che sia composta esclusivamente dalla CECA e dalla CED. Tale somma aritmetica di queste due Comunità già definite, dovrebbe essere completata dalla formazione di una Assemblea comune per ambedue e destinata, a norma delle decisioni di Baden Baden, ad esercitare il «controllo democratico» sugli organi esecutivi. In altre parole i Francesi si oppongono a che, in un modo o in un altro, sia dato ad una Autorità sopranazionale un potere tale da poter esercitare la propria azione – senza previi accordi consensuali tra i Governi – su settori ed in campi diversi da quelli che formano l’oggetto della CECA e della CED. Da ci sopratutto, l’opposizione francese, di fatto, ad entrare in pieno nel settore economico. Occorre peraggiungere che, in questi ultimissimi giorni, l’atteggiamento francese è apparso meno «resistente» forse anche a causa di interessanti evoluzioni di grossi partiti politici di Francia (e l’atteggiamento di Guy Mollet a Strasburgo ne è una prova) nei confronti dell’idea «europeista» e della ratifica della CED. Occorre, infine, aggiungere che la spiegazione data dai Francesi per giustificare il loro atteggiamento riservato e restrittivo, è che, qualora dovesse mettersi il campo a rumore intorno a nuove iniziative ed a eventuali allargamenti della sfera di azione della progettata Comunità Politica, le difficoltà parlamentari a Parigi per questa ratifica della CED diventerebbero ancora più gravi.

2) L’atteggiamento olandese è da tempo noto. Il Governo dell’Aja non intende giungere ad una Comunità Politica se prima non sia messa bene in chiaro la necessità di estendere l’attività di quella Comunità al settore economico, con la creazione di un mercato comune e di particolari accordi nel quadro finanziario. Qualora ciò nondovesse verificarsi, sarebbe meglio, dicono gli Olandesi, limitarsi puramente e semplicemente alla CECA ed alla CED. Come si vede gli Olandesi ed i Francesi, partendo da punti di vista diametralmente opposti, potrebbero finire per sostenere la stessa tesi: la limitazione, cioè, della Comunità alla CECA ed alla CED, con leggere modifiche di aggiustamento.

3) La tesi italiana – dato che noi, in sostanza, immaginiamo la CECA e la CED, non già quale un «fine» ma viceversa quale un «mezzo» per raggiungere quella struttura federale o confederale prevista ed indicata dall’art. 38 del Trattato CED – è sempre quella di sostenere la necessità del raggiungimento di una Comunità Politica atta ad esercitare le sue funzioni su altri settori, a cominciare da quelli della politica estera e dell’attività economica, con la formazione di organi dotati di sufficienti potere ed autorità e con la caratteristica della supernazionalità. Nelle attuali circostanze l’impostazione politica al nostro atteggiamento è stata data da V.E. nel discorso di apertura della Conferenza(3)allorché Ella ha messo in rilievo, come l’opera intrapresa dovrà trovare la sua strada interamente liberata da problemi, la cui delicata natura potrebbe ritardare la realizzazione degli scopi desiderati. Nel campo tecnico delle discussioni l’azione italiana è sempre – si ripete – inspirata alla necessità di facilitare il raggiungimento di decisioni comuni atte a permettere la creazione della Comunità Politica.

4) I tedeschi sono venuti a Roma dopo la grande vittoria elettorale del Cancelliere Adenauer. Ma essi, che sono guidati dal Sottosegretario Hallstein, vecchio e profondo conoscitore della questione, appaiono, almeno per ora, piuttosto prudenti e cercano di non premere eccessivamente in un senso o in un altro. Evidentemente i problemi politici in corso tra Bonn e Parigi, a cominciare da quello della Saar, consigliano un tale atteggiamento. La Germania, comunque, appare sempre propensa a vedere realizzata la progettata Comunità politica.

5) Il Belgio ed il Lussemburgo rappresentano una tendenza mediana che, per da qualche tempo a questa parte, appare doversi maggiormente avviare verso forme di una più grande integrazione europea. Su tutto ciò probabilmente, esercita la sua influenza l’evoluzione politica interna belga e la rinnovata attività europeista del Sig. Spaak, da taluni preconizzato quale non lontano candidato alla successione di Van Zeeland.

Nell’incrociarsi di queste tendenze, non è stato facile per il Presidente della Conferenza, Ministro lussemburghese Majerus, trovare una via per l’andamento dei lavori. Alla fine la Conferenza si è articolata in un Comitato direttivo ed in due Commissioni di lavoro, l’una per le questioni istituzionali e l’altra per il settore economico. Di ambedue l’Italia ha la presidenza nelle persone rispettivamente di Cavalletti e di Prato. L’attività, quindi, della nostra Delegazione è destinata ad assumere particolare rilievo.

Quanto ai lavori stessi occorre subito dire che l’orientamento generale della Conferenza è apparso quello di svolgere la propria attività in modo da giungere alla formazione di un rapporto generale e, per quanto possibile, completo da essere poi sottoposto al Consiglio dei Ministri che dovrà aver luogo il 20 ottobre all’Aja. In queste condizioni il «progetto di Statuto» compilato, come è noto, dalla Commissione Costituzionale dell’Assemblea ad Hoc, potrà avere soltanto il valore di un documento indicativo ma non si prevede una sua rielaborazione nel senso tecnico. Effettivamente le tendenze dei singoli Paesi sono tanto e tanto diverse da rendere veramente difficile la compilazione, fin da ora, di un vero e proprio progetto di Trattato articolato in capitoli.

Per ora sono stati affrontati i problemi istituzionali relativi al futuro Parlamento. E qui ha finito per prevalere la nostra tesi per cui base fondamentale per la creazione della Camera dei Popoli deve essere l’elezione dei Deputati con suffragio universale, diretto e segreto. Soltanto la Delegazione olandese mantiene, in argomento, le sue riserve, sostenendo la tesi della necessità di un «periodo provvisorio» limitato a non oltre tre anni, nel quale si avrebbe una Camera eletta a sistema indiretto, ossia dai Parlamenti nazionali, come avviene attualmente per il Consiglio d’Europa(4).

51 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. Consiglio d’Europa.

51 2 Sottoscrizione autografa. Indirizzato per conoscenza anche a Zoppi, Del Balzo e Corrias.

51 3 Vedi D. 46.

51 4 Per il seguito del resoconto della Conferenza vedi D. 55.

52

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI,

AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. personale 580(2). Parigi, 26 settembre 1953.

Caro Ministro,

tu sai che ho sempre cercato di non peccare di eccessivo ottimismo nei confronti della ratifica francese del Trattato di Parigi, chiave di volta (a meno che le circostanze non conferiscano, in definitiva, alle nostre discussioni parlamentari questa funzione) della possibilità di veder realizzata a breve scadenza la integrazione militare europea, sempre così strettamente collegata anche con tutta la costruzione della piccola Europa.

Mi corre perciò particolare obbligo di segnalarti ora che un certo miglioramento nelle disposizioni francesi verso la CED si sta effettivamente verificando. I sintomi sono svariati e vanno dalle dichiarazioni degli uomini di governo (di cui l’ultima è quella odierna dello stesso Laniel, che ha confermato l’impegno di presentare il Trattato alla Camera dopo la realizzazione delle note condizioni sospensive) e dal rafforzarsi in seno al governo medesimo delle correnti europeiste (che anche in occasione della formulazione delle istruzioni per la Conferenza di Roma hanno finito per avere ragione della opposizione gollista) fino alla presa di posizione di Mollet a Strasburgo(3)e ad un mutato tono dei principali organi di stampa. Anche «Le Monde», pur seguitando la sua inveterata campagna contro la ratifica, è costretto ad ammettere che ormai la Francia sarà ben presto obbligata a prendere una posizione definitiva. La tesi estremista che Parigi dovrebbe opporsi ad ogni costo a qualsiasi forma di riarmo tedesco, minacciando anche di rompere l’alleanza atlantica, non sembra in realtà presa veramente sul serio, forse neppure da quelli che la propugnano. Il che significa che il giuoco delle alternative, o meglio della mancanza di alternative al di là del solito bivio CED o riarmo unilaterale della Germania, comincia veramente a serrarsi.

ciò nonvuol dire, naturalmente, che la ratifica marcerà «sur des roulettes» (ché sono ancora vive tutte le riserve e mobilitate tutte le correnti contrarie di cui ti ho pivolte parlato), ma soltanto che si principia ad intravedere una possibilità che venga raccolta, intorno al Trattato, una maggioranza di suffragi, sia pure di stretta misura. A questo fine l’atteggiamento dei socialisti era decisivo e le recenti dichiarazioni del Segretario Generale della SFIO (sebbene motivate anche, e direi sopratutto, da moventi di politica interna) fanno pensare che un’intesa possa essere raggiunta, magari attraverso una nuova crisi, nonostante vi sia un gruppetto che fa capo a Moch tuttavia trincerato in posizioni rigidamente contrarie.

C’è sempre, è vero, la questione della Saar posta come condizione sine qua non (l’unica delle pregiudiziali di veramente difficile soluzione e credo che su questo punto nessun governo francese potrebbe ormai retrocedere) ma molti prevedono, o sperano, che Adenauer, oggi che è più forteed ha davanti a sé alcuni anni di sicuro governo, possa mostrarsi più conciliante.

Come si spiega questa evoluzione in senso meno scoraggiante nei riguardi della CED?

Forse rammenterai che, quando ho cercato in precedenti lettere di identificare i motivi essenziali per i quali andavano qui moltiplicandosi opposizioni e incertezze, ho creduto di poterli scorgere principalmente nella evoluzione della situazione internazionale in un senso che la rendeva dissimile assai da quella che aveva spinto i francesi a lanciare il piano Pleven, che in realtà contrastava con tanti loro sentimenti e tante loro tradizioni.

Le illusioni sulla possibilità di una distensione immediata e completa, basate pisu un irrazionale «wishful thinking» che non su elementi obiettivi, avevano, dopo la morte di Stalin, rinfocolato tutte le forze opposte al Trattato, che traevano nuovo vigore dalla speranza che il raggiungimento di un modus vivendi fra occidente ed oriente togliesse alla questione del riarmo tedesco il suo carattere di urgente attualità. Meglio, anzi, se la Germania avesse dovuto fare le spese della pacificazione.

Si contava, da parte di parecchi ambienti, che gli stessi tedeschi avrebbero scelto, per raggiungere l’obiettivo della loro unificazione, la via delle intese con l’Unione Sovietica e che avrebbero dato precedenza assoluta al loro problema centrale, anche a costo di porre in sordina quello dell’inserimento definitivo del loro paese nel sistema occidentale. Invece i tedeschi hanno mostrato chiaramente di preferire un’altra strada e di non credere in sostanza alla distensione in funzione della debolezza europea ma di confidare nella potenzialità del sistema atlantico per arrivare ai loro fini, possibilmente attraverso un pacifico negoziato ma che partisse dalla precostituzione di una posizione di forza.

Così i termini stessi del dialogo Est-Ovest sono stati profondamente spostati.

L’atteggiamento della Russia, d’altro canto, non è stato quello che sarebbe sembrato logico di prevedere e l’offensiva di pace del Cremlino ha subìto, almeno apparentemente, una larga battuta di arresto. I sintomi da cui tutti cercano di giudicare le vere intenzioni dei dirigenti di Mosca sono diventati contraddittori. Sembra che quei signori abbiano scelto, anziché di immergere i loro rapporti con l’occidente in un bagno tiepido e prolungato, di sottoporli ad una specie di doccia scozzese. Ci porterebbe troppo lontano il tentare l’indagine delle ragioni di questi tentennamenti e dello strano svolgersi della sinusoide della politica sovietica e probabilmente non se ne verrebbe a capo, tante sono le incognite della situazione. Ma, comunque sia, le sopraggiunte difficoltà e dilazioni hanno scoraggiato e deluso, nelle sue picare speranze, questa opinione pubblica, la quale ha dovuto, suo malgrado, rendersi conto che, anche nella favorevole ipotesi che distensione ci debba essere, essa non potrà arrivare che gradualmente ad essere raggiunta non già per tocco di bacchetta magica ma attraverso lunghe tribolazioni e difficili schermaglie e complicati equilibri. E, allora, si è ricominciato a pensare in termini di inevitabilità di un riarmo della Germania.

Non voglio affermare con questo che l’ipoteca della distensione sia del tutto e definitivamente tolta ma soltanto rilevare che grava sullo stato d’animo dei francesi meno di tre mesi fa. Personalmente, anzi, sono sempre convinto che i russi potrebbero, se fossero disposti a pagare un prezzo adeguato e manovrassero abilmente, bloccare ancora la CED: ma vorranno, potranno o sapranno farlo?

La entità della vittoria di Adenauer ha indubbiamente creato qui grande sensazione e non è sfuggito il suo significato europeista, con tutte le implicazioni che cicomporta: è stato considerato significativo – per parlare di un dettaglio – 1’episodio dell’inalberamento della bandiera europea sul Palazzo della Cancelleria a Bonn non appena noti i risultati delle urne. Il trionfo della politica del Cancelliere ha, da un lato, infuso nuovo coraggio a tutti coloro che, pur convinti assertori dell’idea europea, avevano finora molte ragioni di temere che la CED fosse destinata a scomparire ancor prima di essere nata, mentre, dall’altro, ha ricordato ai francesi la necessità ormai ineluttabile di affrontare il problema dell’integrazione della Germania nell’Europa e quindi del suo riarmo, davanti al pericolo, divenuto ora piattuale, di una intesa diretta tra Bonn e Washington. Si sente infatti che l’esito delle elezioni ha stabilito un nuovo e pistretto legame fra le due capitali. In realtà il responso della consultazione popolare tedesca ha avuto anche il significato di un successo americano ed ha posto la Repubblica Federale in specialissimo odore di santità.

L’esito della missione Blank negli Stati Uniti e il materiale americano accantonato oltreoceano per le future divisioni tedesche sono i primi segni concreti della possibilità di un simile accordo e della reciproca volontà di collaborazione, nonché un chiaro avvertimento che il riarmo della Germania di Adenauer non puaspettare indefinitamente. E dietro alla politica del vecchio uomo di Stato c’è adesso il voto compatto del 45% dei tedeschi e c’è la maggioranza assoluta conquistata nel parlamento germanico dai democristiani e dai partiti con loro coalizzati.

È vero che la grande affermazione di Adenauer ha, d’altra parte, accentuato le antiche preoccupazioni dei francesi (non infondate davvero) che la Comunità Europea sia, tosto o tardi, dominata dalla Germania; dal paese che si va sempre pidelineando come il più fortedei tre maggiori soci della piccola Europa col suo governo sicuro, con la libertà di manovra e la stabilità sociale che gli deriva dall’assenza di un grande partito comunista, col suo enorme potenziale industriale e con l’appoggio evidente della particolare amicizia americana. Ma è anche vero che tutto ciò rende ancor più terrificante agli occhi dei francesi lo spettro di una Germania riarmata all’infuori della CED, ora che si va realizzando qui che il puro e semplice rifiuto di ratificare il Trattato non potrebbe impedirlo ancora per lungo tempo e che anzi potrebbe portare al risultato diametralmente opposto da quello auspicato e cioè alla creazione di una nuova Wehrmacht o al ripiegamento americano su quella «strategia periferica» che, pur vista da alcuni come una soluzione suscettibile di offrire alla Francia anche qualche momentanea possibilità di svolgere una politica in senso equidistanzista e atta a rinviare il problema del riarmo tedesco, è pur sempre estremamente preoccupante agli occhi dei più responsabili perché significherebbe la implicita ammissione che l’Europa continentale sarebbe destinata ad essere solo un campo di battaglia.

Si ripresenta quindi l’antico problema di scelta in un dilemma a cui non si riesce a trovare un terzo corno.

D’altro canto molti cominciano a riflettere che forse proprio attraverso la CED sarebbe pifacile di rallentare il riarmo tedesco, approfittando dei complessi congegni del Trattato, che ad ogni piè sospinto richiedono decisioni unanimi e reciproci control

li. Del resto lo stesso Trattato, che impone alla Germania forze di limitata entità e senza autonomia d’azione, permette alla Francia, per converso, di conservare indipendente la parte più efficiente del suo esercito attraverso i contingenti destinati a rimanere nazionali per la difesa dei possedimenti d’oltremare e le cosidette responsabilità imperiali. Sono pecette temporanee, lo so, se fra due paesi esiste una notevole diversità di peso specifico e di risorse spirituali: ma – si dice – sempre meglio che niente.

Cosicché l’esercito europeo si presenta nuovamente come il «minore dei mali».

A ciò si aggiunga che si va facendo strada la credenza che la stessa personalità del Cancelliere rappresenti una garanzia in quanto, a torto o a ragione, si ritiene che egli stesso non desideri un grande esercito tedesco e che quindi sia pivantaggioso di mettere in moto la Comunità mentre egli è al potere.

Ci si domanda poi se adesso le pressioni americane – sia che esse siano per svolgersi in modo diretto sia che si sviluppino attraverso una politica di progressivo isolamento della Francia – non siano destinate a farsi più intense, e se si sarebbe in grado di resistervi, mentre la necessità dell’aiuto degli Stati Uniti – in campo politico e, ancor più in campo economico – continua a rimanere assai acuta, essendo la Francia ancora lontana dalla realizzazione di quel «redressement», che, solo, potrebbe assicurarle una maggiore indipendenza.

Anche la possibilità che venga trovata una qualche formula di reciproca garanzia fra la CED e 1’URSS va facendosi strada, dopo che lo stesso Adenauer ne ha lanciato l’idea e che questa è stata ripresa autorevolmente qui e a Strasburgo(4)(nonché – proprio oggi – all’Assemblea delle Nazioni Unite da Maurice Schumann), e trova favorevole accoglienza non solo ai fini distensivi in campo internazionale ma anche come precisazione, all’interno, di una particolare interpretazione della Comunità difensiva, con speciale accento sull’aggettivo e con la riconsacrazione dei suoi scopi di argine contro il militarismo prussiano.

La conclusione di queste considerazioni è – secondo me – che la CED è di nuovo alla ribalta e che un certo venticello è venuto a risospingere le vele afflosciate della sua barca (e questo è un fatto) perché è tornata a prevalere, sebbene in termini alquanto diversi, una situazione che rassomiglia a quella che fece germogliare, or sono tre anni, la prima iniziativa della CED.

Questo insieme di cose può avere sopratutto incidenza – ai fini della ratifica – su quella notevole massa di parlamentari incerta e fluttuante – gente magari con limitata visione dei problemi di politica estera ma probabilmente, nella maggioranza, in buona fede – che da lunghi mesi si va chiedendo ansiosamente quale atteggiamento debba essere tenuto per uscire da una impasse tormentosa e va pesando i pro e i contro delle diverse soluzioni di un problema che, come è stato giustamente detto, non ha soltanto diviso i francesi ma ha suscitato in ogni francese una lotta interiore talché ciascuno di loro era in parte favorevole alla CED e in parte contrario. E in definitiva, premesso che il voto dei socialisti è necessario alla approvazione del Trattato di Parigi, la sorte ultima di esso, in sede parlamentare, è proprio nelle mani di questi gruppi incerti e non classificati, più che in quelle dei fautori o dei detrattori dell’integrazione europea.

Con affettuosi devoti saluti

tuo

Giorgio Bombassei

52 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.

52 2 Il documento reca il timbro del Segretario generale e la sigla Zoppi.

52 3 Vedi D. 53.

52 4 Vedi D. 50, nota 3.

53

IL CONSOLE GENERALE A STRASBURGO, CITTADINI CESI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

R. 4570. Strasburgo, 30 settembre 1953.

Oggetto: La politica del Consiglio d’Europa alla luce dei recenti sviluppi della situazione mondiale.

Signor Ministro,

l’avvenimento principale dell’ultima Sessione dell’Assemblea Consultiva è stato costituito dal dibattito e dalla risoluzione sulla politica del Consiglio d’Europa nel quadro degli ultimi sviluppi della situazione mondiale(2).

Il dibattito era previsto per la sessione di giugno, alla vigilia di quella che avrebbe dovuto essere la Conferenza delle Bermude. Gli inglesi tenevano molto ad agitare allora dalla tribuna di Strasburgo la proposta di un incontro con la Russia lanciata da Churchill l’undici maggio. I democristiani tedeschi, invece, preoccupati delle ripercussioni che il dibattito avrebbe potuto avere sulle imminenti elezioni preferivano sottrarvisi; la stessa attitudine adottavano i francesi preferendo arrivare alla progettata conferenza con le mani completamente libere.

Fu così che a rischio di fare una cattiva figura, l’assemblea decise a debole maggioranza il rinvio del dibattito alla sessione di settembre.

L’incarico di preparare la relazione della Commissione degli affari generali venne affidato a Spaak.

Tale relazione, presentata alla vigilia della apertura della sessione, conteneva una lucida disamina dei sintomi di distensione verificatisi dopo la morte di Stalin e denunciava il pericolo di un ottimismo ingiustificato da parte delle potenze occidentali.

Le principali conclusioni politiche del relatore potevano così riassumersi: proposta di una conferenza a quattro con la Russia con ordine del giorno limitato ai due problemi, non interdipendenti, dell’Austria e della Germania. Alla conferenza le Potenze Occidentali avrebbero dovuto presentarsi con delle proposte non riducibili per quanto riguarda la riunificazione della Germania ed il rigetto di qualsiasi forma di neutralizzazione o smilitarizzazione. Ciò premesso avrebbe dovuto essere riconosciuto alla Germania unificata, con un governo liberamente eletto, il diritto di decidere sul suo definitivo orientamento politico.

Le Potenze Occidentali avrebbero inoltre dovuto proporre all’Unione Sovietica un patto di garanzia multilaterale nel quadro dell’ONU, al quale avrebbero partecipato oltre all’URSS, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Comunità Europea ed eventualmente altri Stati; nonché la creazione di una zona smilitarizzata a cavallo della frontiera orientale della Comunità Europea.

Il dibattito, apertosi sul rapporto Spaak, ha rivelato che, mentre sulla proposta di una Conferenza a quattro con l’Unione Sovietica tutti sono d’accordo, una profonda disparità di vedute esiste sul carattere e gli scopi della conferenza.

Gli uni hanno sostenuto che questa si dovesse proporre la ricerca di un modus vivendi tra l’Unione Sovietica e gli occidentali basato sulla riunificazione pacifica della Germania nella Comunità europea, cioè un modus vivendi che presupponga l’attuale politica di integrazione, ed al contempo ne consenta la estensione alla Germania orientale.

Gli altri per contro hanno sostenuto che la conferenza avrebbe dovuto mirare innanzitutto all’accordo con la Russia, come all’alternativa dell’attuale politica di integrazione. Come è chiaro, il punto di vista di tali rappresentanti si conciliava sia con l’opposizione alla CED ed alla Comunità politica, che con il timore di vedere la Russia respingere una discussione che desse per acquisito il processo d’integrazione europea.

Per la ricerca del modus vivendi, tendente alla riunificazione pacifica, senza rinunciare al riarmo integrato della Germania, si sono pronunciati coloro che a Strasburgo hanno sempre sostenuto la politica dell’Europa a sei: italiani, francesi e belgi europeisti, democristiani tedeschi, olandesi; in più ed è stato questo il fatto nuovo dell’attuale Sessione, i socialisti francesi.

Guy Mollet, parlando a nome del suo partito, ha riconosciuto la necessità di non lasciare spazi assorbibili alle frontiere dell’Unione Sovietica; in una Germania neutralizzata o smilitarizzata i russi vedrebbero sempre una alleata potenziale o una facile preda.

I socialisti francesi chiedono dunque la riunificazione della Germania e, facendo credito alla democrazia tedesca, contano sull’adesione che quest’ultima porterà alla politica di integrazione europea attraverso libere elezioni. Nel frattempo essi sono favorevoli all’attuazione immediata di tale politica, e sono pronti ad appoggiare la ratifica del trattato CED, ponendo le sole condizioni della creazione della comunità politica e della associazione con l’Inghilterra.

Anche se formalmente tali elementi possono ritrovarsi anche in precedenti dichiarazioni del leader socialista francese, la misura della sua evoluzione è stata indicata dalla nuova impostazione ed intonazione politica del discorso, il quale, anziché sul-l’ «avere» delle condizioni, ha posto l’accento sul «dare» della ratifica; Guy Mollet ha ricordato le responsabilità parlamentari dei socialisti francesi, ed ha dichiarato che essi non vi si sottrarranno, pur restando partito di opposizione, ove la maggioranza governativa non si dimostrasse all’altezza del compito.

L’altro avvenimento politico della sessione è stato il discorso del Sottosegretario britannico, Nutting. Questi ha annunciato la piena adesione del suo governo alla proposta di una conferenza a quattro che abbia per base la riunificazione della Germania ed il riarmo integrato della medesima nel quadro di una Comunità europea; ed ha assicurato che per rendere possibile la ratifica del trattato CED da parte di tutti i suoi firmatari, la Gran Bretagna è pronta ad entrare con la futura comunità in rapporti di associazione più intimi di quanti nella sua storia essa abbia mai stretto con potenze continentali.

Spaak ha raccolto il significato di queste dichiarazioni, e di quelle di Guy Mollet, sottolineandone la importanza «storica» (sua parola).

L’energica presa di posizione del capo dei socialisti francesi e del Sottosegretario britannico ha intaccato profondamente le posizioni di coloro che avrebbero voluto trovare nella conferenza a quattro la possibile alternativa dell’attuale politica di integrazione.

In questo ordine di idee i laburisti britannici hanno avuto come «leitmotiv» il disarmo. II loro capo Robens ha sostenuto che si dovesse proporre alla Russia la riunificazione della Germania contro l’abbandono della partecipazione tedesca alla CED, la neutralizzazione ed il disarmo della Germania per un periodo di cinque anni, al termine del quale si sarebbe potuto fare l’esperimento di una conferenza mondiale per il disarmo. A lui hanno fatto eco i compagni di partito e qualche parlamentare isolato di altra nazionalità. Solo Healey, esponente di una tendenza di minoranza in seno al Labour, si è pronunciato per l’ingresso della Germania nel NATO.

Irriducibili contro la politica di integrazione della Germania nella comunità europea che comprometterebbe, a loro avviso, a priori ogni possibilità di accordo con i russi, sono rimasti i socialisti tedeschi. Per contro essi hanno dichiarato di essere favorevoli al riarmo della Germania.

Alcuni conservatori britannici – Boothby e Amery – hanno tenuto al momento della discussione un atteggiamento critico, mostrandosi favorevoli a soluzioni meno impegnative di quella della CED, ma hanno poi votato la risoluzione finale.

Altri rappresentanti, tra cui il Presidente del Senato belga Struye, hanno indicato la possibilità di soluzioni intermedie, fra l’integrazione e la neutralizzazione della Germania, da discutersi con la Russia in una conferenza a quattro, non fondata sul rigido presupposto del riconoscimento dell’attuale politica occidentale, ma si sono alla fine anche essi associati al voto della maggioranza.

Completamente isolata è rimasta la voce del francese Debré (gollista), che ha ripetuto, presentandosi come tutore degli interessi dell’Unione francese, le consuete critiche contro la CED e la comunità politica.

Le somme della discussione sono state tirate dalla Commissione degli affari generali al momento della stesura del progetto finale di risoluzione che trasmetto con telespresso odierno n. 4575/589.

Nell’insieme questo resta aderente al punto di vista di Spaak, di proporre una conferenza a quattro per la ricerca di un modus vivendi con l’Unione Sovietica sulla base della partecipazione di una Germania unificata alla organizzazione della difesa europea. Talune attenuazioni alla forma forse più che alla sostanza delle proposte Spaak sono state introdotte per isolare al massimo la tendenza favorevole a fare alla Russia concessioni importanti sul fondo della questione.

Così nel preambolo è stata fra l’altro prospettata la possibilità di una riduzione degli armamenti come condizione per lo stabilimento di rapporti pacifici, sempreché a titolo di reciprocità e sulla base di un sistema di controllo generale ed effettivo.

Nel dispositivo è detto che spetterà solo al futuro governo della Germania riunificata, uscente da una libera consultazione elettorale, di decidere sul definitivo orientamento della politica tedesca.

Ma intanto la questione della partecipazione tedesca alla difesa dell’occidente viene posta come corollario della attuale politica di sicurezza collettiva, accettata plebiscitariamente dalla Germania occidentale con le elezioni del 7 settembre. Gli eventuali sviluppi di una conferenza a quattro non dovrebbero quindi frenare («ralentir») le trattative in corso per la creazione di una autorità politica europea. Al contrario la risoluzione insiste sulla necessità della «associazione» della Gran Bretagna e degli altri paesi del Consiglio d’Europa (e questa è una novità) alla istituenda autorità politica.

La risoluzione è stata approvata a grande maggioranza: soltanto i socialisti tedeschi hanno votato contro. I laburisti britannici si sono astenuti. Gli isolati che cercavano irrealistiche posizioni intermedie tra la politica di integrazione sostenuta dagli occidentali e i desiderata sovietici sull’assetto futuro della Germania, hanno finito come si è visto con il cedere all’opinione della maggioranza.

Il dibattito, introdotto dalla magistrale relazione di Spaak, è riuscito ad essere nel suo insieme quell’esame di coscienza che l’opinione pubblica si attendeva dal Consiglio di Europa in un momento come questo.

Dalla esposizione dei diversi punti di vista sugli scopi di una possibile conferenza a quattro per la Germania si è ricavata una conclusione che conferma la assoluta priorità della politica di integrazione: ed è stato questo l’appoggio che l’Europa dei quindici ha portato a quella dei sei, pronunciandosi sul problema della riunificazione tedesca.

La forza della risoluzione è data, d’altra parte, dal fatto che l’abbiano votata i tedeschi i quali non ignorano che il riarmo integrato del loro paese ne può gravemente compromettere la riunificazione col consenso dei russi.

Nel giugno scorso la risoluzione sarebbe stata una delle tante: oggi, invece, indica la rinascita della Germania che, come suo primo atto, offre all’Europa il contributo della sua partecipazione al riarmo integrato.

Guy Mollet, in quello che Spaak ha definito il suo pibel discorso politico, ha invitato l’Europa a fare credito alla democrazia tedesca, e a non rifiutarle ciò che diversamente potrebbe essere costretta domani a concedere a un’altra Germania.

Nutting da parte sua, precisando che il Primo Ministro britannico, con la proposta dell’11 maggio, non aveva voluto prendere alcuna iniziativa di «appeasement», ha tenuto a dimostrare che l’Inghilterra è ormai su di una linea di piena adesione alla politica di integrazione europea.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio

[Gian Gaspare Cittadini Cesi]

53 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, pos. 11/5.2.

53 2 Si veda ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1953, pp. 296-297.

54

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. riservata 1219. Parigi, 5 ottobre 1953.

Caro Zoppi,

grazie della tua lettera n. 1683 del 30 settembre. Tutti gli argomenti che mi porti per arrivare alla conclusione che non c’è particolarmente da contare sulla Germania per una pressione sugli americani coll’argomento CED erano anche i miei: del resto ho accennato, mi sembra, nel mio rapporto(2), anch’io a qualche dubbio sulle nostre possibilità tedesche: mi interessa, e mi conforta, che, da parte vostra, vedete le cose come mi sembrava di vederle io.

Resta quindi l’alternativa francese.

Le tue considerazioni negative – poca influenza francese, diretta, sull’affare, pericolo che la Francia si serva del nostro atteggiamento per rimandare la ratifica sulla CED ed infine, ed è questo l’argomento capitale, che un nostro impegno sulla questione sarrese subordinerebbe ad esso ogni nostra libertà d’azione ed iniziativa in fatto di politica europeista – sono esattissime, e sono intieramente da me condivise.

Se non che, ad un certo punto del nostro ragionamento, bisogna porci anche la domanda: cosa facciamo?

Il Presidente De Gasperi, penso, era, in fondo, dell’idea che il giorno in cui si fosse fatta l’Europa, e di questa Europa noi fossimo un fattore importante e dinamico, la nostra posizione di fronte alla Jugoslavia ne sarebbe riuscita rafforzata: e anche per questo, pur non rifiutando trattative in qualsiasi direzione, preferiva lasciare aperta la questione. Considerava, ossia, l’unificazione europea come l’obbiettivo n. 1 della nostra politica, e ad esso subordinava qualsiasi altra nostra considerazione. Non me la sento di dire che avesse ragione o avesse torto: la difficoltà del nostro mestiere è sempre quella che solo i fatti futuri possono dimostrarci se avevamo ragione o torto. Il mio dubbio era un altro, se cioè data la situazione interna francese fosse possibile, in un periodo abbastanza breve, arrivare alla creazione di questa Europa, soprattutto nelle forme che ci erano care e che, logicamente, erano anche le migliori.

Adesso noialtri abbiamo, con il nostro gesto spettacolare, messo in prima linea il problema di Trieste: ci siamo, per lo meno in larga misura, messi nell’impossibilità, relativa almeno – tutte le impossibilità sono sempre relative – di rimettere la questione nel frigidaire. Anche qui, non critico la mossa: sarà stata un bene od un male, lo sapremo un giorno. Mi sembra solo poterne trarre la conseguenza che, avendolo fatto, dobbiamo subordinare adesso a questo obbiettivo tutto il resto della nostra politica.

Abbiamo scelto la tattica dell’attacco frontale: come tu dici giustamente nel tuo P.S., «qualche cosa bolle in pentola»: se questo qualche cosa che bolle in pentola sarà qualche cosa di accettabile da parte nostra, questo sarà la migliore riprova che abbiamo fatto benissimo a fare quello che abbiamo fatto.

Ma potrebbe anche essere qualche cosa che noi dobbiamo rifiutare. Ed allora ci troveremo di fronte alla necessità di trattare la questione a più lunga scadenza: e dovremo arrivare alla conclusione che l’attacco frontale non basta.

Ora per questa azione a più lunga scadenza – e anche su questo vedo che sei d’accordo con me – abbiamo bisogno dell’appoggio di qualcuno. A me sembra che una delle prime conclusioni che dovremmo trarre è la constatazione del nostro completo isolamento. Ora, un paese come il nostro, isolato, non può ottenere che ben poco. Bisogna quindi vedere se e cosa possiamo fare per uscire un po’ da questo isolamento, quale che sia il risultato della fase attuale.

A più lunga scadenza, un certo rivolgimento delle carte a nostro favore, e contro Tito, lo si potrebbe realizzare, penso. Apparentemente, l’acutizzazione della questione di Trieste è opera nostra: è indubbio perche Tito, anche se non aveva realmente l’intenzione di annettere la Zona B, ha agito come se l’avesse; aveva quindi l’intenzione di provocarci. Perché lo ha fatto?

Di ipotesi ne sono state avanzate molte: per me, la pisoddisfacente è quella che ci viene da Ankara e sopratutto da Atene: che cioè Tito non ha mai avuto seriamente l’intenzione di legarsi con accordi militari alla Grecia e Turchia e, quindi, al NATO, indirettamente: ha voluto dare delle speranze, trarne de’ vantaggi, ma non vuole legarsi: che lo faccia, come sembrano pensare alcuni, perché non esclude la possibilità di un allacciamento con Mosca, o perché ha delle difficoltà interne a farlo, non so. Probabilmente questo non legarsi viene da un altro calcolo, non inabile. Il favore, indiscusso, di cui gode Tito in moltissimi ambienti, non è solo dovuto, per me, ai soldi che spende, ma anche alla sua posizione terzaforzista, all’interno ed all’esterno: il giorno che si sia legato apertamente al patto Atlantico, tutti i sinistrorsi di qui, per esempio, gli saranno molto meno favorevoli. Arrivato adesso ad un punto in cui si sentiva di non poter più sfuggire al sì od al no, ha trovato comodo di rinviare la decisione acutizzando il conflitto con l’Italia. Se quindi noialtri dichiarassimo che siamo pronti a collaborare militarmente all’organizzazione della difesa balcanica, e cioè anche con la Jugoslavia, questo pretesto cade: Tito sarà obbligato a tirarne fuori degli altri, e c’è una ragionevole speranza che in questo caso anche gli entusiasmi americani per lui sbollano e si crei quindi, laggi una situazione comparativamente più favorevole per noi. Evidentemente fare questo è stato sempre per noi difficile: adesso più che mai: bisognerebbe quindi che intervenisse qualche cosa che ci permetta di farlo. Questo qualche cosa potrebbe forse essere la nostra immissione nel possesso della Zona A, alle condizioni di cui abbiamo già molte volte discusso e su cui eravamo tutti d’accordo: per me è inutile tornarci.

Ora, penso, questa immissione nel possesso della Zona A noi la possiamo ottenere solo se promettiamo, in cambio, che la questione della Zona B resta aperta sì, ma che noi non la drammatizzeremo: e che siamo disposti, lasciandola aperta, a collaborare. Se noi non diciamo questo, non c’è niente da fare.

La soluzione ha tutti i suoi inconvenienti, all’interno, non c’è chi non li veda: se non che, mi sembra, ottenendo questa soluzione dopo il nostro colpo di forza, si potrebbe presentarla, non come un nuovo cedimento di un governo debole, ma come una vittoria ottenuta mostrando la nostra forza: il che fra l’altro non sarebbe poi del tutto inesatto. A noi italiani piace sempre di pipoco ottenuto colla forza, che di piottenuto in forma melliflua.

Se questa soluzione è una soluzione che noi consideriamo come possibile, passato un periodo X, perché siano superate le preoccupazioni russe, possiamo contare sull’appoggio francese, con quelle limitazioni di efficienza che tu ben sai: e non ci costerebbe molto. Basterebbe che nelle prossime e numerose conferenze europee noi ci schierassimo un po’ apertamente in favore delle tesi prudenti francesi, e che la nostra stampa cessasse di entusiasmarsi per il trionfo di Adenauer alle elezioni.

Se queste non sono le nostre intenzioni – o se questo è impossibile sul piano interno – allora è evidente che non possiamo sperare in una soluzione, né immediata né prossima: e bisogna che studiamo la possibilità, e la forma di un’azione a più lunga scadenza , e di risultato per lo meno dubbio. In questo caso non ci resta che tentare il ricatto CED: e per avere l’appoggio francese bisognerà che facciamo molto di più.

Tengo a precisare, perché non ci siano equivoci, che la politica a cui ho accennato

– solidarizzazione della Francia sul piano CED – è una politica che si putentare, e che ho qualche speranza di poter far riuscire: non è detto affatto che sia sicuro che riesca. L’allontanamento fra Italia e Francia che ha portato il nostro oltranzismo europeo ed il nostro avvicinamento fra Italia e Germania è molto più grave e profondo di quanto, temo, voi a Roma non vi siete dati conto. Circa i nostri rapporti con la Germania, son d’accordo con te nel limitarne la portata come tu fai; peragli occhi francesi il nostro spostamento appare assai più grave. Sai purtroppo che quando si tratta di tedeschi i francesi cessano di ragionare, come noi quando si tratta di jugoslavi: come per noi è un dramma ogni visita di personalità straniera a Tito, e ne ingrandiamo a dismisura il significato effettivo, così i francesi erano, e sono, portati a drammatizzare ogni «aparté» di De Gasperi e di Adenauer, ed ogni conversazione dei nostri a Strasburgo con von Brentano.

Poi purtroppo, la politica europea è qui una questione di politica interna: siamo quindi diventati un oggetto di politica interna: vuoi, per esempio, che Bidault non sappia, o non si risenta, tutti quelli che in Italia hanno gridato e gridano al disastro perché non era piSchuman Ministro degli Esteri? Ora, nel nostro come in altri casi, gli europeisti stanno zitti, gli «anti» gridano e si agitano. Non è escluso che, alla fine, il Parlamento francese finisca per votare la CED, ma la voterà controvoglia e manterrà un risentimento feroce contro tutti quelli, all’interno come all’estero, che lo hanno obbligato a marciare per questa strada: questo ci può essereindifferente se la CED è l’obbiettivo n. 1 della nostra politica: non pulasciarci indifferenti se l’obbiettivo n. 1 resta la soluzione della questione di Trieste.

L’intervista del Presidente mi sembra corrispondere a quella che era la tua idea: ossia che il delinearsi di una ritardata ratifica italiana è destinato di per sé ad influire sulla ratifica francese. E sebbene sia stata fatta, per me giustamente, in forma molto discreta, è stata capita benissimo: ed ha incontrato favore indiscusso presso tutte le opposizioni alla CED, sia a sinistra che a destra.

Nel mio rapporto a cui ti riferisci ho accennato ad una possibile politica: ma non ho mai pensato che ci convenisse precipitarsi: quindi, come primo passo, non sarebbe stato opportuno andare piavanti. Sviluppi rapiù dicomunque non ce ne possono essere. Sai, qui, la persona e la politica Pella incontrano molto favore. Ma prima che qualche settore importante della stampa, e della politica francese si muova, bisogna che si superi l’impressione della sua provvisorietà.

Come è facile immaginare, tutti i Teitgen, de Menthon, Reynaud, Mutter, fanno fuoco e fiamme e dicono che la partenza di De Gasperi è una tragedia, che bisogna farlo tornare al potere, non tanto per l’Italia quanto per l’Europa: quello stesso cioè che da noi è stato fatto per Schuman. Questo evidentemente crea a Pella delle simpatie: ma ci si domanda, quale ne è la possibile durata? Si vorrebbe in molti settori qui puntare su questa «nuova Italia», ma ci si crede poco. Sai, nel mondo si va avanti a forza di idee fatte: il ragionamento prevalente qui è semplicista: l’idea europea è un’idea vaticana, l’Italia è governata dal Papa, Quindi se Pella fa una politica meno europea il papa butterà giù Pella e rimetterà al potere De Gasperi. Non c’è bisogno che tu mi dica quanto questo è inesatto e superficiale, ma è solo il tempo che pucambiarlo. Per ragioni interne Pella ha tutto l’interesse a marcare la sua provvisorietà: all’estero, questo accento di provvisorietà presenta degli inconvenienti.

La carta eventuale di una nostra pubblica dichiarazione in favore delle tesi francesi sulla Sarre sarebbe, in ogni caso, una carta che, anche a prescindere dalle conseguenze a cui tu giustamente fai riferimento, non bisognerebbe bruciare a vuoto: e farla solo quando siamo sicuri che essa può avere quegli effetti che noi ce ne aspettiamo. La mia idea era quindi che si dovesse procedere per gradi, prudentemente, per farci un’idea delle possibilità reali di riuscita che essa ha. Adesso, io proporrei un secondo passo che, a mio avviso, non impegnerebbe nessuno. Non ci sarebbe la possibilità di fare scrivere da un nostro grande giornale un articolo, o magari qualche articolo, per dire che in fondo i timori della Francia nei riguardi della Germania non sono del tutto ingiustificati, che ci sono delle persone che in Italia condividono questi timori, etc. etc.?

Noi siamo riusciti, ed è indiscutibilmente un bel successo, ad ottenere uno schieramento monolitico della stampa italiana cosiddetta indipendente, in favore dell’Europa, dell’esercito europeo, di Adenauer, etc. etc. Ora questo successo, almeno per quello che concerne la Francia, è un elemento negativo. Sarebbe così impossibile e pericoloso mostrare che c’è in Italia, anche al di fuori di certi partiti, una differenza di opinioni? Una presa di posizione di un grande giornale su questo genere porterebbe qui delle reazioni: si potrebbe cercare di stabilire un dialogo di stampa: questo dialogo di stampa ci sarebbe utile, direi necessario, per vedere se la politica a cui ho pensato ha realmente delle chances di riuscire: e non ci impegnerebbe. Mi auguro che quello che bolle in pentola sia buono. Per anche per scaramanzia, è bene prevedere il peggio ed è per questo che ti ho esposto molto chiaramente il mio pensiero, e senza nessuna intenzione polemica: per forza di cose, il solo fatto di essere seduti su due poltrone differenti porta a vedere differenti aspetti di una stessa questione. Ma l’affare che abbiamo sulle spalle è troppo grave e troppo complesso perché non se ne discuta a fondo.

Nella tua lettera tu hai accennato all’intenzione del Presidente di chiamarmi per parlare di tutto questo. Non ha importanza che questo avvenga quindici giorni prima

o quindici giorni dopo: ma ti pregherei di tener conto della mia situazione: è estremamente difficile collaborare, ognuno per la propria parte, per questo affare non facile, quando non si ha un’idea esatta di quello che sono le intenzioni, le difficoltà ed anche i dubbi del centro. Troppe cose sono successe da noi, in tutti i campi, in questi mesi, e non è possibile indovinare. Capisco che adesso il Presidente è molto occupato per le discussioni parlamentari, ma non sarebbe possibile, per me, venire a Roma nella seconda metà del mese? Credo di poter dire che, di mia iniziativa, non esagero nel domandare di venire a conferire: ma mi sembra che questa volta, questa mia richiesta è abbastanza giustificata(3).

Credimi, molto cordialmente, tuo aff.mo

P. Quaroni

54 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 26, fasc. 1.

54 2 Vedi D. 42.

54 3 Per la risposta vedi D. 56.

55

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto riservato 20/3247. Roma, 10 ottobre 1953.

APPUNTO SULLA CONFERENZA DEI SOSTITUTI DEI MINISTRI DELLA COMUNITÀ EUROPEA

(Roma Villa Aldobrandini 22 settembre - 9 ottobre 1953)

Con il precedente appunto del 26 settembre u.s.(2) sono state indicate e riassunte le prime battute della Conferenza dei Sostituti dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea, iniziatasi a Roma il 22 settembre con l’intervento di S.E. il Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri d’Italia, On. Pella.

Ora, alla fine della lunga Conferenza, durata, secondo le previsioni, circa 20 giorni, appare possibile dare ad essa uno sguardo complessivo per vedere se, su di un terreno maggiormente tecnico, siano state osservate le «consegne» impartite ai Sostituti stessi dai sei Ministri degli Esteri, con le decisioni ed il Comunicato finale della loro riunione, avvenuta, come si ricorda, a Baden Baden il 7 agosto u.s.(3).

Sempre con l’Appunto precedente si era dato uno sguardo all’atteggiamento delle sei Delegazioni (rispettivamente presiedute per l’Italia dal Sottosegretario agli Affari Esteri, On. Benvenuti, per la Francia, dall’Ambasciatore a Roma Fouques Duparc, per la Germania dal Segretario di Stato Hallstein, per il Belgio, dall’Ambasciatore de Staercke, per i Paesi Bassi, dall’Ambasciatore van Starkenborgh, per il Lussemburgo, dal Ministro a Bonn, Majerus, che è stato anche il Presidente di turno della Conferenza) e si era posto in rilievo come i rispettivi punti di partenza, in merito, tanto alle attribuzioni, quanto alle istituzioni della futura Comunità Politica, fossero, nel complesso, non poco lontani l’uno dall’altro.

Se oggi – e sempre in attesa, naturalmente, di conoscere le reazioni dei differenti Governi al rapporto finale dei sei Sostituti – è lecito cercare di riassumere, in brevi linee, l’andamento generale della Conferenza, può dirsi che essa, pur non portando a risultati effettivamente concreti e pur avendo i Sostituti preferito riunire le loro idee in una relazione finale senza neanche arrischiare un tentativo di compilazione di una bozza di Statuto europeo, abbia avuto una evoluzione non sfavorevole. E ciò perché il non facile lavoro, compiuto specialmente dalle due Commissioni appositamente create l’una per le questioni istituzionali e l’altra per le eventuali attribuzioni economiche (presiedute ambedue da Delegati italiani nelle persone del Ministro Cavalletti e del Consigliere Prato), ha permesso, questa volta, larghi scambi di vedute intesi ad approfondire, per quanto possibile, i difficili e complessi problemi posti sul tappeto della Conferenza stessa.

Occorre così subito dire che, mentre in un primo momento le opposizioni a prendere in esame la bozza di Statuto compilata dall’Assemblea ad Hoc quale documento «essenziale», si erano mostrate, da parte di talune Delegazioni, fortissime, alla fine – e grazie anche all’attiva azione svolta dalla Delegazione italiana sulla base di un preciso intervento dell’On. Benvenuti(4)– quella bozza è stata inclusa, quale elemento permanente comparativo, nel rapporto finale(5), in modo che l’esposizione dei differenti punti di vista è venuta, in pratica, ad intimamente legarsi all’opera già svolta, con molta competenza e per ben sei mesi, dai Parlamentari della Commissione Costituzionale dell’Assemblea ad Hoc.

La Conferenza inoltre ha tenuto fede all’impegno da essa preso di tenersi in contatto con i Parlamentari stessi. E così, nella giornata del 2 ottobre, in due sedute intercalate da una cordiale manifestazione conviviale, è stato dato ad un gruppo di Parlamentari, diretti autori del progetto di Statuto, e particolarmente ai belgi Dehousse e Wigny, di svolgere interessanti interventi esplicativi tali da permettere di conoscere i motivi e gli intendimenti che mossero la Commissione Costituzionale ad Hoc per giungere alle note proposte contenute nella bozza di Statuto.

Altro impegno è stato mantenuto nei confronti del Consiglio d’Europa, in quanto che, a titolo di osservatore e secondo quanto era stato precedentemente stabilito tra i sei Ministri degli Affari Esteri, il nuovo Segretario Generale di Strasburgo, Marchal è stato presente a Villa Aldobrandini, ad alcune sedute plenarie, in modo da rendere in qualche modo efficiente l’auspicato collegamento con il Consiglio d’Europa in seno ai lavori per la Comunità.

Per venire, ora, all’essenza delle discussioni svoltesi in seno alla Conferenza, è bene riconoscere come essa – proprio per aver messo finalmente a nudo talune delle essenziali questioni relative alla Comunità – si sia sopratutto limitata a «fotografare» i differenti atteggiamenti in modo da poter fornire ai Ministri, nella loro prossima riunione prevista per il mese di novembre all’Aja, tutti quegli elementi atti a permettere qualche decisione ad alto livello in sede politica. Del resto occorre anche dire che questo era proprio il compito dei Sostituti i quali evidentemente non potevano giungere a risultati tali da compromettere le future decisioni dei loro capi diretti.

ciò non di meno un avvicinamento tra le diverse tesi c’è stato ed alcuni punti sono stati messi effettivamente «a fuoco». Ad esempio:

1) Mentre in un primo momento, e specialmente per le note riserve francesi, sembrava doversi escludere un’intesa circa la necessità della creazione di un nuovo organo esecutivo sopranazionale, alla fine il concetto è stato approvato. A questa evoluzione ha concorso la trasformazione dell’atteggiamento della Delegazione francese per cui, specie dopo la brevissima visita a Roma del Vice Presidente del Consiglio dei Ministri di Francia, Teitgen, che al suo ritorno a Parigi sembra aver provocato nuove istruzioni maggiormente concilianti, i Francesi hanno finito per annunciare il loro consenso alla creazione di tale nuovo Esecutivo.

Occorre peraggiungere che questo organo nuovo è visto in maniera assai differente dalle varie Delegazioni, partendosi dalle tesi minime della Delegazione olandese (per cui esso si limiterebbe ad affiancarsi agli Esecutivi della CECA e della CED senza aver con essi altri rapporti che di collegamento), e di quella francese (per cui esso ricoprirebbe in certo senso gli altri due Esecutivi esistenti, ma senza toccarne l’esistenza e senza assorbirne, quindi, le funzioni e la responsabilità di fronte al Parlamento), fino alle tesi che prevedono l’assorbimento – sia pure dopo un breve periodo transitorio – dei predetti Esecutivi esistenti in un unico organo nuovo.

2) Circa le ulteriori attribuzioni, in linea di massima, ben cinque Delegazioni, cioè tutte ad eccezione della francese, hanno dichiarato elemento essenziale il fatto che la creanda Comunità Politica possa disporre di reali poteri nel campo economico, particolarmente allo scopo di poter raggiungere al più presto possibile la creazione ed il mantenimento di un mercato comune tra i sei Paesi. I Belgi e gli Olandesi hanno messo molto in chiaro che essi non saprebbero concepire una Comunità Politica che si limitasse a servire da superstruttura istituzionale alle due Comunità specializzate già esistenti. La Delegazione francese, dopo un primo periodo nel quale essa appariva del tutto avversa ad una estensione delle attribuzioni al settore economico, ha finito per dimostrarsi non contraria al principio che la nuova Comunità possa «aprire finestre» su nuove attività e, principalmente, su quella economica, sempre restando fermo però il principio essenziale per i Francesi – che in una prima fase sarebbe escluso ogni ulteriore «abbandono di sovranità» e che comunque qualsiasi ulteriore attività della Comunità dovrebbe essere sempre preceduta da precisi accordi tra i Governi nazionali senza, quindi, decisioni di carattere imperativo sopranazionale.

3) L’esplorazione del settore economico avvenuta, come si è già detto, a mezzo di un non facile e pesante lavoro compiuto, con molto zelo dall’apposita Commissione, presieduta dal Consigliere Prato, ha permesso un vero e proprio approfondimento della materia. L’esame dei problemi relativi alla creazione di un mercato comune e delle molte questioni ad esso attinenti, a cominciare dalle clausole di salvaguardia e dalle possibilità di sostanziali intese nel settore finanziario e nei movimenti di capitali, di beni e di persone, ha permesso l’inclusione, nel rapporto finale della Conferenza, di un vero e proprio «documento economico» tale da permettere effettivamente la costituzione di elementi della più alta importanza per le future decisioni dei Ministri. Con ciò hanno trovato, in certo modo, formale soddisfazione i «desiderata» belgi e, sopratutto, olandesi ai quali si è sopra indicato.

Naturalmente, si ripete, nessuna «decisione» è stata presa in merito né poteva essere altrimenti.

4) Circa le istituzioni, sono state definitivamente confermate le intese relative tanto alla bicameralità del sistema legislativo, già prevista per l’avviamento indicato nell’art. 38 del Trattato CED, quanto al principio – essenziale e patrocinato con molta tenacia dalla Delegazione italiana – della elezione alla Camera dei Popoli a mezzo di suffragio diretto, universale e segreto. Soltanto la Delegazione olandese ha mantenuto, su quest’ultimo punto, le sue riserve, insistendo per un periodo provvisorio di tre anni con elezione indiretta e subordinando anche dopo tale periodo l’applicazione del principio del suffragio universale all’esistenza di una legge elettorale comune. Quanto al Senato alcune Delegazioni (non perquella italiana) hanno mostrato di ritenere che l’art. 38 del Trattato CED non appare opporsi ad un sistema nel quale la funzione del Senato stesso possa essere assunta da un Consiglio composto da Ministri nazionali. Da parte italiana, invece, nel negare tale interpretazione estensiva, si è insistito per la creazione di un Senato indirettamente eletto dai Parlamenti nazionali del tipo di quello indicato nel progetto di Statuto elaborato dall’Assemblea ad Hoc.

5) Sempre in tema di istituzioni e circa i sistemi per le elezioni alle due Camere, si è rivelata una notevole tendenza ad ammettere il principio paritario per il Senato, senza perche si venisse ad una contemporanea accettazione di un sistema proporzionale corretto, sulla base dell’entità delle popolazioni, per la Camera dei Popoli. Su questo punto la Delegazione italiana, che peraltro è stata quella che ha svolto un’azione maggiormente sostenitrice dei principii contenuti nel progetto di Trattato formulato dall’Assemblea ad Hoc, se ne è invece distanziata, insistendo sul principio, si ripete, della proporzionalità, anziché della ponderazione per la Camera dei Popoli, accettando, peraltro, la parità per il Senato. Occorre qui dire che una novità della Conferenza è stata costituita da un insistente atteggiamento tedesco, per cui il Senato dovrebbe essere formato, come si è accennato, da rappresentanti dei Governi – a simiglianza di quanto avviene per il Bundesrat germanico – ossia, praticamente, da Ministri nazionali identificandosi così in un unico organo il Senato ed il Consiglio dei Ministri nazionali.

6) Circa l’estensione territoriale della futura Comunità, da parte francese e belga è stato messo in chiaro come il progetto di Comunità Politica dovrebbe applicarsi soltanto ai territorii europei degli Stati membri, fermo restando il principio per cui il progetto stesso, nelle sue disposizioni organiche, dovrebbe riservare agli Stati membri la possibilità di estenderne le disposizioni ai territorii o Stati non europei che fanno parte delle loro Comunità nazionali o di cui essi assicurano l’amministrazione o le relazioni internazionali. La Delegazione francese, inoltre, ha pregiudizialmente indicato come essa non intendesse toccare, nel corso della Conferenza, il problema della Saar, pur tenendo a ricordare, sotto forma di una riserva generale, che il Governo francese ritiene necessario che il posto della Saar, in seno alla Comunità Politica, debba essere, ad un certo momento, definita [sic].

Durante l’intera Conferenza non si è fatto alcun preciso accenno all’attività della CECA e non si è mai parlato del problema della ratifica del Trattato CED. Soltanto in conversazioni private da parte belga si è accennato al fatto che tale ratifica appare seguire a Bruxelles il normale avviamento parlamentare.

Il Comunicato finale, con il quale è stato annunciato il termine dei lavori, si è inspirato ad estrema riservatezza e concisione, non desiderando i Sostituti compromettere, in alcun modo, le future decisioni dei sei Ministri degli Affari Esteri. In esso si è soltanto accennato al fatto che i Sostituti hanno raggiunto degli accordi sui punti essenziali delle differenti questioni e che «i risultati ottenuti e l’atmosfera dei lavori fanno ben augurare ulteriori progressi che saranno realizzati sul cammino della creazione di una Comunità Europea».

Circa la riunione dei sei Ministri degli Affari Esteri che avrebbe dovuto tenersi, all’Aja – a norma della decisione di Baden Baden – alla data del 20 ottobre – la durata della Conferenza di Roma e la necessità di un approfondito esame del rapporto finale da essa formulato, hanno reso necessario il suo rinvio ad altra data e cioè, a quanto sembra, al 20 o 25 novembre.

55 1 Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 7.

55 2 Vedi D. 51.

55 3 Vedi D. 34.

55 4 Resoconto integrale dell’intervento: Compte Rendu in extenso de l’exposé fait par M. Benvenuti au cours de la séance du Comité de Direction è in DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 80.

55 5 Conférence pour la Communauté Politique Européenne, Rome 22 septembre - 9 octobre 1953,Rapport aux Ministres des Affaires Étrangères, Secrétariat, CIR/15, Rome le 9 octobre 1953 (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 7).

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. Roma, 13 ottobre 1953.

Caro Quaroni,

ho la tua lettera riservata n. 1219 del 5 ottobre(2).

Vedo, retrospettivamente, che ci trovavamo d’accordo sulla valutazione delle due alternative, quella tedesca e quella francese, per un’azione sul piano CED nella questione di Trieste. Dico «retrospettivamente» perché con la decisione alleata dell’8 ottobre(3)questo aspetto della questione risulta, almeno per il momento, superato dagli avvenimenti.

Per quanto riguarda il problema di fondo della integrazione europea nonché quello dei nostri rapporti con la Francia in questo specifico quadro – indipendentemente, cioè, dalla questione triestina – confermo che rimane d’attualità una tua venuta a Roma per discuterne a fondo anche col Presidente. La data esatta dipenderà, ovviamente, dall’andamento dei lavori parlamentari e da altri impegni dell’On. Pella: tra essi la prossima riunione all’Aja. In linea di massima penso che la tua visita potrebbe avere luogo verso la fine del mese. Te ne riscriverò

[Vittorio Zoppi]

56 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 26, fasc. 1.

56 2 Vedi D. 54.

56 3 Dichiarazione anglo-americana su Trieste dell’8 ottobre 1953: FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 130. Si tratta della proposta bilaterale anglo-americana, con cui si annunciava l’intenzione di ritirare le truppe anglo-americane dalla Zona A e di trasferire quest’ultima all’amministrazione italiana. Il testo della proposta fu consegnato da Eden a Brosio e da questi trasmesso a Roma con T. segreto per telefono 366-367/310 - 311 delle ore 21 e 21,10 (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 93, fasc. 4).

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IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

Appunto segreto 21/3326(2). Roma, 15 ottobre 1953.

Oggetto: Problema triestino e questioni italiane di collaborazione internazionale.

Nel momento attuale, nel quale la polemica internazionale, nei confronti della questione di Trieste è non soltanto non sopita ma trova anzi maggior vigore nelle diverse iniziative, nate in questi ultimissimi giorni, è difficile «fare il punto» nei confronti dei nostri problemi di collaborazione internazionale e di cooperazione italo-americana.

ciò non di meno è evidente che taluni di questi problemi, non soltanto mantengono il loro carattere di attualità ma trovano, anzi, maggior ragione di considerazione e di esame in vista di quanto va verificandosi nel quadro internazionale.

Per quanto direttamente ci concerne, occorre quindi mettere in rilievo:

1) Questione della ratifica del Trattato CED.

Molti sintomi fanno ritenere imminente un nuovo, per non dire decisivo, sforzo del Governo americano, inteso ad ottenere dai Paesi europei interessati una definizione di questo problema, prima della fine dell’anno. In gennaio, infine, il Congresso americano dovrà prendere in esame la basilare questione degli stanziamenti di bilancio nei confronti ed a favore dei Paesi europei. Ora, in America, le critiche di parlamentari e di opinione pubblica, nei riguardi del cosiddetto «immobilismo» o della «non collaborazione» dei Paesi europei vanno sempre piaccentuandosi ed il Governo del generale Eisenhower, qualora a gennaio dovesse presentarsi a mani vuote dinanzi al Congresso, rischierebbe di veder compromesse le sue iniziative, intese a continuare lo sforzo di rafforzamento del bastione europeo. A ciò si aggiunge il fatto che, anche in Europa, il problema della integrazione ha preso, specie dopo la vittoria elettorale del Cancelliere Adenauer e mentre vanno facendosi sempre più vaste le discussioni sul problema tedesco, una nuova particolare vivacità ed importanza. Non per nulla nell’ordine del giorno previsto per la riunione dei tre Ministri degli Affari Esteri di Gran Bretagna, di Francia e degli Stati Uniti che si terrà a Londra il 16 corrente, il problema della CED è stato inserito tra i primissimi e principali punti. In queste condizioni ci chiediamo quale sia e quale debba essere la nostra posizione. Al recente Congresso dell’Aja si sono udite chiaramente alcune voci francesi – prima fra tutte quella del Vice Presidente del Consiglio di Francia, Teitgen, convinto e combattivo europeista – secondo le quali non è lontano il momento, oramai, nel quale il Parlamento di Parigi si deciderà ad affrontare la ratifica del Trattato. È vero che esiste tuttora un grosso problema della Saar alla cui soluzione il Quai d’Orsay si è fino ad oggi attaccato per praticamente spingere avanti nel tempo la questione della CED, ma è anche vero che, tutto sommato, il problema della ratifica ha fatto, in qualche modo, in questi ultimi tempi, progressi in terra di Francia.

Negli altri Paesi interessati (Belgio, Olanda e Lussemburgo) non sembra debbano esistere grossi e sostanziali ostacoli per una finale ratifica.

Corriamo noi il rischio di rimanere nel vagone di coda, con evidenti non piccole conseguenze nei confronti, particolarmente, del Governo e della opinione pubblica degli Stati Uniti? Per ora le connessioni tra il problema di Trieste e quello della ratifica del Trattato sono state molto tempestivamente e molto opportunamente indicate da Vostra Eccellenza nei suoi recentissimi interventi parlamentari(3)ed in termini non già di antitesi ma, per consequenziali, atti a non creare dubbi. La formula, secondo la quale tanto più facilmente la ratifica potrà avvenire quanto pivelocemente si avrà una equa soluzione del problema triestino, ha servito e serve tuttora. Ma non si punegare che, almeno in termini teorici, la nota offerta alleata di farci subentrare al più presto nell’Amministrazione civile e militare della Zona A comincia a giocare nel senso di rendere meno efficienti le nostre riserve ed i nostri ritardi in tema di ratifica parlamentare del Trattato.

Vostra Eccellenza conosce quanto siano state e siano tuttora insistenti e precise, sopratutto, le domande degli uomini del Congresso americano che in questi giorni vediamo numerosi e frequenti a Roma.

Per quanto concerne i termini pratici della questione, ci viene assicurato dai nostri competenti uffici, che il Governo di Vostra Eccellenza, nei suoi primi Consigli di Ministri ebbe ad avviare «in blocco» alle Presidenze delle Camere quei provvedimenti che, a causa delle elezioni politiche e delle susseguenti crisi ministeriali, erano rimasti in sospeso. Tra questi provvedimenti appare compresa la ratifica del Trattato CED, il cui progetto ha già raccolto – sempre a quanto ci viene detto – le firme di quasi tutti i Ministri. Si dovrebbe quindi concludere che un bel giorno, e senza ulteriori specifici interventi, il Trattato (che del resto, come si ricorda, era già stato approvato a notevole maggioranza, dalla Commissione competente della Camera dei Deputati della precedente legislatura) dovrebbe venire in discussione al Parlamento, in sede di Commissioni. Quali le possibilità negli attuali momenti? In linea di massima – e fatta astrazione dalla sicura irremovibile opposizione dei partiti di estrema sinistra – non si prevedevano, fino al momento dello scoppio della crisi triestina, estreme difficoltà, dato che lo stesso partito monarchico appariva non alieno dal concedere la propria approvazione in merito. Ma oggi? Al Ministero degli Affari Esteri non è facile possedere tutti gli elementi per conoscere gli umori e le tendenze del Parlamento nell’attuale complesso momento. Quello perche il Ministero stesso può dire è che, anche e sopratutto allo scopo di evitare il pericolo di restare, ad un certo momento, soli ed in ritardo sulla strada della ratifica, apparirebbe conveniente non intralciare nettamente il normale cammino parlamentare del provvedimento in questione, la cui finale approvazione in aula potrà sempre essere affrettata o ritardata, a seconda delle circostanze.

La questione, comunque, va considerata fin da oggi, sotto i suoi diversi aspetti, proprio per non lasciarci sorprendere dagli avvenimenti e per evitare che un certo giorno dovessimo in gran fretta e disordinatamente spingere il Parlamento alla ratifica con tutti gli inconvenienti, interni ed internazionali, che ciò nonpotrebbe non comportare.

2) Questione della collaborazione militare italo-americana e delle «facilities».

Da molti e lunghi mesi vanno svolgendosi, come è noto, queste delicate trattative italo-americane, relative alla concessione, da parte dell’Italia di «facilities» per l’installazione di attrezzature e di depositi americani, in territorio italiano nel quadro della difesa NATO. Le questioni, a seguito anche di un diretto intervento dell’allora Comandante in capo del Settore Sud-Atlantico, Ammiraglio Carney, ebbe [sic] già a far oggetto di un circostanziato appunto di questa Direzione Generale nello scorso luglio. Ora, nell’avviarci verso l’inverno, il problema stesso – che anch’esso si è trovato, per forza di cose, legato agli sviluppi della questione triestina dovrebbe avviarsi alla sua soluzione. Le conversazioni in merito si sono in questi ultimi tempi, anche per l’intervento diretto e chiarificatore del Ministro della Difesa, intensificate e, si può dire, che con probabilità nelle prossime settimane sarà possibile provvedere alla compilazione definitiva di quell’ «Accordo-ombrello» che appare destinato a coprire e a contenere tutti gli aspetti generali del problema. Mentre si è già raggiunta un’intesa di massima per cui le singole installazioni verranno specificate separatamente in particolari annessi e non già in un unico documento: e ciallo scopo di evitare eventuali critiche e ripercussioni parlamentari e di opinione pubblica.

Su questo argomento è bene aggiungere che talune delle principali e pidelicate installazioni quali quelle previste per il campo di Montichiari (Brescia) e per la base navale di Porto Conte (Sassari) non verranno pieseguite perché, da parte americana vi si è fatta, sia per accordi intervenuti tra gli Stati Uniti ed altri Paesi, sia per il troppo lungo periodo di tempo intercorso, rinunzia.

Anche qui, naturalmente, sorge la domanda se esistano, oggi, difficoltà di carattere politico in funzione sempre del problema triestino, per dare il definitivo «via» alla conclusione degli accordi. In linea di massima pensiamo che, pur immaginando una attenta gradualità nella futura realizzazione di queste «facilities» sia ben difficile e contro-producente, dopo tanto lunga trattativa, rinviare ancora una volta la conclusione: inevitabili sarebbero le reazioni negative degli ambienti diplomatici e militari americani in Italia e, in definitiva, dello stesso Pentagono e del Governo di Washington. Naturalmente – e secondo quanto opportunamente ha indicato il nostro Ministro della Difesa – tutte le «facilities» dovranno sempre essere idealmente inquadrate nel sistema protettivo atlantico anziché in una pura cornice di intese italo-americane, anche se in realtà saranno soltanto le forze degli Stati Uniti ad usufruirne.

Un’ultima parola va infine detta sul fatto che, ad accordo concluso, non potrà non aprirsi la questione concernente l’apporto finanziario italiano necessario per la pratica esecuzione dell’accordo stesso. Già nei precedenti studi connessi con l’argomento, il Ministero della Difesa aveva indicato come prevedibile un impegno da parte nostra di circa 12 miliardi di lire, destinati ad affrontare le spese a noi imputabili (espropri di terreni, completamento di attrezzature, ecc.): ci naturalmente, nel caso di un’effettuazione completa dell’intero programma presentato da parte americana e, quindi, con stanziamenti imputabili a piesercizi.

3) Approvazione parlamentare degli accordi per lo «Status» delle Forze atlantiche.

L’Accordo di Londra del 19 giugno 1951(4) sullo Statuto delle Forze NATO era già stato presentato al Parlamento nella scorsa legislatura, ma non era stato ancora preso in esame.

Anche qui è da domandarsi se sia opportuno che la questione della nostra frontiera orientale abbia o no incidenza sulla sua presentazione alla nuova legislatura. A parere di questa Direzione Generale agli accordi dovrebbe venir dato corso: la loro ratifica costituirebbe la normalizzazione e la chiarificazione delle situazioni giuridiche, derivanti dalla presenza in Italia di truppe NATO, problema la cui importanza sarà accresciuta se le trattative per le «facilities» verranno concluse. Non ci nascondiamo naturalmente peraltro le difficoltà politiche e le questioni di principio che la discussione degli accordi, nelle attuali contingenze, potrebbe sollevare in sede parlamentare, difficoltà che non permettono, si ritiene, di dare per sicura, oggi, l’approvazione degli accordi stessi.

4) Questione degli stanziamenti militari italiani in relazione con la Revisione annuale NATO.

In questi ultimi mesi i nuovi orientamenti, con conseguenti riduzioni di stanziamenti nei bilanci di previsione per i prossimi esercizi, hanno portato a modifiche, di un certo rilievo, nella nostra presentazione dei programmi italiani di difesa NATO in sede internazionale. Per ora la questione non ha sollevato eccessive reazioni ma certamente, nelle prossime settimane o nei prossimi mesi, qualche interrogativo potrà sorgere, sia presso il Comando Supremo SHAPE, sia in sede di Segretariato Generale Atlantico. Anche qui occorre fare attenzione, specie nei confronti americani, che una troppo drastica riduzione dei nostri stanziamenti non comporti – particolarmente dopo una auspicabile equa soluzione del problema triestino – malumori e critiche nei nostri confronti. Si tratta, come si vede, anche in questo caso, di questioni internazionali ed interne, connesse e legate l’una all’altra in maniera particolare.

5) Questione della nostra partecipazione parlamentare alla Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa di Strasburgo.

Si tratta di problema evidentemente non legato a Trieste ma che però costituisce, comunque, a seconda dei suoi sviluppi, un sintomo dell’intensità della nostra volontà di cooperazione in sede internazionale.

Oramai non possiamo oltre tardare nella definitiva ricostruzione della nostra rappresentanza parlamentare a Strasburgo tanto falcidiata dalle recenti nostre elezioni politiche.

Della cosa si è fatto parola, proprio in questi giorni, tanto con il nuovo Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Marchal, quanto con lo stesso Presidente dell’Assemblea Consultiva De Menthon. Si tratta, ora, della compilazione dell’elenco dei nostri rappresentanti per la Camera dei Deputati e per il Senato (in totale 18 membri effettivi e 18 supplenti) a mezzo di contatti e precisazioni che S.E. il Sottosegretario di stato intende prendere con i Presidenti delle nostre due Assemblee perché queste, a norma e secondo la relativa legge esistente, provvedano alle designazioni.

In tale materia sembrerebbe conveniente che il «raggio» dei partiti i cui uomini verrebbero inclusi nella rappresentanza, fosse allargato in modo da comprendere gran parte della Camera, dai demolaburisti ai monarchici.

Quanto alle persone, sembrerebbe utile provvedere perché la nostra rappresentanza stessa fosse composta di elementi di valore e di capacità internazionale, in modo da dare, a Strasburgo, a questa nostra rappresentanza il maggior prestigio.

S.E. l’On. De Gasperi, presentito in merito, si è mostrato egli stesso non contrario a farne parte.

La questione, si ripete, ha carattere di urgenza perché non si esclude che possa aversi già, durante l’inverno, una sessione straordinaria dell’Assemblea Consultiva di Strasburgo.

57 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 15, fasc. 56.

57 2 Diretto per conoscenza anche a Benvenuti, Zoppi e Del Balzo.

57 3 Atti Parlamentari Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta pomeridiana del 6 ottobre 1953, pp. 1496-1507. pp. 1503-1506 e seduta pomeridiana del 9 ottobre 1953, pp. 1752-1755.

57 4 Si tratta della convenzione che regolamenta il delicato aspetto dello statuto delle forze armate dei paesi membri della NATO, fuori dal loro territorio nazionale. Si veda ISPI, Annuario di Politica Internazionale, 1951, pp. 182-183.

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IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

Appunto 20/3346. Roma, 15 ottobre 1953.

Oggetto: Collegamento tra il Regno Unito e la CED.

Il collegamento tra Regno Unito e CED – auspicato, come è noto, sovratutto da parte francese – dovrebbe formare oggetto di due accordi che sono attualmente allo studio del Comitato Interinale della CED. Le relative proposte furono avanzate dal Governo britannico nel febbraio-marzo scorso e sono state successivamente oggetto di scambi di vedute tra il Comitato suddetto e la Gran Bretagna: a seguito di essi la Gran Bretagna ha testé presentato una nuova redazione dei due progetti, redazione che verrà nei prossimi giorni esaminata dal Comitato.

Si riassume qui di seguito il contenuto dei due accordi in questione secondo la loro più recente redazione:

1) Associazione sul piano politico. Essa prevede che, fintantoché il Regno Unito rimarrà legato dagli impegni derivanti dal NATO per quel che riguarda il mantenimento di forze armate in Europa, verrà mantenuta una stretta cooperazione tra CED e Regno Unito. Tale cooperazione si effettuerà sul piano militare secondo accordi stabiliti a parte. Sul piano politico si effettuerà mediante consultazione su questioni di reciproco interesse, ivi compresi il livello e la composizione delle Forze Armate britanniche e della CED poste sotto il Comando del Comandante Supremo Alleato: a tale scopo è previsto a) che un Ministro britannico partecipi alle sedute del Consiglio dei Ministri CED quando questo discuterà problemi interessanti la collaborazione con la Gran Bretagna e b) che il Governo britannico nominerà un Rappresentante presso il Commissariato della CED con compiti di stretto e costante collegamento.

Questa associazione sul piano politico verrebbe sancita in una formale convenzione anziché in una dichiarazione unilaterale britannica come era stato originariamente proposto dal Governo di Londra. Essa sarebbe accompagnata da una «dichiarazione comune» dei Ministri degli Esteri del Regno Unito e dei Paesi CED con la quale la Gran Bretagna accetta di associarsi all’iniziativa per portare la durata del Patto Atlantico da 20 a 50 anni (durata della CED).

2) Cooperazione sul piano militare. L’ultima proposta britannica indica in primo luogo gli scopi a lungo termine da raggiungersi nell’associazione delle rispettive forze armate in Europa; tali scopi si riferiscono ai seguenti settori a) dottrine tattiche e di comando b) organizzazione logistica c) standardizzazione degli equipaggiamenti d) istruzione delle truppe. In secondo luogo sono poi indicati gli impegni che, in merito, potrebbero essere presi fin da ora, e che differiscono secondo le tre armi. Si tratterebbe di linee generali, ritenendo il Governo britannico piadatta allo scopo una intesa non rigida in tale materia suscettibile di graduali sviluppi alla luce dell’esperienza. Secondo la proposta britannica questi principi di cooperazione sul piano militare verrebbero fissati sotto forma di una «dichiarazione politica concordata».

A parte le osservazioni tecniche sugli aspetti militari del problema – che sono state richieste al competente Ministero della Difesa –, si ritiene che i due accordi in questione costituiscano, in linea di massima, un soddisfacente quadro per lo sviluppo dei rapporti di collaborazione tra la CED e la Gran Bretagna. Sono state pertanto confermate alla nostra Delegazione presso la CED le istruzioni, già impartite all’inizio delle trattative, favorevoli in linea di principio all’accettazione degli accordi.

58 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 25, fasc. G.B. CED.

59

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

Appunto segreto 20/3658(2). Roma, 11 novembre 1953.

Oggetto: Ratifica del trattato CED.

Con l’improvviso annuncio della Conferenza delle Bermude, fissata per il 4 dicembre, alla vigilia immediata, cioè, della Conferenza Atlantica del 14 dicembre, ritorna in discussione la questione della ratifica della CED da parte di quei Paesi della Comunità che non hanno ancora portato a termine i lavori parlamentari destinati al raggiungimento di essa.

L’Ambasciatore Tarchiani, nel suo odierno telegramma relativo, appunto, al contenuto dell’incontro delle Bermude, pone in rilievo come i tre «Grandi» dovrebbero, con ogni probabilità, orientare i loro colloqui sulle possibili vie di rafforzamento della Comunità occidentale. È evidente come la ratifica della CED sia destinata ad avere, in tale quadro, una posizione preponderante.

Da parte americana – continua l’Ambasciatore Tarchiani – si comprende come, pur essendo, e di parecchio, aumentate le prospettive di adesione da parte del Parlamento francese, la ratifica stessa non potrebbe avere luogo prima di gennaio. Ma i Tedeschi insistono sull’impossibilità di mantenere a lungo in sospeso gli accordi contrattuali e di lasciare insoluto il problema del riarmo: situazione, questa, che fa prevedere molto probabile una precisa pressione americana per ottenere l’impegno francese alla ratifica stessa.

A quanto sopra si aggiunge la radicata impressione – da tutti noi avuta in questi giorni nei contatti con personalità americane di grande rilievo, quali lo «Speaker» della Camera dei Rappresentanti, Martin ed il Capo di Stato Maggiore Generale, Ammiraglio Radford – per la quale è facilmente immaginabile, nell’attuale entusiasmo americano per la Germania, un futuro orientamento degli Stati Uniti verso una qualche forma di riarmo unilaterale tedesco in caso di fallimento di quell’ultima pressione sui Francesi, per la ratifica CED, che verrà esercitata alle Bermude.

Per quanto riguarda l’Italia, da tempo ci andiamo domandando cosa avverrebbe nella eventualità che ad un certo momento i Francesi si decidessero per l’affermativa (occorre non dimenticare come, a norma della procedura parlamentare in Francia, la ratifica potrebbe essere condotta in porto in pochissime settimane). Noi – come abbiamo scritto altra volta – resteremmo davvero nel vagone di coda, con tutte le conseguenze internazionali, specie nei confronti degli Americani, che è troppo facile immaginare.

La situazione sorta alle nostre frontiere orientali con l’acuirsi della questione di Trieste, è evidentemente destinata ad avere importanti conseguenze e rifrazioni in tema CED, particolarmente nei riguardi delle possibilità parlamentari di una ratifica.

In questa situazione, e data la favorevole circostanza costituita dalla presenza in Roma, in questi giorni, del Capo della nostra Delegazione Permanente per la CED, On. Lombardo, questa Direzione Generale si permette suggerire all’Eccellenza Vostra l’opportunità di una convocazione di una riunione ad alto livello, sotto la Sua presidenza ed alla quale potrebbero prendere parte, oltre all’On. Lombardo, il Ministro della Difesa, On. Taviani, il Capo di Stato Maggiore Generale, Generale Marras e, per il nostro Ministero, il Sottosegretario On. Benvenuti, il Segretario Generale, Il Direttore Generale degli Affari Politici ed il Direttore Generale della Cooperazione Internazionale.

Nella riunione dovrebbero essere prese in considerazione:

l) L’opportunità di far dare inizio, senza indugio, alla procedura parlamentare per la ratifica del Trattato, con il suo inoltro, per il necessario studio da parte delle Competenti Commissioni, almeno ad uno dei due rami del Parlamento.

2) L’opportunità e la possibilità della formulazione di un Protocollo aggiuntivo od applicativo al Trattato, tale da eventualmente permettere la creazione, per l’Italia, anche se in via provvisoria, di posizioni speciali in considerazione della questione di Trieste.

3) L’opportunità e la possibilità di avviare verso i Paesi della Comunità un’azione, in via diplomatica, intesa ad ottenere la loro solidarietà ed il loro appoggio, sempre, nei riguardi della questione della nostra frontiera orientale.

Occorre aggiungere che la riunione in questione avrebbe anche il vantaggio di favorire la determinazione e la definizione della linea di condotta che dovremo assumere nel corso della prossima Conferenza dell’Aja, in tema di Trattato CED.

Si resta, quindi, in attesa di conoscere la decisione che l’Eccellenza Vostra vorrà cortesemente prendere al riguardo.

59 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 25, fasc. Parte generale CED.

59 2 Diretto per conoscenza anche a Benvenuti, Zoppi e Del Balzo, l’appunto reca la sottoscrizioneautografa di Magistrati e la seguente annotazione manoscritta con il timbro e la sigla di Zoppi: «Ho qualche dubbio se convenga fare subito una azione in questo senso».

60

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI(1)

L. 20/3708. Roma, 16 novembre 1953.

Caro Umberto,

credo che ci vedremo tra pochi giorni alla stazione di Brusselle allorché vi transiteremo, diretti all’Aja da Parigi, nella giornata del 24, partendo dalla capitale francese con il treno delle 11,25 a.m.

Abbiamo ricevuto i tuoi ultimi rapporti sul «Piano Van Zeeland»(2) e sugli interrogativi da esso costà suscitati, nonché sulla situazione CED nei confronti del partito socialista belga.

Qui in tema CED siamo sostanzialmente sempre in alto mare perché, per tutto quel complesso di questioni che ben conosci e che si riassumono nel nome di Trieste, i nostri maggiori parlamentari non si «sentono» di far inoltrare ora il Trattato. E quindi non mi pare che il Governo sia in condizioni, dato e ammesso che ne abbia la volontà, di forzare la mano. Prevedo quindi, agli inizi dell’inverno, settimane non facili specie se, come taluni affermano, gli americani alle Bermude eserciteranno, in argomento, una nuova pressione sulla Francia e se, sopratutto, la discussione parlamentare, che ora si inizia a Parigi, darà risultati favorevoli. Rischieremo cioè, come già dissi l’altra volta, di rimanere nel vagone di coda con addosso tutta la critica americana. Naturalmente su tutta la questione non potrà non esercitare la sua influenza quella conferenza,

o pre-conferenza, su Trieste verso la quale ci stiamo avviando, anche se attraverso remore, soste e dubbi.

Per tornare al Piano Van Zeeland, cosa succede con la mancata adesione sovietica alla proposta Conferenza dei Quattro? È il Piano ancora valido nella sua impostazione di base o, viceversa, manca del suo presupposto essenziale?

È vero naturalmente che la situazione potrebbe riprodursi qualora il vecchio Churchill finisse per persuadere gli altri sull’opportunità di un incontro diretto con gli uomini del Cremlino.

Perché non fai una corsa all’Aja mentre saremo colà tra il 25 ed il 28? Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

60 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.

60 2 Vedi D. 61.

61

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I(1)

Appunto segreto(2). Roma, 20 novembre 1953.

Oggetto: Piano Van Zeeland. (Aggiornamento dell’Appunto 25.10.53(3)).

In data 25 ottobre, nell’esaminare il Piano Van Zeeland fu rilevato che esso suggeriva tre rilievi preliminari di importanza fondamentale:

a) esso parte evidentemente dal presupposto che la Germania accetti di unirsi essa stessa agli altri firmatari del trattato ventennale che dovrebbe riconoscere di fatto, e garantire, la frontiera Oder-Neisse, cioè lo statu quo.

È questa la chiave di volta del Piano, sul cui funzionamento non si può non essere alquanto scettici. Infatti non più tardi del 20 ottobre Adenauer ha suscitato grandi ovazioni al Bundestag quando ha dichiarato: «Il popolo tedesco non riconoscerà mai la cosidetta frontiera Oder-Neisse». Il Cancelliere ha tuttavia aggiunto che «le questioni connesse con la linea Oder-Neisse non debbono essere risolte con la forza, ma esclusivamente con mezzi pacifici». Ugualmente intransigente è l’atteggiamento dell’opposizione social-democratica.

Da ciò si dovrebbe essere indotti a scetticismo sulla possibilità di una modifica dello statu quo, al quale si finirà per adattarsi, non potendo i tedeschi accettare la linea Oder-Neisse, né i russi sacrificare la Polonia. Come sostiene Lippman, il rischio che nessuno è disposto a correre è quello di vivere con una Germania riunita, riarmata, non occupata e sovrana. Questo sembra essere ugualmente vero a Mosca, Bonn, Parigi, Londra, Bruxelles e Roma.

b) Il Piano rinvia ad avvenuta soluzione del problema tedesco la questione del disarmo. Nel frattempo peresso cristallizza a 12 il numero delle divisioni tedesche da immettere nella CED. Poiché il numero delle divisioni fornito dagli altri Paesi CED è in relazione a quello delle divisioni tedesche, ne consegue che, accettando la limitazione per il contributo militare germanico, si accetta la limitazione agli armamenti della CED. Ora, poiché la CED è parte integrante del NATO, anche la difesa globale atlantica vedrebbe menomate le sue capacità di sviluppo: e ciò senza che, parallelamente, venga imposta alcuna limitazione agli armamenti dell’Unione Sovietica e dei Satelliti.

c) il problema austriaco – per noi particolarmente importante – vi è trattato solo

di riflesso. A questi tre rilievi preliminari ne andava aggiunto un quarto:

d) l’impossibilità per i sovietici di accettare la CED, mentre il Ministro Van Zeeland non solo partiva da essa, ma ne faceva un cardine delle proposte da avanzare ai russi.

Il progetto Van Zeeland parte da premesse sensate ma non le sviluppa perfino a quelle conseguenze che ne sarebbero, secondo la logica, la conclusione necessaria. La premessa è che i sovietici temono l’accerchiamento. Per contro la messa in opera della CED prima delle trattative, e indipendentemente da esse, mal si concilia agli occhi dei russi con tale linea di partenza e di condotta perché i sovietici temono proprio e in primo luogo il riarmo tedesco e perché l’accerchiamento verrebbe inevitabilmente considerato completato anziché attutito malgrado ogni desiderio di assicurare Mosca del contrario. Si poteva supporre che il Signor Van Zeeland avesse in animo di tenere pronta la CED come una nave totalmente allestita sullo scalo senza pervararla in mare. Ma il Ministro è stato esplicito: non potersi in alcun modo rinunziare a riarmarci nel frattempo, mentre sospendere la CED avrebbe significato dare gratuitamente ai russi una vittoria senza nessuna contropartita. Ci si può sempre domandare se l’ostilità pregiudiziale di Mosca alla CED possa essere sormontata dalla prospettiva di una Comunità di Difesa cristallizzata nei limiti del Piano Van Zeeland.

Venne anche osservato che il Piano non era del tutto originale; che era presumibile che il Ministro degli Esteri belga avesse avuto sentore di alcune «idee personali» di Blankehorn per la soluzione del problema tedesco, riferiteci dal Ministro d’Olanda in Roma e che egli ne avesse parlato con gli inglesi; certo aveva discusso la questione con il Dipartimento di Stato e, più recentemente, con i francesi.

Risulta anche che Van Zeeland ha esposto le idee contenute nel suo Piano al Cancelliere Adenauer il quale si limitad ascoltare, rinviando le osservazioni a un momento successivo. Poiché poi, il 20 ottobre, il Cancelliere pronuncila nota frase, sopra riportata, sulla volontà tedesca di non riconoscere mai come definitive le frontiere orientali, vengono affacciate due ipotesi: che tale frase costituisca una risposta indiretta al Piano Van Zeeland; ovvero che essa costituisca una semplice affermazione di principio, ai fini di politica interna, non escludente una maggiore trattabilità tedesca per quanto concerne la situazione dei territori orientali. Van Zeeland propende per la seconda interpretazione.

I quesiti che sorgono dalla Nota Sovietica del 3 novembre(4)nei riguardi del progetto Van Zeeland, sono due: insisterà egli nel mantenerlo invariato malgrado la ferma resistenza sovietica alla CED? In mancanza di una Riunione a Quattro, a quale momento suppone il Ministro che il suo Piano, ammesso che fosse accolto da tutti gli alleati occidentali, potrebbe venire presentato? E quali sono le intese, se pure ne ha, con Churchill?

Dalle prime reazioni alla Nota Sovietica si dovrebbe rispondere affermativamente alla prima domanda; e quanto al momento occorrerà attendere che si decantino le impressioni inglesi.

61 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, fasc. CPE, 2.

61 2 Trasmesso con Telespr. segreto Segr. Pol. 2018/c. del 23 novembre alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Copenaghen, Londra, Mosca, Parigi, Vienna e Washington, alla Legazione a L’Aja, alla Rappresentanza presso la NATO a Parigi e, per conoscenza, alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale, con il seguente commento di Rossi Longhi del 20 novembre: «Ad ogni buon fine, segnalo che il mio collega belga mi ha confidato quanto il Governo americano aveva fatto sapere discretamente a Bruxelles su detto piano: ritenere, cioè, che iniziative del genere, nelle circostanze presenti, rischiavano di complicare le cose ulteriormente».

61 3 Non pubblicato, trasmesso con Telespr. segreto Seg. Pol. 1958/c. del 14 /11 da Giustiniani alle Ambasciate a Bonn, Copenaghen, Londra, Mosca, Parigi, Vienna e Washington, alla Legazione a L’Aja, alla Rappresentanza presso la NATO a Parigi e, per conoscenza, all’Ambasciata a Bruxelles ed alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale, del seguente tenore: «Per il tramite dell’Ambasciatore a Bruxelles, il Ministro Van Zeeland ha sottoposto il 20 ottobre u.s. all’esame del Presidente Pella un suo “Piano”, in vista di una possibile soluzione del problema tedesco e quindi dei rapporti tra Est ed Ovest. Il Presidente ha avuto occasione di discutere tale Piano con il Ministro Van Zeeland durante l’ultimo viaggio a Parigi per la Conferenza OECE. Pur seguendo con simpatia gli sforzi del Ministro Van Zeeland, non sembra che – dopo la Nota sovietica del 3 corrente – sia il caso da parte nostra di associarsi, almeno per ora all’iniziativa. Comunque il Presidente Pella si ripromette di ritornare in argomento con il Ministro belga in occasione del Consiglio del NATO che si terrà nel prossimo dicembre a Parigi. Per opportuna personale e riservata informazione di V.E., si trasmette copia del Piano Van Zeeland nonché di un appunto d’Ufficio in data 25 ottobre. V.E. tenga presente che, benché il piano sia stato esposto dalla stampa nelle sue linee essenziali, ne abbiamo avuto notizia attraverso comunicazione fatta al Presidente a titolo segreto e personale» (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 76, fasc. 1).

61 4 FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, vol. VII, Part 1, D. 280.

62

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

Appunto. Roma, 21 novembre 1953.

Oggetto: Conversazioni con i Ministri olandesi circa i problemi della Comunità Politica Europea(2).

Nelle conversazioni che avranno luogo in occasione della visita di V.E. a L’Aja è prevedibile che avranno ampia parte i problemi della Comunità Politica Europea, così come avvenne in occasione della visita del Ministro Beyen a Roma.

Si riassumono qui di seguito la posizione olandese nei riguardi dei principali di tali problemi ed il punto di vista italiano su ciascuno di essi:

1) Attribuzioni economiche della Comunità

Gli olandesi (e i Belgi sono assai vicini a questa loro posizione) hanno fin dai primi contatti in materia di Comunità Politica Europea detto chiaramente, ed in seguito in ogni occasione ribadito, che per essi l’attribuzione alla Comunità di reali poteri in materia economica, in vista di arrivare alla creazione di un mercato comune, costituisce condizione «sine qua non» della loro partecipazione alla Comunità stessa; essi non potrebbero immaginare infatti una Comunità che si limitasse a servire da superstruttura istituzionale alle due Comunità specializzate già esistenti. In tale posizione gli Olandesi sono in antitesi con i Francesi i quali hanno con eguale chiarezza dichiarato che non possono prendere in considerazione «alcun nuovo abbandono di sovranità» e quindi alcuna concessione alla nuova Comunità di poteri reali in materia economica.

Da parte nostra (e le tesi tedesca e lussemburghese ci sono, in questo, vicine) abbiamo sempre dichiarato che anche noi consideriamo essenziale che la Comunità possa disporre fin dall’inizio di poteri reali in detto settore e che ci auguriamo quindi che tali poteri le vengano nel Trattato riconosciuti. La posizione generale nostra al riguardo è quindi positiva, come quella olandese, essendo intesa a far sì che la nuova Comunità abbia attribuzioni e poteri al di là dei settori CECA e CED, cui invece la tesi francese vorrebbe praticamente limitarli. La differenza tra la posizione olandese e la nostra è che essi ne fanno esplicitamente «conditio sine qua non» mentre noi «ci auguriamo» che essa possa realizzarsi.

Ciò premesso, si espongono qui di seguito alcune più dettagliate considerazioni sulle rispettive posizioni nella materia delle attribuzioni economiche della Comunità. La posizione olandese, come è risultata alla Conferenza di Roma si basa sui seguenti punti essenziali:

a)impegno nel Trattato stesso di realizzare in un periodo di tempo prestabilito una «comunità tariffaria»: a tale scopo si propone un dettagliato protocollo speciale da annettere al Trattato stesso;

b)clausole di salvaguardia per le quali l’Esecutivo europeo ha poteri di «decisioni»: parimenti per l’istituzione e il funzionamento di un «fondo europeo»;

c) nel campo dell’armonizzazione della politica economica degli Stati membri, così come in tutte le questioni relative al mercato comune, l’Esecutivo europeo pufare delle «proposizioni»;

d) sono previsti i compiti della Corte e quelli della Commissione consultiva. Da parte italiana si osserva:

a la «comunità tariffaria» è una delle ultime tappe verso il mercato comune che, secondo noi, dovrebbe avere la seguente progressione logica: eliminazione delle restrizioni quantitative, eliminazione dei doppi prezzi e delle misure discriminatorie visibili e invisibili, liberalizzazione delle transazioni invisibili, comunità tariffaria, sistema di salvaguardia, politica finanziaria e monetaria comune nonché adozione di misure atte ad assicurare la libertà dei pagamenti correnti.

Quindi:

1) come progressione riteniamo indispensabile, prima di giungere alla comunità tariffaria, l’adozione di una completa liberalizzazione;

2) le varie tappe devono evolversi progressivamente, non solo: noi riteniamo che il Trattato non possa fissare nei dettagli date e provvedimenti (questo è un punto base olandese) creando un sistema rigido. Non è possibile prevedere nel dettaglio come si svolgerà un fenomeno così complesso come l’evoluzione delle varie economie verso il mercato comune e quindi ci pare piopportuno fissare nel Trattato le grandi linee, ma attenersi ad un sistema elastico che possa tener conto della sua applicazione, delle situazioni particolari che inevitabilmente si manifesteranno tanto dal punto di vista collettivo che da quello dei vari Paesi membri;

b) d’accordo in linea di principio;

c) riteniamo necessario – dato quanto esposto al punto a) – che la Comunità possa anche in altri campi, oltre la salvaguardia ed il «fondo europeo», emettere decisioni e raccomandazioni.

d) d’accordo in linea di principio.

2) Problema dell’Esecutivo Europeo

Il problema dell’Esecutivo sopranazionale della costituenda nuova Comunità è stato e permane uno dei picontroversi. Gli Olandesi hanno finora mantenuto nei riguardi di esso il seguente atteggiamento: il nuovo Esecutivo della Comunità Politica (che naturalmente, secondo detto più sopra al punto 1, esisterebbe solo nel caso che gli venissero affidati poteri reali in materia di integrazione economica) non dovrebbe sovrapporsi ai due già esistenti, Alta Autorità CECA e Commissariato CED: questi manterrebbero la loro fisionomia, la loro responsabilità, i loro poteri quali previsti dal relativo Trattato. Tra i tre Esecutivi così configurati gli Olandesi immaginano un vago coordinamento a mezzo di un organo di collegamento a carattere consultivo. È un atteggiamento prudenziale che naturalmente porta a sminuire l’importanza dell’elemento sovranazionale nella Comunità e a ritardare la spinta europeistica che esso comporta. L’unità nella Comunità sarebbe – secondo la concezione olandese – sottolineata nel Parlamento, nel Consiglio dei Ministri Nazionali e nella Corte di Giustizia che sarebbero unici per le tre Comunità.

Da parte italiana l’esistenza di un Esecutivo sopranazionale di carattere politico, avente – pur nei limiti fissati dal Trattato – libertà di manovra e tutti i necessari poteri, è stata sempre considerata fra gli elementi essenziali del processo integrativo. Partendo dal principio che gli interessi italiani stanno piuttosto in una integrazione generale anziché in integrazioni parziali e realizzate per di più in tempi successivi, e che quindi ci conviene tendere a tale integrazione politica generale, l’assenza di un Esecutivo europeo sovranazionale unico ed efficiente costituisce evidentemente un elemento negativo. È per questo che confidiamo che la posizione olandese potrà, nell’ulteriore seguito dei negoziati, avvicinarsi maggiormente a quella nostra.

Nei contatti che il Ministro Beyen ebbe con V.E. a Parigi in occasione dell’ultima riunione per l’OECE, egli accennad una sua idea di introdurre eventualmente il criterio dell’«identità fisica» tra i membri dell’Esecutivo della Comunità Politica ed i membri del Commissariato CED. Indice questo, certo, – se confermato – di una qualche evoluzione da parte olandese, ma che non sembra, a meno che ulteriori precisazioni non ne chiariscano meglio il senso, ancora soddisfacente.

3) Adozione del principio del suffragio universale diretto per le elezioni della Camera dei Popoli.

Cinque dei Sei Paesi hanno confermato nella Conferenza di Roma il loro accordo senza riserva sul principio che le elezioni alla Camera dei Popoli siano fatte al suffragio universale diretto. Gli olandesi invece hanno subordinato la loro adesione a tale principio a due condizioni: a) che per il primo triennio i rappresentanti alla Camera dei Popoli siano eletti in forma indiretta e precisamente dai Parlamenti nazionali e b) che, dopo tale periodo transitorio, le elezioni abbiano luogo secondo una legge elettorale comune. Tale posizione, che pare sia fermamente sostenuta dal Presidente del Consiglio olandese, verrebbe sovratutto giustificata con la preoccupazione di evitare che larghe rappresentanze di partiti di estrema sinistra giungano al primo parlamento europeo e con il desiderio di far sì che particolari gruppi e tendenze politiche non siano avvantaggiati dall’esistenza di leggi elettorali differenti nei Sei Paesi.

Da parte italiana si guarda invece all’applicazione immediata del principio del suffragio universale diretto come ad altro degli elementi fondamentali di tutto il sistema, in quanto capace di portare al processo di integrazione europea l’impulso vivo dell’interessamento diretto di pilarghi strati dell’opinione pubblica. E si ritiene che, in attesa di una legge elettorale comune, vada lasciata a ciascun Paese la determinazione delle modalità delle elezioni, col che sarà possibile anche andare incontro alla preoccupazione olandese più sopra accennata.

Secondo informazioni recentemente raccolte la posizione olandese su questo punto starebbe evolvendo verso l’abbandono delle suesposte riserve.

62 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE.

62 2 L’appunto, con sottoscrizione autografa di Magistrati, reca la seguente annotazione: «Preparato in occasione della visita di S. E. Pella all’Aja».

63

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI PELLA(1)

Appunto segreto(2). […], 28 novembre 1953.

TRACCIA DI CONVERSAZIONE PELLA-BIDAULT

Bidault informa che:

1) L’Ambasciatore Luce si rifiuta di compiere altri passi presso il Governo italiano dopo la nostra risposta al passo del 13 novembre(3)perché considera impossibile chiederci maggiori concessioni.

2) Il Ministro Bidault condivide.

3) Il Ministro Bidault condivide il punto di vista del Governo italiano per cui qualsiasi riunione preliminare o conferenza tecnica o politica deve essere preceduta da inizio di esecuzione della decisione dell’8 ottobre(4).

4) M. Bidault considera coraggioso l’atteggiamento Governo Italiano (nel senso che ha dimostrato la massima comprensione all’esterno compatibile colle aspettative interne).

Questo concetto mi risulta condiviso anche da altri (Ambasciatore Luce, van Zeeland e Bech).

5) M. Bidault informa essere intenzione dei 3 alleati di incaricare un grosso uomo politico di andare a Belgrado per convincere Tito ad essere accomodante. Si pensa Attlee ma sembra non abbia accettato.

6) M. Bidault riconosce che la soluzione etnica non può esserediscontinua cioè non ammissibili isole etniche.

7) M Bidault scettico su possibilità varare in Francia la CED così com’è. Pensa a qualche diversa soluzione. Sarà utile per lui per qualche settimana constatare ritardo italiano presentazione ratifica al Parlamento.

8) Punti 3 e 6 illustrati anche a Parodi che ne ha preso atto. A Parodi è stato fatto presente che diniego formula italiana plebiscito potrebbe condurre le cose a un plebiscito ONU.

63 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 107.

63 2 L’appunto, redatto da Magistrati, reca al margine l’annotazione: «Importante» con la sigla di Magistrati ed in calce: «Questo appunto è stato dettato personalmente da S.E. Pella in treno. 28.XI. 1953. Magistrati».

63 3 FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 146, nota 1.

63 4 Vedi D. 56, nota 3.

64

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI

Appunto riservato 21/3905(2). Roma, 30 novembre 1953.

APPUNTO SULLA RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI DELLA COMUNITÀ EUROPEA

(L’Aja, 26-28 novembre 1953)

Nella «Sala dei Cavalieri» della capitale olandese, nel pomeriggio di giovedì 26 novembre 1953, ossia alla data prevista, ha avuto inizio la riunione dei sei Ministri degli Affari Esteri della Comunità Europea. Presidente di turno, il Ministro degli Esteri del Lussemburgo, Bech, e: per l’Italia, il Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, On. Pella, accompagnato dai Direttori Generali della Cooperazione Internazionale e degli Affari Politici di Palazzo Chigi; per la Repubblica Federale Tedesca, il Cancelliere Adenauer; per i Paesi Bassi, il Ministro degli Esteri Beyen; per il Belgio, il Ministro degli Esteri, Van Zeeland. La Francia è stata rappresentata per i primi due giorni dal Segretario Generale del Quai d’Orsay, Parodi, accompagnato dall’Ambasciatore Alphand e dal Direttore degli Affari Politici Europei, Seydoux, e, soltanto nelle ultime ore della Conferenza, dal Ministro degli Esteri, Bidault. Erano inoltre presenti i «Sostituti» dei sei Ministri, che avevano preso parte alla Conferenza di Villa Aldobrandini, a Roma, del settembre scorso e cioè: per l’Italia, il Sottosegretario agli Esteri, On. Benvenuti; per la Repubblica Federale Tedesca, il Sottosegretario di Stato, Hallstein; per i Paesi Bassi, l’Ambasciatore Starkenborgh; per il Belgio, l’Ambasciatore de Staerke; per il Lussemburgo, il Ministro a Bonn, Majerus. Per la Francia tale incarico appare essere stato assunto, per il momento, dallo stesso Segretario Generale Parodi.

La riunione, direttamente legata con quella di Baden Baden del 7 agosto u.s. e con la Conferenza di Villa Aldobrandini(3), appariva avere, quale suo scopo principale, l’approvazione da parte dei 6 Ministri del «rapporto» compilato dai Sostituti e contenente, in dettaglio, tanto quei punti sui quali un accordo era stato raggiunto dalle sei Delegazioni, quanto gli altri che avevano, invece, suscitato dissensi e differenti interpretazioni. Sull’argomento occorre subito dire che evidentemente da tutte le parti è stato compiuto uno sforzo, senza dubbio notevole, perché, in un momento particolarmente delicato delle discussioni relative all’opportunità o meno della formazione di una Comunità Politica e della definitiva ratifica del Trattato per la CED, la riunione dell’Aja non apparisse negativa, se non addirittura fallimentare. Già a Parigi del resto, al momento del Consiglio dell’OECE, alla fine di ottobre, il Ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, aveva fatto comprendere al Presidente Pella come il Governo olandese avrebbe fatto di tutto, anche recedendo da talune sue essenziali e rigide posizioni, perché il nuovo incontro dei sei Ministri degli Esteri fosse apparso in una luce favorevole. E tale intendimento, come si vedrà in seguito, è stato effettivamente tradotto in realtà.

Ciò detto, occorre anche porre in rilievo come su tutta la riunione si sia avuto il permanente riverbero delle complesse ed, in certo momento, drammatiche discussioni sulla CED, svoltesi in seno all’Assemblea Nazionale di Parigi e del voto di fiducia richiesto ed ottenuto, anche se attraverso non pochi stenti, dal Gabinetto Laniel – Bidault(4). È apparso chiaro, infatti, come oramai il problema della ratifica della CED costituisca il perno sul quale è destinata a «girare» tutta la costituenda Comunità Politica Europea: si ha, cioè, sempre pila sensazione che un fallimento della CED stessa non potrebbe non costituire un colpo mortale, almeno per parecchi anni, per quella integrazione europea che è stata immaginata in questi ultimi anni e che, attraverso la CECA, comincia già a trovare le sue prime effettive affermazioni.

Così, all’Aja, in un primo momento, si è verificata una ventata di euforia grazie alle favorevoli notizie pervenute da Bruxelles e relative all’approvazione, da parte di quel Parlamento, a grossa maggioranza, e con netta vittoria del Governo, del Trattato CED. Subito dopo, invece, i contrasti di Parigi e l’assenza, fino all’ultimo momento, del Ministro Bidault dal tavolo della «Sala dei Cavalieri», hanno provocato interrogativi e momenti di sfiducia, dovuti anche alla nervosità indubbiamente regnante tra i numerosissimi giornalisti stranieri convenuti, per l’occasione, nella capitale olandese. Alla fine, il voto favorevole al Governo Laniel ha servito, in un certo modo, a ristabilire l’equilibrio permettendo che la riunione trovasse, nel comunicato finale sui suoi lavori, un certo aspetto costruttivo e non negativo in merito all’avviamento della Comunità Politica. E lo stesso apparire all’orizzonte, proprio negli ultimissimi minuti della riunione stessa, dell’elemento nuovo, costituito dalla Nota sovietica, atta a far intravedere, bene o male, la possibilità di un non lontano incontro tra Occidente ed Oriente, non ha provocato, ai fini delle deliberazioni dei sei Ministri, quel senso di disorientamento e di confusione che forse sarebbe stato normale prevedere.

L’ordine del giorno della riunione indicava, innanzi tutto, l’opportunità di una decisione, per quanto possibile definitiva, da parte dei sei Ministri in merito ai rapporti di colleganza con l’Assemblea ad Hoc – autrice, come è noto, del progetto di Trattato per la futura Comunità Politica – e con il Consiglio d’Europa di Strasburgo. Sul primo punto ed a seguito di una brevissima esposizione fatta dal Presidente della Commissione Costituzionale dell’Assemblea ad Hoc, von Brentano, è stato stabilito che, in avvenire ed in caso di necessità, verranno autorizzati gli opportuni contatti con quei membri della stessa Assemblea il cui apporto, ai fini della compilazione definitiva del futuro Trattato, possa essere giudicato utile e vantaggioso. In altre parole, ed anche se indirettamente, i sei Ministri hanno finito per riconoscere il rinnovo di un certo mandato a quei parlamentari i quali quindi, e secondo il desiderio pivolte manifestato dal Presidente Spaak, potranno continuare praticamente a vedere mantenuta in vita l’Assemblea ad Hoc con la sua Commissione Costituzionale.

Sul secondo punto, nuovo e di notevole interesse, si è verificato un intervento del Vice Presidente dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, Lord Layton, il quale, per incarico del Presidente de Menthon, ha indicato ai sei Ministri i «desiderata» e gli intendimenti di Strasburgo per vedere maggiormente stretti e definiti i legami destinati ad unire la «piccola Europa» alla «grande Europa» di Strasburgo. Le idee di Lord Layton sono apparse, in merito, alquanto avanzate perché egli, nel prendere lo spunto dal cosidetto «Piano Eden» del 1952(5) ha fatto comprendere come il Consiglio d’Europa intenda oramai occuparsi e preoccuparsi della «piccola Europa» a mezzo di collegamenti che ad un certo punto – ad esempio allorché qualche altro Stato intendesse aderire alla nuova formazione europea – potrebbero divenire anche autorizzazioni e controlli. Affermazioni, queste, che hanno suscitato parecchi interrogativi e forse anche qualche disagio in seno alla riunione, alla quale era anche presente – secondo quanto era stato in precedenza stabilito ed a titolo di «osservatore» – lo stesso Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Marchal. A Lord Layton ha infine risposto, con una certa bonomia, il Presidente Bech, facendo comprendere come la materia fosse di indubbio interesse ma come apparisse ora piuttosto prematura una definizione dei problemi relativi alla coesistenza della «piccola» con la «grande» Europa. Ad ogni modo, e per iniziativa anche del Ministro van Zeeland, attuale Presidente di turno del Comitato dei Ministri di Strasburgo, è stato stabilito che un rapporto sui lavori della piccola Europa verrà presentato a quel Comitato che si riunirà, come è noto, a Parigi l’11 dicembre p.v.

I Ministri sono poi passati a trattare il principale punto dell’ordine del giorno, quello relativo all’esame ed all’approvazione del rapporto compilato dai Sostituti a conclusione della Conferenza di Villa Aldobrandini(6). E qui è stato possibile, sulla base anche di studi e brevi documenti redatti dal Segretariato in merito ai «punti di consenso» ed ai «punti di dissenso» quali apparsi a Villa Aldobrandini, compiere un giro di orizzonte abbastanza vasto sullo stato effettivo dei lavori per la compilazione del futuro Trattato. Ed i sei Ministri, come si è sopra accennato, hanno effettivamente cercato di raggiungere un avvicinamento dei differenti punti di vista nei riguardi tanto delle istituzioni quanto delle attribuzioni della futura Comunità Politica.

Così:

1) È stato definitivamente confermato il principio, già emerso nella riunione di Baden Baden, per cui la Comunità sarà dotata di un sistema bicamerale, composto da una Assemblea, che rappresenterà i popoli che ne faranno parte, e da una Camera Alta, od organo similare, destinata a rappresentare gli Stati membri. La Camera di Popoli sarà eletta a suffragio universale diretto, al momento stesso dell’entrata in vigore del Trattato e secondo modalità che faranno oggetto di uno studio preliminare. In tale maniera sarà possibile – come ha esplicitamente affermato il comunicato finale della riunione – assicurare di colpo, in seno alla Comunità, un controllo democratico efficace.

2) Circa l’organizzazione esecutiva della Comunità, che sarà caratterizzata dal mantenimento dell’equilibrio tra l’elemento nazionale e l’elemento sopranazionale, appare raggiunto l’accordo di massima per cui il primo di tali elementi sarà rappresentato dal Consiglio dei Ministri Nazionali, mentre l’altro troverà la sua realizzazione in un organo nuovo guidato da un Presidente e destinato ad inglobare, con modalità che verranno in seguito definite, gli organi esecutivi delle Comunità già esistenti.

3) Circa la Corte di Giustizia è stato approvato il principio che essa sarà «unica». Una commissione di giuristi esaminerà, sulla base del progetto di Trattato compilato dalla Assemblea ad Hoc, l’insieme dei problemi posti dalla creazione di una tale istituzione.

4) Circa le attribuzioni di carattere economico i Ministri si sono trovati d’accordo nel confermare gli obiettivi generali di tale settore, relativi all’espansione ed all’accrescimento della produzione, al miglioramento del livello di vita, allo sviluppo dell’impiego di mano d’opera ed, infine, alla realizzazione finale costituita dalla creazione di un mercato comune: enunciazioni, queste, di massima rimaste, per fino ad oggi – a causa dell’estrema circospezione manifestata, in tale settore, da alcuni Paesi a cominciare dalla Francia – molto, per non dire troppo, vaghe.

Su quest’ultimo argomento l’atteggiamento italiano è sempre stato, come è noto, favorevole a venire incontro all’iniziativa dei paesi del Benelux per cui difficilmente una Comunità Politica dei sei Paesi potrebbe vivere e svilupparsi se le sue attribuzioni non si estendessero di fatto al settore economico. A l’Aja il Rappresentante italiano, Presidente Pella, ha ripetuto tale concetto e ha aggiunto: «La posizione italiana a tale riguardo è aperta a tutte le possibilità per il raggiungimento di quella soluzione che sia la pivantaggiosa. Noi ci rendiamo conto, al tempo stesso, tanto delle necessità – sentite in modo particolare da taluni Paesi – di sottolineare, a mezzo di impegni precisi, i nuovi compiti economici della Comunità, quanto delle difficoltà – sentite particolarmente da altri – di tracciare con precisione già da ora il procedimento che la Comunità stessa dovrà seguire per realizzare questi compiti. E noi siamo sensibili tanto all’esigenza di non limitare la nuova Comunità ad una semplice superstruttura istituzionale delle Comunità che già esistono, quanto all’esigenza di non trasformare il Trattato – che noi immaginiamo piuttosto come uno Statuto, una Carta costituzionale della nuova Europa – in un accordo economico di carattere particolarmente tecnico».

Circa la continuazione dei lavori i sei Ministri, consci della necessità che oramai si debba procedere sopratutto sul terreno tecnico, limitando le decisioni politiche ad alto livello a riunioni ministeriali che, per evidenti motivi, potranno verificarsi soltanto tre o quattro volte l’anno, hanno deciso di dare vita ad una «Commissione» affidata ai Sostituti e composta in prevalenza di esperti. Essa si riunirà durante i mesi invernali a Parigi per procedere ad un avvicinamento dei punti di vista tuttora distanti l’uno dall’altro ed alla compilazione di un nuovo rapporto che verrà presentato ai Ministri stessi in una riunione che si terrà a Bruxelles alla data del 30 marzo 1954.

L’ordine del giorno conteneva, infine, su richiesta italiana intesa a mantenere viva una opportuna tradizione già stabilitasi, nel corso del 1953, con le riunioni di Parigi e di Baden Baden, uno scambio di idee su questioni politiche interessanti i sei Paesi. È stato così possibile al Rappresentante italiano compiere – su specifica richiesta del Cancelliere Adenauer – un intervento piuttosto vasto sugli sviluppi della questione di Trieste(7)ed al quale il Presidente Pella ha fatto precedere le seguenti parole: «Permettetemi di esporre alcuni elementi della questione di Trieste. Cifacendo, io credo di adempiere ad un duplice dovere: uno nei confronti del popolo italiano le cui ragioni ed esigenze sono troppo sovente falsate; l’altro nei riguardi della nascente Comunità che ha un evidente interesse ad ottenere ogni informazione su questioni che hanno una influenza diretta sulla evoluzione politica in quel settore del mondo».

Ciò detto egli ha, dopo un’esposizione degli avvenimenti che hanno preceduto e seguito la decisione alleata del1’8 ottobre 1953(8) e dopo aver ricordato come per ben tre volte, ed inutilmente, il Governo italiano avesse, in un recente passato, tentato il cammino degli accordi diretti con il Governo di Belgrado, indicato – con argomenti di notevole efficacia e che sono apparsi nuovi a non pochi degli ascoltatori – come sia oggi lecito domandarsi se quel Governo abbia mai avuto la reale intenzione di veramente inserirsi nella difesa dell’occidente e quindi di inoltrarsi sulla via della collaborazione con le Nazioni democratiche. Si dovrebbe piuttosto immaginare l’esistenza, in seno agli ambienti politici jugoslavi, di talune tendenze tipiche costanti qualsiasi possa essere il regime al potere a Belgrado. Ci troviamo, cioè, dinanzi ad un tentativo, di vecchia tradizione, inteso alla creazione di una «terza forza» nei Balcani e di cui recentemente abbiamo avuto nuova prova negli intendimenti nutriti dal Governo jugoslavo in merito al Patto Balcanico di recente attuazione. In conclusione è oggi ben lecito chiedersi se una equa soluzione del problema di Trieste possa veramente incontrare l’approvazione di Belgrado e se questo, viceversa, non preferisca prolungare la situazione attuale per mantenere viva una sua speciale posizione, non certo favorevole, in definitiva, agli interessi dell’occidente. L’Italia, invece, ha accettato la proposta alleata del 13 novembre ed è pronta a recarsi alla Conferenza che è stata proposta perché, così facendo, essa crede di servire efficacemente la causa della collaborazione e della pace in Europa.

In riassunto:

1) La riunione de L’Aja, come si è visto subito dopo nelle interpretazioni giornalistiche, non ha avuto, in complesso, una «buona stampa». In realtà, invece, essa nello svolgimento dei suoi lavori, non ha rappresentato un vero e proprio punto di arresto nel corso, indubbiamente delicato, difficile e forzatamente lento, dell’azione che dovrebbe un bel giorno portare alla creazione della Comunità Europea. Il prossimo avvenire e sopratutto il problema della ratifica del Trattato CED da parte di Paesi importanti quali la Francia e l’Italia (è interessante notare come, nel corso della riunione, non si sia mai fatto diretto e preciso accenno ad una tale ratifica) diranno quale sorte sia riservata ai futuri lavori. Oggi, per come si è visto, alcuni punti di intesa sono stati effettivamente raggiunti e se sarà complesso e non facile raggiungerne velocemente altri, altrettanto difficile e pericoloso sarà annullare e smentire quanto è stato possibile fino ad oggi raggiungere. Un proclamato fallimento dell’idea dell’integrazione europea potrebbe avere larghe conseguenze in merito alla stessa collaborazione tra l’Europa e gli Stati Uniti.

2) Gli olandesi, come anche si è sopra accennato, danno prova di uno spirito di maggiore comprensione ed avvicinamento. Essi, in sostanza, stanno abbandonando poco a poco quella posizione originaria e pregiudiziale, per cui, qualora non fosse possibile estendere al campo economico le attribuzioni della futura Comunità Politica, sarebbe meglio attenersi alle due Comunità di settore esistenti, senza addivenire ad una «coiffe» politica e senza quindi la costituzione di un nuovo Esecutivo sopranazionale. Si tratta di una evoluzione di indubbia importanza in quanto destinata ad effettivamente facilitare le cose. Gli Olandesi, inoltre, anche se ancora con qualche vaghezza, hanno finito, in tema di elezioni alla Camera dei Popoli, per togliere la loro riserva, rimasta isolata, in merito al sistema elettorale basato, fin dal primo momento, su elezioni a suffragio diretto e generale.

3) I Belgi continuano ad insistere molto, ed oggi più ditutti, sulle attribuzioni economiche della futura Comunità. Ma comunque il Governo di Bruxelles, in vista delle elezioni politiche generali, che avranno luogo in Belgio nei prossimi mesi, ed in considerazione del notevole successo da esso ottenuto alla Camera per la ratifica del Trattato CED, appare giocare molto, in questo momento, la carta «europeista». Molto piprudente e timoroso per la sua futura sorte appare il Lussemburgo.

4) È la Francia il Paese sempre maggiormente guardingo e pieno di riserve e di attese. Le difficili discussioni di Parigi hanno posto la Delegazione francese, tutta imperniata sui funzionari del Quai d’Orsay, in posizione particolarmente delicata. Né l’arrivo a L’Aja, all’ultimo momento, del Ministro Bidault (il quale, evidentemente, è venuto alla Conferenza anche, se non sopratutto, per incontrarsi, ai margini, con il Cancelliere Adenauer per trattare con lui, alla presenza dell’Alto Commissario in Germania François-Poncet, giunto anch’egli a L’Aja, la questione della Saar) ha servito ad alleggerire la posizione. Comunque i francesi, nei loro rari e sporadici interventi, hanno tenuto a mettere molto in rilievo – e non a torto – l’importanza che potrà avere su tutto il meccanismo della futura Comunità e sulla sua attività, l’esistenza di una Camera dei Popoli eletta a suffragio diretto e generale.

5) Calmi e non molto loquaci i tedeschi (il Cancelliere Adenauer non ha quasi mai preso la parola, lasciando al suo collaboratore e Sostituto Hallstein il compito di entrare nei dettagli tecnici della discussione). Anche qui, evidentemente, il problema della Saar deve essere apparso al Governo di Bonn come il più importante da discutere, anche se in sede separata con i francesi, nella capitale olandese. Esso comunque appare sentirsi piuttosto sicuro e desideroso particolarmente, in tutte queste complicate questioni relative all’integrazione europea, di mettere in movimento una nuova situazione basata sull’applicazione degli accordi tedesco-alleati di Bonn.

6) Da parte americana nessun preciso intervento. Il Signor Bruce «Ambasciatore presso la Comunità Europea» ha preferito non recarsi a L’Aja dove si è fatto sostituire, nei corridoi della Conferenza, dal suo collaboratore Cleveland. Nel complesso, negli ambienti americani, sopratutto di stampa, l’andamento di tutto il problema appare troppo lento e le discussioni all’Assemblea Nazionale di Parigi hanno costituito, per essi, un nuovo elemento di disillusione. Un giornalista americano, di solito bene inspirato nei confronti dell’Europa, ha finito per ironicamente concludere: «Andiamo proprio bene. Continuando così possiamo sperare di avere l’Europa unita tra una trentina d’anni!».

64 1 DGCI, Uff. II, 1951-1954, b. 82, fasc. CPE

64 2 Il documento reca la seguente annotazione: «Per il ministro Del Balzo» e la sigla di Del Balzo.

64 3 Vedi D. 34 e DD. 51-55.

64 4 Vedi D. 65.

64 5 Ci si riferisce al memorandum presentato dal Ministro degli Affari Esteri britannico, Anthony Eden, il 19 marzo 1952, in seno alla decima sessione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, volto ad assorbire le istituzioni della CED e della CPE nel Consiglio d’Europa, consentendo così alla Gran Bretagna di mantenersi legata alle Comunità europee, senza entrarne a far parte. Si veda ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1952, pp. 211-213.

64 6 Vedi D. 55, nota 4.

64 7 Per il testo completo del discorso vedi D. 66.

64 8 Vedi D. 56, nota 3.

65

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

R. 1445(2). Parigi, 30 novembre 1953.

Oggetto: Esercito europeo - Conferenza Bermude.

Signor Ministro,

riferira parte sui retroscena di questo caotico dibattito sulla politica estera alla Camera francese: per il momento mi limito a riassumere quello che, a mio avviso, ne è il significato.

Non occorre precisare che, se il Governo Laniel non è caduto adesso, è soltanto perché, tanto, se ne dovrà andare lo stesso fra un mesetto: ed egualmente fra un mesetto se ne sarebbe dovuto andare il suo successore. La caduta di un Governo francese, più

o meno, non avrebbe certo avuta una grande importanza: quello che è assai più grave è che, temo, nel corso dell’ultimo dibattito alla Camera francese, è la CED che è caduta.

Il voto è stato confuso: non tutti quelli che hanno votato contro la mozione socialista (europeista in fondo) hanno votato contro l’Europa: ma anche non tutti quelli che hanno votato in favore della seconda mozione, più che vaga ed equivoca del resto, hanno votato in favore dell’Europa. Bisogna ormai riconoscere che alla Camera francese, oggi, non c’è maggioranza a favore della CED – nella sua forma attuale – e non c’è maggioranza per una politica di «renversement des alliances» ossia per una politica estera che sia nettamente antieuropea ed antiatlantica. E c’è poca speranza, per non dire nessuna, di vedere spostarsi la maggioranza in favore della CED. L’incidente Bidault è stato senza dubbio un elemento sfavorevole, ma sarebbe un errore attribuirgli un’importanza decisiva. Sono passati i tempi in cui un discorso poteva spostare le maggioranze: purtroppo le posizioni sono prese e lo scarto possibile è minimo.

La Conferenza a Quattro, se la si tiene e se dovesse, contro molte previsioni, fra cui le mie, arrivare ad un risultato concreto per quello che concerne l’Europa, potrebbe essere, se mai, il seppellimento definitivo della CED. Se essa fallisce, essa metterà in gravi difficoltà quelli, e sono molti, che discutono anche il principio del riarmo tedesco: ma non farà gran che mutare le opposizioni parlamentari alla forma attuale della CED.

Le alternative, che si pongono davanti al futuro Governo francese, dopo le elezioni presidenziali, sono due: o indire delle nuove elezioni o adottare un’altra politica dell’Europa e della CED.

Nuove elezioni. Evidentemente è difficile chiedere ad un Governo e ad una Camera di indire delle nuove elezioni per decidere di una questione, sia pure importantissima, di politica estera: se ci si arriverà – e non è affatto escluso che ci si arrivi – non sarà soltanto per la questione della CED; sarà per il fatto che questa Camera è o sembra incapace di esprimere una maggioranza di destra o di sinistra, e che non è possibile andare avanti ancora per molto tempo senza correre rischi gravissimi, non prendendo alcuna posizione su tutte le gravi questioni di carattere sociale, economico ed amministrativo, che mettono a repentaglio, a lungo andare, la vita stessa del Paese. Ma dal punto di vista CED non è affatto sicuro che il risultato delle elezioni sarebbe positivo. Dire che cosa pensa veramente l’opinione pubblica di un Paese complesso come la Francia, non è facile: gli europeisti dicono che il Paese è con loro: gli antieuropeisti dicono il contrario. La mia opinione, in quanto è possibile averne, è che il Paese non ci ha capito e non ci capisce niente; che se la CED venisse spiegata veramente bene al Paese, esso probabilmente finirebbe per capire e per rassegnarcisi: per siccome gli uomini che dovrebbero spiegarla al Paese sono quegli stessi che non sono mai riusciti a spiegarla come si deve, non dico al Parlamento, ma nemmeno alla Commissione per gli Affari Esteri, così non oso essere troppo ottimista sul risultato delle elezioni, ai fini della CED per lo meno.

Un’altra politica dell’Europa e della CED. Quella, che è stata battuta alla Camera francese, è infatti la CED, quale essa è: l’impostazione federale dell’Europa, l’Europa dei due Schuman, di Teitgen e co. Per altre forme di organizzazione europea, sia nel campo della CED sia nel campo dell’autorità politica, per quelle formule che vanno sotto il nome generale di formule confederali, la maggioranza ci sarebbe, ed anche una maggioranza considerevole.

So già quale è, a questo riguardo, la risposta dei federalisti sia italiani sia stranieri: se non c’è federalismo, non si conclude niente di positivo. Sono anch’io d’accordo nel desiderare un’Europa federale: resta però il fatto che, senza la Francia, l’Europa a Sei non si pufare, e che il Parlamento francese l’impostazione federale non l’accetta: sarà idiota, non lo discuto, ma non è detto che i Parlamenti debbano mostrarsi sempre intelligenti. Ora è perfettamente inutile che gli illuminati federalisti francesi siano in prima fila a sbraitare per il mondo che bisogna battersi a fondo per il federalismo. Se non riescono, come non riescono, a farsi seguire dal loro Parlamento e dal loro Paese, le loro intenzioni non sono che delle ottime intenzioni. Nessuno riuscirà, a questo punto, a persuadermi che un’organizzazione confederale dell’Europa non sarebbe meglio di niente, e che non sarà sempre pifacile fare evolvere una confederazione verso la federazione, piuttosto che far scaturire dal niente una federazione, un giorno.

Intanto, attualmente, con l’annuncio della Conferenza a Quattro, la questione della CED è destinata, del resto, a rientrare nel frigidaire.

Come V.E. sa, personalmente, non credo affatto alla volontà russa di arrivare né ad una distensione sul serio, né all’unificazione della Germania, nemmeno in cambio dell’abbandono della CED. Quello che è certo perè che tutte le insistenze di Foster Dulles non riusciranno a far fare al Parlamento francese un passo avanti sulla questione europea fino alla fine della Conferenza a Quattro. Anzi Dulles, se tira troppo la corda, riuscirà a provocare qui una crisi gravissima e forse insanabile della politica non solo europea, ma atlantica.

La posizione della Francia alle Bermude non sarà né facile, né forte. Bidault, per convinzione sua personale e per esigenze del suo Partito, sarà portato a propendere per le tesi americane: la CED non si discute. Non so se Laniel abbia su questo argomento delle opinioni personali: certo sarà sensibile all’atmosfera parlamentare che, sia pure con sfumature differenti, è invece per la tesi Churchill di tentare cioè ad ogni costo la conversazione e l’accordo con i Russi. Non è affatto da escludere che ci sia una crisi interna del Gabinetto francese prima della Conferenza delle Bermude: è probabile che alle Bermude i due Rappresentanti della Francia tengano atteggiamenti e linguaggi differenti: è dubbio che Bidault, come che vadano le cose, possa continuare ad essere il Ministro degli Esteri del Governo che succederà, verso la fine del mese, al Governo Laniel.

Siamo purtroppo entrati in un momento estremamente grave e complesso: è in atto una crisi grave che può avere le conseguenze piserie: ne puuscire – e mi creda che non esagero – una crisi fatale per tutta la politica non solo europea ripeto, ma anche atlantica. E purtroppo ad affrontare questa crisi si trovano, da parte dei tre occidentali, degli uomini che hanno già dimostrato di non essere all’altezza delle loro responsabilità.

Per quello che riguarda il problema di Trieste, che ci è pivicino, non ho l’impressione che la nota russa abbia semplificata una situazione che già di per sé stessa era tutt’altro che semplice: andiamo incontro ad almeno due eventualità, tutte e due altrettanto spiacevoli per noi e piene di incognite. L’una è che, di fronte a tutti questi avvenimenti maggiori, nessuno abbia tempo e voglia di occuparsi ancora della questione di Trieste e che quindi essa ritorni nel frigidaire; l’altra è che, se la conferenza si svolge in modo comunque costruttivo, la questione di Trieste finisca essa stessa sull’agenda della Conferenza a Quattro.

Non sarà purtroppo una di quelle situazioni che si chiariscono in pochi giorni. È una situazione che, per quello che ci concerne, domanda più che mai che noi tiriamo i remi in barca. Mai come oggi, temo, è stato per noi così pericoloso mescolare politica interna e politica estera: bisognerà che teniamo i nervi a posto e che abbiamo il coraggio di stare a vedere come si mettono le cose.

La prego di credermi, con profondo ossequio,

P. Quaroni

65 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 16, fasc. 11.4.

65 2 Il documento reca il visto di Pella ed il visto e la sigla di Zoppi.

66

IL SEGRETARIO DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA CECA, CALMES, AI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI DELLA COMUNITÀ EUROPEA(1)

L. CM/S (53) 7398-7404. Lussemburgo, 1° dicembre 1953.

Monsieur le Ministre,

J’ai l’honneur de vous remettre le texte de l’exposé sur le problème de Trieste, fait, au cours de la séance du 28 novembre 1953 de la Conférence de La Haye(2), par M.Pella, Président du Conseil et Ministre des Affaires Étrangères d’Italie.

Je vous prie de croire, Monsieur le Ministre, à l’expression de ma plus haute considération.

[Christian Calmes]

Allegato

CONFÉRENCE DES MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES La Haye, 26-28 novembre 1953 P (53) 5 Doc., Séance 3. Luxembourg, le 30 novembre 1953.

EXPOSÉ DE S.E. M. PELLA SUR LA QUESTION DE TRIESTE

Je tiens à vous remercier M. le Président de l’occasion que, à la demande de M. le Chancelier Adenauer, vous m’offrez de vous donner quelques indications sur le problème de Trieste. Il me semble, que par-là, je m’acquitte d’un double devoir: l’un vis-à-vis du peuple italien, dont les mobiles et les exigences au sujet de ce problème sont trop souvent faussées dans certains milieux de la presse et de l’opinion publique internationales. L’autre, à l’égard de la Communauté naissante, qui a un évident intérêt à obtenir des informations sur des questions qui ont une influence aussi directe sur l’évolution politique dans ce secteur du monde.

La question de Trieste représente pour l’Italie une exigence de caractère national. C’est avec amertume que j’ai quelquefois entendu parler d’un « impérialisme » italien. On oublie souvent que le problème de Trieste s’est déjà présenté quand l’Italie n’avait encore atteint que partiellement son unité. Qu’il me soit permis de rappeler que, déjà vers la moitié du siècle dernier, les habitants de la Venezia Giulia soulevèrent la cause de leur nationalité et demandèrent que les territoires qu’ils habitaient fussent réunis à la mère patrie.

À la fin de la première guerre mondiale, qui a été pour nous la dernière guerre du « Risorgimento », le Président Wilson dont les sympathies pour la cause yougoslave étaient notoires, indiqua la frontière qu’il considérait comme équitable pour l’Italie dans les territoires de la Venezia Giulia: c’est la frontière qui précisément porte le nom de « ligne Wilson ».

Mais, les frontières définitives entre la Yougoslavie et l’Italie furent ensuite fixées d’un commun accord entre les deux pays, à la suite de libres négociations.

En 1946, les exigences de la politique d’apaisement que l’on croyait devoir suivre envers la Russie soviétique, amenèrent les Puissances alliées à approuver l’annexion à la Yougoslavie de vastes territoires considérés jusqu’alors comme italiens, et, en même temps, à soumettre à une administration spéciale une autre partie de ces territoires.

Je désire souligner ici que lorsque l’on parle de Territoire libre de Trieste, on parle seulement d’une partie du Territoire que la ligne Wilson et les négociations avec la Yougoslavie avaient donné à l’Italie en 1919.

Le caractère nettement italien des zones qui composent le Territoire libre de Trieste a toutefois été reconnu solennellement et formellement par les Gouvernements Britannique, Français et des États-Unis au cours de ces dernières années, et il est à remarquer que, en 1948, à l’occasion de la déclaration tripartite(3), le caractère italien du territoire fut reconnu par le Gouvernement travailliste britannique et par l’administration démocrate américaine; par la déclaration du 8 octobre dernier(4), tant le Gouvernement conservateur britannique que l’administration républicaine des États-Unis l’ont à leur tour reconnu. On peut donc affirmer que le caractère italien de ce territoire a été reconnu par la totalité de l’opinion responsable en Angleterre et aux États-Unis.

Le problème de Trieste n’ayant pas été résolu, il s’en est suivi une situation extrêmement délicate.

Les douloureux événements survenus entre le 4 et le 7 novembre, en sont une preuve évidente. On a parlé à ce propos de coups de main de conspiration, d’agents provocateurs. Les éléments qu’on a può recueillir (témoins oculaires, films, photos) prouvent le contraire et confirment le danger que l’on court en laissant ainsi traîner une situation insoutenable. Du cé italien, il n’y a, en ce qui concerne ces événements, qu’un désir, qu’une attente très ferme: c’est que la lumière la plus complète et la plus objective soit faite.

Il a été dit que l’Italie formulait vis-à-vis de la Yougoslavie des prétentions excessives et qu’elle s’était toujours refusée à résoudre la question de Trieste par des négociations directes avec Belgrade.

Je rappellerai à la fin de cette intervention que nous proposons des formules de plébiscite à caractère définitif, surtout dans l’intention de démontrer la bonne volonté de l’Italie.

Mais, quant aux négociations directes, il est suffisant de rappeler que, entre 1950 et 1953, le Gouvernement italien s’est, par trois fois, efforcé de s’engager sur la voie d’accords directs avec le Gouvernement yougoslave pour prouver que ces insinuations dénonçant le manque de bonne volonté de l’Italie étaient dénuées de fondement.

Il est inutile d’exposer dans tous les détails les phases et les résultats négatifs de ces conversations; mais il vaut la peine de souligner que la faillite complète de ces négociations a été, dans les trois occasions susdites provoquée par un double ordre de motifs: d’une part les prétentionsavancées par la Yougoslavie étaient de nature telle qu’elles ne pouvaient être acceptées par aucun Gouvernement italien responsable; d’autre part, la Yougoslavie montrait d’une façon absolument évidente le manque de toute volonté effective d’arriver à un accord.

En même temps, le Gouvernement de Belgrade, et les Alliés l’avaient déjà souligné en 1948, a transformé l’administration provisoire qui lui avait été confiée dans la Zone B du Territoire Libre, en une véritable annexion, violant les droits les plus fondamentaux des habitants; il a cherché par-là, à mettre cette partie du Territoire hors de discussion dans les négociations futures.

La décision anglo-américaine du 8 octobre a soulevé en Yougoslavie des réactions d’une telle violence que les Gouvernements occidentaux ont può avoir une preuve bien claire, quoique déconcertante de cette soi-disant « bonne volonté » du Gouvernement yougoslave.

À la suite de cette réaction, il y a eu un temps d’arrêt et les Gouvernements alliés, tout en confirmant leur intention de mettre à exécution la décision du 8 octobre, ont essayé la vie d’une conférence entre les signataires de la déclaration tripartite et les deux États directement intéressés pour atteindre une solution définitive.

Le Gouvernement italien s’est décidé à accepter l’invitation à cette conférence dans la conviction surtout, qu’aucun effort ne doit être négligé pour consolider la sécurité de l’Europe libre. Il pense, en effet, qu’une solution équitable de la question de Trieste aurait une influence des plus efficaces pour hâter la ratification par le Parlement italien des accords de la Communauté Européenne de Défense.

Il est désormais reconnu qu’un accord entre la Yougoslavie et l’Italie est une condition indispensable pour la création d’un système de sécurité dans le sud-est européen.

Si le Gouvernement de Belgrade a réellement l’intention de s’insérer dans le système défensif européen, il pourra le prouver en acceptant de participer à la Conférence, dans un esprit constructif.

Mais il est permis de se demander si le Gouvernement de Belgrade est animé d’une réelle intention de s’insérer dans notre système de défense. Il est aisé de constater l’existence, dans les milieux politiques yougoslaves des tendances typiques et constantes, quel que soit le régime au pouvoir.

Même avant que l’État yougoslave ne devînt une réalité historique, le roi Pierre de Serbie indiquait dans son futur royaume le noyau d’une vaste Fédération Balkanique, que Belgrade pensait promouvoir et ensuite guider.

L’attitude de Tito, au lendemain même de son accession au pouvoir, et les accords qu’il conclut avec Dimitrov en 1947, sont une preuve suffisante pour confirmer non seulement que cette tradition reste bien vivante à Belgrade, mais aussi, que le nouveau régime la considère comme tout à fait compatible avec sa propre doctrine.

Ce programme balkanique de la Yougoslavie, qui était inacceptable pour Staline ainsi qu’il l’avait été pour la Russie des Tzars, constitua la raison véritable de la rupture entre la Yougoslavie et l’URSS en 1948. On a cru pouvoir présenter la défection de Tito non comme la conséquence d’un choc entre deux États impérialistes, mais plut comme la rébellion d’un peuple soucieux de son indépendance contre une puissance qui voulait le subjuguer. Un conflit politique fut présenté comme une divergence idéologique; on crut avoir assuré à la cause de la défense de notre civilisation chrétienne l’aide d’un allié précieux et on lui accorda une large aide économique et militaire, dans l’espoir d’encourager d’autres satellites de Moscou à suivre l’exemple yougoslave.

La Yougoslavie se montra dès le début très réservée en face de cette position occidentale. Elle accepta l’aide qui lui était offerte, mais elle ne donna rien en échange, aussi bien au point de vue idéologique que politique et militaire. Dans ses rapports avec l’Italie, elle s’inspira d’une attitude d’intransigeance la plus absolue.

Néanmoins, au début de cette année, les efforts pour amener la Yougoslavie à une collaboration dans la défense de l’Occident semblaient avoir abouti à un résultat positif. Ce fut au moment de la conclusion de l’entente entre Athènes, Ankara et Belgrade. L’Italie approuva cette entente régionale qui apparaissait utile pour renforcer la défense de deux alliés la Grèce et la Turquie. Mais les conversations de caractère militaire qui entre temps, se déroulaient à Belgrade entre l’État Major yougoslave et les représentants militaires alliés marquèrent une faillite totale; ainsi fut démontrée l’aversion de la Yougoslavie à donner des renseignements sur ses forces et ses plans militaires.

D’autre part la Yougoslavie, aussit l’entente signée et ratifiée, démontra d’une façon très claire qu’elle ne l’interprétait pas comme un accord pour la défense d’un secteur européen, mais plut comme un moyen d’action politique.

En effet, dès le printemps passé, les hommes politiques yougoslaves ont toujours insisté sur le caractère exclusivement balkanique de l’entente, avec la tendance évidente d’y établir la prépondérance des intérêts yougoslaves.

De l’attitude des dirigeants de Belgrade ressort aussi la tendance à placer la Yougoslavie dans une position idéologique et politique de « troisième force » entre l’Orient et l’Occident. Cette constatation nous permet de tirer la conclusion que le peu d’empressement des yougoslaves à s’engager vis-à-vis de l’Occident et l’intransigeance toujours plus forte, presque rageuse dont le Gouvernement de Belgrade a fait preuve à propos du problème de Trieste, doivent être considérés comme des actions tactiques, nécessaires au développement de cette politique de suprématie dans les Balkans et de troisième force en Europe.

En effet, si le problème de Trieste trouvait finalement une solution:

1) l’entente balkanique perdrait le caractère que Belgrade parait lui attribuer, pour jouer son véritable re dans la défense du secteur sud-est de l’Europe: c’est ce que nous désirons.

2) La Yougoslavie, une fois liée au système occidental de défense, devrait assumer toutes les obligations qui lient chaque membre du système; elle verrait dès lors disparaître la situation privilégiée actuelle, qui lui permet de tirer des avantages sans donner aucune contrepartie.

3) Dans cette nouvelle situation, son aspiration à jouer le re de « troisième force » ne serait plus concevable. Ce qui aurait peut-être des conséquences à l’intérieur même du pays, étant donné que les Kominformistes yougoslaves semblent disposés à accepter la ligne de conduite actuelle du Gouvernement, seulement parce qu’elle évite tout rapprochement concret avec l’Occident.

Voilà, en quelques mots, le développement historique de la question de Trieste et les motifs de notre pessimisme devant l’absence de bonne volonté de Belgrade. Nous avons accepté la proposition alliée du 13 novembre et nous sommes prêts à nous ion et de la paix en Europe.

Quant aux méthodes pour arriver à une solution définitive du problème, nous avons manifesté et nous maintenons notre préférence pour un plébiscite dans tout le territoire, permettant un choix entre l’Italie et la Yougoslavie. Ce choix devrait être fait librement, selon la méthode démocratique de la volonté manifestée par la majorité.

Si l’on en croit les accusations yougoslaves, la composition ethnique du Territoire aurait été artificiellement modifiée au désavantage partiel des slovènes et ne correspondrait pas à la réalité; l’Italie est disposée à accepter que le plébiscite ait lieu seulement pour ceux qui sont nés dans le Territoire Libre avant l’armistice de novembre 1918: de cette manière, les personnes qui sont entrées dans le Territoire pendant les vingt-cinq dernières années, et qui, au dire de Belgrade, y ont été artificiellement introduites n’ auraient pas le droit de voter; par contre celles qui sont sorties du Territoire après Novembre 1918, et qui, selon Belgrade, en auraient été chassées, pourraient prendre part au plébiscite.

Cela ne signifie pas que l’Italie exclut d’autres méthodes de solution, telle que par exemple, la recherche d’une ligne ethnique continue, conformément aux suggestions qui ont été faites par le Comte Sforza et par les trois Gouvernements alliés eux-mêmes, lors de la démarche effectuée à Belgrade et à Rome en automne 1952(5).

Voilà, en quelques mots un exposé de la question depuis ses origines jusqu’à son état actuel. Le Gouvernement italien a fait tout ce qui était possible et compatible avec le respect daux exigences de son opinion publique et de son Parlement pour faciliter les formules de solution. Je désire souligner qu’en dépit de l’amertume que nous avons éprouvée à plusieurs reprises, au cours des dernières semaines et des derniers mois, nous avons eu quelques occasions de souligner et d’apprécier la compréhension de certains Gouvernements alliées. Ce sont ces occasions de satisfactions que je voudrais évoquer ici, à titre de bons présages pour l’avenir et pour me permettre de renouveler l’expression de notre reconnaissance pour ces actes de compréhension.

66 1 La lettera era indirizzata anche al Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri francese, Parodi, ed in copia a Magistrati e Cavalletti (ASUE, CM1/CPE, 32.8). Ad Adenauer il testo del discorso fu inviato in traduzione. Il discorso (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 25, fasc. CED -Esercito Europeo) è, a stampa, anche in DGAP, Segreteria, 1951-1958, b. 22, fasc. Discorso al Senato. Fu inserito, negli Atti della Conferenza de L’Aja, come annesso IV(vedi Appendice II).

66 2 Per una sintesi del tenore di tale Conferenza vedi D. 64.

66 3 Del 20 marzo 1948: vedi DDI, serie decima, vol. VII, D. 468.

66 4 Vedi D. 56, nota 3.

66 5 L’obiettivo del Governo italiano era quello dell’ottenimento di una “linea etnica continua”, con delle concessioni a favore della Jugoslavia nella zona A, non la semplice spartizione sulla base delle due zone del TLT. Il riferimento è al memorandum Eden (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 92, fasc. 1).

67

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

Appunto. Roma, [… dicembre] 1953(2).

Oggetto: Conversazioni con i Ministri Olandesi - Problema della CED.

L’argomento della CED verrà certamente toccato nelle conversazioni che avranno luogo in occasione della visita di V.E. a l’Aja.

La posizione pupresentarsi piuttosto delicata. Il Governo olandese ha da tempo avviato la procedura di ratifica, che va svolgendosi regolarmente: la Camera bassa ha già approvato gli accordi, la Camera alta li ha attualmente in esame, e si sconta il favorevole compimento del processo tra non molto tempo. Noi invece non abbiamo ancora potuto iniziare nuovamente (dopo la decadenza dei primi atti compiuti dalla passata legislatura) la procedura né abbiamo idee chiare sul quando potremo dare l’avvio. Ora, esiste un particolare interesse dell’Olanda, come degli altri Paesi del Benelux, verso l’Italia per quanto riguarda la CED. Il Benelux sa infatti che in sede CED noi saremo spesso naturalmente portati dalla sua parte, data la probabile tendenza dei francesi e dei tedeschi a risolvere a loro esclusivo vantaggio i problemi pigrossi, e comprende quindi che solo con la partecipazione dell’Italia alla CED si stabilirà quell’equilibrio interno che permetterà ai piccoli Stati di far sentire con efficacia la loro voce. Il Benelux, se queste idee sono esatte, ha un interesse politico particolare per la posizione italiana, essendo egualmente avverso tanto al riarmo unilaterale della Germania quanto ad una CED senza l’Italia.

Conviene a parere di questa Direzione Generale che, nelle conversazioni italo-olandesi, si cerchi di dare ogni affidamento compatibile con la realtà del momento sulla nostra volontà di procedere appena possibile alla ratifica. Se, nell’esposizione complessiva della nostra posizione, sarà ritenuto ricollegare in qualche modo la nostra ratifica al problema della frontiera orientale, ci– a parere di questa Direzione Generale – dovrebbe essere fatto illustrando le difficoltà obiettive che presenta la nostra situazione parlamentare in relazione al problema del TLT, dimostrando che quindi la soluzione di tale problema spianerà la via all’approvazione parlamentare della CED, ed accennando eventualmente infine – se lo si ritiene – al conseguente interesse dell’Olanda di aiutarci per quanto pua risolvere favorevolmente il problema stesso.

67 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. CPE.

67 2 L’appunto, con sottoscrizione autografa di Magistrati, è accompagnato da un foglio di trasmissione interno dalla Direzione degli Affari politici a quella degli Affari Economici, Ufficio II, da cui si evince la data del 5 dicembre 1953 come termine ante quem.

68

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA(1)

R. segreto 1472. Parigi, 5 dicembre 1953.

Signor Ministro,

La prego di scusarmi se mi permetto, ancora una volta, di farle parte delle mie preoccupazioni per la piega che sta prendendo tutta la congiuntura internazionale.

V.E. è stata già informata che i Tre hanno comunicato al Consiglio del NATO, sostanzialmente, la loro decisione di accettare l’invito russo per una Conferenza a Quattro: anche se supponiamo o sappiamo che ci sono a questo riguardo delle differenze d’opinione abbastanza marcate fra inglesi, francesi ed americani, dovremmo supporre che alle Bermude si troverà una formula di accordo e che, verso la seconda metà di gennaio, questa Conferenza a Quattro potrebbe aver luogo.

Non è quindi l’immediato che mi preoccupa: mi preoccupa piuttosto la possibile evoluzione di tutta la situazione internazionale nei mesi a venire.

Ho già espresso a V.E. la mia interpretazione del dibattito alla Camera francese: interpretazione non molto ottimistica. Posso naturalmente sbagliarmi; le cose possono cambiare per effetto di circostanze diverse. Resta comunque il fatto, e su questo ritengo di dover essere tassativo, che dell’eventuale ratifica della CED non si puparlare che dopo un fallimento eventuale della Conferenza a Quattro; il che già ci riporterebbe verso l’inizio della primavera. Ma non è soltanto il fallimento della Conferenza a Quattro che occorre, perché si possa in qualche forma riprendere la CED: è necessario anche che questo fallimento avvenga in circostanze tali da persuadere quella parte dell’opinione pubblica e parlamentare che è in buona fede, che realmente non c’era niente da fare. E questo è già molto meno facile. È ormai chiaro, anche se qualcuno ne dubitava ancora, che i russi ce l’hanno, sì, contro il Patto Atlantico, ma ce l’hanno molto di picontro la CED. E solo perché non vogliono il riarmo tedesco od è anche per altre ragioni? La discussione sarebbe lunga, e forse oziosa: basta constatare il fatto. Che il riarmo tedesco, in qualsiasi forma, costituisse nei riguardi della Russia un gesto che poteva portare le piserie conseguenze; che fosse pericoloso integrarsi con una Germania divisa e che per forza di cose risulta portata alla guerra per riconquistare la sua parte orientale, sono stati fin dall’inizio due argomenti di forte peso per la Francia. Per cui l’opinione parlamentare, qui, fa un ragionamento molto semplice, ma che non è facile mettere da parte: se si va alla Conferenza a Quattro partendo dal punto di vista che i russi debbono accettare la CED, e che questa è «à prendre ou à laisser», la reazione dell’opinione pubblica e parlamentare, qui, sarà che si è voluto, in partenza, silurare la Conferenza a Quattro e sarà una ragione di piper spingere qui a non ratificare. Si dirà allora: il nostro Governo segue questa politica di avventura perché è succube degli americani: sta a noi di impedirgli di fare delle sciocchezze.

Perché l’effetto di un fallimento sull’opinione pubblica francese possa essere decisivo e positivo, bisognerebbe che alla Conferenza si andasse con una formula di questo genere: «La CED era necessaria in certe determinate circostanze della situazione internazionale: se voi russi ci date delle garanzie serie di volontà di collaborazione per una riunificazione della Germania, delle serie garanzie per la sicurezza dell’Europa occidentale, noi possiamo anche essere disposti a rinunciare alla CED».

È cioè soltanto dimostrando all’opinione pubblica in buona fede che il prezzo che i russi sono disposti a pagare, perché da parte nostra si rinunci alla CED, è nullo, o irrisorio o solo una trappola, che si pusperare di avere qui un cambiamento d’opinione che permetta di ritirar fuori la CED, nella sua forma attuale o in altre.

Come V.E., non sono di quelli che pensano che la Russia voglia veramente una distensione. Per anche ammettendo che la Russia voglia una distensione ed una soluzione del problema tedesco, quale sarebbe l’utilità per la Russia di regalare alla Comunità atlantica ed europea la Germania Orientale? Può essere che, se non ritenesse di avere – come ha – molte chances di far fallire tutto giuocando sul disorientamento dell’opinione pubblica dell’Europa occidentale, la Russia si rassegnerebbe a vedere la Germania riarmata in seno ad una Comunità europea: ma che abbia l’intenzione di completare il nostro lavoro regalandoci, per niente, anche la Germania Orientale, questo mi sembra assurdo.

Resta, è vero, l’ipotesi di una Locarno: c’è qui qualcuno, anzi, che pensa che l’accenno russo alla necessità che la questione della sicurezza europea sia risolta fra i Paesi europei al di qua e al di là della cortina di ferro, possa essere un principio di accettazione dell’idea. Ma la vera Locarno era un patto di non aggressione garantito dall’Inghilterra e dall’Italia, ossia da due potenze che, alleandosi con l’aggredito, potevano allora decidere della guerra: oggi chi garantirebbe, sul serio, la Russia, o anche i soli Stati satelliti europei, contro un’aggressione della CED? Gli Stati Uniti? Ossia un Paese che è già parte in causa, e quale parte in causa. Quando si va ai fatti, la proposta non ha molta base: se questa frase della nota sovietica ha veramente un significato, essa cela qualche altra cosa di ben differente – chissà forse una neutralizzazione di tutta l’Europa, satelliti compresi, garantita dai russi e dagli americani – ma non qualche cosa di simile ai piani di Churchill o di Van Zeeland.

Comunque, nella migliore – o peggiore – delle ipotesi, la Russia ci può offrire una unificazione della Germania (Trattato di pace, con neutralizzazione della Germania e ritiro delle truppe di occupazione delle due parti): sempre a volere essere ottimisti, potrebbe offrire anche il ritiro delle sue truppe dal territorio dei satelliti – ma allora anche il ritiro degli americani dall’Europa occidentale – magari un inizio di disarmo ma tutto a condizione che non si faccia la CED.

Ora se la Russia dovesse fare delle proposte di questo genere, potremmo tutti essere d’accordo che si tratta di un trucco pericoloso: però non c’è un Governo in Francia che possa dire di no senza essere travolto: e non sono sicuro che sarebbe così facile dire di no né in Inghilterra né in Italia. Quello che è piverosimile è che la Russia faccia delle proposte picapziose, e più difficili a comprendere per il pubblico: e che sappia destreggiarsi in modo da dare l’impressione che l’accordo si sarebbe potuto raggiungere se non ci fosse stata la CED, e che l’accordo fra la Russia e l’Europa sarebbe possibile se non ci fosse l’America.

C’è poi anche la questione dell’Estremo Oriente: la proposta di Ho Chi Minh, anche questa, ha aumentata la confusione più grande, dei francesi, sulla questione dell’Indocina. Quelli che pensano di poter trattare senz’altro con Ho Chi Minh sono per ora pochi: ma questo accenno è bastato per far pensare a molti che forse si potrebbe trattare meglio con lui attraverso Pechino, e con Pechino attraverso Mosca.

La Conferenza a Cinque, che già aveva l’appoggio indiscusso, per esempio, di una persona che non è certo filo-comunista come Paul Reynaud, diventa oggi di maggiore attualità; su essa si accentuano non meno speranze che su quella a Quattro e di nuovo la bestia nera è l’America che non vuole che si riconosca la Cina di Mao Tse Tung.

Appare oggi che Francia ed Inghilterra, sia pure con minore o maggiore fiducia, sono per trattare a quattro ed a cinque: che dello stesso parere sono Belgio, Olanda e Paesi Scandinavi: chi si oppone sopratutto è la Germania – et pour cause –: che l’America vi si oppone perché punta sulla Germania: e sottovoce si aggiunge, perché vuole la guerra preventiva e conta sulla Germania per farla.

Quindi si va a questa Conferenza a Quattro con una opinione pubblica – parlo della Francia – che parte dalla presunzione che l’America intende sabotare la Conferenza, perché ha paura che i russi siano ragionevoli. Tutto quello che faranno o diranno i russi godrà di un pregiudizio leggermente favorevole: tutto quello che diranno o faranno gli americani si troverà ad avere un pregiudizio nettamente sfavorevole. E gli americani? Essi ci hanno dichiarato, da tempo e sotto tutti i toni – temo non bisogna prendere alla leggera queste loro dichiarazioni – che se non si realizza la CED, essi dovranno rivedere tutta la loro politica europea. Sappiamo più o meno quello che questo vuol dire. Il loro atteggiamento nei riguardi della Russia o della Cina sarà giusto o sbagliato, ma è la loro politica; ed una politica da cui possono difficilmente deflettere anche loro per ragioni interne. E si trovano ad avere contro praticamente tutti i loro alleati europei, in una atmosfera di opinione pubblica sempre piostile, sempre più diffidente nei loro riguardi. Sono a capo, teoricamente, di una grandissima alleanza e allo stesso tempo sono perfettamente soli. E non è del tutto da escludere che, andando avanti così le cose – ed è difficile cambiarle – ad un certo momento non si decidano di mandare tutto e tutti al diavolo. Se ne pentiranno dopo amaramente, loro e noi, ma potrebbe essere troppo tardi.

La situazione è difficile senza dubbio, ma non sarebbe impossibile di uscirne fuori con la necessaria souplesse. Se sono pessimista è perché faccio il bilancio di un anno. Un anno fa l’integrazione europea sembrava se non fatta, al meno molto probabile: l’alleanza atlantica aveva, sì, le sue difficoltà ma sembrava una cosa solida ed in pieno sviluppo: oggi la CED è più che in crisi: il Patto Atlantico stesso e la sua politica vanno incontro a crisi e contraddizioni interne che ne potrebbero segnare anche la fine. E tutto questo è stato ottenuto dai russi con niente: facendo soltanto balenare delle speranze: non credo di essere troppo pessimista se temo che, con ben poco di concreto, essi potrebbero riuscire a fare ancor molto e molto danno.

Certamente influisce sulla mia preoccupazione il fatto di trovarmi a lavorare nel Paese più disorientato d’Europa: tuttavia, purtroppo, questo Paese è al centro della politica attuale, e se non riesce a fare nulla di positivo, riesce perfettamente a non fare niente.

La crisi non è per domani: probabilmente alla prossima Conferenza Atlantica tutti si troveranno tacitamente d’accordo, come al solito, per mantenere tutto in sordina; è la Conferenza a Quattro che pusegnare la crisi grave. Il nostro pensiero in questo momento è polarizzato sulla questione di Trieste ed è umano che sia così: non possiamo perper questo astrarci completamente da quello che accade nel mondo: se mai la gravità della situazione dovrebbe consigliarci di fare tutto il possibile per uscirne fuori, come è possibile, in maniera da poter affrontare la crisi senza questa palla al piede. È bene sempre essere preparati al peggio.

Evidentemente in questo momento la cosa pilogica e ragionevole per noi, mi sembra, senza voler con questo aspirare a funzioni di primo piano, sarebbe quella di restare francamente al lato degli americani: pisono soli, pidovrebbero apprezzare quei pochi che restano al loro fianco.

È una posizione che dovrebbe, nell’immediato, esserci di qualche vantaggio. In caso di guai, essa non ci metterebbe, mi sembra, in condizioni peggiori di quella in cui ci metterebbe una politica di silenzio.

Non è che questo ci possa garantire intieramente l’avvenire: il restare al fianco degli americani non ci garantirebbe al 100% dall’essere travolti in un abbandono generale. Per se in una specie di tracollo generale di tutta la politica seguito sino ad ora, c’è ancora una speranza di salvare per noi una certa misura di continuato appoggio americano, questa mi sembra possibile soltanto se conserviamo di fronte agli americani le carte pulite. D’altra parte non vedo quale maggior garanzia per l’avvenire ci potrebbe dare il prendere posizione al lato delle tesi diciamo così inglesi.

La prego di gradire, Signor Ministro, i sensi del mio profondo ossequio.

[Pietro Quaroni]

68 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19 bis, fasc. 4.

69

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 15281/945. Parigi, 10 dicembre 1953, ore 16,25 (perv. ore 16,40).

Fra le informazioni fornitemi da Schumann (che gli americani sarebbero stati, nell’appoggiare la CED, piviolenti degli inglesi) e le informazioni avute negli ambienti CED da Bombassei (telegramma 941) V.E. avrà rilevato contraddizione. Debbo ritenere che le informazioni di Bombassei siano esatte, secondo informazioni da me avute da ottime fonti. Eisenhower, secondo queste fonti, sarebbe stato comprensivo, avrebbe detto di essersi almeno reso conto delle difficoltà parlamentari francesi e pregava il Governo francese di fargli chiaramente conoscere che cosa voleva per la Saar, per la CED e che cosa riteneva di poter fare facendo osservare che per il Governo americano, anche di fronte al Congresso, era impossibile restare a lungo nella situazione di incertezza. Tutto questo in tono molto amichevole. Sprezzante invece è stato l’intervento di Churchill che accusava i francesi di non essere capaci di governare e di non sapere quello che volevano. La replica di Bidault è stata molto violenta e la contro-replica di Churchill molto violenta ancora.

Una violenta reazione anti-britannica, come che sia, vi è qui in ogni ambiente.

Le stesse fonti osservano, circa la idea di Bidault di una maggiore partecipazione di tutti i membri della Comunità Atlantica alle principali decisioni, che essa è la constatazione da parte francese dello scarso peso della Francia nella Conferenza a tre e tentativo della Francia di farsi portavoce dei Paesi minori, in certa misura. Seppure ce ne sono, non si conoscono ancora idee precise.

69 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19, fasc. 73.

70

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PELLA, CON IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DI FRANCIA, BIDAULT(1)

Verbale(2). Parigi, 13 dicembre 1953.

Sulla Conferenza delle Bermude, Bidault non ha detto nulla di sostanzialmente nuovo: si è limitato a qualche accenno di colore sull’andamento dei colloqui.

Circa la questione di Trieste, ha ripetuto le considerazioni per cui non ha creduto opportuno dissociarsi dal passo anglo americano a Belgrado deciso laggi(3). Circa la possibilità di una riunione segreta a Quattro, si è mostrato piuttosto scettico, osservando che le indiscrezioni stampa avevano fatto tramontare le già non molte possibilità che avrebbe potuto avere: inglesi ed americani si preoccupavano troppo di non irritare Tito con dei conciliaboli separati con noi.

Ha parlato, senza entrare in dettagli, delle ultime proposte inglesi: si è lagnato che gli inglesi escano fuori con una nuova proposta ogni giorno: ha definito buoni, in merito a questa proposta ultima, i consideranda e pessima la conclusione (abbiamo poi saputo da La Tournelle che la proposta era quella di suggerire delle conversazioni dirette).

Pella ha ripetuto le nostre considerazioni: siamo arrivati al massimo delle nostre concessioni: abbiamo bisogno di un inizio di soluzione prima della ripresa dei lavori parlamentari in gennaio. Bidault si è dichiarato d’accordo; è stato di nuovo molto aspro sulla remissività degli anglo-americani, ha di nuovo dato assicurazioni circa il fermo desiderio della Francia di aiutarci.

A richiesta di Pella se aveva dei consigli da darci, ha risposto di non averne nessuno per il momento: ha di nuovo assicurato che la questione aveva tutta la sua attenzione e che, qualora fosse stato opportuno suggerirci qualche cosa, non avrebbe mancato di farlo.

Bidault ha poi esposto brevemente le difficoltà parlamentari francesi per la CED: Pella, pur ripetendo la connessione fra Trieste e la CED, ha aggiunto che si trattava in parte di una posizione polemica: in realtà, in certe circostanze, era convinto della necessità di sottoporre lo stesso la CED alla ratifica e che, sia pure con difficoltà, ci sarebbe riuscito.

Circa la prossima Conferenza sull’integrazione politica, Pella ha espresso il suo pensiero: essere necessario tenersi su terreno solido e realistico e non lasciarsi troppo dominare da schemi preconcetti. Ha detto di comprendere le difficoltà francesi, di cui noi desideravamo tener conto: che anzi – analogamente a quanto egli, Bidault, ci aveva pivolte offerto per Trieste – qualora ci fossero delle proposte che la Francia avrebbe avuto delle difficoltà ad avanzare essa stessa, noi eravamo sempre pronti ad esaminare la possibilità di avanzarle noi. Bidault ha ringraziato e ha detto che avrebbe potuto averne bisogno.

Circa la sua conversazione con Adenauer, ha detto che avevano parlato per quattro ore: di queste, solo venti minuti erano stati dedicati alla Sarre: non è entrato in dettagli, ma ha fatto chiaramente comprendere che non era stato realizzato nessun progresso.

Bidault era evidentemente preoccupato e di cattivo umore: la conversazione è stata quindi in generale scucita.

70 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 19 bis, fasc. 4.

70 2 Il verbale fu redatto da Quaroni il giorno successivo, 14 dicembre. Al colloquio è dedicato l’articolo della «Stampa Sera» del 14 dicembre, n. 291, p. 1.

70 3 Ci si riferisce al passo compiuto a Belgrado il 7 dicembre per indurre la Jugoslavia all’accettazione del progetto di conferenza politica; commenti della stampa jugoslava ed un articolo del sottosegretario Bebler avevano fatto percapire che la Jugoslavia manteneva un atteggiamento negativo. Si veda ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1953, p. 85.

71

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI PELLA(1)

Dichiarazione(2). [Parigi], 14 dicembre 1953.

DICHIARAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO AL CONSIGLIO ATLANTICO SULLA CED(3)

Puisque je suis débiteur encore du point de vue de l’Italie sur ce sujet, si vous avez l’amabilité de me donner la parole je paierai ma dette.

Alors, M. le Président, je voudrais rappeler ici que dès qu’il y a déjà plus de trois ans [que] l’initiative pour la création d’une Communauté Européenne de Défense fut présentée, l’Italie lui donna son entière adhésion. Elle a vu en elle, d’une part la possibilité concrète d’assurer la contribution allemande à la défense occidentale, et d’autre parte, un moyen d’une étape pour arriver à une intégration européenne plus vaste et complète. Cette intégration de l’Europe je tiens à le souligner une fois encore aujourd’hui, a été et reste, un des buts principaux de la politique internationale de mon pays. Le Gouvernement Italien n’a pas sous-estimé les réactions que la réalisation de la Communauté Européenne de Défense aurait soulevé dans certaines couches de l’opinion publique des différents pays y compris naturellement le nre. Mais les déclarations faites par M. de Gasperi devant ce même Conseil Atlantique en décembre 1952 et en avril 1953 en font foi, nous n’avons jamais douté de pouvoir surmonter ces difficultés.

En ce qui regarde mon pays, vous avez que le processus de ratification en question, qui s’y déroulait favorablement, n’a può être complété avant les élections générales du printemps dernier et doit être reprise au sein du nouveau parlement qui a récemment commencé ses travaux. Dans la situation politique générale actuelle, il est évident que tout nouvel élément a ses reflets et produit ses réactions dans l’opinion publique et parlementaire de mon pays, non moins que dans celle des autres, M. le Président. Je ne m’attarderai pas ici à une évaluation de cette situation générale, je constate seulement que ces reflets directs et indirects dans l’opinion publique n’ont pas été de nature à faciliter la tâche de ceux qui, comme nous, voient clairement oest le danger et quels sont les moyens, les seuls moyens d’y faire face.

Comme vous la savez, la situation de notre frontière orientale pose au Gouvernement italien d’autres graves problèmes. L’opinion publique italienne, avec une unanimité qui témoigne de l’intensité du sentiment national à cet égard, est extrêmement sensible à cette question Il est d’autre part certain et j’ai déjà eu maintes fois l’occasion de le répéter publiquement que la solution favorable de cette question exercerait une influence profonde, positive sur l’opinion publique. Dans la situation actuelle tout observateur au courant de la situation politique et psychologique de mon pays, ne pourrait ne pas reconnaître en toute franchise qu’une discussion actuelle pour la ratification rencontrerait aujourd’hui des difficultés graves tant que le problème de notre frontière orientale n’aura pas trouvé une solution satisfaisante. Je ne désire pas soulever la question des rapports italo-yougoslaves dans les circonstances présentes; dans un moment aussi délicat que celui otrois gouvernement amis font des efforts pour parvenir à une solution équitable du problème. En tout cas, le Représentant Permanent du Gouvernement italien ne manquera pas, en son temps, de renseigner sur ce point le Conseil. Mais, ainsi que je viens de le réaffirmer, le Gouvernement italien croit fermement que la création de la Communauté Européenne de Défense répond aux nécessités de l’Alliance Atlantique et à celle de la politique d’intégration européenne. La création de la Communauté Européenne de Défense, en permettant à 150 millions d’hommes de préparer et d’organiser en commun leur défense, renforcera grandement l’Alliance Atlantique, elle assurera la contribution allemande à la défense occidentale dans la forme meilleure. La création de la Communauté Européenne de Défense suivant la mise en œuvre de celle du charbon et de l’acier constitue aux yeux du Gouvernement italien comme vous le savez, un élément d’une tape fondamentale sur le chemin de l’intégration européenne. Cette politique, qui tend à établir une vaste union entre le plus grand nombre des peuples européennes, n’est pas liée à une situation plus ou moins contingente mais répond, selon l’avis du gouvernement italien, à une nécessité historique car nous pensons que l’Europe doit s’unir si elle veut survivre dans un monde oles forces économiques et militaires et donc politiques, se mesurent désormais à une échelle qui dépasse de beaucoup les possibilités des nations du continent, prise une à une.

Aussi, si l’Europe veut, et elle le doit, représenter encore un facteur réel et positif dans la situation internationale, ne peut-elle plus hésiter à s’engager dans cette voie convaincue que les raisons et les principes qui sont à la base de la politique d’intégration européenne et de la Communauté Européenne de Défense, restent entièrement valides et actuels et souhaite que le développement de la situation et la favorable solution de certains problèmes, soient, de nature à permettre que la Communauté Européenne de Défense puisse se traduire en réalité.

71 1 Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 6.

71 2 Trasmesso con Telespr. segreto 21/4169 del 22 dicembre da Plaja al Ministero della Difesa, Gabinetto e Stato Maggiore, alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi, Washington, alle Legazioni a L’Aja e a Lussemburgo e alle Rappresentanze presso il Consiglio atlantico e la CED a Parigi.

71 3 Il comunicato finale del Consiglio Atlantico svoltosi a Parigi dal 14 al 16 dicembre 1953, sotto la presidenza di Bidault è riprodotto sul portale dei NATO Archives Online.

72

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA PRESSO IL CONSIGLIO ATLANTICO, ROSSI LONGHI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

R. segretissimo(2). [Parigi, 16 dicembre 1953]

Il Consiglio Atlantico a livello Ministri si è riunito a Parigi, sotto la presidenza del Ministro degli Affari Esteri francese, Signor Bidault, dal 14 al 16 corrente. Riassumo qui di seguito in relazione ai punti contenuti nell’Agenda, gli elementi più interessanti che sono emersi dalle discussioni, nonché le decisioni adottate nel corso della Sessione.

Le riunioni plenarie del Consiglio sono state precedute da una riunione inaugurale pubblica, con partecipazione dei rappresentanti della stampa, durante la quale il Presidente Bidault ha dato il benvenuto ai Ministri convenuti, auspicando un felice corso di lavoro.

Il resto del discorso, ispirato ad elevati principi e caratterizzato dallo stile brillante, seppure molto spesso caustico dell’oratore, ha toccato problemi di ordine generale, quale la necessità di rinforzare l’Alleanza, nel campo militare e non militare, la opportunità di mantenere l’equilibrio tra organizzazione europea ed organizzazione atlantica ed infine ha vivamente auspicato l’accettazione del piano Eisenhower nel campo atomico.

Immediatamente dopo il Consiglio ha iniziato le sedute ordinarie.

Prima di affrontare il punto 1 dell’Agenda, i(1)Presidente Bidault, riprendendo la proposta già fatta tramite il Rappresentante Permanente francese, ha chiesto al Consiglio di voler considerare l’opportunità di tenere delle riunioni ristrette di Comitati di Ministri per argomenti specifici e separatamente, allo scopo di preparare gli argomenti che avrebbero poi dovuto essere portati al Consiglio in seduta plenaria per le discussioni. Essendo tale proposta non apparsa di gradimento dei Ministri degli Esteri inglese ed americano, il Consiglio decise di riprendere la questione in considerazione a sessione inoltrata, e di iniziare in seduta plenaria l’esame dei punti 1 e 2 dell’Agenda. (Su proposta canadese il Consiglio decise poi di riunirsi nella mattina del 16 dicembre in sessione privata con partecipazione dei soli Ministri, Rappresentanti Permanenti e di un ristrettissimo numero di esperti per uno scambio di vedute a carattere privato e durante la quale vennero discusse la prossima conferenza a quattro, la nuova situazione dovuta al progresso delle armi atomiche in Russia; Eden fece inoltre una breve esposizione dello stato delle trattative anglo-egiziane).

1) Rapporto del Segretario Generale.

– Stato della questione. Come di consueto il Segretario Generale ha presentato al Consiglio un Rapporto periodico circa le attività svolte dagli organi civili del NATO nel periodo aprile-dicembre 1953.

–Discussione e decisione da parte del Consiglio. Nell’illustrare ai Ministri il suo rapporto, il Segretario Generale ha attirato l’attenzione sui seguenti punti:

a) lo svolgimento delle manovre militari in mare, in terra e nell’aria, cui il Consiglio ha ripetutamente assistito, è stato di particolare importanza nel corso dell’anno 1953 e sta a mostrare la vitalità e l’efficienza dell’Alleanza.

b) Lord Ismay sta preparando un rapporto complessivo sulle attività dei primi cinque anni del NATO, che sarà probabilmente ultimato entro il 4 aprile 1954, V° anniversario della firma del Trattato. Spetterà al Consiglio di decidere, compatibilmente al contenuto, circa l’uso da farne: da parte sua il Segretario Generale ha auspicato che venga data ad esso la pivasta diffusione negli ambienti parlamentari e tra il pubblico.

c) Il Consiglio è stato invitato a rivolgere la sua particolare attenzione ai problemi di difesa civile e di pianificazione di emergenza.

d) La diffusione delle informazioni e la divulgazione della conoscenza del NATO nelle pubbliche opinioni dei Paesi membri, rimane tuttora uno dei più importanti problemi da risolvere.

Il Rapporto del Segretario Generale ha raccolto l’unanime approvazione del Consiglio che, attraverso le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Italiano, del Ministro della Difesa britannico, Alexander, del Ministro degli Affari Esteri di Norvegia, Lange, di Grecia, Kanellopoulos, di Turchia, Kr e di altri, ha tenuto a mostrare la sua soddisfazione. Il Presidente del Consiglio Italiano si è riferito particolarmente agli aspetti non militari dell’Alleanza e ha ricordato come il Governo Italiano abbia sempre auspicato progressi in tale campo. Egli ha espresso la sua soddisfazione per il lavoro compiuto dal Gruppo di Lavoro sulla mobilità della mano d’opera, sulle conclusioni cui era arrivato e sulle raccomandazioni adottate dal Consiglio dei Rappresentanti Permanenti, affermando che il Governo Italiano continuava a confidare che i Governi membri avrebbero tenuto nel dovuto conto tali raccomandazioni e che la loro messa in effetto avrebbe potuto portare ad una bilancia economica pistabile nei Paesi dell’Alleanza, aumentandone al tempo stesso la solidità e la compattezza.

In connessione con il punto 1 dell’Agenda, il Consiglio ha esaminato pure preliminarmente un memorandum francese relativo al coordinamento delle attività di informazione da parte del NATO ed ha deciso di affidare immediatamente al Comitato per le Informazioni e per gli Affari Culturali il compito di procedere ad una disamina approfondita del memorandum.

Prima del termine della Sessione il Comitato, presieduto dal Rappresentante Permanente canadese, Ambasciatore Wilgress, ha riferito sul lavoro compiuto ed ha sottoposto al Consiglio che l’ha approvata, una risoluzione che si inspira ai principi contenuti nel memorandum di cui sopra e che auspica un maggiore coordinamento tra i Paesi membri nel campo delle informazioni e dell’orientamento delle pubbliche opinioni, tale da armonizzare le singole azioni nazionali attraverso l’opera del Segretario Generale del NATO.

2) Considerazioni sulla situazione politica internazionale.

– Stato della questione. Il punto 2 dell’Agenda prevedeva uno scambio di vedute sulla situazione politica internazionale, ed era stato convenuto nel corso della preparazione dell’Agenda, che i Ministri non fossero vincolati da particolari soggetti, ma potessero al contrario sollevare ogni argomento avente una qualsiasi connessione con i problemi di comune interesse. Il solo documento che figurava nell’ordine del giorno era lo studio aggiornato sulle tendenze della politica sovietica portato a termine nei giorni precedenti la convocazione della sessione ministeriale, dallo speciale Gruppo di Lavoro del NATO.

–Discussione. Gli interventi dei Ministri degli Affari Esteri hanno preso come spunto il suddetto documento. Lo scambio di opinioni non si è tuttavia limitato agli argomenti specifici trattati dal documento, ma ha avuto per oggetto tutti i temi di politica internazionale di attualità nel presente momento. Non è stato seguito un ordine particolare nella discussione.

Circa le tendenze della politica sovietica, i Ministri dei 14 Paesi hanno dimostrato di essere unanimi nel ritenere che la fondamentale ostilità dell’Unione Sovietica nei riguardi dell’occidente non è cambiata, pur ammettendo, secondo le parole di Eden, che la tattica dell’URSS era divenuta piflessibile e forse più intelligente.

L’ intervento più importante in questo campo è stato quello del Segretario di Stato. Secondo l’analisi fatta da Foster Dulles non vi sarebbe immediata probabilità di un attacco armato e aperto contro l’occidente, e ciper i seguenti motivi: a) difficoltà domestiche dell’URSS, intese queste tanto dal punto di vista interno (gravi deficienze dell’agricoltura; maggiori esigenze di beni di consumo cui è difficile resistere da parte del Governo), quanto dal punto di vista delle relazioni con i Satelliti (rivolta di Berlino) e con la Cina (circostanza che negli ultimi 18 mesi vennero cambiati tre ambasciatori presso Mao-Tsé); b) permanenza, malgrado i progressi fatti dall’URSS nello sviluppo delle armi atomiche negli ultimi due anni, di una superiorità quantitativa atomica dell’occidente.

Quanto sopra creava una situazione tale che soltanto avventatezza o disperazione da parte del Cremlino avrebbero potuto scatenare una guerra generale. E di ciò nonvi era alcun segno. Era pertanto da ritenersi che la politica estera dell’URSS sarebbe rimasta concentrata per alcuni anni nello sforzo di mantenere lo status quo nelle aree in discussione (Germania, Austria, Corea), mentre il Governo sovietico avrebbe cercato di sormontare le difficoltà suaccennate e di annullare l’inferiorità nel campo della produzione delle armi nucleari. Nello stesso tempo il Cremlino avrebbe cercato con tutti i mezzi di diminuire la tensione nella sfera internazionale essendo convinto che questo sarebbe stato il miglior modo di creare divisioni tra i membri del NATO. Era pertanto necessario impiegare il momento di respiro che la Russia concedeva all’occidente per rafforzare la difesa comune.

Mentre sull’apprezzamento della situazione e dei fini perseguiti dall’Unione sovietica la discussione ha registrato un generale consenso, una notevole differenziazione venne manifestandosi circa il modo migliore per reagire e controbattere i piani del Cremlino. Da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna si è infatti posto l’accento sulla necessità di prepararsi a far fronte ad un lungo periodo durante il quale era d’uopo mantenere in piedi forze sufficienti a sconsigliare un’aggressione, nonché mantenere il distanziamento attuale in fatto di armi atomiche. Eden e Dulles hanno anche mostrato notevole scetticismo circa la possibilità di venire ad un accordo con Mosca. I Rappresentanti degli Stati nordici (Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi e Belgio) ebbero invece cura di sottolineare che la ricerca di una via d’accordo con l’URSS era altrettanto importante quanto il mantenimento di un alto livello di preparazione bellica. Particolarmente lunga e accelerata è stata l’arringa di Van Zeeland che, dopo essersi anch’egli espresso in favore del potenziamento della difesa, ha insistito sull’importanza di «negoziare» con Mosca. Affermando di ritenere possibile l’attuazione della teoria staliniana della convivenza pacifica di due forme differenti di struttura politica, egli ha auspicato la necessità di raggiungere un «ragionevole equilibrio» tra l’Est e l’Ovest. Senza parlare del suo noto piano, Van Zeeland accennal problema della sicurezza affermando che sarebbe stato un grave errore rifiutarsi ad ammettere che il timore del rinnovarsi di un’aggressione non avesse genuine fondamenta nel popolo russo e fosse soltanto un mezzo propagandistico sovietico.

Il Presidente Pella ha da parte sua riconosciuto la necessità di una politica ferma e vigilante da parte del NATO, ammettendo nello stesso tempo l’importanza di un incontro a quattro, che avrebbe dovuto mettere a prova la sincerità delle intenzioni sovietiche. Il Presidente Pella nell’esprimere il suo compiacimento per la presenza del Segretario Generale del NATO alle Bermuda, ha affermato l’opportunità di continuare nella via iniziatasi in occasione della discussione da parte dei Rappresentanti Permanenti delle risposte da darsi alle note sovietiche, ampliando al massimo possibile le funzioni politiche del Consiglio Atlantico affinché questo potesse divenire un foro per una pigenerale discussione dei problemi di interesse comune. E cianche al fine di annullare l’impressione di disparità esistente tra le potenze piccole e medie del NATO rispetto alle grandi potenze, impressione di cui si valgono per i loro attacchi i nemici dell’Alleanza Atlantica. Il Presidente Pella ha sottolineato quindi l’importanza di risolvere il problema tedesco e quello austriaco. Egli ha affermato che per la Germania la neutralizzazione doveva essere fuori di questione, cianche al fine di disperdere i timori tedeschi di un accordo tra l’est e l’ovest alle loro spalle, e che per l’Austria occorreva sopratutto restaurarne l’indipendenza, motivo per cui il Governo Italiano aveva visto con piacere l’abbandono del trattato abbreviato. Gli accenni del Presidente Pella riguardo allo sviluppo delle funzioni politiche del Consiglio Atlantico vennero raccolti con particolare favore e furono ripresi negli interventi dei Ministri degli Esteri norvegese, danese e belga volti appunto ad appoggiare il potenziamento del NATO come organo propulsore di cooperazione sia nel campo politico che in quello economico.

Tra gli Stati del sud-est europeo la Grecia ha mantenuto una posizione assai vicina a quella dell’Italia per quanto concerne l’atteggiamento da assumersi nei confronti dell’URSS, mentre la Turchia si è espressa in senso particolarmente pessimista. Secondo Krnon vi è alcuna diminuzione del rischio; è quindi necessario continuare a dar la massima importanza ai problemi militari senza eccessive preoccupazioni per le difficoltà economiche inerenti al mantenimento di un alto sforzo difensivo. Krebbe anche un accenno al problema di Trieste affermando che appena fosse stata possibile la sua soluzione (ed il Governo Turco vedeva con piacere profilarsi segni distensivi all’orizzonte), la Jugoslavia avrebbe dovuto essere associata attraverso il Patto balcanico allo sforzo difensivo del settore sud del NATO.

Come era da attendersi, il problema della ratifica del trattato istituente la comunità europea di difesa ha costituito il fulcro del punto 2 dell’Agenda. Già all’inizio della Sessione la profonda preoccupazione nutrita da Bidault per le incerte sorti della CED aveva improntato il discorso inaugurale da lui pronunciato allorché il Ministro degli Esteri francese aveva sottolineato l’importanza di un equilibrio tra l’organizzazione europea e l’alleanza atlantica. In termini molto velati e talora accorati, Bidault aveva infatti sollevato il problema delle garanzie da darsi alla Francia (e che anche nel pensiero del piardente campione della CED costituivano ormai la conditio sine qua non per la sua ratifica), segnalando il pericolo che l’Europa continentale lasciata isolata non fosse nuovamente tentata di trovar rifugio negli schemi della politica tradizionale ereditati dal passato.

La risposta di Dulles non poteva essere – dal punto di vista francese – più negativa e più disilludente. Il Segretario di Stato infatti non raccolse alcuno degli appelli di Bidault. Egli si limitsoltanto ad assicurare che non aveva fondamento il timore che gli Stati Uniti avrebbero abbandonato l’aiuto militare all’Europa per il fatto della costituzione della CED, ricordando la dichiarazione fatta a Bermuda da Eisenhower, Eden e Laniel(3)nel senso che la CED, costituita nel quadro dell’alleanza atlantica, avrebbe assicurato un’intima e durevole cooperazione sul continente europeo tra le forze degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e quelle della comunità europea di difesa.

Dulles ha poi sottolineato l’«ansietà» con cui l’opinione pubblica americana attendeva la ratifica della CED. Il compimento di tale storico atto agli occhi americani non doveva rappresentare soltanto il modo di assicurare la contribuzione di alcune divisioni tedesche alla difesa comune, ma significava essenzialmente la fine delle lunghe lotte intestine tra i principali protagonisti europei e costituiva quindi 1’«unica chance» di sopravvivere che rimaneva all’Europa. Se la CED non dovesse venire alla luce, gli Stati Uniti avrebbero avuto motivo di dubitare seriamente della possibilità che l’Europa continentale sarebbe mai divenuta un luogo sicuro («a place of safety»). Ciavrebbe costretto gli Stati Uniti ad un’angosciosa riconsiderazione di tutta la loro politica. Occorreva quindi, ha concluso Dulles, fare la CED e farla subito per impedire che le forze separatiste in Europa prendessero il sopravvento e producessero come contraccolpo lo sviluppo dell’isolazionismo americano.

Di fronte ad una presa di posizione così netta e ad una tanto dura franchezza Bidault non ha potuto opporre altro che la buona volontà del Governo francese di procedere nella via dell’integrazione europea. Nel riaffermare tale volontà con una dichiarazione appassionata e in parte improvvisata, egli espose tuttavia al Consiglio in termini altrettanto franchi, le difficoltà insite in un’operazione così delicata e di cui il Segretario di Stato aveva voluto ricordare alla Francia le scadenze. Il riavvicinamento, l’alleanza e l’integrazione della Francia e della Germania erano un’impresa che non poteva essere condotta in porto in modo affrettato: i tre anni impiegati in quello sforzo, anche se non ancora portato a compimento, non erano davvero troppi se si pensava ai tre secoli durante i quali le due nazioni si erano affrontate sui campi di battaglia. Occorreva inoltre tener presente altri fattori di carattere politico-geografico ed economico che rendevano ancora piarduo il sormontare gli ostacoli di carattere sentimentale e psicologico. Se era già difficile far accettare ad un paese l’integrazione con un altro la cui frontiera lontana non era ancora stata fissata, non sembrava davvero troppo chiedere che almeno la frontiera comune fra i due Paesi stessi fosse in precedenza determinata. Il Ministro degli Esteri Francese, dopo questo accenno alla Sarre, ha concluso il suo intervento rinnovando l’appello agli alleati anglo-americani di non lasciare sola la Francia, che era bisognosa di qualcosa di pisolido che non fossero gli incitamenti o le espressioni di simpatia, e cioè della presenza al suo fianco degli alleati di sempre nel momento in cui essa doveva far causa comune con il nemico di ieri.

Oltre che i due principali interlocutori, tutti i Ministri degli Affari Esteri hanno parlato della CED e tutti, pur con qualche differente sfumatura, si sono espressi nello stesso senso, che occorre cioè giungere alla ratifica del trattato il più presto possibile. Pichiaro avvertimento non poteva esser dato alla Francia.

Per quanto ci concerne, il Presidente Pella ha ricordato come l’Italia avesse aderito sin dall’inizio all’idea della CED, in quanto aveva visto nella creazione della Comunità Europea di Difesa non solo un mezzo per assicurare il contributo tedesco alla difesa occidentale, ma una tappa necessaria per giungere ad un’integrazione europea pivasta e completa. Egli ha ricordato quindi come in Italia il processo di ratifica, che si svolgeva favorevolmente nella primavera scorsa, abbia dovuto essere interrotto in seguito alle elezioni. Esso è stato ora ripreso dalla nuova legislatura. Nell’attuale situazione politica occorre tuttavia tener presenti i riflessi prodotti sull’opinione pubblica e parlamentare italiana sia dall’attuale congiuntura politica in generale sia dallo stato di cose esistente alla nostra frontiera orientale. Tali riflessi non facilitano certo il compito del Governo italiano per quanto concerne l’approvazione della CED da parte del Parlamento, la quale approvazione sarebbe per contro certamente facilitata dalla soluzione favorevole della questione relativa alla frontiera orientale italiana. Il Presidente Pella ha infine riaffermato la convinzione del Governo Italiano che la creazione della CED risponde alle necessità dell’Alleanza atlantica e a quelle della politica di integrazione europea.

Durante la discussione sono emersi alcuni altri punti che qui si riassumono:

1) Dulles ha ricordato quanto aveva detto il Sen. Vandenberg che il NATO non pusopravvivere se non diviene qualcosa di più diuna semplice alleanza militare, dichiarando che gli Stati Uniti favoriscono lo sviluppo degli aspetti non militari dell’Organizzazione Atlantica.

Egli ha pure accennato all’importanza dei problemi atlantici citando le parole di Stalin «l’Oriente è la strada della vittoria». Al riguardo ha ricordato che gli Stati Uniti cercano di raggiungere non dei rafforzamenti regionali, ma una sicurezza «globale».

2) Pearson ha posto l’accenno sull’importanza che per la prima volta assumono i problemi inerenti alla difesa del Continente nord-americano, ricordando sulle linee di un accenno fatto da Dulles, che la difesa dell’America del Nord fa parte dell’area coperta dal NATO e che pertanto ogni rafforzamento di tale difesa da parte del Canadà e degli Stati Uniti è un adempimento degli obblighi NATO dei suddetti Paesi, equivalente a quello di inviare forze oltre Atlantico.

3) Bidault ha accennato all’Indocina. È una guerra che dura da sette anni e che per lungo tempo fu combattuta dalla Francia con il solo aiuto delle forze dell’Unione Francese e degli Stati Associati. Dall’anno scorso una parte importante dell’onere finanziario è stato assunto dagli Stati Uniti, ma è certo che sarebbe molto pifacile di fare la CED e di farla presto se fosse possibile rimpatriare i quadri dell’esercito francese attualmente impiegati in Indocina.

3) Progressi militari del NATO.

– Stato della questione. Il Comitato Militare, analogamente a quanto fatto dal Segretario Generale per le attività civili del NATO, e secondo una prassi consolidata, ha presentato al Consiglio un rapporto sugli sviluppi militari del NATO, nel periodo aprile-dicembre 1953.

– Discussione e decisione da parte del Consiglio. Il documento è stato brevemente illustrato dal Presidente del Comitato Militare, Ammiraglio Qvistgaard, il quale si è limitato a fare un’esposizione a carattere generale. Dopo di lui hanno preso la parola il Comandante in Capo della Manica, Ammiraglio Edelsten, il Comandante Supremo dell’Atlantico, Ammiraglio MacCormick, ed infine il Generale Gruenther, Comandante Supremo Europa.

Riferisco brevemente sulle dichiarazioni di quest’ultimo in quanto il loro contenuto è stato di particolare interesse e, contrariamente a quanto il Consiglio era uso ascoltare dalla bocca del predecessore, ispirato ad un moderato ottimismo. Il Generale Gruenther ha infatti informato il Consiglio che il suo Stato Maggiore era in procinto di preparare dei piani per la difesa dell’Europa che tenessero conto delle possibili ripercussioni derivanti dall’impiego delle nuove armi. Tale studio avrebbe richiesto alcuni mesi per essere compiuto e sarebbe stato sottoposto, attraverso il Comitato Militare, al Consiglio Atlantico. Riferendosi specificatamente al ruolo che l’impiego delle nuove armi potrà avere in futuro, il Generale Gruenther ha detto che tale impiego avrebbe potuto forse ridurre l’ammontare delle forze necessarie per la difesa, seppure in misura limitata, ma che, anche con la partecipazione tedesca alla difesa dell’Europa e nonostante il progresso compiuto in materia di addestramento, tale difesa sarebbe stata tuttora un’impresa difficile in considerazione della scarsezza delle forze disponibili. Altro problema che doveva ancora essere risolto, nonostante i notevoli progressi compiuti, era quello dell’aviazione tattica.

Il Consiglio, dopo aver preso nota della dichiarazione dei Comandanti Militari e del Ministro della Difesa britannica, che a nome dei Ministri presenti ha espresso la sua soddisfazione per il lavoro svolto dal Comitato Militare, si è limitato a prendere atto del rapporto sui progressi militari del NATO.

In connessione con tale punto dell’Agenda il Consiglio ha anche approvato il principio della standardizzazione delle munizioni per piccole armi, prendendo atto dell’accordo intervenuto al riguardo tra i Governi del Belgio, Canadà, Francia, Regno Unito e Stati Uniti, e disponendo inoltre che venisse data alla stampa immediatamente notizia dell’accordo raggiunto.

4) Stima del rischio militare.

– Stato della questione. Il Comitato militare ha aggiornato il suo rapporto sulla stima del rischio militare presentato al Consiglio in occasione della precedente Sessione, includendo il 1956 nel periodo preso in considerazione per un’eventuale aggressione e concludendo che in tale anno il rischio permane immutato nei confronti del 1954 (Documento MC/45/2nd Rev.).

– Discussione e decisione da parte del Consiglio. Il Presidente Bidault ha provveduto personalmente ad illustrare con concisione ed efficacia il rapporto militare sul rischio, mettendo in evidenza alcune delle conclusioni cui il rapporto stesso giungeva ed in particolare quella secondo cui i presenti obiettivi militari non devono essere considerati come fini a se stessi, ma soltanto passi verso la messa in essere delle forze necessarie per l’effettiva sicurezza dei Paesi NATO, e quella secondo la quale un effettivo contributo tedesco alla difesa occidentale viene considerato urgente.

Il Consiglio si è limitato a prendere atto del rapporto in questione senza procedere a discussione alcuna.

5) Revisione Annuale 1953 e piani per la Revisione Annuale 1954.

– Stato della Questione. Nell’aprile 1953 il Consiglio Atlantico a livello ministeriale diede istruzioni al Segretariato Internazionale e agli organi militari del NATO per lo svolgimento della Revisione Annuale 1953. I risultati di tale esercizio, concretatosi dapprima nella formulazione di un questionario ai Governi e successivamente nell’esame e nella discussione delle loro risposte da parte del Comitato per la Revisione Annuale e dei Comandi Supremi, sono stati riassunti in un Rapporto finale, sottoposto ai vari Governi poco prima della presente Sessione. Tale Rapporto è stato commentato dal Comitato Militare, che ne ha tratto lo spunto per alcune raccomandazioni. Sia l’uno che l’altro documento sono stati infine sottoposti al Consiglio Atlantico, accompagnati da due progetti di risoluzione, uno a chiusura della Revisione Annuale 1953 e l’altro per impartire direttive per un analogo esercizio da svolgere nel prossimo anno.

– Discussione. Come nelle precedenti occasioni la discussione sulla Revisione Annuale (che ha preso l’intera giornata di martedì 15 dicembre) ha offerto occasione

ai Ministri di esprimere il parere dei loro Governi sull’andamento dei programmi di difesa del NATO e sugli elementi politici ed economici che lo condizionano.

Tre dichiarazioni particolarmente importanti sono state fatte dal Ministro americano della Difesa Wilson. La prima concerne l’accettazione da parte del Governo americano della raccomandazione che gli era stata rivolta, in sede di esame del proprio programma, di aumentare le proprie forze aeree in Europa in due settori particolarmente deficitari, quello degli intercettori diurni e quello della caccia notturna. Wilson ha anche annunciato la decisione americana di inviare in Europa due gruppi di «missili radio guidati» nel 1954, e altri due nel 1955. Si tratta di un secondo esempio, dopo quello dei battaglioni di artiglieria atomica, di invio in Europa delle armi pimoderne della tecnica americana. La seconda dichiarazione riguarda l’intenzione del Governo americano di chiedere al Congresso di fornire per un lungo periodo aiuti all’Europa per il mantenimento (parti di ricambio) e la progressiva sostituzione con tipi pimoderni del materiale americano donato negli scorsi anni alle forze europee.

La terza dichiarazione del Ministro Wilson ha annunciato l’intenzione del Governo americano di chiedere al Congresso una modifica della legge MacMahon, che permetta di far conoscere al NATO i dati relativi all’impiego e all’efficacia delle nuove armi (in particolare artiglieria atomica). Wilson ha concluso affermando che sulla base di tali informazioni gli organi militari del NATO saranno in condizioni di studiare un nuovo programma di forze che permetterà notevoli miglioramenti nella struttura difensiva dell’Occidente.

Lord Alexander, per la Gran Bretagna, ha messo in rilievo la necessità di un contributo di forze tedesche, nonché l’esigenza di migliorare la qualità delle forze, il loro supporto logistico e i piani per la mobilitazione in caso di guerra.

Il Ministro francese della Difesa Pleven si è diffuso sulla questione delle forze di riserva che devono rapidamente aggiungersi a quelle destinate a subire il primo assalto e per le quali già il Comitato Militare ha sottolineato la necessità di uno studio preciso, principalmente per quanto concerne il materiale da mettere a loro disposizione.

Ha preso quindi la parola il Ministro Taviani, il quale ha messo in rilievo che la Revisione Annuale 1953 non ha tenuto pienamente conto degli aspetti politici ed economici dello sforzo di riarmo. I piani di difesa del NATO sono tuttora frutto di una giustapposizione dei vari piani militari dei singoli Paesi, i quali sono a loro volta limitati dalle variabili capacità economiche. Ciha portato a certi squilibri nei diversi settori, squilibri ai quali non sarà facile riparare se non si procederà nello sviluppo dell’Alleanza Atlantica verso una vera e propria comunità di responsabilità e di rischi. L’occasione per un riesame della situazione generale in tal senso potrebbe essere trovata nei nuovi studi per lo sviluppo di un piano di difesa che tenga conto dei progressi della tecnica. Gli sviluppi militari dell’Alleanza vanno infatti studiati in parallelo con l’insieme di misure che deve assicurare un maggiore progresso economico e sociale a tutti i popoli alleati.

Alcuni dei concetti espressi dal Ministro Taviani sono stati ripresi dal Sottosegretario britannico al Tesoro Maudling, il quale ha messo in rilievo l’importanza di uno sviluppo dell’attività economica dei Paesi NATO come base per uno sforzo di difesa che, anche se il periodo della messa in piedi delle forze è quasi terminato, richiederà uno sforzo finanziario quasi eguale a quello sostenuto finora, e che comunque non è sopportabile dalla maggior parte dei Paesi europei senza una continuazione dell’aiuto americano.

Dopo alcune altre dichiarazioni da parte del Ministro Staf (Paesi Bassi), Kanellopoulos e Papayannis (Grecia), Claxton (Canadà) e Santos Costa (Portogallo) i quali hanno parlato o di problemi particolari ai loro Paesi o della questione del mantenimento a lungo termine delle forze del NATO, il Consiglio ha ascoltato una breve relazione del Ministro plenipotenziario belga Ockrent, Presidente del Comitato Speciale per la Revisione Annuale della CED, sul contributo di forze che la CED potrebbe portare al NATO. Le cifre fornite sono state puramente indicative, i lavori del Comitato non essendo ancora giunti al loro termine, e riproducono quelle che figurano all’Annesso speciale del Trattato sulla Comunità Europea di Difesa.

– Risoluzioni. Nessuna discussione si è svolta sulla risoluzione per la Revisione Annuale 1953 con la quale il Consiglio ha approvato i piani di forze per il 1954 (che costituiscono impegno per i singoli Governi) e quelli provvisori e di pianificazione per il 1955 e 1956.

Per quanto riguarda la risoluzione sui piani per la Revisione Annuale 1954, essa aveva fatto oggetto di contatti fra le varie Delegazioni prima della seduta. Non era stata infatti risolta la delicata questione se gli studi per il nuovo piano di difesa dovessero svolgersi sotto la direzione del Segretario Generale del NATO, o essere affidati totalmente al Comitato Militare. Su insistenze di quest’ultimo, appoggiate dalle Delegazioni americana e britannica, si veniva delineando una corrente di opinione contraria alla tesi sostenuta dal Segretario Generale. Questa impostazione veniva a prevalere in Consiglio, il quale tuttavia invitava il Comitato Militare a riferire al Consiglio tenendolo costantemente al corrente dei progressi degli studi in questione.

72 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 18, fasc. Patto Atlantico. Parte generale, 1.

72 2 Ritrasmesso da Magistrati con Telespr. segretissimo 41/4238 del [...]/12 /53 ai Ministeri della Difesa, del Tesoro, dell’Industria e Commercio e del Commercio Estero, alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, Londra, Ottawa, Parigi e Washington, alle Legazioni a Copenaghen, L’Aja, Lisbona Lussemburgo e Oslo, alle Rappresentanze presso la CED e l’OECE a Parigi, e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici, dell’Emigrazione, delle Relazioni Culturali, della Cooperazione Internazionale, Ufficio II, all’Ufficio Stampa e per conoscenza alla Rappresentanza presso la NATO a Parigi.

72 3 Ci si riferisce a quanto dichiarato, in riferimento alla CED, nel comunicato finale della Conferenza svoltasi alle Bermuda dal 4 al 7 dicembre 1953. Si veda ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1953, p. 331.

73

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto riservatissimo 21/4105. Roma, 17 dicembre 1953.

APPUNTO SULLA XII SESSIONE DEL CONSIGLIO NORD ATLANTICO

(Parigi, Palais de Chaillot 14-16 dicembre 1953)

Alla data prevista del 14 dicembre 1953, i 14 Paesi dell’Alleanza Atlantica – nella persona dei loro Ministri degli Affari Esteri, della Difesa e del Tesoro – hanno sotto la presidenza del Ministro degli Esteri di Francia, Bidault, iniziato la XII Sessione del Consiglio. Nessuno dei principali interlocutori è mancato all’appuntamento e le Delegazioni sono apparse, per numero e per qualità dei loro componenti, del tutto imponenti: segno che la macchina dell’Organizzazione Atlantica ha assunto ormai, sia per il settore militare, sia per quello civile, dimensioni che, ad eccezione delle Nazioni Unite, non trovano oggi altro raffronto nei consessi internazionali. L’Italia vi è stata rappresentata dal Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, On. Pella, al quale si sono uniti il Ministro della Difesa, On. Taviani, ed i Sottosegretari alla Presidenza, On. Tupini, ed al Bilancio, On. Ferrari Aggradi.

La circostanza per cui la XII Sessione era destinata a svolgersi proprio nelle brevi settimane intercorrenti tra l’incontro delle Bermude e la prevista, anche se non ancora del tutto sicura, Conferenza a quattro di Berlino, non poteva non attirare su di essa un’attenzione che – come ha dimostrato il grande afflusso a Parigi di giornalisti di ogni Paese – pudefinirsi eccezionale. Il fatto, inoltre, che i lavori, con particolare riguardo alla delicatissima questione della Comunità Europea di Difesa, si aprivano proprio all’indomani di una grave discussione in seno all’Assemblea nazionale francese e nella immediata vigilia di una delle più difficili e complesse elezioni presidenziali che la Repubblica di Francia abbia visto, non poteva non costituire altro elemento di attenta e preoccupata curiosità. Né, come si vedrà, ed anche se sotto un aspetto non positivo, l’attesa è andata delusa.

Il Segretario Generale del Consiglio Atlantico, Lord Ismay, che, come è noto, era stato invitato a partecipare, in qualità di osservatore, al convegno delle Bermude, ha presentato, secondo il solito, il suo rapporto inteso a dimostrare la continuità di lavoro dell’Organizzazione con particolare riguardo all’azione svolta tanto dal Consiglio dei Rappresentanti Permanenti quanto dai Comitati che, in seno al Segretariato Generale, svolgono l’opera di coordinamento militare e civile della NATO. Sul rapporto le varie delegazioni hanno espresso il loro pensiero e manifestato la loro approvazione; da parte italiana si è posta, tra l’altro, in rilievo l’opportunità che i Governi dei Paesi alleati adottino, nel settore della mano d’opera, le conclusioni alle quali è giunto l’apposito Gruppo di Lavoro creato in seno al Segretariato, e rendano progressivamente effettivi i trasferimenti di mano d’opera riconoscendo come legittimo il principio per cui i lavoratori dei Paesi Atlantici dovrebbero essere considerati quali «intercambiabili». Il Presidente On. Pella, inoltre, ha, sempre a commento del rapporto di Lord Ismay, indicato come da parte italiana si intenda non creare ostacoli perché, secondo una iniziativa avanzata e sostenuta sopratutto da parte norvegese, possano stabilirsi contatti maggiormente stretti e seguiti tra i Parlamentari dei Paesi alleati ed il Segretariato Generale dell’Organizzazione: contatti destinati ad avere favorevoli ripercussioni negli ambienti politici e nelle opinioni pubbliche dei Paesi stessi.

Legata alla presentazione di questo rapporto è stata una discussione, di notevole interesse, relativa alla «guerra psicologica», in vista sopratutto di una iniziativa del Governo di Parigi destinata a rendere, a mezzo di un rafforzamento dei competenti settori della NATO, l’azione diretta a favorire la adozione di misure atte a controbattere e ad annullare l’attività che, sul fronte psicologico, viene condotta tanto intensamente dagli avversari dell’Alleanza atlantica. Da parte italiana sì è presa netta posizione a favore di tale iniziativa e si è efficacemente concorso perché il Consiglio – come poi è effettivamente avvenuto alla fine della sessione – potesse decidere in senso favorevole al potenziamento dei mezzi a quello scopo previsti. Si avrà così, nei prossimi mesi, un coordinamento effettivo, e si pensa efficace, di questo importante settore fino ad oggi rimasto piuttosto in ombra.

L’ordine del giorno indicava, quale suo secondo punto, e secondo la tradizione oramai affermatasi, lo svolgimento di una discussione in merito alla situazione politica internazionale. Esso, secondo la proposta avanzata dal Presidente Bidault ma osteggiata in un primo tempo sopratutto da parte americana, avrebbe dovuto svolgersi in comitato ristretto dei Ministri proprio allo scopo di permettere uno scambio di vedute per quanto possibile approfondito e sincero e quindi di carattere molto riservato. Ma viceversa la proposta non è stata sul momento accolta e quindi le considerazioni esposte dai Ministri degli Esteri si sono svolte dapprima in seduta plenaria della Conferenza.

Ragione evidente della opposizione americana è stata la necessità del Segretario di Stato Foster Dulles di far comprendere al maggior numero possibile di ascoltatori quale sia oggi e sopratutto quale possa essere domani – specialmente in vista ed in considerazione dell’opposizione tuttora esistente, in forma grave particolarmente in Francia, contro la costituzione della Comunità Europea di Difesa – l’atteggiamento del Governo di Washington. Alle parole, infatti, con le quali il Ministro Bidault, nella sua qualità di Presidente di turno della XII Sessione, aveva inaugurato i lavori ponendo in rilievo la necessità di un nuovo e maggiore rafforzamento dei legami e delle garanzie atlantiche, il Segretario di Stato americano ha risposto in forma inequivoca, anche se a molti europei apparsa intempestiva e financo pericolosa, indicando come oramai gli Stati Uniti, dinanzi alle tergiversazioni ed agli ostacoli frapposti in Europa al processo integrativo militare della CED, intendano mettere delle «scadenze» a breve termine per la soluzione di questo problema. Qualora cioè la CED non venisse ratificata nei prossimi mesi, il Governo di Washington si vedrebbe nella necessità di «rivedere» la propria politica nei confronti dell’Europa occidentale con conseguenze fin troppo evidenti: parole dense di grave significato che lo stesso Foster Dulles ha poi ritenuto opportuno apertamente ripetere, ed anzi aggravandone l’importanza, dinanzi ad una conferenza di stampa da lui tenuta nella stessa serata delle sue dichiarazioni dinanzi alla Riunione Atlantica. È stata questa, indubbiamente, la battuta maggiormente drammatica della XII Sessione in quanto quelle parole da una parte hanno suscitato gravi preoccupazioni in tema di possibile e non lontana «strategia periferica» americana e dall’altra hanno provocato immediatamente una vera tempesta giornalistica e parlamentare in Francia dove le dichiarazioni sono apparse come una pesante pressione nei confronti delle prossime decisioni del Governo e del Parlamento di Parigi in tema di ratifica della CED.

Il Ministro Bidault ha risposto con notevole equilibrio ed accortezza, dolendosi in certo modo di queste «scadenze» e facendo notare come un problema tanto drammatico quale quello dei rapporti tra Francia e Germania agitatosi, tra tanto tragici sviluppi, per ben tre secoli, non facilmente possa essere risolto in tre anni, ma al tempo stesso ritornando sull’argomento dell’assoluta necessità della «continuità atlantica» tra l’America e l’Europa. Affermazione quest’ultima che in seguito è stata, nel corso della Conferenza, pivolte ripresa da ogni parte e che ha servito a rasserenare poco a poco l’atmosfera della riunione fino al raggiungimento di un maggiore equilibrio nelle discussioni e nelle deliberazioni.

Sempre in tema di dichiarazioni sulla situazione politica internazionale il Presidente On. Pella ha compiuto due interventi. Il primo nei riguardi della politica dei Paesi della NATO nei confronti del blocco sovietico e nel quale egli ha fatto un largo giro d’orizzonte tanto nei suoi problemi di carattere ideologico in tema di espansione del comunismo, quanto nei riguardi di attuali gravi questioni europee quali quelle della unificazione della Germania e della indipendenza dell’Austria.

«Bisogna rendersi conto – egli ha detto – che la pressione del comunismo su tutte le classi sociali si basa innanzi tutto su una convinzione dogmatica prossima al fideismo. A una convinzione di tale natura, che quasi partecipa della fede, noi non possiamo sperare di dare scacco se non ci poniamo in condizione di opporre una forza che abbia il medesimo dinamismo e la stessa facoltà di penetrazione».

Quanto alla Germania egli ha chiaramente ripetuto che il principio della sua neutralizzazione è inaccettabile anche perché altrimenti l’opinione pubblica tedesca potrebbe continuare a ritenere che un qualsiasi eventuale compromesso tra l’Oriente e l’Occidente finirebbe per farsi a spese della Germania. È quindi interesse essenziale dei Paesi Atlantici vedere la Germania unificata, libera e democratica.

Circa l’Austria il diritto e la giustizia internazionali vogliono che la sua sovranità e la sua indipendenza siano al più presto e pienamente restaurate.

Nei riguardi, infine, della imminente ed auspicata Conferenza a quattro di Berlino, l’On. Pella, nel rinnovare i voti più sinceri del Governo e del popolo italiano per il suo successo, ha perposto in rilievo quanto sia, in merito, importante che i Paesi Atlantici assumano un atteggiamento comune circa i problemi che interessano l’intera Comunità nella quale anche se esistono graduazioni di responsabilità, esistono tuttavia una identità ed una parità di rischi e di sacrifici.

L’altro intervento del Capo della Delegazione Italiana è stato rivolto al problema specifico della Comunità Europea di Difesa con particolare riguardo alla situazione italiana in tema di ratifica parlamentare. E qui egli, nel ripetere come l’integrazione dell’Europa è stata e resti lo scopo fondamentale della politica internazionale dell’Italia», ha indicato quali siano stati, in questi ultimi tempi, gli elementi ed i motivi che hanno creato ostacoli ad un piveloce sviluppo della marcia sulla via di quella integrazione. Così – e qui chiaro ed inequivoco è stato l’accenno alla situazione triestina – l’On. Pella ha detto: «Come voi conoscete, la situazione della nostra frontiera orientale pone altri gravi problemi al Governo italiano. L’opinione pubblica italiana, con una unanimità che testimonia dell’intensità del sentimento nazionale a questo riguardo, è estremamente sensibile ad una tale questione. È d’altra parte certo – ed ho avuto occasione di ripeterlo frequentemente – che la soluzione favorevole di essa eserciterebbe un’influenza profonda e positiva sull’opinione pubblica. Nella situazione attuale qualsiasi osservatore, che fosse al corrente della situazione politica e psicologica dell’Italia, non potrebbe non riconoscere in tutta franchezza che la richiesta del Governo al Parlamento di ratificare gli accordi per la CED verrebbe ad urtare in gravi difficoltà fino al momento in cui il problema della nostra frontiera orientale non venisse a trovare una soluzione soddisfacente».

Comunque – egli ha concluso – il Governo italiano crede fermamente che la creazione della CED risponda alle necessità dell’Alleanza Atlantica ed a quella dell’integrazione europea: politica che non è legata ad una situazione più o meno contingente ma che risponde, secondo i concetti del Governo di Roma, ad una necessità storica.

La seconda parte della Conferenza è stata dedicata interamente ai problemi di carattere militare in merito tanto alle relazioni presentate dagli appositi Comitati Militari sui progressi, in tema di potenziamento della difesa, compiuti dalla NATO e sulla cosidetta «stima militare del rischio», quanto al rapporto finale sulla Revisione Annuale 1953 ed al programma per la Revisione Annuale 1954.

Ed i Ministri, dopo aver presentato alcune osservazioni di carattere tecnico, hanno finito per approvare i rapporti e le conclusioni stesse. Così, dopo avere ascoltato le relazioni oralmente fatte dai principali Comandanti Atlantici, tra le quali particolarmente interessante è apparsa quella del Comandante in Capo delle Forze in Europa Gen. Gruenther, i Ministri stessi hanno preso nota dell’avvenuto miglioramento dello schieramento militare atlantico con un rafforzamento, effettivamente verificatosi nel corso del 1953, sia nel numero delle unità, sia nella loro composizione e nel loro armamento.

Sull’argomento il Ministro italiano della Difesa, On. Taviani, ha poi posto in chiaro rilievo come l’attenzione della Organizzazione Atlantica debba sempre e sempre pinei prossimi anni rivolgersi all’osservazione degli aspetti propriamente militari in un giusto quadro politico, economico e sociale. «Noi mancheremmo – egli ha affermato – alla nostra responsabilità, che è una responsabilità innanzi tutto politica, se noi ci decidessimo per uno studio del nuovo aspetto dello strumento militare della nostra alleanza imponendo ad esso dei limiti eccessivamente stretti».

In riassunto, su tale argomento può dirsi che, trascorso oramai il periodo preparatorio che ha imposto la creazione in breve tempo, e quindi talvolta affrettatamente, dei mezzi militari destinati a fronteggiare le possibilità di un attacco improvviso, si sia ora passati al miglioramento ed alla maggiore integrazione dell’intero meccanismo militare dell’Alleanza. Oggi l’equilibrio, negli ultimi anni tanto studiato e discusso, tra le possibilità finanziarie ed economiche dei singoli Paesi e le necessità militari della difesa, appare in qualche modo, ed anche se restrittivamente, raggiunto in modo che nei prossimi anni gli sforzi per la difesa saranno sopratutto destinati a mantenere ed a migliorare l’apparato esistente, il quale, specie nel settore aeronautico, presenta tuttora esigenze non piccole.

Sull’argomento deve dirsi che attualmente, e cioè alla fine del 1953, lo sforzo dei Paesi atlantici si riassuma nella costituzione di 47 Divisioni di prima linea e di 49 Divisioni mobilitabili entro un mese con una forza aeronautica che si avvicina ai

5.000 apparecchi. Circa le «infrastrutture» poche parole sono state dette questa volta

-e ciò perché è attualmente in corso il «piano triennale» deciso nella XI Sessione – e soltanto nel comunicato finale della Conferenza si è affermato che un gran numero di progetti sono ancora in corso di realizzazione e che già oggi più di120 aeroporti ed una rete estesa di installazioni di telecomunicazioni sono a disposizione delle forze della NATO.

Ma – e questo è apparso l’argomento «principe» e di estremo interesse di tutta la seconda parte di questa XII Sessione del Consiglio Atlantico – la grande novità del giorno è stata costituita dall’oramai chiara e decisa affermazione delle «armi nuove» dovute agli sviluppi ed alle applicazioni dell’energia atomica: argomento che viene a toccare profondamente, ed alle sue stesse radici, l’intera organizzazione militare atlantica ed al quale sono stati destinati tanto in seduta plenaria quanto, e sopratutto, nella seduta finale ristretta dei Ministri, le considerazioni dei rappresentanti dei vari Paesi.

È questa la situazione nuova che porta ora alla nuova formula del «new look» per cui tutti i programmi futuri andrebbero riveduti e corretti sulla base dell’intervento delle nuove armi in seno all’organizzazione militare della difesa: problema estremamente complesso che ha alla base la grave discriminazione oggi esistente, proprio nello schieramento atlantico, tra Paesi che posseggono e sono già in condizione di applicare l’energia atomica e altri che non sono neanche al primo stadio degli studi ad essa relativi. Situazione di disagio alla quale il Governo degli Stati Uniti, nel corso di questa XII Sessione, ha cercato in qualche modo di venire incontro annunciando, per bocca del Signor Foster Dulles e del Segretario per la Difesa Wilson, la sua intenzione di compiere presso il Congresso americano i necessari interventi per addivenire ad un progressivo abbandono della cosidetta legge MacMahon per cui non è oggi ammessa l’estensione del segreto atomico ad altri Paesi, anche se alleati. Ma naturalmente si tratta soltanto di una promessa e di una indicazione destinate, si ripete, a placare i dubbi e le ansie dei Paesi diseredati. E si fa sempre più viva ed insistente la domanda circa le possibilità future di una vera e propria organizzazione della difesa da parte degli organi militari responsabili alleati se l’uso delle armi atomiche dovesse rimanere prerogativa esclusiva soltanto di alcuni Paesi.

La Conferenza si è comunque chiusa in atmosfera di maggiore serenità dopo la riunione privata dei Ministri, finalmente accordata da parte americana e nella quale, oltre il problema dell’energia atomica, e delle sue applicazioni, è stato possibile trattare, in via diretta e riservata, alcuni altri dei problemi internazionali oggi sul tappeto. Così ad una relazione del Ministro Bidault sul recente convegno delle Bermude (relazione che non ha portato peralcun elemento effettivamente nuovo) hanno fatto seguito alcune dichiarazioni, maggiormente pacate, del Signor Foster Dulles in tema di collaborazione tra Europa ed America. Tra l’altro, il Segretario di Stato, nell’accennare al prossimo incontro di Berlino – da lui peraltro ritenuto ancora non sicuro – ha posto in rilievo la necessità che la Germania, che sarà il principale oggetto di discussione, sia in qualche modo posta in condizione di esprimere le proprie idee e sia considerata un Paese a parità di diritti e non uno Stato «in condizioni di inferiorità». Il Ministro degli Esteri del Regno Unito, Eden, ha infine fornito alcuni ragguagli sull’attuale stato delle discussioni tra Londra e Cairo sulla questione del Canale di Suez.

Con ogni previsione la XIII Sessione sarà tenuta a Parigi nei primi giorni dell’aprile 1954, a meno che gli sviluppi della situazione internazionale e sopratutto la futura discussione con l’Unione Sovietica non rendano utile e necessario un incontro dei Ministri dei Paesi Atlantici prima di quella data.

In riassunto:

1) Sotto il profilo contingente ed immediato la XII Sessione non è stata certamente tra le pifelici. Il grave diverbio tra Washington e Parigi in tema di Comunità Europea di Difesa – diverbio dilagato immediatamente nella stampa e nel Parlamento di Francia nonché in tutti i Paesi europei – non ha costituito certo un esempio di coesione di intendimenti e di azione tra i Paesi alleati: e di ci naturalmente, e proprio in tema di «guerra psicologica», non mancheranno di approfittare gli avversari esterni ed interni dell’Alleanza stessa. Alcuni tra questi, e specialmente in Francia, non hanno naturalmente omesso di affermare subito che, dinanzi alla pesante pressione americana, il problema della CED quale essa è stata concepita nel Trattato firmato nel maggio 1952, può dirsi definitivamente sepolto: affermazioni alle quali peraltro hanno fatto riscontro immediatamente non piccole preoccupazioni di altri ambienti francesi ai quali un futuro disinteresse americano ai problemi militari ed economici dell’Europa occidentale ed in primo luogo della Francia stessa, è apparso senza veli e di una gravità eccezionale.

2) Da un punto di vista tecnico e militare ed in considerazione di realizzazioni a più lunga scadenza , la XII Sessione è apparsa invece di importanza e di significato notevolissimi. Per la prima volta, infatti, come si è sopra accennato, il decisivo problema delle «armi nuove» è apparso in termini precisi e completi quale prodromo di una vera e propria rivoluzione in tutto l’assetto difensivo dell’Alleanza. In avvenire occorrerà prepararsi a fronteggiare tutte e due le eventualità: o una guerra condotta, sulla base di principi morali, a mezzo delle attuali «armi convenzionali»

o una guerra di distruzione condotta, fuori della morale e dell’umanità, a mezzo delle «armi nuove» a scopo di ottenere, da parte dell’uno o dell’altro dei due blocchi, il successo definitivo.

Situazione, questa, destinata a far rivedere, anche sul terreno finanziario ed economico, l’intero piano protettivo: studio al quale dovranno ora dedicarsi, con estrema attenzione, gli organi militari dell’Alleanza in modo da potere al più presto presentare ai Ministri le proprie conclusioni ed i propri suggerimenti. In una parola, in questa XII Sessione si sono per la prima volta, si ripete, chiaramente impostati problemi di estrema importanza.

3) L’America ha avuto, naturalmente, anche se in atmosfera non del tutto favorevole, una parte, nella Sessione, assolutamente predominante, mentre il Regno Unito, con i rari e più o meno anodini interventi dei suoi Rappresentanti, si è tenuto piuttosto in disparte, pur riaffermando la sua platonica fiducia nella collaborazione e nella integrazione europea. L’altro attore è stato certamente la Francia sulla quale si è appuntata, come si è sopra indicato, l’attenzione generale e che ha cercato in tutti i modi di porre in rilievo, sotto il profilo europeo e mondiale, la gravità e l’importanza dei problemi ad essa attinenti, da quello della profondità e della durezza secolare dei rapporti franco

- tedeschi a quello della pesantezza e della pericolosità della situazione indocinese per cui la nazione francese da parecchi anni sostiene una lotta diretta e drammatica contro le affermazioni del comunismo nel continente asiatico.

4) Il problema tedesco è apparso naturalmente, alla vigilia del Convegno di Berlino – e non poteva essere altrimenti – di primaria importanza nel quadro ed ai fini della stessa Alleanza Atlantica, con particolare riguardo al possibile apporto, nella cornice della CED, di elementi germanici alla difesa dell’Europa. Sull’argomento, dopo non piccole incertezze, la XII Sessione ha finito per dichiarare, nel suo limato e contro-limato comunicato ufficiale conclusivo, che «nel quadro di una Comunità Atlantica costantemente in sviluppo, l’istituzione della Comunità Europea di Difesa, comprendente l’apporto di contingenti tedeschi, resta un obiettivo essenziale per il rafforzamento della potenza difensiva dell’Alleanza». Il Cancelliere Adenauer è stato, cioè, il «quindicesimo uomo» della Conferenza.

73 1 Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 91, fasc. 1.

74

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 19/16. Londra, 5 gennaio 1954.

Oggetto: Dubbi sulla ratifica della CED e possibili alternative.

Riferimento: Telespressi di quest’Ambasciata n. 6505/2996 e 6508/2997 del 18 e 22 dicembre 1953(2).

Recenti contatti con ambienti francesi e britannici anche ad alto livello consentono le seguenti ulteriori considerazioni.

I francesi, pur nel loro scetticismo circa la possibilità di una prossima ratifica del trattato CED, non hanno ancora alcun progetto alternativo concreto. Risulta in modo sicuro che ancora pochi giorni fa Bidault, messo di fronte alla prospettiva di studiare in qualche modo un nuovo progetto di CED ridotta, non nascondeva le sue perplessità. Ogni modifica del trattato si presenta infatti a Parigi, anche dal punto di vista parlamentare, a doppio taglio. Essa pufare acquistare cinquanta voti in una direzione, a prezzo di farne perdere altrettanti o pinell’altra. Bidault, per tale motivo, ed anche perché malsicuro della sua posizione, è indeciso. E in generale gli uomini responsabili francesi, benché non amino dirlo, non hanno ancora perso la illusione che alla Conferenza di Berlino si verifichi un miracolo tale da cambiare la situazione. In definitiva molti francesi pensano che prima di un mesetto non si potrà avere una chiara idea di ciò che il loro Governo e il loro Parlamento intendono e possono fare o proporre.

Da parte inglese la posizione è più che mai netta. Non solo essi si rifiutano di proporre o suggerire alcuna modifica o surrogato della CED. Essi dicono pure, in modo molto reciso, che sarebbe un errore se una simile iniziativa venisse da un qualsiasi altro governo della Piccola Europa. Non è quindi soltanto, da parte loro, un non voler assumere la responsabilità di silurare la CED: è anche la convinzione che i francesi, ed essi soltanto, debbono assumersi tale responsabilità, scegliendo fra la ratifica della CED e una nuova iniziativa chiaramente formulata e fatta propria dal loro Parlamento. I britannici considerano che il fatto più grave nell’atteggiamento francese non è nemmeno tanto la ostilità al trattato CED, quanto il non avere alcun’altra proposta costruttiva da sostituirvi. Al Foreign Office hanno letto accuratamente gli interventi nell’ultimo dibattito alla Camera dei Deputati francese constatando con amarezza che in sostanza tutti i deputati, di qualsiasi tendenza, hanno brillato per le loro critiche ma non hanno recato alcun contributo costruttivo.

La conseguenza che ne traggono è logica: ogni speranza di aiutare il Parlamento francese a trarsi d’impaccio, da chiunque venga, è una illusione. Essa servirebbe soltanto ad offrire ai francesi il pretesto per liberarsi della CED, salvo poi a scoprire qualche tempo dopo che anche il nuovo progetto è inaccettabile perché presenta diversi, ma altrettanto gravi pericoli. Secondo i britannici, è chiaro che un nuovo trattato CED, dal quale siano eliminate le clausole maggiormente vincolative nei riguardi dell’esercito nazionale e della sovranità francese, è facile da suggerire; ma esso implicherebbe anche una uguale maggiore libertà di azione e di armamento per gli altri Stati, e sopratutto per la Germania, e questo non sarebbe certo tollerato dal Parlamento francese. Si tratta di progetti facili come scappatoie, estremamente difficili come vere alternative.

In conclusione, secondo i britannici, l’unica strada da seguire è quella della fermezza: al fine di obbligare gli statisti francesi a parlar chiaro al loro Parlamento, e di costringere il Parlamento a decidersi, o ratificando la CED, o suggerendo esso stesso una nuova proposta costruttiva.

In questo modo, francesi ed inglesi sembrano, per motivi diversi, condividere una posizione di attesa la quale presenta i suoi pericoli. Se l’analisi ripetutamente e ancora recentemente fatta della posizione parlamentare francese dall’Ambasciatore Quaroni(3)è esatta (per conto mio non posso che condividerne il giustificato pessimismo) noi arriveremo più facilmente al rigetto della CED, o a un ulteriore ritardo delle procedure parlamentari, che alla presentazione di un nuovo progetto in sua sostituzione. Ma se anche questo progetto potesse essere elaborato, potrebbe facilmente apparire agli altri cinque paesi come un’inaccettabile imposizione, specialmente se il Parlamento francese ratificasse la CED sottoponendola a esplicite e tassative condizioni.

Lasciare quindi la iniziativa e la responsabilità ai francesi secondo quanto dicono gli inglesi, è giusto: sono essi che mettono in pericolo la CED dopo averla proposta, tocca a loro offrire un surrogato.

Ma da un lato il tempo stringe, e dall’altro sarebbe disastroso se i francesi avanzassero nuove proposte inaccettabili dai tedeschi o da noi, o dal Benelux.

Sarebbe quindi essenziale, mi sembra, che qualsiasi nuova idea potesse eventualmente sorgere a Parigi fosse preventivamente esaminata e discussa per segrete e spedite vie diplomatiche, in modo che, se accettabile, venisse accolta contemporaneamente e dal Parlamento francese e dagli altri governi interessati.

Per conto nostro, io mi vado convincendo sempre più pur essendo sempre stato ed essendo tuttora profondamente convinto della necessità storica e della utilità dell’unione europea, che è meglio una CED riveduta, o se si vuole un poco mutilata, che nessuna CED. L’essenziale cioè, oggi è di evitare che gli americani, come conseguenza del loro «agonizing reappraisal» tendano ad allontanarsi dall’Europa. Se per avere la Germania Occidentale inserita nell’Occidente e riarmata bisogna sacrificare una parte dei principii unitari della CED, vale la pena di farlo. D’altra parte, anche dal punto di vista della nostra politica interna, è meglio ammettere la necessità di una CED ridotta che confessare il suo totale naufragio. Mi rendo conto come a noi sia difficile assumere l’iniziativa; e gli argomenti dei britannici sulla necessità che la prendano i francesi mi appaiono convincenti. Ma occorre quantomeno che noi siamo predisposti ad accogliere con mente aperta ogni eventuale iniziativa francese; occorre pure che di ciò si discuta con loro francamente e nella sede diplomatica pisegreta e piopportuna. La prossima riunione di Parigi per la Comunità Europea potrebbe forse offrire al riguardo un primo «meeting ground».

La situazione della CED è, benché gravissima, forse non del tutto disperata: ma i francesi tanto più si indurranno a fare lo sforzo necessario per salvarla ratificandola, quanto più si renderanno conto attraverso studi e discussioni di un nuovo progetto, delle maggiori difficoltà che ne sorgerebbero anche per loro. Anche per questo credo sia opportuno affrontare con loro senza prevenzioni le difficoltà delle possibili alternative.

Infine, mi pare, noi non dovremmo dimenticare che i francesi in questo momento potrebbero esserci molto utili ai fini di una mediazione per Trieste. Ma certamente non ce la daranno senza un qualche corrispettivo, e da Parigi sappiamo benissimo quale questo corrispettivo sia: è un atteggiamento comprensivo e conciliante nei riguardi della questione CED e dell’Europa.

74 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

74 2 Sullo stesso argomento, non pubblicati.

74 3 Vedi D. 68.

75

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA COMMISSIONE CPE(1)

Telespr. segreto 21/0023(2). Roma, 6 gennaio 1954.

Oggetto: Lavori per la Comunità Europea. Parigi. Gennaio-marzo 1954.

In vista dei prossimi lavori della Commissione per la Comunità Europea riassumo qualche considerazione su alcuni dei principali problemi allo studio affinché la Delegazione Italiana ne tragga le opportune direttive per la sua azione.

Parlamento. La linea europeista ed a noi favorevole, per la soluzione dei vari problemi relativi al Parlamento, sembra quella che consenta al principio, ormai acquisito, del suffragio universale diretto di esplicare piampiamente i suoi favorevoli effetti. Evidentemente tanto la composizione del Parlamento quanto i poteri che gli verranno attribuiti possono influire sostanzialmente sulla portata di tali effetti. Distinguiamo tre problemi fondamentali: quello dei poteri del Parlamento in generale, quello della ripartizione dei seggi nella Camera eletta a suffragio diretto e infine quello della seconda camera (definizione, composizione e poteri).

Circa i poteri del Parlamento noi patrociniamo, come noto, un sistema nel quale il Parlamento eserciti a) il controllo politico sull’Esecutivo e b) un reale potere legislativo (nei limiti della competenza della Comunità, e restando quindi esclusa ogni possibilità di auto-estensione).

L’esercizio di tale potere legislativo (che comporta iniziativa delle leggi, diritto di emendamento e adozione delle leggi) consentirà all’impulso europeistico insito nel Parlamento, e specie nella camera eletta, di esplicarsi verso realizzazioni positive, accentuandosi in tal modo il carattere sovranazionale della Comunità.

Per quanto riguarda l’esercizio del controllo politico sull’Esecutivo, riteniamo si tratti di un obiettivo di particolare interesse, anche perché − come è stato ancora recentemente messo in luce − alcuni settori dell’opinione pubblica e parlamentare, specialmente in Francia, vi condizionano il proprio atteggiamento nei riguardi della CED. Cicondurrà a mettere a punto un nuovo sistema che in definitiva dovrebbe sostituirsi a quelli previsti dagli art. 24 del Trattato CECA e 36 del Trattato CED. Nella determinazione delle modalità dell’esercizio di tale controllo, l’interesse di secondare la piampia esplicazione dei poteri parlamentari va contemperato ed equilibrato con l’interesse di mantenere un esecutivo sufficientemente stabile ed efficiente.

Circa la ripartizione dei seggi nella Camera dei Popoli, riteniamo che il sistema da noi proposto − fondato sulla proporzionalità rispetto alla popolazione, sia pure con opportuno minimo e massimo − sia quello piatto ad assicurare la linea europeista ed a noi favorevole cui abbiamo sopra accennato. Vorremmo quasi dire che l’adozione dell’opposto criterio della ponderazione contrasta con i principi ispiratori del suffragio universale diretto per il quale tendenzialmente ogni voto di singolo elettore deve avere peso uguale.

La questione è poi connessa con quella dell’esistenza, della composizione e dei poteri della seconda Camera. In linea teorica un quadro delle varie possibilità, nell’ordine che appare più favorevole da un punto di vista sovranazionale, sarebbe a nostro avviso, il seguente:

1) Camera proporzionale sola

2) Camera proporzionale e Senato ponderato

3) Camera proporzionale e Senato paritario

4) Camera proporzionale e Consiglio dei Ministri = 2a Camera

5) Camera ponderata sola

6) Camera ponderata e Senato ponderato

7) Camera ponderata e Senato paritario

8) Camera ponderata e Consiglio del Ministri = 2a Camera.

Si tratta, ripetiamo, di un quadro teorico: evidentemente, ad esempio, le soluzioni 1 e 5 sarebbero in contrasto col principio della bicameralità stabilito nell’art. 38 del Trattato CED. Comunque esso ci consente di constatare che le soluzioni proposte dagli altri Paesi tendono ad essere le tre ultime del quadro stesso, ossia le meno coerenti con il principio di assicurare − mentre nella seconda Camera si crea un’autentica Camera degli Stati − un’autentica rappresentanza dei popoli nella Camera eletta a suffragio diretto.

Ad ogni modo ci rendiamo conto che nella posizione da noi sostenuta non è facile trovare degli alleati. Ma questa posizione, la cui importanza di fronte alla nostra opinione pubblica deve essere sottolineata, si ritiene vada mantenuta finché almeno si chiariscano altre situazioni e si presentino eventualmente possibilità di giuoco nelle reciproche concessioni.

Si tenga inoltre presente la seguente considerazione che può offrire qualche possibilità di manovra: le conseguenze dell’esistenza della seconda Camera sono evidentemente in rapporto ai suoi poteri; quanto più si riducono tali poteri tanto meno pesa l’esistenza e la composizione della Camera stessa; tanto che se, in ipotesi, attraverso una soluzione Consiglio dei Ministri = seconda Camera riuscisse ad ottenersi una sensibile riduzione dei poteri complessivi quali attualmente si immaginano per i due organi, la soluzione stessa presenterebbe aspetti di convenienza, dal punto di vista europeistico, che meriterebbero di essere attentamente considerati.

Consiglio dei Ministri nazionali. La nostra posizione al riguardo è nota. Innanzitutto lasciamo, in via generale, ad altri il compito di insistere per assicurare le prerogative di questo organo. Non è che tali prerogative non ci interessino: anzi anche noi consideriamo indispensabile, perlomeno in un primo non breve periodo transitorio, la funzione del Consiglio dei Ministri Nazionali e le garanzie, che esso rappresenta, che gli interessi da singoli Stati verranno armonicamente considerati in seno alla Comunità; il sistema è d’altronde accettato dai sei Stati nei Trattati CECA e CED. Ma partiamo dalla constatazione che altri Paesi si sono assunti nei lavori per la CPE, e con impegno che dal punto di vista europeistico si presenta eccessivo, la tutela di dette prerogative.

Si è ampiamente discusso nella Conferenza di Roma sulla natura dell’organo in questione; branca dell’Esecutivo? Organo «sui generis»? Con la prima definizione si tendeva evidentemente a pregiudicare a priori le discussioni, cui si dovrà arrivare, circa i precisi poteri che spettano al Consiglio, nel senso di giungere a attribuire ad esso tutta la direzione politica della Comunità lasciando al Consiglio Esecutivo Europeo solo poteri amministrativi ed esecutivi in stretto senso. Non è così che noi concepiamo l’equilibrio fra le istituzioni della Comunità. Noi pensiamo che l’Esecutivo Europeo debba, pur con gli opportuni limiti e nel quadro ristretto delle sue competenze, poter portare l’impulso sopranazionale, che esso rappresenta, alla vita della Comunità; e che quindi il Consiglio dei Ministri non debba con il suo preponderante peso eliminare tale impulso.

Conviene, come osservla Delegazione olandese nel corso della Conferenza di Roma, evitare di attardarsi sulla definizione e scendere all’esame delle funzioni e dei poteri concreti che saranno attribuiti al Consiglio dei Ministri Nazionali. Per quel che si riferisce alle funzioni e poteri previsti dai Trattati CECA e CED siamo sulle posizioni dell’Assemblea ad hoc che non prevedono modifiche; cisalvo, naturalmente, a vedere l’ulteriore evoluzione della discussione. Per quanto riguarda altri interventi del Consiglio in relazione alle nuove attribuzioni che verranno assegnate alla Comunità pensiamo, come è noto, che essi debbano in ogni caso essere limitati a decisioni chiave, ossia a questioni fondamentali, da determinarsi specificamente nel Trattato. Naturalmente quanto piampie fossero le attribuzioni della Comunità tanto più saremmo inclini ad allargare (specie per un primo periodo di attività) gli interventi del Consiglio dei Ministri Nazionali a tutela dei più vasti interessi nazionali che verrebbero, in tali ipotesi, in giuoco.

Sempre a proposito del Consiglio dei Ministri Nazionali difficilmente riusciamo a concepire un parere conforme del Consiglio stesso gravante sulle decisioni legislative del Parlamento, come proposto dal Lussemburgo a L’Aja. Per quanto in teoria un intervento del Consiglio nell’attività legislativa potrebbe, in termini tradizionali, essere presentato quale atto di promulgazione delle leggi, non riteniamo convenga favorire questa tendenza che per ora appare chiaramente intesa a limitare le prerogative parlamentari.

Esecutivo sopranazionale europeo. Quale sia la nostra concezione dell’Esecutivo Europeo risulta da quanto è stato detto più sopra. È questo l’argomento più delicato e difficile. È sull’Esecutivo sopranazionale infatti che le differenti maniere nelle quali vari Paesi concepiscono la Comunità hanno i pievidenti e meno conciliabili riflessi e non consentono di raggiungere un minimo comune denominatore. In particolare, il problema delle attribuzioni (specie economiche) della Comunità, quello del conglobamento delle Comunità già esistenti, quello della natura del Consiglio dei Ministri Nazionali premono tutti sul problema dell’Esecutivo Europeo ed è difficile immaginare un vero accordo su di esso senza che l’accordo sui primi tre non sia stato raggiunto.

Ad ogni modo quel che interessa ai fini di una costruzione europea quale la concepiamo è assicurare all’Esecutivo della Comunità concreti – se pur limitati – poteri di azione. Non meno, evidentemente, dei poteri già previsti nei Trattati CECA e CED, esercitati – come è naturale – in modo che seguano linee direttive uniche comuni: ad essi andrebbero aggiunti altri concreti poteri in relazione alle nuove attribuzioni che verranno assegnate alla Comunità. Si richiama, al riguardo, quanto si è detto parlando dei Consiglio dei Ministri Nazionali.

Quanto alla forma del conglobamento degli Esecutivi esistenti la nostra linea di condotta può esserepielastica sempreché naturalmente non si venga ad esautorare in pratica per quest’altra via l’Esecutivo quale sopra concepito.

Attribuzioni economiche della Comunità. Lo studio abbordato nella Conferenza di Roma del problema delle attribuzioni economiche della Comunità e del mercato comune ha messo ancora una volta in luce la estrema difficoltà e complessità del problema e, a chi ben guardi, la profondità delle divergenze dei punti di vista dei sei Paesi. La situazione è apparsa tale che, pur essendosi alla Conferenza di Roma rivelato questo il problema essenziale, nella riunione dell’Aja non si è ritenuto conveniente toccarlo; e che la finora intransigente posizione olandese, cui si deve – come è noto – l’impostazione del problema economico in seno alla Comunità a Sei, è sembrata nella citata riunione dell’Aja mostrare qualche sintomo di flessione.

Evidentemente l’estensione della competenza della Comunità al settore economico e la realizzazione di un mercato comune sono obiettivi fondamentali dell’integrazione europea quale noi la concepiamo. Se la costituenda Comunità Politica ignorasse deliberatamente questo aspetto noi certo non vi daremmo la nostra adesione. Ma ciò premesso, conviene domandarsi sino a che punto sia oggi possibile, nelle condizioni esistenti, sperare ragionevolmente che tutti o almeno i principali problemi relativi alla realizzazione di un mercato comune possano trovare in tempo relativamente breve concordata soluzione. Una risposta obiettiva deve riconoscere che, fintantoché non saranno create pisolide e profonde premesse politiche capaci di influire sulla volontà dei sei Paesi (tradizionalmente orientate alla difesa dei propri interessi nel settore economico), le possibilità di riuscita sono assai scarse se non nulle. Ora la creazione della Comunità politica è appunto intesa a stimolare e vivificare tali premesse politiche: e non vorremmo quindi, insistendo oggi sulle soluzioni economiche come condizione assoluta per la creazione di tale Comunità, entrare in un circolo vizioso.

In pratica comunque, il nostro atteggiamento seguiterà ad essere di franca collaborazione nella esplorazione delle possibilità e nella ricerca intesa a portare su un terreno piconcreto l’enunciazione, ormai concordemente accettata, del principio che la Comunità debba avere nuove attribuzioni nel campo economico. Si tenga presente al riguardo, con particolare riferimento alla posizione francese, che il principio del «non abbandono di sovranità» ci sembra poter essere conciliabile con alcune forme di attribuzioni nel campo economico anche al di là di quelle del semplice studio.

Per quanto riguarda il nostro punto di vista sui vari aspetti del problema del mercato comune ed in particolare per quel che si riferisce agli interessi che in ogni caso dobbiamo tutelare in quanto rispondenti alle specifiche esigenze del nostro Paese, converrà riferirsi ai principi che hanno ispirato i nostri rappresentanti alla Conferenza di Roma e che risultano dal rapporto dei Sostituti. Non mancheranno nel corso delle discussioni, occasioni per opportunamente suggerire ancora una volta la nostra convinzione che il Trattato per la CPE non possa essere un accordo economico ma debba costituire il quadro costituzionale della nuova integrazione europea e come tale limitarsi a stabilire, anche per il settore del mercato comune, direttive d’ordine generale sia pure, per quanto possibile, concrete ed efficaci.

75 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

75 2 Trasmesso da Magistrati a Caruso, Grazzi, Quaroni e Babuscio Rizzo rispettivamente con lettere 20/0033, 20/0034, 20/0036 e 20/0037 dell’8 gennaio il cui tenore era il seguente: «Caro Ambasciatore, come conosci, si iniziano in questi giorni a Parigi i lavori della speciale Commissione creatasi a seguito della Conferenza de L’Aja in merito alla continuazione degli studi per la Comunità Politica Europea. Stimo utile farti pervenire, qui unito, per tua opportuna conoscenza, il riassunto delle istruzioni che sono state impartite ai nostri rappresentanti in quella Commissione, che si va suddividendo in più gruppi di lavoro e la cui presidenza è tenuta da S.E. Benvenuti, nella sua qualità di “Sostituto” del Ministro degli Affari Esteri. Queste istruzioni contengono e riassumono i nostri punti di vista sui difficili e numerosi problemi tuttora aperti in tale settore. Credimi sempre [Massimo Magistrati]» (ibidem).

76

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 10/1(2). Parigi, 6 gennaio 1954.

Oggetto: La politica americana e la CED.

Riferimento: Mio telespresso n. 10/832 in data 23 dicembre u.s.(3).

Sarebbe prematuro tentare fino da ora di valutare esattamente i risultati concreti del «trattamento di shock» usato dal Segretario di Stato americano nei confronti dei francesi per forzare una decisione circa la ratifica della CED. Anche perché – come ho avuto l’onore di riferire col telespresso sopracitato e come sembra confermato dal successivo svolgersi dell’azione americana – le dichiarazioni di Dulles davanti al Consiglio Atlantico e quelle, anche piperentorie, da lui fatte in sede di conferenza stampa(4)avrebbero segnato soltanto l’inizio di quella politica di martellamento e di concentrazione di sforzi che sarebbe nelle intenzioni della diplomazia statunitense.

Si può però altro, adesso che vanno attenuandosi le prime impressioni qui suscitate dalla forma assunta dalla presa di posizione americana e si sta piattentamente studiando la portata sostanziale di essa, cominciare a formulare qualche osservazione circa le reazioni francesi davanti al fermo ed inconsueto linguaggio degli alleati di oltreatlantico.

Salvo qualche caso marginale in cui le pressioni americane possono avere causato dei ripensamenti e delle conversioni nell’uno o nell’altro senso, pare che le posizioni manifestatesi nei recenti dibattiti al Consiglio della Repubblica ed alla Camera non abbiano subito mutamenti apprezzabili. La battaglia seguita quindi a svolgersi intorno agli incerti e ai titubanti, dai voti dei quali dipenderà la sorte ultima del Trattato di Parigi.

I fautori della integrazione militare europea, dopo un primo momento di smarrimento causato dal non ingiustificato timore che la durezza delle parole pronunciate da Dulles a Parigi potesse fare il giuoco dei loro avversari, cercano ora di presentare l’atteggiamento americano come un sintomo ed una conseguenza di una ineluttabile situazione di fatto e ne traggono argomento per conferire peso alla loro affermazione che la CED è il modo migliore per uscire dalla attuale «impasse» e per sottolineare quelle che sarebbero le gravissime ripercussioni di una impennata del Parlamento francese davanti all’ostacolo dell’esercito europeo. Essi aggiungono che le dichiarazioni del Segretario di Stato (di cui – dicono – si deve rilevare non soltanto la rude formulazione ma anche il tono sinceramente accorato e preoccupato) hanno avuto il merito della franchezza ed hanno inteso di essere sopratutto un amichevole e tempestivo avvertimento alla Francia, con cui egli ha voluto giuocare a carte assolutamente scoperte, come si conviene fra alleati sinceri. Né dimenticano di lasciare intravedere che, se la CED venisse ratificata, non mancherebbero da parte degli Stati Uniti quei gesti di buona volontà e quelle garanzie supplementari, oggi invocate a vuoto dal Governo francese in quanto non possono essere concesse che al momento in cui ognuno abbia assunto le proprie responsabilità. A questo proposito si dice che i «fidi» degli americani consigliano loro, sottobanco, di continuare ancora per qualche tempo nella linea adottata alle Bermude e confermate a Parigi, riservando l’annuncio di eventuali concessioni e contropartite al momento in cui esso sarebbe suscettibile di produrre maggiore effetto su questa opinione pubblica e parlamentare, cioè proprio alla vigilia della discussione finale del Trattato.

Gli oppositori, dal canto loro, non mostrano di essere stati eccessivamente scossi dalle minaccie americane e si dichiarano decisi a combattere fino in fondo, ed anzi ad intensificare la loro lotta. In verità il loro compito è, fra l’altro, facilitato sul piano interno dalla situazione parlamentare che rende estremamente arduo di raggruppare i suffragi che potrebbero essere favorevoli alla CED, essendo essi divisi fra i vari schieramenti che si scontrano fieramente in tutti gli altri settori, e sul piano esterno dall’atmosfera internazionale che, alla vigilia della conferenza di Berlino ed in seguito alla indubbiamente abile tattica dei russi (di cui le ultime manifestazioni – nel campo atomico ed in coincidenza con le festività di stagione – hanno prodotto qui la solita speranzosa impressione), va facendo orientare al sereno la lancetta del barometro della distensione.

Come è noto, l’opposizione alla CED è formata dagli elementi pieterogenei e trae ispirazione dai più disparati moventi (basti pensare che essa comprende comunisti e ultranazionalisti, neutralisti ed esponenti di grossi interessi industriali) ma ha minori difficoltà a concretarsi in un fronte unico al momento delle votazioni perché l’assumere la stessa posizione negativa su un determinato problema non implica una solidarietà politica all’infuori del problema stesso e perché, in genere, è sempre pisemplice trovarsi d’accordo nel non volere una cosa che nel volerla e fatta in un certo modo.

Comunque sia, a parte certe sfumature, tutti gli ambienti anti-CED (ad eccezione, s’intende, dei comunisti che seguono una loro particolare linea) come hanno adottato la stessa tattica per sfruttare gli atteggiamenti ultimativi di Dulles, facendo leva sulla dignità offesa e sul senso di indipendenza dei francesi, così usano ora, più o meno, il medesimo linguaggio per minimizzare e sdrammatizzare agli occhi dei pencolanti le conseguenze di un rifiuto del Trattato di Parigi.

Gli esponenti di tali tendenze appaiono infatti concordi nell’affermare che, se è ovvio che il fallimento della CED porrebbe gli americani di fronte alla necessità di riesaminare la loro strategia, sembra molto improbabile che, per quanto «agonizing» possa essere tale riesame, esso conduca davvero alla formulazione di una nuova politica che significherebbe il volontario abbandono alla Russia di tutta l’Europa occidentale e, nei suoi successivi sviluppi, una forse insanabile crisi del sistema atlantico, la quale, a sua volta, potrebbe anche contenere i germi di un vero e proprio capovolgimento di alleanze. Forse gli americani, essi dicono, potrebbero ritirare parte delle loro truppe oggi stazionanti in Europa ma certo non tutte perché non arriverebbero fino al punto di distruggere il dispositivo di difesa creato sin qui nel quadro del TNA. E la riduzione degli effettivi americani oltreoceano non è, del resto, una decisione ormai maturata nelle intenzioni degli Stati Uniti e che essi attuerebbero comunque – in una forma o nell’altra, a più o meno breve scadenza – anche se la CED divenisse realtà? Insomma essi affettano di guardare senza spavento alle eventuali decisioni americane, basandosi sul concetto che l’Europa ha in ogni caso per gli americani una importanza di primo piano e che essa non potrà quindi, in nessuna eventualità, essere lasciata andare alla deriva. Comunque, soggiungono, gli Stati Uniti non possono ritirare, nelle attuali contingenze, il loro aiuto alla Francia per il proseguimento della guerra in Indocina e questo è intanto un punto fermo che deve far guardare con minore apprensione a quello che potrebbe succedere dopo un eventuale scacco definitivo alla CED.

In realtà, si avverte che le indicazioni date da parte americana che non si penserebbe ad un riarmo unilaterale e indipendente della Germania hanno fatto tirare qui un gran sospirone di sollievo e hanno dato la sensazione che c’è ancora tempo per cercare qualche diversa via d’uscita. Come ho già avuto altra volta occasione di rilevare, la ipotesi della strategia periferica – in un momento in cui non si crede più a torto o a ragione, ad un pericolo grave e imminente di guerra – fa meno paura a molti francesi (senza con questo voler dire che non se ne vedano qui i serissimi lati negativi) che non lo spettro di una Germania riarmata autonomamente e la possibilità che si realizzi l’incubo costante di una nuova Wermacht.

La situazione rimane dunque fluida ed incerta e le probabilità che il Trattato passi davanti a questo Parlamento non sembrano essere davvero aumentate nel corso di queste ultime settimane. Forse soltanto un clamoroso fallimento della riunione di Berlino potrebbe provocare una contro-ondata; un fallimento, s’intende, che potesse essere inequivocabilmente attribuito alla cattiva volontà e alla mala fede dell’Unione Sovietica.

In questi frangenti molti, tra i più responsabili e i picoscienti della gravità del momento, guardano con preoccupazione profonda a quello che potrebbe essere lo svolgimento e l’esito di un dibattito parlamentare e si chiedono ansiosamente se proprio non ci sia altra strada che quella di affrontarlo in uno stato di simile pericolosa incertezza. Da tale stato d’animo va scaturendo, in certi ambienti, la convinzione che forse un tentativo in extremis potrebbe ancora essere fatto per trovare una formula di revisione del Trattato che consentisse di presentare al Parlamento un testo suscettibile di raccogliere quella approvazione che apparirebbe così incerta se la CED dovesse mantenere intatta la sua attuale forma e struttura. Alcuni accenni in questo senso sono apparsi anche sulla stampa, mentre di tale eventualità si parla molto, sebbene a bassa voce, in questi circoli diplomatici e atlantici, nonché, in conversazioni confidenziali, negli stessi ambienti del Comitato Interinale.

Alcuni dicono che bisognerebbe procedere a lievi ritocchi del Trattato, piformali che altro, in modo da poter presentare una nuova redazione che, senza discostarsi troppo dall’antica, desse l’impressione di aver tenuto conto di alcune delle preoccupazioni espresse in Parlamento, onde riuscire a raccogliere un’altra cinquantina di voti ed avere così un buon margine di sicurezza. Ma questa tesi appare invero alquanto utopistica perché non sembra facile di poter giuocare, in una materia così delicata, su un evidente equivoco. Non si tratta soltanto di «salvare la faccia» ad alcune decine di deputati ma di qualcosa di pisostanziale.

Altri, con maggiore logica, sostengono invece che bisognerebbe – nonostante che Dulles abbia anticipato che sarebbe contrario a «major alterations», per le quali non vi sarebbe pitempo – provvedere a dar vita ad una nuova edizione molto pielastica della CED riducendo i poteri sopranazionali del Commissariato e lasciando maggiore autorità ai Governi nazionali. I tedeschi, si afferma, avrebbero tutto l’interesse a non respingere a priori una consimile proposta una volta che si rendessero chiaramente conto che il Trattato nella sua forma attuale non può essereapprovato, che un loro riarmo unilaterale non sarebbe contemplato e che quello loro offerto sarebbe, nonostante tutto, il mezzo pirapido per fare entrare in vigore senza eccessive scosse gli accordi contrattuali e far riacquistare loro la piena sovranità.

Il problema, naturalmente, non è semplice: si tratterebbe in sostanza di trovare la quadratura di un circolo che consenta al tempo stesso il controllo e l’imbrigliamento, presente e futuro, delle costituende forze tedesche e che lasci invece alla Francia piena sovranità e completa libertà di azione. Il tutto in una cornice, almeno apparente, di reciprocità e non discriminazione. E poi occorrerebbe che si adempiesse a tre condizioni essenziali: avere cioè la ragionevole certezza che il nuovo Trattato sarebbe approvato dal Parlamento francese, procedere in tutta fretta per poter assicurare gli americani che il ritardo sarebbe minimo e poter presentare il nuovo progetto agli americani stessi come il frutto di un accordo già avvenuto fra i sei Paesi interessati. Difficilissimo dunque tutto questo ma forse non proprio impossibile, nonostante la estrema complessità delle esigenze da armonizzare, la difficoltà e le responsabilità delle valutazioni che dovrebbero esser fatte da tutti e da ciascuno e la limitatezza del tempo a disposizione.

Pare comunque che in certi settori vicini al Governo ci sia chi ritenga che il tentativo valga la pena di essere fatto e non ci si dovrebbe quindi meravigliare oltre misura se ci dovessimo trovare, a breve scadenza, davanti ad una iniziativa ufficiale francese in tal senso.

Certo la questione è studiata; e da più parti. Il che naturalmente è destinato a complicare ulteriormente le cose, dato che ciascuno vorrà impostare la eventuale integrazione militare europea di nuovo conio sulle concezioni che pirispondono alle sue vedute ed ai suoi interessi o riprendere idee che, sia pure vagamente, sono state ventilate negli ultimi mesi e che si imperniano su principi diversi e spesso anche contrastanti: dal periodo transitorio immaginato da Juin alla coalizione di tipo confederale, con Stato Maggiore integrato, adombrata da De Gaulle, fino al pool degli armamenti auspicato da Lapie e da Bonnefous(5).

76 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

76 2 Sottoscrizione autografa.

76 3 Con esso Bombassei riferiva sui possibili sviluppi della politica statunitense verso i francesi in campo CED (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 17, fasc. 65).

76 4 Vedi DD. 72 e 73.

76 5 Per il seguito vedi D. 79.

77

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. riservata 0034. Parigi, 12 gennaio 1954.

Caro Magistrati,

ti ringrazio di avermi inviate le istruzioni per i nostri delegati alla Conferenza per la Comunità Politica Europea(2).

Mi preparavo a scrivere ufficialmente su questo tema e quello connesso della CED; poi, in vista della crisi ministeriale, ho pensato sia piopportuno attendere: la tua lettera(3)perè intanto un invito a discuterne con te.

Le vostre istruzioni sono molto elastiche e molto ragionevoli: resta perla questione di fondo.

Data la tattica americana, dopo l’ultima riunione NATO, e che Bombassei ha molto bene definita del martellamento, è difficile, rebus sic stantibus, evitare che, fra un paio di mesi, la CED venga discussa al Parlamento francese.

L’influenza che può avere sulle decisioni del Parlamento francese la prossima Conferenza di Berlino è indubbia: temo perche finirà per lasciare molto, per quello che concerne la Francia, la situazione parlamentare come è. I russi faranno delle proposte allettanti ma vaghe, dirette più ai popoli che ai governi ‒qui si dice fra l’altro che potrebbero proporre l’adesione dei satelliti a Strasburgo. Se, il che non è probabile, gli americani non cambiano radicalmente la loro impostazione (insistere cioè sull’accettazione sovietica della CED), le proposte russe resteranno allettanti appunto perché vaghe: la questione della CED puimpedire di smascherarle, precisandole. Per cui quelli che oggi sono convinti che ci si potrebbe mettere d’accordo con la Russia, se non ci fossero la CED e l’America, ne resteranno convinti: e lo stesso si potrà dire dei fautori della CED.

Le «chances» che la CED venga ratificata dal Parlamento francese sono minime. Conviene rischiare uno choc di questo genere? Io sono molto contrario a rischiare tutto su di una sola carta, e ad andare incontro alle conseguenze di una rottura.

Tanto più in vista della nostra situazione speciale. Se fosse possibile per noi, adesso, sottomettere il trattato CED al Parlamento e farlo ratificare, potremmo, avendo le carte a posto, con una certa tranquillità, aspettare con indifferenza che la Francia si decida. Ma non vedo che lo possiamo fare, almeno per ora.

E allora non sarebbe meglio cercare di studiare fin da ora qualche alternativa?

L’opposizione francese alla CED va divisa in due gruppi, all’incirca di eguale importanza: ci sono i cosiddetti neutralisti per cui l’opposizione alla CED significa puramente e semplicemente un «renversement des alliances»: con questi naturalmente non c’è niente da fare. Ma c’è invece l’opposizione nazionalista che, probabilmente, potrebbe essere indotta a dare la sua adesione ad una CED che fosse considerevolmente meno sopranazionale e considerevolmente pinazionale. Quindi con delle modifiche e semplificazioni sostanziali al trattato CED quale esso è oggi, si potrebbe forse trovare una maggioranza abbastanza sicura davanti al Parlamento francese.

L’ideale, secondo me, sarebbe quello di cominciare a studiare la cosa adesso, nelle more e durante la Conferenza di Berlino, in maniera da potere al più presto tutti e sei dire agli americani: signori miei, la CED, così come era stata firmata, non aveva «chances» di essere realizzata; ci siamo messi d’accordo su qualche cosa d’altro, sostanzialmente equivalente ai vostri fini. Altri preferirebbero (Cavalletti) aspettare il dibattito al Parlamento francese, supponendo, e con questo concordo, che non avremmo un rigetto puro e semplice, ma una serie di obbiezioni e di alternative e che è sulla base di queste obbiezioni ed alternative che si potrebbe poi, in un secondo tempo, passare ad un’eventuale revisione della CED. Per me, purché ci si metta sulla strada delle alternative, non ho difficoltà ad accettare l’una

o l’altra delle proposte.

Intanto la conferenza sulla Comunità Politica potrebbe cominciare ad avviarci verso l’alternativa. Io non vedo quale utilità pratica possa avere uno studio, anche approfondito da parte di esperti, anche se a livello politico, per mettere in piedi una convenzione che potrebbe poi non essere ratificata dal Parlamento francese o da un altro Parlamento: abbiamo già fatto l’esperienza di costruzioni attuate senza tener conto delle possibilità parlamentari: e non converrebbe ripetere adesso l’esperimento.

Prendiamo, per esempio, la questione delle competenze relative del Consiglio dei Ministri e dell’Esecutivo della Comunità, che è in sostanza la questione della delimitazione fra l’elemento nazionale e l’elemento sopranazionale. Quanto voi dite nelle vostre istruzioni è giustissimo, dal punto di vista teorico, ma quello che vorremmo noi può essereaccettato dal Parlamento francese, o da altri Parlamenti? That is the question.

Non è che, personalmente, non desidererei che si potesse fare qualche cosa e anche molto di più il problema vero è percosa si può fare, oggi. E nessuno riuscirà a persuadermi che non sia meglio contentarsi di qualche cosa anche di poco soddisfacente per rapporto al nostro ideale, piuttosto che rinunciarci per andare alla ricerca del meglio.

Dopo tutto, fra i vari esempi di integrazione, abbiamo anche l’esempio della Germania, dove si è proceduto per gradi. Prima il sistema del Congresso di Vienna che era pochissimo, poi la Confederazione Germanica di dopo il ‘66, poi l’Impero Confederale di dopo il ‘71 e, finalmente, lo Stato post Weimar. Molti tedeschi si sono strappati i capelli perché quanto fatto a Vienna era troppo poco: per forse, senza quel troppo poco non si sarebbe arrivati alla Costituzione del ‘71. Non vedo perché non si potrebbe fare lo stesso per l’Europa.

A mio avviso, bisognerebbe, e questo dovrebbe essere sopratutto il compito della prossima riunione a livello politico (Benvenuti) dire ai francesi, privatamente, e, d’accordo con loro anche pubblicamente, che ci facciano sapere che cosa la Camera francese è disposta ad accettare − e non delle elucubrazioni di funzionari − e che quando sapremo cosa può accettare la Camera francese, allora vedremo cosa possiamo fare noi per avvicinarci alle tesi francesi. Una volta stabilito il principio per la CEP, il processo potrebbe essere continuato per la CED: e si potrebbe forse venir fuori con qualche cosa di costruttivo.

Per me la questione più importante oggi è quella di salvare il Patto Atlantico. L’atteggiamento americano, quello almeno di Dulles di oggi (forzare i francesi ad accettare la CED, così come essa è), presenta il rischio, tutt’altro che teorico, di veder saltare il Patto Atlantico: facciamo, per carità attenzione che a voler troppo insistere a completare il Patto Atlantico con l’integrazione europea così come l’abbiamo concepita, non ci troviamo a non avere l’integrazione europea ed a non avere nemmeno più il Patto Atlantico. Questo è un rischio che con l’aria che tira sarebbe semplicemente pazzesco di correre: e sopratutto non dobbiamo correrlo per i begli occhi di qualche uomo politico francese che, non riuscendo a fare accettare dai suoi compatriotti le sue idee, vuole farle imporre dall’estero.

L’ideale per noi, secondo me, sarebbe che alla prossima riunione politica noi ponessimo il problema con tutta franchezza e brutalità: esso esiste e non ci si guadagna niente a voler far finta di non volerlo come abbiamo fatto fino ad ora. Ci saranno al principio delle grida da parte di tedeschi, olandesi, forse di qualche francese stesso, ma alla fine si dovranno pure arrendere all’evidenza: e consideriamo allora questa conferenza a Sei come una specie di consultazione diplomatica fra i sei paesi, fatta a modo suo, per vedere di arrivare ad un accordo concreto. Si potrebbe per questa via arrivare a qualche cosa, evitando la crisi maggiore del Patto Atlantico. Se nelle nostre condizioni non ce la sentiamo di prendere un’iniziativa di questo genere, facciamolo più discretamente ma sopratutto evitiamo di trascinare la conferenza su di un terreno puramente teorico.

Io mi riservo, in questi giorni, appena sarà finita l’elezione del Presidente della Camera, di cercare di vedere qual è l’evoluzione del pensiero della Camera − ci sono adesso numerose persone che pensano di dover proporre un’alternativa in modo da potere, fra qualche tempo, farvi avere delle orientazioni, sia pure solo di massima.

Riservandomi quindi, a suo tempo, di sollevare la questione ufficialmente, mi farebbe piacere, se possibile, intanto di conoscere le tue prime reazioni(4).

Credimi,

tuo aff.mo

P. Quaroni

77 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

77 2 Vedi D. 75.

77 3 Ivi, nota 2.

77 4 Per la risposta vedi D. 83. Vedi anche la lettera inviata da Zoppi in pari data al D. 82.

78

IL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE PRUNAS(1)

Appunto(2). Parigi, 13 gennaio 1954.

Presieduto dall’olandese Linthorst-Homan, il Comitato Economico della Commissione per la CPE ha iniziato i lavori dell’attuale sessione il 7 corrente. Il calendario di gennaio prevede che le riunioni proseguano fino al 15 incluso, per essere riprese il 20 e concluse il 23.

Non si può certo affermare che i risultati ottenuti in questi primi cinque giorni siano consistenti. Ciera del resto da attendersi, dato che il principale compito del Comitato, nella fase attuale, consiste nel tentativo di appianare le difficoltà − in pratica, le riserve formulate dalle varie delegazioni − emerse durante la Conferenza di Roma(3)e conseguentemente nell’approfondire i varii punti.

La prima giornata è stata interamente consacrata a problemi di procedura. Fra l’altro, si è deciso che l’eventuale redazione di testi da inserirsi in un progetto di trattato sia effettuata nella seconda fase dei lavori, dopo il mese di gennaio.

Per facilitare e meglio ordinare l’esame delle questioni di sostanza, la delegazione belga ha proposto un questionario, che, rielaborato sulla base di emendamenti suggeriti dalla delegazione olandese − essenzialmente miranti a dare alla materia una presentazione più sistematica − è contenuto, nella sua redazione definitiva, nell’unito documento CCP/CE/Doc. 4 (rev.)(4).

Il documento costituisce una formulazione, in diversi punti alquanto dettagliata, dei diversi aspetti del problema che dovrebbe essere discusso dal Comitato. Diviso in due parti fondamentali − «materie soggette all’eventuale competenza di una Comunità europea in materia economica» e «funzionamento e istituzioni della Comunità» − esso si articola in diversi paragrafi, che investono non soltanto gli aspetti generali del problema economico ma si addentrano in dettagliate specificazioni sul terreno tecnico.

Sia da parte italiana, che da parte francese e tedesca, si è sottolineato come il documento non potesse essere senz’altro accettato in tutti i suoi elementi, in quanto talora troppo specifico. Esso poteva tuttavia essere considerato, in linea di massima, come un documento di lavoro. In sostanza, il Comitato ha aderito al punto di vista da me espresso, che si iniziasse la discussione sulla prima parte, di carattere preliminare e generale. Il seguito e lo sviluppo dei dibattiti sarebbe[ro] stati la conseguenza dei risultati e delle conclusioni raggiunte su tale prima parte.

Le prime difficoltà si sono verificate in occasione dell’esame del par. l alle pagg. 2 e 3. Il delegato francese ha rievocato le riserve da lui formulate a Roma sul punto riguardante la libera circolazione delle merci, riserve che toccano sia l’ampiezza stessa che assumerebbe il mercato comune, sia la delicata materia (v. sotto-paragrafi a b e c a pag. 2) delle misure discriminatorie visibili e invisibili che possano falsare il libero gioco della concorrenza. Sulla prima delle due, ha precisato, a titolo esemplificativo, che da parte francese si intenderebbe escludere dall’ambito del mercato comune alcune categorie di attività produttive: a) certi prodotti a carattere secondario, che sono oggi fortemente protetti (ha citato i fiori tagliati); b) le nuove − o future − industrie (ha citato lo sfruttamento dell’energia atomica); c) industrie che interessano i territori d’oltremare (ha citato i cantieri navali).

Il delegato lussemburghese ha ricordato a sua volta le riserve formulate a Roma, concernenti certi prodotti dell’agricoltura.

L’opinione delle altre delegazioni − e in particolare della nostra − è stata che i punti così sollevati avrebbero potuto essere regolati sulla base del criterio di gradualità e del sistema di salvaguardia, anziché incidere sulla definizione di principio del mercato comune, che per essere di principio e quindi generale doveva rimanere intatta, articolata sulle quattro libertà. Il delegato del Lussemburgo ha aderito a tale concetto.

Il Segretariato dovrà elaborare un documento a carattere interno riassumente la discussione sull’argomento di cui sopra, in modo da facilitare un’ulteriore chiarificazione.

Analoga difficoltà è sorta a proposito della libera circolazione delle persone, problema di speciale interesse per noi. Avendo i delegati francese e lussemburghese rievocato le loro riserve di Roma, ho sostenuto l’impossibilità da parte nostra, di accettare che nella stessa definizione del mercato comune la libertà di circolazione delle persone venisse rappresentata in forma tale da attenuarne il significato di principio. Non ho quindi aderito a una proposta belga che la libertà in questione venisse definita sotto tre aspetti − a) libertà di viaggi («déplacements»); b) libero accesso alle professioni;

c) stabilimento − per il primo dei quali fosse riconosciuta senz’altro la piena libertà, mentre gli altri due verrebbero regolati o con un accordo speciale fra i sei o mediante una legge della Comunità.

Ferma restando la posizione di principio, ho quindi detto che, ai fini dell’applicazione, a nostro giudizio la libertà di circolazione delle persone poteva essere concepita come «il progressivo accesso a tutte le attività economiche e professioni nell’ambito della Comunità dei cittadini dei sei Paesi membri».

Tale mio suggerimento è stato, in linea di massima, accolto come base di una possibile successiva discussione, che dovrà aver luogo allorché – come nel caso precedente – il Segretariato avrà redatto un documento di lavoro.

Nessuna particolare difficoltà è sorta in sede dell’esame dell’enunciazione di principio delle altre due libertà (capitali e servizi).

Un intervento del delegato francese ha tuttavia riportato il dibattito sul terreno generale. Il Sig. Wormser ha infatti ricordato il comunicato finale di Baden Baden(5)e le tesi sostenute dalla delegazione francese a Roma, per sottolineare come il Comitato debba – a suo avviso – limitarsi a indicare, e precisare nella misura del possibile, i fini e le attribuzioni della Comunità in materia economica, senza con ciimplicare alcun impegno esecutivo.

Ho colto l’occasione per esprimere il punto di vista italiano a questo riguardo, notando come – a nostro giudizio – il trattato non dovrebbe essere un accordo economico ma un atto costituzionale e non dovrebbe avere pertanto carattere esecutivo, ma normativo, limitandosi di conseguenza a enunciare dei principi generali, sia pure sufficientemente precisi e articolati. Ciò detto, ho aggiunto che in tale nostra concezione vi era una logica, poiché pensavamo che gli organi della futura Comunità avrebbero dovuto essere dotati di certi poteri, anche esecutivi e non unicamente consultivi. Ma è proprio a questo riguardo che esiste la fondamentale divergenza fra la delegazione francese e tutte le altre delegazioni.

La discussione continuerà sulla base delle linee del documento belga, tenendo conto tuttavia del punto di vista francese sopra accennato(6).

78 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

78 2 Trasmesso con Telespr. 10/14 del 13 gennaio al Ministero degli Affari Esteri da Cavalletti che qualifica Prunas come «nostro rappresentante nel Comitato in oggetto [scil.Economico]»; il telespr. reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi. Sottoscrizione autografa.

78 3 Vedi D. 55.

78 4 Allegato non presente nel fascicolo di riferimento.

78 5 Vedi D. 34 e Appendice II.

78 6 Per il seguito vedi D. 86.

79

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI(1)

L. riservata 21/0078. Roma, 14 gennaio 1954.

Caro Giorgio,

con l’On. Lombardo abbiamo avuto, prima della sua partenza per Parigi, una lunga ed esauriente conversazione. In essa, come egli ti dirà, è stata anche adombrata la necessità di cominciare a raccogliere ed a catalogare ogni elemento atto a controbattere, vuoi nel settore politico, vuoi in quello tecnico, le tesi avversarie alla CED che qui, in non pochi ambienti, vengono sostenute e dibattute. A questo scopo la collaborazione della vostra Delegazione sarà di grande importanza.

Desidero ora dirti che il tuo ultimo rapporto del 7 gennaio(2)nel quale, con estrema chiarezza, hai esposto gli argomenti che in Francia vengono portati pro e contro la CED, nonché le tendenze che vorrebbero rimuovere l’immobilismo attuale, è stato molto apprezzato e me ne felicito con te. Ci hai dato un ottimo quadro di una situazione tanto delicata che finalmente anche qui – attraverso gli sviluppi e le battute della crisi di governo e dell’atteggiamento e degli intendimenti dei varii partiti – comincia ad essere considerata in profondità(3).

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

79 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

79 2 Si tratta verosimilmente del telespresso del 6 gennaio: vedi D. 76.

79 3 Per il seguito vedi D. 97.

80

IL CAPO DELL’UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, PLAJA(1)

Appunto segreto. Roma, 14 gennaio 1954.

Un passo del genere di quello prospettato(2)non può qualsiasi sia la formulazione del documento, essere interpretato che in un modo: un’apertura verso i francesi in vista di svolgere eventualmente un’azione per facilitare richieste francesi di modifica degli attuali accordi CED. Qualsiasi sia il motivo di tale iniziativa, va sottolineato che essa si presenta come un indirizzo del tutto nuovo, capace di svilupparsi in una radicale modifica della linea che abbiamo finora seguita.

Esistono vari motivi per domandarsi se è questo l’atteggiamento che conviene oggi assumere.

In primo luogo ovvii motivi riferentisi alla situazione politica interna che attraversa il nostro Paese. Un indirizzo nuovo preso in un settore così vitale in piena crisi ministeriale ha un significato che non pusfuggire. Tanto più in quanto la CED e la politica europeista sono al centro della soluzione della crisi e tutto lascia prevedere che il nuovo Governo ed il nuovo Ministro degli Esteri si presenteranno con una linea precisa in argomento, assai pichiara comunque che non negli scorsi mesi. Recenti manifestazioni in seno ai partiti Democristiano, Liberale, Repubblicano ed a settori del partito Social-Democratico lasciano pensare che tale linea potrebbe essere assai vicina a quella seguita tenacemente, attraverso l’azione dei suoi successivi Governi, dall’On. De Gasperi.

Dal punto di vista della politica internazionale è da domandarsi quale obiettivo abbiamo in vista con tale iniziativa: un gesto di solidarietà verso la Francia in un momento, ed in un argomento, nel quale essa è sottoposta a critiche e pressioni da parte americana ? Un’offerta alla Francia – e in via indiretta un gesto verso la Gran Bretagna – in vista di ottenere un’azione decisa di mediazione per la soluzione del problema della frontiera orientale? Un serio tentativo di fare qualcosa per giungere alla ratifica della CED superando gli ostacoli che oggi bloccano la posizione?

Non spetta a questo Ufficio pronunziarsi sulle prime due ipotesi: al riguardo va solo sottolineato che comunque l’iniziativa *pregiudica sicuramente*(3), in vista di risultati aleatori, la nostra posizione europeista: peso questo che va messo sul piatto negativo della bilancia.

Circa la terza ipotesi questo Ufficio ritiene doveroso sottolineare quanto essa, a suo subordinato parere, sia ingannevole. La CED è una posizione politica, molto prima che una posizione tecnica. CED significa riarmo della Germania, significa volontà di seriamente procedere verso l’integrazione europea. Quel che tiene oggi sospesa la Francia non è questa o quella forma della CED, ma è la decisione sul riarmo della Germania, la decisione di staccarsi da una visione limitatamente nazionale del proprio avvenire. In tali condizioni tutte le proposte di modifica della CED saranno dalla Francia fatte o accolte con sollievo perché le permettono di rinviare una decisione, ma non puonestamente sperarsi che tali proposte siano capaci di influire sulla decisione medesima, che è condizionata da elementi di politica generale (distensione, azione nord-americana anche in relazione alle esigenze estremo-orientali della Francia) e non da situazioni contingenti relative ad alcuni aspetti della CED. In cambio si può essereragionevolmente sicuri *che una proposta di modifica della CED*(4) rimetterà in giuoco tutto l’equilibrio faticosamente raggiunto: con questa aggravante che evidentemente il Governo tedesco avrebbe estrema difficoltà ad accontentarsi oggi di soluzioni che poté accettare or sono due anni. La meta dunque si allontanerebbe sempre pie forse definitivamente. Di fronte a tale evidente situazione possiamo bene immaginare, per concludere queste sommarie note, *le reazioni americane*(5) e le conseguenze per l’Europa, già così chiaramente delineate da Dulles(6).

80 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

80 2 Come si evince dal titolo del fascicolo (Eventuali modifiche Trattato CED) e dai documentiivi conservati si fa verosimilmente riferimento alle ipotesi di un abboccamento con i francesi avanzate in particolare da Brosio: vedi D. 74. Anche Quaroni si espresse in senso analogo con Magistrati (vedi D. 77), ma la sua lettera è stata registrata in arrivo alla DGCI soltanto il 18 gennaio.

80 3 Sottolineatura – presumibilmente di Zoppi – delle parole tra asterischi e punto interrogativo a margine.

80 4 Doppia sottolineatura delle parole tra asterischi e annotazione di Zoppi a margine: «Certamente verrà!»

80 5 Doppia sottolineatura delle parole tra asterischi e annotazione di Zoppi a margine: «Può essere che siano anch’essi alla ricerca di qualche espediente».

80 6 A commento di questo appunto Zoppi vergla seguente annotazione sulla prima pagina: «La lettera a Quaroni [vedi D. 82] tende a sentirne il parere. Lo scopo eventuale di un contatto coi francesi è quello di sbloccare una situazione che appunto blocca ogni possibilità di integrazione europea. Apprezzo l’entusiasmo, ma occorre anche guardare la realtà come è. Se si teme il documento ne parlera voce aQuaroni e intanto si può attendere. Ma le occasioni passano!!».

81

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. Strasburgo, 16 gennaio 1954.

Caro Massimo,

come d’accordo con S.E. Benvenuti sono venuto a Strasburgo per conferire con lui e, nello stesso tempo, seguire i lavori dell’Assemblea comune. Mentre Bombassei ti riferirà sugli ulteriori sviluppi dei lavori parigini, desidero metterti a corrente dei miei colloqui con Benvenuti.

S.E. Benvenuti, a cui ho mostrato i documenti elaborati a Parigi finora e che tu avrai già ricevuto (i documenti che si riferiscono al Consiglio dei Ministri, alla Camera Alta e alla Camera dei Popoli), li ha approvati pienamente per la parte che ci concerne.

D’altra parte d’accordo con Bombassei, ho preparato per S.E. Benvenuti i due documenti che ti accludo, uno, quello relativo alla Camera Alta da presentarsi alla Conferenza come documento italiano, l’altro, relativo alla fusione delle Comunità, da servire come istruzioni di Delegazione per Bombassei. S.E. Benvenuti ha approvato i due documenti e io ho informato del suo benestare Bombassei affinché possa sapere subito come comportarsi nelle prossime sedute.

Come vedrai, nel documento relativo all’esecutivo ho introdotto una nozione un po’ nuova, quella dell’identità del Consiglio esecutivo europeo con il Commissariato. Tale idea, che è perfettamente conforme alla nostra tendenza di far sì che non vi siano piComunità ma una sola Comunità, mi sembra tale da poter facilitare la posizione dei francesi, opposti come sai alla creazione del nuovo esecutivo. S.E. Benvenuti ha trovato l’idea del tutto soddisfacente.

Per quanto riguarda i lavori economici, ho informato oralmente S.E. Benvenuti, il quale, anche in seguito ai suoi colloqui, ritiene che, per le ragioni che ho a suo tempo indicate, non ci sia da preoccuparsi se essi proseguono a rilento.

Alla mia partenza da Parigi ho lasciato Bombassei già bene orientato e sono sicuro che la nostra collaborazione sarà pienamente soddisfacente.

Mi riservo di tornare a Parigi immediatamente prima della riunione dei Sostituti che, per ora, è confermata il 28 onde partecipare ai lavori preparatori della riunione stessa(2).

Credimi devotamente tuo aff.

F. Cavalletti

Allegato I

La Delegazione italiana è d’opinione che non vi debbano essere varie Comunità, ma una sola Comunità Politica che riassuma tutte le altre. Pertanto le Comunità esistenti dovranno essere inserite in un tutto unico.

Nelle riunioni precedenti è già stato stabilito che le attribuzioni della CECA e della CED saranno esercitate dalla Comunità Politica in pidelle attribuzioni proprie specifiche della Comunità Politica stessa. Resta a vedere quali saranno le modalità di inclusione e le ripercussioni di questa inclusione sugli organi delle Comunità esistenti.

Per quel che riguarda il Consiglio dei Ministri non sembra vi debbano essere difficoltà. Vi sarà un Consiglio dei Ministri unico ed un Segretario unico, il quale si occuperà sia dellamateria CED che della materia CECA e CPE. È evidente che i Ministri che parteciperanno al Consiglio nell’un caso e negli altri non potranno essere gli stessi, trattandosi di materia differente. Il susseguirsi di Ministri differenti per materie differenti non altererà l’organicità unica del Consiglio. Si potrebbero anche prevedere riunioni in cui per ogni Paese partecipino vari Ministri. Le ponderazioni rimangono evidentemente inalterate. Per la nuova materia CPE si potrà trovare un sistema di ponderazione allorquando si conosceranno le attribuzioni nuove della Comunità.

L’inclusione dell’Assemblea CECA e CED nella nuova Comunità non dovrebbe nemmeno sollevare difficoltà. La nuova Camera dei Popoli eserciterà immediatamente tutte le funzioni previste dai Trattati CECA e CED. Dato il carattere rappresentativo della Camere dei Popoli le competenze previste per l’Assemblea CECA e CED andrebbero ampliate e rafforzate. Solo in tal modo infatti si pusperare che il corpo elettorale, rendendosi conto dell’importanza della nuova Assemblea, risponda all’appello.

Delle difficoltà possono invece esistere per l’istituzione di un Esecutivo unico (Consiglio Esecutivo Europeo) dato che evidentemente è necessario non turbare le Comunità già in funzione. Il nuovo Consiglio Esecutivo dovrebbe assumere immediatamente le nuove attribuzioni che gli competono in base al Trattato CPE e ai Trattati successivi. Esso dovrebbe assumere immediatamente le funzioni del Commissariato, qualora questo fosse già in funzione al momento di entrata in vigore del Trattato CPE, potendo gli Stati accordarsi per delle nomine, che realizzino una unione personale fra i due organi.

Un periodo transitorio sarà certamente necessario per l’inclusione dell’Alta Autorità nel Consiglio Esecutivo Europeo pur di non turbare il lavoro della Comunità CECA. Durante il periodo transitorio il Presidente dell’Alta Autorità, pur rimanendo con un suo statuto proprio per quel che riguarda la sua responsabilità verso il Parlamento, sarebbe di diritto membro del Consiglio Esecutivo Europeo.

Il Trattato CPE potrebbe limitarsi a stabilire la durata di detto periodo transitorio rimettendo ad accordi ulteriori da intervenire tra il Consiglio Esecutivo Europeo e l’Alta Autorità (eventualmente con avviso conforme del Consiglio dei Ministri) e le modalità della definitiva inclusione dell’Alta Autorità nel Consiglio Esecutivo.

In via generale la Delegazione italiana è favorevole al sistema proposto dall’Assemblea ad hoc e pensa che sarebbe opportuno di studiare articolo per articolo le proposte dell’Assemblea stessa.

Allegato II

La délégation italienne a fait savoir qu’elle ne pourrait se rallier à la proposition de la délégation française relative à la Chambre Haute.

De l’avis de la délégation italienne ladite proposition ne semble pas conforme au système prévu par l’art. 38 du Traité instituant la CED. En effet ce système est basé sur deux principes fondamentaux qui ne se retrouvent pas dans la proposition française : structure bicamérale du Parlement et séparation des pouvoirs.

Il serait difficile de reconnaître les caractéristiques d’un organe parlementaire dans la Chambre Haute telle qu’elle est envisagée par le document français. Bien au contraire il s’agirait d’un collège de représentants des Gouvernements liés par un mandat impératif.

D’autre part le système proposé porterait une atteinte grave au principe de la séparation des pouvoirs, en permettant aux Gouvernements des États membres de participer directement à l’activité du Parlement de la Communauté, dont une des Chambres serait composée par leurs plénipotentiaires.

Pour les considérations ci-dessus, la délégation italienne demeure de l’opinion que la Chambre Haute devrait être composée de membres élus par les Parlements nationaux. Ce système présenterait aussi l’avantage de permettre, suivant les indications de l’Assemblée Ad Hoc, une liaison satisfaisante avec l’Assemblée du Conseil de l’Europe, qui ne pourrait être que difficilement établie si l’on accepte la proposition française.

En ce qui concerne la répartition des sièges au sein de la Chambre Haute, la délégation italienne se doit de remarquer qu’il y aurait des raisons très sérieuses en faveur d’une pondération. Cependant, si le principe de la répartition proportionnel des sièges au sein de la Chambre des Peuples entre les six Pays était accepté par la Commission, la délégation italienne ne s’opposerait pas à l’adoption de la parité au sein de la Chambre Haute.

En ce qui concerne les pouvoirs de la Chambre Haute, étant donné le caractère parlementaire qu’aurait cet organe tel qu’il a été proposé par la délégation italienne, il y aurait lieu d’attribuer des pouvoirs sensiblement pareils aux deux Chambres. La délégation italienne ne pourrait se rallier à ce sujet, aux propositions qui ont été faite par l’Assemblée Ad Hoc.

81 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

81 2 Per il seguito vedi DD. 99 e 104, nota 3.

82

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. segreta 21/0106. Roma, 18 gennaio 1954.

Caro Quaroni,

avrai letto nelle ultime comunicazioni di Brosio(2)che ti sono state comunicate, che gli inglesi si rendono conto del fatto che il Trattato del maggio 1952 (CED) è destinato ad incontrare, in tema di ratifica francese, nel suo attuale testo integrale, tali e tante difficoltà da costituire un vero e definitivo ostacolo agli auspicati sviluppi di maggiori intese europee. Essi si vanno percichiedendo se non sarebbe opportuno rompere l’immobilismo e avanzare qualche proposta concreta che renda il Trattato stesso pipalatabile costì. Tuttavia ritengono che proposte di tal genere dovrebbero essere avanzate da parte francese e non da altri perché toccherebbe ai francesi, che proposero a suo tempo la CED, assumere anche ora iniziative eventuali di modifiche in quanto, anche per ragioni di tattica diplomatica, è preferibile che gli altri «partners» discutano proposte francesi e non viceversa.

Dal canto suo Bombassei(3), che, nell’assenza natalizia di Lombardo, ha diretto in questi giorni la nostra Delegazione per la CED, fa anch’egli presente come negli stessi ambienti tecnici si faccia oggi avanti la domanda se non sia opportuno abbandonare l’idea di una ratifica pura e semplice per provocare, invece, qualche iniziativa atta a smussare gli angoli e sopratutto a rompere l’immobilismo che, con grave disappunto americano, si è creato.

In queste condizioni ci domandiamo, a nostra volta, se convenga o meno prendere qualche contatto col Governo francese per vedere se da parte nostra non si potrebbe utilmente concorrere a sbloccare la situazione. Già pivolte, del resto, da parte francese – e ricordo le stesse conversazioni Pella-Bidault dello scorso dicembre(4)– ci è stato fatto direttamente presente come a Parigi si pensi oramai seriamente alla necessità di avanzare idee allo scopo che ho sopra indicato. Ci è sempre persembrato di scorgere come, a causa del grave malumore americano appuntatosi, in linea pratica, sulla Francia, sarebbe forse oggi non poco difficile al Quai d’Orsay, sul quale gravitano anche le continue polemiche pro e contro la CED che costì vanno sviluppandosi, avanzare da solo nuovi progetti che rischierebbero, evidentemente, di urtare subito contro l’atteggiamento del Governo di Bonn. Se tale fosse realmente la situazione, e se i francesi hanno delle «idee», i contatti su accennati dovrebbero avere lo scopo di esaminarle insieme nello spirito di Santa Margherita(5)– anche al fine di studiare se e come vararle e da chi farle varare. Anche noi non abbiamo una posizione facile in tema di ratifica parlamentare della CED e da molte parti sentiamo avanzare il concetto che sarebbe attualmente anche per l’Italia utile uscire dalla posizione di immobilismo per fare una «politica attiva» in tema di CED. Naturalmente si tratta di materia estremamente delicata specie nei confronti degli amici d’oltre oceano oltremodo sensibili, per non dire sospettosi, in argomento. Ma tanto volevo farti presente pregandoti, prima si intende di iniziare qualsiasi contatto in materia, di farmi conoscere il tuo pensiero al riguardo(6).

Con viva cordialità

[Vittorio Zoppi]

82 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

82 2 Vedi D. 74.

82 3 Vedi D. 76.

82 4 Vedi D. 70.

82 5 Ci si riferisce all’incontro italo-francese del 12-14 febbraio 1951 a Santa Margherita Ligure: vedi DDI, serie undicesima, vol. VI, D. 233.

82 6 Per la risposta vedi D. 90.

83

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. riservata personale 20/0099. Roma, 18 gennaio 1954.

Caro Ambasciatore,

due righe soltanto per accusare ricevuta della tua n. 0034 del 12 u.s.(2) con la quale molto opportunamente hai voluto farmi conoscere le tue prime reazioni all’impostazione che abbiamo dato alle conversazioni di questi giorni per la CPE, nonché circa la posizione francese sulla CED alla vigilia della Conferenza di Berlino.

Occorre veramente dire che «les bons esprits se rencontrent»! Proprio in questi giorni abbiamo discusso molto a lungo con l’amico Vittorio su questa materia ed ora riceverai una sua lettera in merito(3).

Effettivamente notiamo anche qui un certo nervosismo in tema di «immobilismo per la CED». Ma, d’altra parte, ci siamo a piriprese chiesti se nei confronti degli americani, che indubbiamente traversano un momento di cattivo umore verso l’Europa e, in certo modo, in particolare anche verso di noi, ci convenga creare altra esca con iniziative in tema CED. Vi sono dei pro e dei contro in tutta la questione ed evidentemente l’abilità è trovare il dosaggio sufficiente per porre fine all’immobilismo e, al tempo stesso – come molto giustamente tu fai osservare – salvare il Patto Atlantico.

Anche qui la crisi ministeriale, che si va ora risolvendo, ha portato in primo piano proprio la CED e tutti i partiti, come avrai visto, fanno di essa menzione nei loro ordini del giorno e nei loro programmi politici. Prevedo quindi una primavera alquanto agitata anche su questo punto. La prima cosa che dovremo conoscere sarà l’idea esatta dei nostri nuovi dirigenti e come intendano procedere su tale terreno.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

83 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

83 2 Vedi D. 77.

83 3 Vedi D. 82.

84

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI(1)

L. 21/0100. Roma, 18 gennaio 1954.

Caro Umberto,

in questi ultimi tempi la nostra corrispondenza si è un poco diradata sia per la cosidetta parentesi natalizia, sia perché, tutto sommato, queste lunghe crisi ministeriali ci fanno restare con le armi al piede, sempre in attesa di conoscere la via da seguire.

Comunque desidero dirti che le notizie che tu ci hai ora fornito(2)tanto in merito alle idee belghe in tema di Comunità di Difesa, quanto nei riguardi della prossima Conferenza di Berlino e del suo contenuto, ci hanno, come sempre, interessato.

Abbiamo anche noi la sensazione che, per forza di circostanze, qualche cosa si stia preparando in Francia in tema CED dato che, da ogni parte, viene criticato il cosidetto «immobilismo» in tale materia. E anche da noi oramai gli interrogativi non sono piccoli e tutti i nostri partiti politici, come avrai visto, hanno, proprio in funzione dell’attuale crisi ministeriale, preso posizione in merito ponendo il problema CED in primo piano.

Qui continuiamo a lavorare per riunire tutti gli elementi in previsione di una non lontana battaglia su tale terreno. Proprio ieri mi è stato dato di illustrare gli ultimi aspetti della situazione in una conferenza che ho tenuto presso il Centro di Alti Studi Militari e di cui conto inviarti il testo appena possibile(3).

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

84 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

84 2 Nel Telespr. 101/61 dell’11 gennaio, Grazzi esordiva osservando che «Anche qui si ha la sensazione che si stiano cercando in Francia delle soluzioni modificatrici della CED...» e, in assenza di dati precisi, concludeva con le seguenti considerazioni: «Comunque, si è certi qui che qualche cosa si stia preparando in Francia, e se ne ha molto timore. Anzitutto si è preoccupati della estrema difficoltà di rimettere in discussione un qualsiasi punto di un accordo che è stato così laborioso e che è il frutto di una serie di compromessi molto studiati; ed in secondo luogo si teme che qualsiasi incrinatura possa facilitare la frattura del Trattato presso coloro i quali debbono ancora votarlo (al Senato) e addirittura presso taluni che lo hanno già votato principalmente perché erano persuasi che non esistono né una politica di ricambio al Trattato stesso né formule sostitutive di quelle già concordate. Perciil Governo belga insiste nel “timing” già previsto, ai fini della votazione al Senato, senza battute d’arresto né in vista dell’incontro di Berlino, né in attesa di eventuali richieste francesi di modifica o di precisazioni concernenti le possibilità di questa. Continuano per intanto le sedute della Commissione del Senato incaricata dello studio del progetto; ma continuano anche, bisogna riconoscerlo, anzi si intensificano gli argomenti degli oppositori i quali cercano di sfruttare il momento presente. Se il Governo fosse libero di agire, forse gli converrebbe non perdere altro tempo e iniziare al più presto la discussione in aula; ma da un lato esso ritiene che i risultati dell’incontro di Berlino dovrebbero essere di natura tale da facilitare l’approvazione del Trattato, e dall’altro esso ha le mani legate dalla revisione della Costituzione. Infatti, non appena approvata la CED al Senato, questo dovrà approvare anche il principio di riforma di taluni articoli del patto fondamentale del Regno, così come ha determinato la Camera dei Rappresentanti; e cicondurrà all’immediato scioglimento del Parlamento ed alla fissazione delle nuove elezioni. Nessuno dei partiti desidera che queste abbiano luogo in pieno inverno, e ciper evidenti motivi di tattica elettorale: donde, la necessità di guadagnar tempo, almeno fino alla fine di marzo» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110).

84 3 Per la risposta vedi D. 96.

85

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, ALLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)

Telespr. 10/24(2). Parigi, 18 gennaio 1954.

Oggetto: Notizie sui precedenti e sui più recenti sviluppi del problema di un’eventuale trasformazione del Trattato CED.

Riferimento: Seguito rapporto n. 10/1 del 6 gennaio 1954(3).

Con rapporto citato in riferimento era stata accennata l’eventuale possibilità che potesse forse venir proposto da parte francese lo studio di modifiche da apportarsi all’attuale Trattato CED allo scopo di renderne più sicura la ratifica.

Sarebbe oggi fuori luogo il congetturare se vi sia o meno probabilità che tale proposta venga avanzata; l’atmosfera che qui predomina è quella della preparazione della prossima Conferenza di Berlino. Nel suo discorso per ottenere la seconda investitura del Parlamento, lo stesso Presidente Laniel ha confermato che il dibattito per la ratifica non potrà aver luogo prima della fine della Conferenza, ma che, dopo quel momento, «tout atermoiement du débat sur la ratification serait alors inadmissible».

Il fatto di considerare l’attesa Conferenza come una condizione preliminare e necessaria per l’inizio del dibattito per la ratifica di un trattato che tanto merito ha nello aver determinato l’apparente evoluzione, almeno formale, dei sovietici, non è stato certo accolto con molto fervore dalle correnti europeiste piconvinte; pochi giorni fa se ne è fatto portavoce Robert Schuman, dichiarando che «Le Parlement Français doit aborder l’étude du pacte sur la CDE, en vue de sa ratification, sans attendre les éventuels résultats de la Conférence de Berlin».

Per contro, l’atteggiamento molto prudente e distaccato del Presidente del Consiglio sul fondo del problema non può non essere riuscito gradito – e forse era stato previamente concordato – a qualche frazione della destra gollista, la quale in quest’ultimo scrutinio ha prestato man forte a Laniel, mentre nel settore radicale e UDSR le defezioni e le astensioni sono state pinumerose che in occasione della investitura dell’estate scorsa.

Varie congetture possono farsi, limitando l’esame ai problemi di politica estera, sui motivi dell’accennato spostamento verso destra della maggioranza governativa nell’attuale secondo Gabinetto Laniel. Sembra in primo luogo che, in colloqui dell’ultima ora prima dell’investitura, Laniel abbia dato assicurazione ai plenipotenziari gollisti che il governo francese non abborderà la Conferenza di Berlino «con l’idea preconcetta di un suo fallimento» e che non esistono seri motivi «per rassegnarsi alla fatalità della guerra fredda».

Se si osserva il settore socialista, si puconstatare che, se la posizione assunta da Guy Mollet alla fine dell’estate scorsa (in favore della ratifica, sia pure sotto le note condizioni, del trattato CED) voleva essere un «ballon d’essai» per la eventuale formazione di una nuova maggioranza centro-sinistra imperniata sul MRP e sulla SFIO,

o una diffida alla vecchia maggioranza, la situazione politica non ha ancora coagulato in quella direzione ed è rimasta allo stato fluido. Il Segretario generale della SFIO ad ogni buon conto ha voluto convocare uno straordinario Congresso Nazionale (e non il solo Consiglio) proprio perché attraverso la suprema assise di Partito, esprimendosi – come egli ritiene che avverrà – la maggioranza degli iscritti a favore della CED, gli sarà possibile imporre ai deputati socialisti la disciplina di Partito impegnandoli al voto favorevole.

Un terzo elemento potrebbe non essere stato estraneo al maggiore appoggio recentemente offerto dalla destra a Laniel: la malcelata speranza, forse nutrita da qualche parlamentare contrario alla CED o indeciso, che si renda possibile una revisione del Trattato e la redazione di un controprogetto che, presentato al Parlamento, possa ottenere una più confortevole maggioranza di voti per il Trattato di Parigi che non quella, probabilmente scarsa, prevista nel migliore dei casi dai sostenitori della CED.

In queste ultime settimane consecutive al dibattito a Palais Bourbon, si è discusso di tale problema in qualche articolo della stampa quotidiana e, per quanto è dato di sapere, anche nei «Comitati militari» di quei partiti politici contrari, nella loro maggioranza, alla CED. È nell’ambito di questi ultimi (forse anche confortati dallo scarso entusiasmo europeista che viene attribuito al Presidente Laniel e dall’atteggiamento più«atlantico» che «continentale» di Bidault) che vi è fervore di iniziative più o meno superficiali e facilone per controprogetti di Trattato, «soluzioni di ricambio» private dell’autorità supranazionale, che, a loro parere, sarebbero più facilmente accoglibili da parte del Parlamento e di quella che essi ritengono essere l’opinione pubblica francese.

L’atteggiamento ufficiale assunto in argomento dal Quay d’Orsay è, come noto, decisamente negativo.

Codesto Ministero è certamente a conoscenza della smentita ufficiosa, apparsa nei giornali del 10 gennaio, di qualsiasi iniziativa o «démarche» del Governo francese in tal senso.

Detta smentita faceva seguito a una informazione, datata da Bonn, della United Press, secondo la quale il Governo Federale avrebbe ricevuto assicurazioni formali dalla Francia che gli accordi di Bonn e di Parigi saranno presentati al Parlamento nella loro forma attuale e che è esclusa qualsiasi loro modifica prima che intervenga il giudizio delle Camere. Il luogo d’origine di tale notizia conferma l’allarme suscitato in Germania dalle prime vaghe notizie su una possibilità di revisione del Trattato CED. Il Quai d’Orsay, per quanto lo concerne, dichiarandosi «molto sorpreso che tali assicurazioni possano essere state fornite a Bonn», non ha nascosto il suo cattivo umore di fronte alla predetta iniziativa.

Nonostante la smentita e l’imbronciata reazione da parte francese, si pututtavia ritenere attendibile 1’informazione avuta che effettivamente in queste ultime settimane qualcuno ‒anche vicino agli ambienti ufficiali ‒abbia riesumato lo studio di eventuali modifiche da apportarsi all’attuale Trattato CED, sia estraendo dai cassetti schemi anteriori alla firma della CED, sia redigendo le prime linee di un controprogetto che dovrebbe tener conto delle più recenti ‒e pur contraddittorie ‒tendenze affiorate in proposito negli ambienti parlamentari.

Peraltro risulterebbe che il Ministro Bidault, venuto a conoscenza di tali studi, avrebbe precisato che li considera unicamente iniziative personali e che la politica ufficiale del Governo rimane quella di presentare al Parlamento il Trattato nella sua forma attuale.

In definitiva, allo stato attuale delle cose, si pusoltanto confermare che ad opera di qualche parlamentare, individualmente o in gruppo, o di funzionari isolati, a titolo personale, il problema è stato, e magari è tuttora oggetto di studi, pur non potendosi affatto prevedere, almeno fino a dopo la Conferenza di Berlino, se tali studi sortiranno qualche cosa.

Puforse riuscire interessante il fare un cenno delle poche proposte per una presunta «soluzione di ricambio» venute alla luce in Francia in questi ultimi tempi.

Inutile dilungarsi sulla Conferenza Stampa che il Generale de Gaulle tenne il 26 febbraio u.s. e con la quale – partito dalla recisa negazione dell’opportunità della CED, giungeva a proporre una «Confederazione» degli Stati liberi d’Europa, che dovrebbe estendersi anche ai territori extra-europei dei vari Stati occidentali e prevedere un accordo di stretta cooperazione con gli Stati Uniti.

Queste idee vennero riconfermate nella Conferenza Stampa del 12 novembre u.s., durante la quale De Gaulle, polemizzando con Monnet (da lui qualificato come il nefasto «Inspirateur» dell’attuale europeismo ufficiale) riconfermava, senza naturalmente mai entrare nei dettagli e precisazioni, la necessità di una Confederazione europea a largo raggio che permettesse l’unificazione dei piani strategici e la messa in comune dell’intero armamento, dalla infrastruttura alla fabbricazione delle armi di ogni tipo.

A queste impostazioni del De Gaulle si riallaccia la tesi sostenuta dal Gen. Weygand in una molto succinta, e invero molto piatta, argomentazione pubblicata nel novembre scorso. La via maestra, a suo parere, sarebbe indicata dalle campagne vittoriose del 1914-18 e del ‘44-’45, durante le quali gli eserciti alleati occidentali hanno fornito la prova dell’efficacia di un sistema. Il Patto Atlantico, che ha ormai dimostrato la sua efficienza, dovrebbe tenere sotto il suo controllo un esercito di coalizioni di cui faccia parte non solo la Germania ma anche la Gran Bretagna. Le forze tedesche, di cui verrebbero fissati i limiti di comune accordo, sarebbero meglio contenute nel quadro atlantico dal triplice fronte anglo-franco-americano che non nel «tête-à-tête» franco-tedesco, da lui considerato impari.

Altri elementi moderatori del temuto militarismo tedesco sarebbero un accordo sul coordinamento delle fabbricazioni di guerra *e un nuovo organo del NATO tendente a coordinare, e per quanto possibile controllare, la politica dei vari Stati membri*(4). Si tratterebbe, in sintesi, di un rafforzamento del NATO con un’estensione dei suoi compiti al settore politico, e di un riarmo tedesco per così dire limitato, non si sa da quale autorità e da quali poteri di controllo.

Vi sono poi le idee esposte dal deputato socialista P. O. Lapie nel numero di settembre della «Revue des deux mondes», a seguito e completamento di una sua proposta di massima lanciata a Strasburgo durante una riunione dell’Assemblea Consultativa. A suo parere, fra i due corni del dilemma, ratificare o non ratificare la CED, esisterebbe una soluzione intermedia, quella della creazione di una «Comunità europea dell’armamento». Si tratterebbe in un primo luogo di sopprimere nel Trattato CED tutte le disposizioni che concernono la bandiera, la disciplina, l’avanzamento, il comando, in una parola tutti gli articoli concernenti il personale. La Comunità, così spersonalizzata, ridotta a una semplice Comunità del materiale, dovrebbe allora prendere le mosse dal concreto precedente della CECA e limitarsi a controllare il materiale pesante da guerra, suddividendo fra i vari Stati membri le ordinazioni, controllando la produzione, redistribuendo le materie prime necessarie, provvedendo infine, per incarico degli SU attraverso il NATO, alla ripartizione delle ordinazioni «off-shore» e degli aiuti militari d’oltre Atlantico.

L’esercito tedesco, ammette lo stesso Lapie, sarebbe in teoria indipendente, ma

– egli ritiene – di fatto limitato nel suo sviluppo e nei suoi quadri dalla quota di armamenti che la Comunità intenderebbe a vario titolo assegnargli. Lo stesso parlamentare conclude la sua proposta, affermando che l’idea dell’esercito europeo non verrebbe forzatamente abbandonata: la Comunità dell’Armamento segnerebbe invece il primo passo verso una futura CED, per la quale i tempi non sarebbero ancora maturi.

Un piccolo gruppo di deputati, fra i quali due indipendenti, due gollisti e André Denis (recentemente espulso dal MRP a causa della sua aperta ostilità alla CED) presentarono alla Camera nel novembre scorso una «Proposition de résolution» corrispondente ad uno schema di Trattato contenente qualche articolo o rifacimento di articoli del Trattato CED, qualche formulazione che riecheggia la proposta del Lapie, proponendo Strasburgo come sede del Consiglio e di un’Assemblea (non si sa come formata) e Londra come sede del suo Stato Maggiore. Il quale SM in quel progetto sostituirebbe il Commissariato previsto nel Trattato CED e presenterebbe ogni anno all’Assemblea un rapporto generale sulle proprie attività. Il progetto prevede che un voto di censura a maggioranza qualificata possa essere espresso contro lo SM i cui membri dovrebbero abbandonare collettivamente le loro funzioni …!

Tale iniziativa parlamentare dal titolo altisonante di «Comunità degli armamenti difensivi dell’Unione Europea» non ha destato echi di sorta.

Qualche risonanza ha avuto una più recente iniziativa del senatore indipendente Maroger, che presenta fine anno al Conseil de la République un’altra «Proposition de résolution», nella quale sostiene che, in un luogo della CED, occorre creare un’organizzazione di difesa alla quale possano anche accedere la Gran Bretagna, la Norvegia e la Danimarca. Essa dovrebbe prescindere da qualsiasi istituzione a carattere politico e supranazionale che pregiudichi le sovranità degli Stati o la futura organizzazione politica dell’Europa, dovrebbe lasciare intatta la validità degli Accordi contrattuali di Bonn ed ottenere un rafforzamento degli impegni di garanzia e di assistenza sottoscritti da SU e Gran Bretagna nel quadro del Patto Atlantico.

La «Unione di difesa dell’Europa» preconizzata dal senatore Maroger dovrebbe proporsi il progressivo sviluppo delle forze combinate europee e la realizzazione di un comune programma di armamento e di infrastruttura; la sua durata sarebbe la stessa del Patto Atlantico. Dal punto di vista militare, essa sarebbe basata sul principio della divisione dei compiti fra i vari Stati, in funzione delle condizioni strategiche e delle risorse nazionali proprie di ciascuno. Il volume globale delle forze e il rapporto fra i vari gruppi nazionali sarebbe imperativamente determinato dal Consiglio del NATO. Suoi organi principali sarebbero un Consiglio della Difesa, con annesso un Comitato interparlamentare, un «Delegato Generale», responsabile di fronte al predetto Consiglio, un «Bureau d’armement» e un «Bureau des forces combinées».

Di fronte a questa attività degli elementi anti-CED si va sviluppando una campagna discretamente coordinata, ad opera dei movimenti federalisti ed europeisti, con lettere ai deputati, una «brochure» illustrativa ed esemplificativa per la massa del pubblico, che è in corso di stampa; conferenze e riunioni; azione locale nei riguardi soprattutto dei deputati tiepiù diod indecisi o tendenzialmente negativi. Taluni di quei parlamentari, in virtdi una recente iniziativa, sono stati invitati ad una riunione conviviale alla quale ha partecipato Spaak. L’argomento dei discorsi è stato naturalmente la CED e tutti i problemi politici e tecnici ammessi al Trattato di Parigi. Mi è stato assicurato dall’ex ministro Frenay (SFIO) che le argomentazioni e le illustrazioni di Spaak hanno fatto molto colpo su quei parlamentari, parecchi dei quali hanno dichiarato di essere stati veramente illuminati sugli aspetti della questione che essi conoscevano di seconda mano e più in base ai luoghi comuni ricorrenti che non sull’appropriata documentazione, e che avrebbero votato a favore della ratifica della CED. Chi ha organizzato tali riunioni ritiene che l’iniziativa dovrebbe essere continuata, anzi estesa nel senso di moltiplicarla e far partecipare ad essa personalità di primo piano anche straniere e tra queste è stata fatta menzione esplicita e speranzosa del nome dell’On. De Gasperi(5).

85 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

85 2 Sottoscrizione autografa.

85 3 Annotazione di Magistrati: «Plaja. I due rapporti mi sembrano contradditori. Interessante». Vedi D. 76.

85 4 Annotazione a margine del brano tra asterischi: «Questa è la vecchia idea del Political Standing Group che dovrebbe essere composto da Stati Uniti, Gran Bretagna e Stati della CED rappresentati (naturalmente!) dalla Francia».

85 5 Per il seguito vedi D. 87.

86

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE, PRUNAS(1)

L. 20/0123. Roma, 19 gennaio 1954.

Caro Prunas,

abbiamo ricevuto, via Cavalletti, il tuo primo chiaro appunto sull’andamento dei lavori in seno al Comitato economico della Commissione per la CPE(2).

Quanto ci scrivi nei riguardi della difficoltà sorta in merito alla libera circolazione delle persone desta qui qualche preoccupazione.

È chiaro infatti, che qualora il principio della libera circolazione dovesse trovare limitazioni per le persone, in Italia le critiche a tutta la formazione della CPE non potrebbero non intensificarsi, con cattive conseguenze su tutto il complesso della questione. E cianche se, nella realtà, ed in base ai recenti esperimenti in seno a tutte le organizzazioni internazionali, non pochi dubbi possano sussistere circa le pratiche applicazioni del principio stesso.

Pienamente d’accordo circa il concetto generale per cui il futuro Trattato dovrebbe essere non un atto economico internazionale ma, viceversa, in certo modo, una costituzione a carattere normativo(3).

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

86 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

86 2 Vedi D. 78.

86 3 Per la risposta vedi D. 94.

87

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 20/14(2). Parigi, 19 gennaio 1954.

Caro Ministro,

a complemento e seguito del mio telespresso n. 10/24 del 19/1/1954(3), affido a questa lettera personale a Lei diretta alcune informazioni strettamente confidenziali che non ritengo possano essere divulgate sia per riguardo verso le fonti cui le ho attinte, sia per il contenuto di talune di esse.

L’argomento è sempre quello concernente gli sforzi dei molti zelatori di una revisione della struttura del Trattato della CED, degli ideatori o proponenti di «soluzioni di ricambio»: tutta gente che si dà un gran daffare nella speranza di imbroccare la benemerenza di essere riusciti a trovare la quadratura del circolo od effettuare la scoperta di un nuovo uovo di Colombo.

Non vi ha dubbio che l’azione di taluno che ha compiuto più o meno discretamente passi «personali» presso Ministeri degli Esteri od ha cercato di tastare il polso a Capi Missione dei Paesi della progettata Comunità, deve essere stata ispirata da persone molto vicine a personalità del Governo o dell’Amministrazione degli Esteri di Francia.

Quando l’Ambasciatore francese alla Corte di San Giacomo tenta di suggerire agli inglesi che siano essi (vicini, ma non partecipi alla CED) a proporre un’altra soluzione, un «new look» del Trattato di Parigi; quando lo stesso espone al nostro Ambasciatore le ragioni della sua apprensione sulle estreme difficoltà che la ratifica del Trattato CED incontrerebbe nel Parlamento francese, si potrebbe magari considerare quell’iniziativa come strettamente personale, trattandosi di personalità che non ha mai mancato, per il passato, di dissentire dalle concezioni che hanno portato alla formulazione del Trattato di Parigi ed allo sviluppo dell’azione tesa a realizzare una integrazione europea; di personalità che, anzi, è stata all’origine di certi inciampi che abbiamo spesso visto via via insorgere per render più difficile la strada e che molte volte avevamo ritenuto di primo acchito essere imputabili ad ambienti del Foreign Office.

Ma quando l’Ambasciatore François-Poncet suggerisce che possano essere studiate alcune revisioni fondamentali del Trattato è difficile – conoscendosi gli atteggiamenti filo europeisti di Poncet – immaginare che l’ispirazione sia stata squisitamente personale.

Perché, infatti (mi ha confidato il Generale Speidel – venuto a trovarmi a nome di Blank, assente – e mi ha confermato, confidenzialmente, Alphand) nella visita di fine d’anno al Cancelliere, l’Alto Commissario francese si è intrattenuto con Adenauer circa la questione degli Accordi di Bonn e del Trattato di Parigi. In tale occasione François-Poncet «suggeriva» formule che avrebbero emasculato il Trattato della CED del suo contenuto di supranazionalità, che ne avrebbero mantenuto in essere formalmente la farraginosità amministrativa, che si sarebbero adeguate a certe idee del socialista Lapie circa un «pool dell’armamento» ed avrebbero temporaneamente accantonato l’apporto del contingente (non del contributo!) tedesco. Il Cancelliere rispondeva che il Trattato di Parigi non poteva non essere considerato nella sua interezza, senza modificazioni di sorta e che pertanto solamente così come esso è, un tutto unico ed immodificabile, avrebbe potuto essere applicato dopo la ratifica dei vari Parlamenti.

È stata questa «démarche» dell’A.C. Francese a determinare alcune «explications orageuses» nell’ambito del Quai d’Orsay, una sollecita ed energica presa di posizione chiarificatrice condotta da Alphand, cui ha fatto seguito la nota informativa del Quai d’ Orsay.

Ho fatto presente ad Alphand che mi risultava per esempio che Cahen Salvador si stava tuttora agitando per ottenere che fosse la Segreteria Generale della NATO a suggerire qualche formula che permettesse al Governo francese di sortire dall’«impasse» nel quale esso ha l’impressione di trovarsi. Ed egli mi ha risposto che quel funzionario non rappresenta il Ministero degli Esteri francese; che egli, Alphand, sa che vi sono ancora sporadici tentativi, che è al corrente di un passo tentato presso de Starke (il capo della Delegazione belga, che è risaputo possedere le chiavi del cuore di Van Zeeland) ottenendone una secca ripulsa; che Vredenbruch (l’olandese, «deputy» di Lord Ismay) è stato egli pure abbondantemente sollecitato in proposito; ma che nessuno di costoro, non solo era autorizzato ed ispirato a farlo, ma neppur faceva parte del Quai d’Orsay.

Mi ha chiesto di comunicare al mio Governo – e mi ha testualmente dichiarato di parlare a nome del Presidente Laniel e del Ministro degli Esteri Bidault – che il Trattato di Parigi verrà presentato in Parlamento nella sua forma attuale ed ha escluso che possa venir presa in considerazione una qualsiasi revisione del testo del Trattato che – del resto – è il frutto di uno studio accuratissimo, di soppesate decisioni raggiunte – dopo una esauriente discussione ed una non facile negoziazione – tra i sei Paesi, di una impostazione logica e funzionale per la quale non esistono «soluzioni di ricambio». Mi ha aggiunto di aver visto le istruzioni interne che il Quai d’Orsay ha emanato, quelle trasmesse ai suoi Capi Missione e – per tagliar corto ad ogni dubbio in proposito – mi ha informato (in forma estremamente confidenziale, ma altrettanto recisa) che le istruzioni impartite ai rappresentanti del Governo francese alla Conferenza di Berlino, istruzioni che egli ha attentamente studiato, sono estremamente precise e tassative e si possono riassumere in questa frase: «Né CED, né NATO possano essere oggetto di negoziato o mercato (“aucun marchandage”)».

Discutendo con Alphand di certe iniziative parlamentari (di cui al mio telespresso del 19/1/1954) e di certe proposte di zelatori di «soluzioni di ricambio», di un «new look», di revisioni del Trattato di Parigi, si constata pianamente che vi sono solo due possibilità – in via di ipotesi – alternative al Trattato della CED:

1) il suo definitivo accantonamento con tutte le estremamente gravi conseguenze al punto in cui siamo (crisi insanabile e sgretolamento del Patto Atlantico; l’«agonizing reappraisal» esposta da Dulles; un isolazionismo americano che diverrebbe sempre pispietato ed allarmato, oltreché allarmante; il crollo di ogni sforzo di integrazione europea, con tutte le nefaste sue ripercussioni sulla CECA, sull’OECE, sull’EPU; il rovesciamento di alleanze; lo spettro della guerra;

2) oppure la creazione di forze armate nazionali tedesche.

A questo proposito – indipendentemente da tutte le conseguenze vicine o lontane che deriverebbero – ove questa ipotesi potesse divenire fatto – è bene chiarire che al Parlamento francese la possibilità, che la Germania riabbia una forza armata nazionale non ha nessuna possibilità di venire votata. Voterebbero contro – secondo Alphand – 160 deputati comprendenti tutti i comunisti e quelli dei vari gruppi che hanno sempre avuto una posizione anti-CED; a questi se ne aggiungerebbero altri 200 – dai federalisti piconvinti sino ai tepiù dieuropeisti generici – che non ammetterebbero mai un riarmo della Germania, se non nell’ambito della struttura ideata dal Trattato della CED.

Ora, quella del riarmo con carattere nazionale della Germania è una mostruosa sciocchezza contro la quale ogni cittadino francese dovrebbe insorgere ed insorgerebbe, egli ha detto, a cominciare da lui che si affretterebbe a dimettersi per denunciarla alla opinione pubblica francese.

Ho conferito poi a lungo con Cleveland, il Consigliere dell’Ambasciatore Bruce, che mi ha reiterato le impressioni del suo ragionato ottimismo, sostenendo che quando il Trattato sarà avanti al Parlamento francese esso verrà ratificato.

Ha aggiunto che le più o meno scombiccherate «solutions de réchange», le iniziative per un «new look» e le proposte di revisione, non hanno nessuna ragione di essere ed ha affermato doversi escludere la possibilità che il Trattato venga modificato. Ha illustrato in termini assai perentori la politica americana ed ha. espresso in proposito alcune considerazioni che mi riservo di riferirle personalmente a voce al mio rientro a Roma il 21 corrente, se Lei avrà la possibilità di ricevermi.

Il giro di orizzonte fatto mi permette di concludere proprio così: al punto in cui sono giunte le cose se la CED non passasse ci si accorgerebbe nel futuro immediato o, sia pure, in quello mediato, di aver dinamitato il mondo occidentale e le conseguenze di tutto questo sarebbero funeste al punto da dover temere persino di considerarle. Ma, indipendentemente da quelle valutazioni politiche, anche sotto un aspetto squisitamente tecnico, non si vedono forme di «new look» possibili per il Trattato della CED.

Infatti non è lo stesso della CPE. Per essa vi può esser taluno che pensi che la struttura federale è troppo impegnativa allo stato odierno delle cose, che il problema non ha ancor permeato la sensibilità e le responsabilità della maggioranza parlamentare francese, sicché potrebbe esser conveniente ripiegare su una formula confederale. Vi sarebbe parecchio da dire, da discutere in proposito: ma è un ripiegamento che si pufare, in sede di una alternativa ufficialmente allo studio, tra la posizione logica di punta e la posizione picomoda di compromesso.

Ma con il Trattato della CED le cose non stanno così. Una revisione del Trattato che lo modificasse al punto da divenire accettabile sia pure ad una parte dei suoi oppositori odierni al Parlamento francese, lascierebbe in essere una arruffata disordinata macchinosa struttura, della quale non si vedrebbe né la ragione né la convenienza.

Se rimanessero esclusi i vantaggi derivanti dallo sforzo comunitario così come risultano dalla costruzione ideata, se scomparisse il carattere supranazionale, rimarrebbero sulle spalle dei Paesi contraenti solo gli svantaggi e gli inconvenienti. In tal caso ne avremmo, in fondo, di meno mantenendo le forze armate nelle attuali strutture nazionali. Che poi queste – così come sono – non bastino a reggere allo sforzo ed alle necessità del potenziale difensivo, che la frammentazione dell’Europa Occidentale possa veder insorgere quelle tali «contraddizioni del mondo capitalistico», sulle quali punta dogmaticamente la grande congiura moscovita, che tutto finisca col «ruere in ruinam», tutto questo è un altro discorso che si dovrebbe fare sul complesso masochistico ed abulico che sembra esistere in una parte almeno del mondo occidentale.

Tanti cordiali saluti

Ivan Matteo Lombardo

87 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

87 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

87 3 In realtà del 18 gennaio: vedi D. 85.

88

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

L.(2). Lussemburgo, 20 gennaio 1954.

Caro Ludovico,

ricevi anzitutto le mie piaffettuose felicitazioni per il reincarico e i miei pivivi auguri per la continuazione del tuo lavoro a Palazzo Chigi.

Vorrei poi brevemente intrattenerti sul problema del cosidetto «conglobamento» della Comunità, che, a quanto mi dice Bombassei, verrà messo in discussione nel Comitato Istituzionale il 26 corrente subito prima della riunione dei Sostituti.

Se le idee che su questo problema ti esposi a Strasburgo (ricorderai il documento che ti sottoposi), ti sembrano buone, sarebbe forse utile presentarle alla Commissione istituzionale in un documento di lavoro da servire come base di discussione. Ho quindi redatto il progetto di documento di lavoro che ti invio qui allegato per quelle istruzioni che tu credessi di farmi pervenire possibilmente prima del 26 corrente(3).

Credimi devotamente.

[Francesco Cavalletti]

Allegato

Appunto.

DÉLÉGATION ITALIENNE

DOCUMENT DE TRAVAIL CONCERNANT LE PROBLÈME DU «CONGLOBEMENT»

DES COMMUNAUTÉS

1. Attributions. La Communauté, créée par le Traité CPE, constitue avec la CECA et la CED une entité juridique unique. Elle exerce les attributions de la CECA et de la CED ainsi que celles qui lui seront attribuées par le Traité CPE et par les Traités ultérieurs.

2. Conseil de Ministres. Le Conseil de Ministres, envisagé par le Traité CPE, se substitue, dès l’entrée en vigueur du Traité, aux Conseils spéciaux des Ministres de la CECA et de la CED. Les pondérations prévues par les Traités CECA et CED demeurent. Des pondérations spéciales pour les attributions nouvelles sont à prévoir.

Le Conseil de Ministres de la Communauté aura un Secrétariat Général.

3. Parlement.

a) La Chambre des Peuples prévue par le présent Traité se substituera, dès sa convocation, à l’Assemblée Commune de la CECA et de la CED. Elle exercera toutes les attributions prévues pour celles-ci, ainsi que les attributions nouvelles qui lui seront confiées par le Traité CPE;

b) Chambre Haute. Le problème reste réservé, cependant on pourrait envisager deux hypothèses:

1) Chambre Haute élue: elle pourra exercer, en collaboration avec la Chambre des Peuples, certaines des attributions prévues pour l’Assemblée Commune dans les Traités CECA et CED.

2) Chambre Haute désignée par les Gouvernements: elle pourra exercer certaines des attributions prévues pour les conseils des Ministres dans les Traités CECA et CED.

4. Un Conseil Exécutif Européen est créé. Le Conseil Exécutif Européen assumera dès le début, toutes les attributions prévues pour le Commissariat dans le Traité CED, ainsi que celles prévues par le Traité CPE. Il exercera en outre toutes les attributions qui lui seront confiées par des Traités ultérieurs.

Le Conseil Exécutif Européen sera composé de neuf membres, nommés par les Gouvernements selon les modalités prévues pour le Commissariat.

Pour ce qui regarde le choix des personnes on peut envisager deux hypothèses:

1) Au moment de l’entrée en vigueur du Traité CPE les membres du Commissariat ont été déjà nommés. Les Gouvernements s’engagent à nommer au Conseil Exécutif Européen les mêmes personnes.

2) Au moment de l’entrée en vigueur du Traité CPE les membres du Commissariat n’ont pas été nommés. Les Gouvernements s’engagent de nommer au Commissariat les membres du Conseil Exécutif Européen.

Il n’y aura pas incompatibilité entre la qualité de membre de la Haute Autorité et celle de membre du Conseil Exécutif Européen.

b) [sic] Dans un délai d’un an le Conseil Exécutif Européen assumera les attributions exercées par la Haute Autorité. Les modalités à concorder entre le Conseil Exécutif Européen et la Haute Autorité, avec avis du Conseil de Ministres.

Si dans le délai prévu il n’y aurait pas accord entre le Conseil Exécutif et la Haute Autorité, le Conseil de Ministres décidera.

Pendant la période sus-indiquée, la Haute Autorité conserve son statut et ses responsabilités. Le Président de la Haute Autorité participe, avec voix consultative, au Conseil Exécutif Européen.

88 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

88 2 Trasmessa da Cavalletti a Magistrati con L. 000214, pari data.

88 3 Le istruzioni furono comunicate telefonicamente il 26 gennaio sulla base del seguente testo: «Urgentissimo. Per Delegazione alla Commissione per la Comunità Politica Europea. Riferimento lettera Cavalletti 20 corrente. Posizione italiana in materia di conglobamento si basa essenzialmente sull’obiettivo di evitare l’adozione di un sistema in cui le Comunità create o da costituirsi possano seguire indirizzi generali non univoci. Linea direttiva seguita da Governo italiano nel processo integrazione europea è stata infatti fin dall’inizio contraria principio integrazione per settori. Progettato documento di lavoro si ispira evidentemente tali presupposti. Peraltro proposte circa composizione Esecutivo Europeo, circa identità personale tra membri Esecutivo et Commissariato, nonché circa procedura conglobamento Alta Autorità ci lasciano perplessi e richiedono almenoulteriore esame prima essere eventualmente presentate in documento italiano. Ci domandiamo anche se sia opportuno tatticamente includere in nostro documento, per quanto riguarda Camera Alta, alternativa secondo cui detta Camera potrebbe concepirsi come designata dai Governi; cisopratutto in considerazione dichiarazioniDelegazione olandese (telespr. 10/27) che portano un’interessante appoggio alla concezione italiana», minuta ditelegramma senza data recante la seguente annotazione: «26 gennaio 1954. Telefonato, comunicando la sostanza di queste osservazioni, a Pisa [segretario della Legazione a Lussemburgo], 26/1/54, h. 10», in DGAP, Uff. I (exOA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, fasc. s.n. Nel citato telespr. 10/27 del 20 gennaio, Bombassei riferiva sui lavori del Comitato Istituzionale; un quadro sommario dei lavori dei vari Comitati della Commissione per laCPE è stato tracciato nell’Appunto del 21 gennaio (vedi D. 89).Per il seguito vedi D. 99.

89

IL CAPO DELL’UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, PLAJA(1)

Appunto. [Roma, 21 gennaio 1954](2).

APPUNTO SULLO SVOLGIMENTO DEI LAVORI DELLA COMMISSIONE PER LA COMUNITÀ POLITICA EUROPEA

La prima fase dei lavori della Commissione per la Comunità Politica europea presenta il seguente quadro sommario:

1) Comitato Istituzionale. L’esame si è limitato alla definizione delle funzioni e principali caratteristiche degli organi che dovranno comporre la futura Comunità mentre il problema generale delle attribuzioni è stato per ora rinviato ad un tempo successivo. In linea generale può dirsi che ad eccezione dell’Italia le posizioni si sono venute precisando nel senso di avvicinarsi alla concezione francese che mira sostanzialmente a contenere al massimo l’elemento sovranazionale della Comunità e, ove possibile, persino a tentare di ridurre, attraverso le nuove formule, il potere sovra. nazionale già concesso agli organi esistenti, o previsti, della CECA della CED.

La posizione «europeistica» è stata difesa sopratutto dalla Delegazione italiana che, su questioni di notevole importanza, è venuta a trovarsi praticamente isolata. Conviene accennare ora sommariamente alle singole questioni che sono state discusse:

A) Consiglio dei Ministri della Comunità.

Mentre si è rimandata in questa prima fase la discussione della concezione francese dell’esecutivo a due rami, nonché il problema della permanenza o meno dei Consigli dei Ministri della CECA e della CED, che sarà discussa in sede d’esame del problema del conglobamento delle Comunità preesistenti, il Comitato si è trovato d’accordo nel riconoscere la necessità di creare un Consiglio dei Ministri della Comunità Politica. Questo collaborerà con l’organo sovranazionale (esecutivo), al quale verrà riconosciuta una sfera di competenza propria e quindi autonomia e poteri propri.

Il Consiglio dei Ministri potrà, nei casi previsti, intervenire in tale sfera di competenza con iniziative (pareri semplici), pareri conformi e direttivi.

La collaborazione con l’organo sovranazionale avverrà mediante consultazioni e informazioni reciproche.

Il Consiglio dei Ministri sarà composto dai Capi dei Governi o dai Ministri degli Esteri o eventualmente da un altro membro del Governo.

B) Camera Alta.

La discussione si è imperniata su un progetto francese; riprendendo la proposta tedesca di affidare al Consiglio dei Ministri le funzioni di seconda Camera, i francesi hanno proposto un organo, detto Camera degli Stati, con cui praticamente si viene a snaturare il carattere rappresentativo del Parlamento; attraverso tale organo gli Stati membri ottengono un controllo diretto dell’esercizio del potere legislativo nonché, in parte, dell’attività dell’organo sovranazionale esecutivo.

I membri della Camera degli Stati sarebbero almeno tre per Stato, disporrebbero di un solo voto per Stato ed agirebbero secondo un mandato imperativo. Il progetto francese è stato accettato come base di discussione dalle delegazioni belga, tedesca e lussemburghese; esso ha sollevato una riserva olandese ed è stato respinto dalla delegazione italiana che ha presentato un progetto di seconda Camera elettiva, a composizione ponderata (o paritaria se la prima Camera avrà composizione proporzionale) a carattere rappresentativo e con attribuzioni simili a quelle della prima Camera.

C) Camera dei Popoli. Il Comitato si è trovato concorde sul principio dell’elezione a suffragio universale diretto e segreto degli uomini e delle donne, con esclusione del voto plurimo.

Circa le modalità dell’esercizio di un controllo politico efficace della Camera dei Popoli sull’esecutivo della Comunità, è stata riconosciuta la necessità di assicurare all’organo sovranazionale una certa stabilità. Tutte le delegazioni, esclusa quella italiana che ha riservato la posizione, si sono dichiarate contrarie ad un intervento della Camera dei Popoli al momento della designazione del Presidente e dei Membri dell’esecutivo sovranazionale.

Le delegazioni belga francese lussemburghese e olandese si sono dichiarate contrarie alla necessità dell’investitura preliminare dell’esecutivo da parte della Camera dei Popoli ed hanno ammesso che l’esecutivo debba essere responsabile verso la Camera Alta solo per quanto riguarda la gestione. La delegazione tedesca ha manifestato preferenza per l’investitura preliminare e quella italiana ha ricordato che preferirebbe che la nomina dell’esecutivo fosse opera della Camera e comunque si è dichiarata a favore dell’investitura.

Esclusa la delegazione francese, che ammette la responsabilità dell’esecutivo solo nei limiti dei propri poteri di decisione (e non quindi per gli studi e progetti), tutte le delegazioni hanno riconosciuto che la responsabilità dell’esecutivo potrà essere invocata per tutti i compiti affidati a tale organo.

Premessa una riserva generale circa i limiti del potere legislativo che potrà essere attribuito alla Camera dei Popoli, è stato riconosciuto il diritto di iniziativa e di emendamento ai membri della Camera nonché quello di interrogazione e di interpellanza.

Il Comitato si è accordato sul termine quinquennale del mandato parlamentare nonché sul principio dell’esclusione del mandato imperativo.

Sono inoltre state discusse le questioni relative all’incompatibilità.

L’importantissima questione della ripartizione dei seggi non è stata approfondita: di fronte alla riaffermazione della posizione italiana, il delegato francese ha affermato che l’adozione del sistema proporzionale avrebbe sollevato gravi problemi per la questione della rappresentanza dei paesi d’oltremare che fanno parte dell’Unione francese. Il delegato tedesco ha dichiarato di poter accettare il criterio di ponderazione per la Camera dei Popoli anche se la seconda Camera sarà paritaria.

Il problema della facoltà del Presidente o di una aliquota dei membri di richiedere delle sessioni straordinarie ha sollevato l’opposizione della delegazione francese, che la vorrebbe ammettere solo per la maggioranza assoluta dei membri.

La discussione sulla questione del conglobamento della CECA e della CED nella CPE si è tenuta finora in termini generali e non ha sostanzialmente variato le posizioni precedenti.

2) Comitato Elettorale. Il Comitato ha iniziato i lavori esaminando i problemi del diritto di voto e dell’eleggibilità: si è concordato sostanzialmente un rinvio delle leggi nazionali che dovranno fondarsi sui sistemi vigenti in ogni Stato(3).

89 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

89 2 La data è stata ricostruita sulla base del riferimento contenuto nel D. 91.

89 3 Il documento prevedeva un terzo punto sul Comitato Economico che tuttavia non fu redatto.

90

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. segreta 0094(2). Parigi, 23 gennaio 1954.

Caro Zoppi,

rispondo alla tua lettera n. 2/016 del 18 corrente(3). Ci troviamo di fronte a due problemi connessi, ma distinti, la CED e la Comunità Politica.

Per la Comunità Politica, la situazione è confusa: abbiamo avuto il rapporto della Commissione ad hoc, varie riunioni ed oggi il Comitato degli Esperti: il punto centrale è qui il rapporto di forze fra il Consiglio dei Ministri nazionale e l’Esecutivo sovranazionale. Ma, mentre si fanno proposte e risoluzioni, il problema centrale (che cosa può essereaccettato dal Parlamento francese) viene ignorato. Rischiamo una ripetizione di quello che è accaduto per la CED: mettere cioè a punto un accordo che non sarà poi accettato dal Parlamento francese. Mi sembra un giuoco inutile ed anche pericoloso: la mia tendenza sarebbe quella di dire molto francamente ai francesi: fateci sapere prima che cosa può essereaccettato dal Parlamento francese: poi discuteremo.

La questione più grave ed urgente è perla CED: la CEP dovrebbe, secondo me, essere esaminata sopratutto sotto un altro punto di vista: se e fino a che punto essa può facilitare o rendere più difficile la ratifica della CED.

A suo tempo fu sull’assenza di una comunità politica che si appuntarono molte critiche del Parlamento francese. Adesso parrebbe chiaro che, con l’eccezione di una parte dei socialisti, si trattava di una manovra per complicare ancora le cose; adesso è appunto contro il «superstato» che si appuntano molti strali.

Per il momento, non credo utile oberarti colle opinioni di tanti parlamentari: mi limito a dirti quello che ne pensa il Governo, ossia le persone che hanno presa su di sé la responsabilità di presentare la CED alla Camera. A questo riguardo ho parlato con Pleven, Bidault e Laniel: ed una seconda volta – il 21 corrente – molto a lungo con Laniel. Sembrano tutti e tre d’accordo, e molto esplicitamente, nel considerare l’influenza della CEP come negativa. Bisogna – mi è stato detto – mantenerla in vita in modo da mantenere favorevoli alla ratifica CED i socialisti di Guy Mollet, e non mandarla troppo avanti per non incorrere nelle reazioni di tutta la destra che si pensa ricuperabile agli stessi fini.

Per quello che riguarda la CED, Laniel è fermamente deciso a dare battaglia ricorrendo, come ultima ratio, allo scioglimento della Camera (tieni presente, a questo riguardo che fra quattro mesi cominciano gli ultimi diciotto mesi della legislatura durante i quali non si pupisciogliere la Camera) o al referendum. Sondaggi fatti da varie parti e con differenti metodi, sono arrivati alla conclusione che il risultato del referendum sarebbe nettamente favorevole alla ratifica CED.

Circa l’eventualità o meno di modifiche all’attuale trattato CED, ho trovato i tre molto open to suggestions, ma ancora incerti. Il Presidente del Consiglio ed i suoi, vorrebbero approfittare delle vacanze parlamentari che sono incominciate il 19 per uno studio approfondito della situazione parlamentare onde stabilire:

1) se è possibile trovare una maggioranza per il Trattato e quale (intendendo per «maggioranza» una maggioranza di almeno 30-40 voti);

2) quali modifiche, eventualmente, possono essere consigliabili per ottenere il voto della Camera.

Con alcune graduazioni di ottimismo – Pleven piottimista, un po’ meno Bidault – questi due pensano adesso che il Trattato potrebbe essere ratificato, così come è, dando delle assicurazioni interpretative, in una forma da stabilirsi, sia sulla possibile maggiore durata del periodo transitorio, sia ammettendo esplicitamente la possibilità di modificare, eventualmente, sulla base delle esperienze del periodo transitorio, le soluzioni definitive attualmente previste. Pensano anche alla possibilità di qualche dichiarazione interpretativa, od altro, che diminuisca i poteri del Commissariato ed aumenti i poteri del Consiglio dei Ministri. Ma mi è stato detto – e questo mi sembra molto ragionevole – prima di accettare qualsiasi revisione od interpretazione, bisogna essere sicuri delle sue ripercussioni parlamentari: perché una revisione, od interpretazione revisiva, può far guadagnare dei voti nel settore della gente moderatamente contraria, ma pufarne perdere nel settore degli integralisti tipo Teitgen: bisogna quindi, in ogni caso, pesare accuratamente il pro ed il contro.

Laniel, pur condividendo in massima il pensiero di Pleven e di Bidault, è piconvinto della necessità di una revisione, pur ammettendo la necessità di fare i conti dei voti. Egli vorrebbe prendere la mossa da un progetto Juin, che – a quanto mi ha detto

– conserva l’essenziale ed elimina le precisazioni superflue: pensa che su questa base, appoggiato dal prestigio del nome, si possano raggruppare gran parte dei favorevoli, e gran parte dell’opposizione ragionevole, ossia quella che non fa e non vuol fare il giuoco dei comunisti.

Laniel è, a mia impressione, lealmente deciso a condurre in porto le cose, ma esitante a rischiare il tutto per tutto, che è la tesi degli integralisti. La sua opinione è quella su cui mi baso di più è il meno intelligente ma il pisolido: ed è in fondo quello la cui responsabilità personale è impegnata.

Quale sia il piano Juin, non lo so: la sua posizione di massima è la seguente. Il testo attuale del Patto è irrealizzabile: lo si pubenissimo ratificare se si vuole e se è possibile, tanto un anno dopo l’esperienza ci obbligherà a rivederlo da capo a fondo: allora perché dar battaglia? Basta un trattato di una quarantina di articoli, lasciando il resto ai fatti.

Laniel conta di essere in grado di formulare delle proposte chiare e precise verso la metà di febbraio.

Ripercussioni della Conferenza di Berlino. È questa la grande incognita: attualmente si ha qui piuttosto l’impressione che essa lascerà le cose come si trovano, ossia che quelli che erano convinti, prima, che non c’era niente da fare, lo resteranno: ma così pure quelli che ritengono che c’è una possibilità di mettersi d’accordo con i Russi. Il pericolo piserio – si ritiene, e su questo sono perfettamente d’accordo – è che i Russi in qualche modo riescano a dare corpo alla speranza che essi sarebbero disposti a facilitare una soluzione onorevole del conflitto d’Indocina contro un abbandono della CED. Il Governo (d’accordo, in questo, tutti i Ministri) ha dato precise istruzioni a Bidault – sarebbe piesatto dire che se le è fatte dare – di non acconsentire a negoziare né la CED né il NATO contro concessioni in Indocina. Ma è anche indubbio, e su questo tutti pure sono d’accordo, che se questa possibilità si precisasse il Governo dovrebbe

o cambiare idee od andarsene.

In linea generale, si può dire che c’è un certo miglioramento della situazione e ciè dovuto a varie ragioni:

1) l’offensiva feroce degli anti-CED per le elezioni alla Presidenza della Repubblica, la riconduzione del presente Governo, la Presidenza dell’Assemblea che è finita con un punto a favore della CED (non solo la riconferma del Governo Laniel, ma la conversione di Laniel, da dubbio, a sostenitore della CED) e due punti equivoci: né Coty né Le Troquer sono ben definiti, né pro né contro, tanto è vero che le due parti considerano di aver avuto vittoria. (Circa Coty, Laniel che ne è amico mi assicura che lo appoggerà nel suo lavoro di sondaggio e nella lotta). Peril vantaggio è sempre a favore della CED, perché, anche se si dichiarassero contrari, Coty e Le Troquer non hanno le possibilità di influenza che avrebbero potuto avere Herriot e Auriol. L’offensiva anti-CED ha segnato, per me, il suo massimo;

2) la convinzione, giustificata o no, ma certamente diffusasi largamente in questi ultimi tempi, che l’opinione pubblica francese, nella sua maggioranza, è favorevole alla CED, ha impressionato alcuni gruppi parlamentari: ci sono dei casi di deputati che nei corridoi della Camera parlano in senso antieuropeo, e poi in senso filoeuropeo nel loro dipartimento;

3) l’intervento violento di Dulles, dopo le reazioni che ha suscitato, ha finito per essere salutare: se Dulles avesse detto: «In caso di non ratifica, armiamo la Germania», anche la seconda reazione sarebbe stata tutta negativa; avendo detto: «Se non si ratifica, passiamo alla politica periferica», ciha fatto riflettere molti di quelli che, attaccando la CED, non cercano puramente e semplicemente un «renversement des alliances»;

4) il giuoco dei comunisti è stato troppo aperto. E questo ha dato molto da pensare ad alcuni Ministri, fra questi importante Jacquinot, che non vogliono trovarsi sullo stesso fronte dei comunisti, e cominciano a dubitare della bontà della loro politica di opposizione. Sono questi gruppi, di cui qualche modifica, che venga incontro ad alcune loro obbiezioni e che serva sopratutto a giustificare un loro «ralliement», pudefinire l’atteggiamento in senso favorevole.

Per cui si è venuta a creare una situazione in cui il Governo, se ha veramente voglia di dar battaglia, se sa manovrare efficacemente, e se non ci sono dei colpi di scena a Berlino, potrebbe ingaggiare la battaglia con buone chances di riuscita. Resta sempre il pericolo che si faccia cadere il Governo su delle questioni secondarie e che si apra di nuovo una crisi assai difficile, con infinite possibilità, almeno, di ritardo. Ed è un’eventualità tanto pida temere, in quanto la si potrebbe far coincidere con il momento cruciale al Congresso americano, con il rischio di veder prendere dagli Americani delle decisioni che poi a loro volta comprometterebbero o renderebbero inutile, la battaglia qui: dovrei anzi dire che a mia impressione, adesso l’azione degli avversari, sopratutto di quelli direttamente organizzati da Mosca, mi sembra appunto diretta a far fare o non fare alla Francia tutto quello che puspingere l’America a rompere i ponti lei.

La questione della convenienza o meno di modificazioni alla CED per facilitarne il passaggio qui, è complessa e delicata, L’opposizione alla CED va scomposta in vari settori: ci sono gli oppositori neutralisti, il che è un eufemismo, e contro questi indiscutibilmente non c’è niente da fare. L’elemento importante è costituito da quelli che si dicono opposti alla CED quale essa è, ma disposti ad accettarla con delle modifiche, ed è su di questa che bisognerebbe puntare. Anche questo settore va scomposto: ci sono alcuni, per esempio Bonnefous, i quali in realtà non vogliono affatto la CED, non hanno il coraggio di attaccarla direttamente e vogliono, rimettendo tutto in discussione, rimandare di nuovo tutto alle calende greche, e mettere la discordia nel campo avverso: ed è questo tipo di riformatori che hanno particolarmente in vista gli integralisti tipo Teitgen, René Mayere Alphand il quale poi difende anche delle posizioni personali. Ma ci sono i riformisti tipo Pinay, fra gli Indipendenti, Barrachin nell’ARS e Chaban-Delmas fra gli ex RPF, i quali sono indiscutibilmente, in buona fede, dei riformisti costruttivi: e di questi si deve tener conto: può darsi che essi possano essere portati ad accettare la CED quale essa è, con delle modifiche interpretative come pensa Pleven, può darsi che ci voglia qualche cosa di più come pensa Laniel. Bisogna vedere.

Per quello che riguarda noi, vorrei distinguere fra l’interesse di condurre in porto la CED ed evitare una crisi maggiore del Patto Atlantico, e la nostra posizione propria.

Per la sostanza, in una situazione delicata quale è la situazione francese attuale, penso che da parte nostra, appoggiare e sostenere, in qualsiasi modo, sia la tesi integralista sia la tesi riformista, sarebbe agire in realtà contro la CED, confondendo di pile acque. La nostra posizione dovrebbe essere questa. L’Italia ha dato la sua adesione alla CED quale essa è, e la ratificherà. Sul piano esperti è inutile continuare delle discussioni, proporre delle soluzioni, avanzare delle ipotesi: la cosa dipende dal Parlamento francese: siete voi francesi che dovete dirci che cosa il Parlamento francese può accettare: il giorno in cui voi ci direte che per far passare la CED al Parlamento ci vogliono delle modifiche, principalmente nel senso di diminuire di un x la parte sovranazionale, e di aumentare di altrettanto la parte nazionale, e di non voler troppo prevedere, noi non faremo difficoltà, e faremo del nostro possibile per aiutarvi a che altri non ne facciano. Il che corrisponde poi a quello che disse Pella a Bidault: che noi non avremmo fatto delle difficoltà, anzi, eventualmente, eravamo pronti a considerare la possibilità di presentare noi, come nostre, delle proposte che, per varie ragioni, potrebbe essere delicato per i francesi di proporre loro. L’ho ricordato a Laniel, il quale mi ha promesso che appena in grado di tirare delle conclusioni, mi avrebbe tenuto al corrente ed avremmo visto insieme il da fare: gli ho detto che, specialmente in momento di crisi, non potevo impegnare il mio Governo: potevo soltanto assicurarlo che avrei fatto tutto il mio possibile perché noi restassimo nella linea convenuta con Bidault e Pella: gli ho ripetuto che, a questo scopo, era molto importante che eventuali nuove proposte francesi ci fossero comunicate in tempo, e non all’ultimo momento, come era stato fatto in molte altre occasioni.

Per tua informazione ti posso aggiungere che, nel corso di una conversazione avuta con lui qualche giorno addietro, Van Zeeland mi ha detto che se per avere la ratifica francese fossero necessarie delle modifiche, anche importanti, non ci sarebbero state difficoltà da parte belga. Scrivendo di sondaggi, forse mi sono prestato ad equivoci; io avevo in mente quello che sto facendo, ossia cercare di vedere, al di sopra delle elucubrazioni di vari settori del Quai d’Orsay, quali siano le vere intenzioni del Governo francese, ed essere in grado di controllare nella misura del possibile, sul piano parlamentare, le possibilità di realizzazione di quello che il Governo francese ha e può avere in mente. Quanto ad azione diretta nostra presso i francesi, non riterrei opportuno di andare più in là del precisare che spetta ai francesi di decidere quello che è meglio ai fini del loro Parlamento, e che da parte nostra non solo non si faranno difficoltà, ma si farà di tutto per aiutare a che altri non ne facciano. Che personalmente, per quelle impressioni che posso avere del Parlamento francese, io sia convinto che delle modifiche siano necessarie, non solo per avere una maggioranza decisa, ma anche e sopratutto per superare l’attuale confusione fra comunisti e non comunisti contro la CED e per condurre la battaglia della ratifica con un fronte che raggruppi il massimo possibile delle forze anticomuniste, come è e come, secondo me, dovrebbe essere anche da noi, questo è tutt’altra cosa. Comunque, quello che ti scrivo oggi è tutto basato esclusivamente su conversazioni dirette e precise con le persone che ho menzionato nel mio rapporto. Per me, ti ripeto, tutto deve essere tentato e fatto per evitare una crisi maggiore di tutto il Patto Atlantico. Se avessi trovato i francesi ancora nella stratosfera, sarei tornato a proporti un intervento Benvenuti anche concernente la CED. Ma il Governo francese sembra adesso si sia reso conto che non è possibile ancora rimandare e sia deciso ad affrontare una decisione. E questo è comunque un punto all’attivo. Detto questo, non credo veramente che sia il caso che noi avanziamo delle proposte nostre: che ci si accusi di immobilismo CED, non mi fa perdere il sonno: l’importante è che si salvi dell’Europa quello che si pusalvare e che si salvi il Patto Atlantico. Tanto, caro Zoppi, bisogna pure che ci rassegniamo ad essere sempre criticati per tutto quello che facciamo. Possiamo invece, ti ripeto, fare qualche cosa di utile spingendo discretamente i francesi a decidersi – e lo sto facendo – visto che la chiave di volta della situazione l’ha il Parlamento francese: e convincere noi stessi – il che mi sembra raggiunto almeno per quello che concerne te e Magistrati – che il rischio di vedere saltare tutto per aria è troppo forte per non rassegnarci a qualche discesa da quelle che erano le nostre aspirazioni in fatto di integrazione immediata. Se ci riusciamo, sarà questa la migliore risposta alle accuse che ci possono essere fatte adesso. Sono anche picontrario – e quindi d’accordo con te – a che noi facciamo delle proposte, o dei sondaggi verso gli Americani; nella nostra situazione essi non farebbero che suscitare dubbi e sospetti sulle nostre intenzioni. Per quello che ci riguarda, il meglio che potremo fare è cominciare col mettere in movimento la ratifica: e non cristallizzarci troppo sul collegamento CED-Trieste. È una carta che ha oggi un certo valore, ma che lo conserva solo per qualche mese, al massimo: poi, o tutto va per aria, e allora è una carta che non giuoca più o la Francia la ratifica, ed allora mi consta, da fonte sicura che da parte americana è stato già previsto di mandare avanti la CED anche senza di noi, con un protocollo di nostra accessione a data ulteriore. E credimi quando ti dico che, se Francia avrà data e vinta la sua battaglia, non si fermerà perché ne restiamo fuori noi: saranno se del caso i comunisti a valersi dell’argomento italiano contro la CED: il che non ci faciliterebbe. Resta da vedere come possiamo mandare avanti la ratifica sapendo che è possibile che ci siano delle modifiche.

Sono stato molto contento di trovare tutti i miei interlocutori francesi d’accordo sulla non opportunità che, in caso di necessità di modifiche, si cominci col discuterne con gli americani. Secondo loro, eventuali modifiche le dobbiamo negoziare fra di noi, a sei, e poi dire tutti e sei agli americani: ci siamo messi d’accordo su questa formula che sarà ratificata subito. Il che mi sembra sia veramente la cosa più saggia.

Per un certo prestigio nostro, si potrà tentare, o di fare noi, d’intesa con i francesi, nuove proposte ai sei, o di presentarle come piano franco-italiano. Ma senza farne una questione di importanza primaria: la sostanza è già troppo complessa e troppo esplosiva: contentiamoci di contribuire a salvare quello che si pusalvare. A cose fatte, se ci si arriverà, con condizioni interne italiane mutate, quod est in votis, in meglio, non ci mancheranno certo possibilità di prendere delle iniziative.

Non sapendo quale è la situazione ministeriale, da tutto questo la forma di una lettera a te e non di un rapporto ufficiale: tanto, ai fini pratici, è lo stesso(4).

Cordialmente, tuo

P. Quaroni

90 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

90 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

90 3 Recte 21/0106: vedi D. 82.

90 4 Con L. 20/0245 del 1° febbraio Zoppi rispose di essere d’accordo con quanto l’Ambasciatore esponeva. Aggiungeva inoltre: «…Del resto né la tua lettera a Magistrati del 12 gennaio (vedi D. 77), né la mia a te del 18 tendevano ad assumere iniziative di sorta, ma solo ad approfondire il pensiero francese ed è ciò che hai fatto e continui a fare» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110). Vedi anche le considerazioni di Magistrati al D. 98.

91

RIUNIONE MINISTERIALE (Roma, 25 gennaio 1954)(1)

Verbale(2).

Verbale riassuntivo della riunione presieduta dal Sottosegretario Benvenuti il 25 gennaio 1954 in merito ai lavori della Commissione per la Comunità Politica Europea.

Hanno presenziato alla riunione l’On. Ivan Matteo Lombardo, il Ministro Magistrati, il Ministro Corrias, i Segretari Plaja, Cornaggia e Favretti.

Il Sottosegretario Benvenuti, premesso che egli ritiene opportuno conservare una direzione a livello politico per la Delegazione italiana, prega l’On. Lombardo, Capo della Delegazione alla CED, di partecipare in sua vece alla riunione del Comitato di Direzione della CPE che avrà inizio il 28 corrente a Parigi, non potendo presumibilmente recarvisi in vista della discussione al Parlamento sulle dichiarazioni del Governo.

Il Ministro Magistrati dà lettura dell’appunto in data 21 gennaio della Direzione Generale Cooperazione Internazionale che riassume i lavori finora svolti dal Comitato Istituzionale (all. 1)(3).

1) Circa la manovra francese tendente a ridurre, attraverso le nuove formule, il potere sovranazionale già concesso agli organi esistenti o previsti della CECA e della CED, il Sottosegretario ribadisce che l’atteggiamento italiano rimane di non accettare simili diminuzioni e quindi di non retrocedere dalle posizioni CECA e CED.

In linea generale si conferma la direttiva che nell’attuale fase dei lavori non sia opportuno allontanarsi dalla posizione «europeistica» assunta dall’Italia, anche perché si è potuto osservare come tale posizione tattica, già in questa fase, ha portato qualche frutto, come nel caso dell’avvicinamento olandese alla tesi italiana sulla seconda Camera. Solo lo sviluppo dei lavori potrà consigliare l’opportunità di accedere a quelle posizioni che ci sembrano tuttora meno accettabili nel quadro della struttura generale della futura Comunità. Così ad esempio se in ipotesi si dovesse rendere necessaria l’accettazione del progetto franco-tedesco per la Camera degli Stati, occorrerà almeno ottenere che tale Camera non disponga di poteri tali da paralizzare in pratica l’iniziativa legislativa della Camera dei Popoli.

2) Per quanto riguarda invece il problema della necessità dell’investitura preliminare dell’Esecutivo da parte della Camera dei Popoli, il Sottosegretario rileva che la posizione italiana potrebbe avvicinarsi a quella delle Delegazioni belga-francese-olandese e lussemburghese allo scopo di facilitare un accordo su una questione che non si considera di importanza fondamentale.

3) Circa la ripartizione di seggi sembra che la questione, per il suo grandissimo rilievo politico, non sia ancora matura per una discussione approfondita. In sede di Comitato di Direzione dopo avere riaffermato le linee generali del nostro pensiero, si dovrà da parte nostra richiedere che venga rinviata ogni decisione ad uno stadioulteriore. È chiaro che l’atteggiamento italiano su tale argomento è strettamente collegato al problema della struttura generale degli organi ed alle attribuzioni e poteri della futura Comunità. In proposito si debbono ricordare i motivi che ci fecero a suo tempo accettare le ponderazioni per la CECA e la CED. In sede di Comunità Politica il Governo difficilmente potrebbe presentare al Parlamento un accordo che codificasse un sistema troppo discriminatorio a favore degli elettori delle piccole potenze. Al riguardo ci si rende conto dei principali aspetti del problema: la posizione francese per quanto riguarda il problema della rappresentanza dell’Unione francese; la posizione tedesca per ciò che concerne la futura rappresentanza degli elettori della Germania orientale; ed infine la rappresentanza dei piccoli paesi ed in particolare del Lussemburgo. Pur tenendo presente che sarebbe vano pretendere che si accolga il principio strettamente proporzionale, siamo d’avviso che non potrebbe riuscire accettabile per noi un sistema in cui il peso italiano fosse inferiore alla somma dei pesi dei tre paesi del Benelux.

Data perciò la complessità del problema si è ventilata la possibilità che in questa fase la questione sia affrontata dalla nostra Delegazione non in sede di dibattito in Comitato ma con un’opportuna opera di avvicinamento alle altre Delegazioni in corridoio, con particolare riguardo per la Delegazione tedesca, allo scopo di raccogliere ogni possibile utile elemento di giudizio che dovrà consigliarci sull’atteggiamento finale da assumere quando il problema dovrà essere discusso nella sede più alta.

4) Circa la questione del conglobamento delle Comunità preesistenti è stato esaminato e discusso il progetto di un documento di lavoro della Delegazione italiana predisposto dal Ministro Cavalletti. Al riguardo sono state adottate le osservazioni che hanno fatto oggetto di una comunicazione telefonica in data 26 gennaio alla Delegazione italiana in Parigi e che sono riassunte nel foglio in pari data (all. 2)(4).

5) Il Ministro Corrias ha dato infine lettura dell’appunto in data 23 gennaio (all. 3)(5) della Direzione Generale Affari Economici contenente alcune osservazioni in merito allo sviluppo dei lavori del Comitato Economico. Dopo una approfondita discussione cui ha partecipato attivamente l’On. Lombardo, ed in seguito ai chiarimenti forniti dal Ministro Corrias circa la questione dell’abolizione delle protezioni doganali, il Sottosegretario ha approvato le osservazioni contenute nell’appunto predetto, che dovrà essere utilizzato come norma di orientamento da parte della nostra Delegazione.

91 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

91 2 Redatto presumibilmente tra il 26 ed il 27 gennaio. Trasmesso da Magistrati alla Delegazione per la Commissione CPE «per opportuno orientamento» con Telespr. n. 21/0191 del 27 gennaio e da Plaja alle Direzione Generali per gli Affari Politici e per gli Affari Economici con Appunto segreto n. 21/0197, pari data.

91 3 Vedi D. 89.

91 4 Vedi D. 88, nota 4.

91 5 Appunto della DGAE, Ufficio IV per il Sottosegretario Benvenuti. Nell’informare Benvenuti di concordare con la linea espressa dai nostri rappresentanti e che i singoli problemi erano allo studio, l’Ufficio IV della DGAE aveva ritenuto opportuno segnalare «alcuni punti base per gli eventuali interventi del nostro Rappresentante in seno al Comitato di Direzione che si terrà prossimamente a Parigi: circa la “progressività” appare necessario insistere sul concetto pivolte espresso da parte italiana che non è possibile dall’inizio fissare i termini della progressione verso il mercato comune; e citanto in linea di principio, quanto in considerazione del rapido evolversi della congiuntura economica sia europea che extra-europea. Per quanto riguarda la successione delle varie misure contemplate nel rapporto di Villa Aldobrandini, appare necessario che all’abolizione delle protezioni doganali si giunga non solo gradualmente, ma come ultima e conclusiva tappa, una volta raggiunta l’abolizione di tutti gli altri ostacoli frapposti alla libera circolazione delle merci. Circa la “salvaguardia”: insistendo naturalmente sul principio, del resto già accettato alla Conferenza di Roma, appare opportuno porre in rilievo come detta salvaguardia dovrà riferirsi tanto a particolari situazioni in atto al momento della firma del Trattato, quanto a particolari situazioni che potrebbero determinarsi a seguito dello sviluppo del mercato comune e che non è oggi possibile prevedere. Circa il “coordinamento”: è uno degli aspetti pidelicati, se non il più delicato, del settore economico, investendo la essenza stessa della politica e della vita economica di ciascun Paese. Questa Direzione Generale si riserva sottoporre per il prossimo febbraio uno studio piavanzato, ma ritiene opportuno segnalare fin d’ora come appaia indispensabile dare al coordinamento, la cui necessità è in linea di massima riconosciuta da tutti, un significato che non si limiti ad un semplice accordo di principio, ma giunga a delle manifestazioni concrete e tali da assicurare una effettiva eguaglianza di condizioni allo svolgersi dell’attività economica nei vari Paesi» in DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, fasc. s.n.

92

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto segreto. Roma, 25 gennaio 1954.

In relazione alle prossime dichiarazioni programmatiche del Governo al Parlamento(2), mi permetto formulare e sottoporre a V.E. alcune considerazioni per quanto si riferisce alla questione della ratifica della CED. E cianche in relazione all’articolo a firma Pietro Nenni apparso sul «Avanti» del 24 u.s.(3).

La questione CED è oggi all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale e deiGoverni. È ben nota la posizione del Governo USA al riguardo. È anche probabile che tale questione abbia una parte importante nelle discussioni di Berlino che si aprono oggi. Non da escludersi che la ratifica olandese sia intervenuta in questi giorni proprio in vista di tali discussioni e per rinforzare la posizione degli occidentali alla vigilia di esse. Una dichiarazione da parte italiana che desse l’impressione di un passo indietro rispetto alle posizioni favorevoli precedentemente assunte potrebbe indebolire per riflesso le posizioni occidentali alla Conferenza di Berlino, così come una dichiarazione inequivoca le rafforzerebbe. Le dichiarazioni che farà il Governo italiano saranno perciò seguite con la massima attenzione. Cimi sembra sia da tener presente tanto sul piano dei rapporti est-ovest che vengono affrontati in questi giorni ad alto livello, quanto sul piano dei nostri rapporti con gli altri membri della Comunità occidentale.

Per quanto si riferisce a questo ultimo aspetto è anche da tener presente che la situazione italiana post 7 giugno, ha suscitato, proprio tra i nostri amici occidentali, perplessità e dubbi che sono riaffiorati anche in occasione della recente crisi ministeriale. Pertanto una dichiarazione governativa di minore impegno, tanto pise dovesse venire interpretata come intesa a favorire un benevolo atteggiamento da parte di un determinato settore politico notoriamente ligio alla politica sovietica, potrebbe avere ripercussioni di notevole serietà.

Concludendo, dal punto di vista della politica estera e alla luce delle considerazioni che precedono, sembra che il nostro atteggiamento debba continuare ad essere quello di pieno favore alla CED, con la riaffermazione del fermo proposito di attuarla, ponendo tuttavia in rilievo nei contatti diplomatici come le difficoltà che si incontreranno inevitabilmente anche nel nostro Parlamento saranno superabili se verrà nel frattempo risolto il problema di Trieste e normalizzata la nostra situazione alla frontiera orientale.

92 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

92 2 Atti Parlamentari Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 26 gennaio 1954, pp. 5021-5029: 5029; ivi, Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 26 gennaio 1954, pp. 2828-2837: 2837.

92 3 Vedi D. 93.

93

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. riservatissima 20/0171. Roma, 25 gennaio 1954.

Caro Ambasciatore,

altre brevissime considerazioni sulla questione CED.

Qui, si può dire per la prima volta, il problema è venuto alla ribalta dei partiti politici in previsione ed in funzione proprio della posizione che essi dovranno, nei prossimi giorni, prendere circa il Ministero Fanfani. I partiti minori democratici sono tutti apertamente «cedisti» (qualche sfumatura, a titolo condizionale, si riscontra in Saragat); il partito nenniano si è dedicato ad una posizione tattica anziché strategica in quanto, non volendo toccare la sostanza della questione, ha proclamato, per bocca del suo capo, che comunque il Governo dovrebbe «attendere la ratifica francese» prima di portare la ratifica italiana in discussione nel Parlamento e nell’opinione pubblica. Ieri lo stesso Nenni in un articolo, importante, apparso sull’«Avanti» e dal titolo «Berlino e noi», dopo aver fatto le lodi dell’atteggiamento Pella in merito alla connessione CED-Trieste, ha testualmente scritto: «Posizione, questa, ineccepibile specie per chi non è come noi contrario alla CED per ragioni di principio». Frase che, non so se volutamente, rassomiglia molto a quella dell’«ibis, redibis non»! E ciò perché, come puoi vedere, quel «come noi» può essereinterpretato negativamente o positivamente.

L’On. Lombardo, che è qui in questi giorni e che vedrà il Ministro Piccioni, conferma che il Trattato CED non può esseresoggetto, senza che cisusciti gravi complicazioni, ad alcuna rettifica nel suo testo attuale. E anche le cosidette «soluzioni di ricambio» appaiono tutte praticamente inattuabili.

E, in merito, mi ha inviato una lunga lettera.

Vedremo ora quale sarà il testo definitivo delle dichiarazioni che, in proposito, il Presidente Fanfani farà domani in Parlamento(2), premuto, come puoi facilmente immaginare, da pitendenze.

In riassunto, ho l’impressione che – a meno che, cosa che mi sembra improbabile, da Berlino dovessero giungere notizie sensazionali – nei prossimi mesi avremo qui un veramente importante dibattito sulla CED: cosa che, per molti motivi, fino ad oggi non si era verificata.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

93 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

93 2 Vedi D. 92, nota 2.

94

IL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE, PRUNAS, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 0326. Parigi, 25 gennaio 1954.

Caro Magistrati,

comprendo perfettamente le apprensioni che mi manifesti nella tua n. 20/0123 del 19 corrente(2). Ho avuto presenti tali preoccupazioni fin dall’inizio dei lavori del Comitato economico per la CPE e da esse sono stato guidato nei miei ripetuti interventi sul problema della circolazione delle persone come elemento costitutivo fondamentale del mercato comune.

Il rapporto interinale del Comitato, che ho inviato, tramite Bombassei, il 23 corrente in allegato a un mio appunto, mi sembra salvaguardare in misura sufficiente la nostra netta posizione di principio. Ho infatti ottenuto che il nostro atteggiamento fosse chiaramente precisato e che le riserve francese e lussemburghese, esistenti del resto fin dalla Conferenza di Roma, non figurassero nella parte generale del rapporto, consacrata all’enunciazione dei «principi base».

Naturalmente, le difficoltà sorgeranno e si accentueranno allorché dalla formulazione di concetti generali si dovrà passare all’esame delle modalità di applicazione. Ma a questo riguardo resta ancora da stabilire se dovrà essere il Trattato e non piuttosto gli organi della Comunità a precisare tali modalità: e questo senza voler considerare una terza ipotesi – accennata, per ora accademicamente, dai belgi – per cui la questione potrebbe essere regolata con una convenzione a parte (soluzione che a me sembra la peggiore di tutte).

Credimi, cordialmente,

tuo

Pasquale Prunas

94 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

94 2 Vedi D. 86.

95

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 290/161(2). Bruxelles, 26 gennaio 1954.

Signor Ministro,

la parola d’ordine che i rappresentanti belgi hanno avuto istruzione di sostenere prima della Conferenza di Berlino è che la CED non debba essere abbandonata in vista di ottenere delle contropartite da parte sovietica. Cicorrisponde, com’è noto, alle idee di van Zeeland il quale non soltanto è d’opinione che il rafforzamento dell’Europa occidentale sia il migliore, anzi l’unico mezzo per giungere alla possibilità di convivenza fra i due blocchi, ma che la CED possa addirittura servire di ponte per arrivare ad un sistema di mutua garanzia fra di essi.

Un punto di vista, dunque, perfettamente ortodosso. Non perche sia tale, o meglio che venga sostenuto in tale forma, sopratutto per piacere agli americani. Di tutti i paesi sotto protettorato europei, il Belgio è il più indipendente, o il meno dipendente di tutti. Questo Ambasciatore degli Stati Uniti, all’atto di riassumere il proprio posto qui, ha fatto alla radio americana una dichiarazione del seguente tenore: «Torno con gioia in una nazione che vive del proprio lavoro e dei propri mezzi, e che è l’unica a non chiedere niente alla nostra». Questa dichiarazione, così lusinghiera per questo paese, ma non altrettanto per gli altri, dà la prova dell’indipendenza che esso è relativamente riuscito a mantenere verso i padroni d’Oltre Atlantico. Del resto, qui non vi sono basi americane né spesseggiano le missioni d’oltre oceano: il che fa sì che, contrariamente a quanto accade in Francia od altrove, opinione pubblica e stampa siano più che corrette, addirittura simpatizzanti verso gli americani. I quali, proprio perché si sentono soli, come giustamente osserva l’Ambasciatore a Parigi, debbono pure realizzare che questo popolo anche se piccolo pucostituire per loro una ben accetta compagnia.

Se il Belgio continua ad essere così fedele all’idea della CED è piuttosto per altri motivi. Piesposto di altri territori, esso sa di qual valore possa essere un esercito tedesco, e sa che pure essendo ogni copertura vana, la sola che abbia qualche possibilità ritardatrice, sarà quello [sic] delle divisioni germaniche. Ma il Belgio desidera che esse siano addomesticate, e la CED sembra a tal uopo la gabbia migliore.

Inoltre, da un altro timore il Belgio è dominato: che gli americani abbiano a tornare alla strategia periferica. Nelle passate invasioni chi difese o tentdi difendere questo territorio furono sempre gli altri eserciti europei; ed oggi non si può certo contare molto su di essi, se non avranno alle costole quello degli Stati Uniti. Se la CED non verrà applicata, si teme qui, la strategia periferica, con tutti i suoi presupposti e le sue conseguenze, è sicura. Il «new-look» strategico americano non è certo ancora strategia periferica; ma ne è il prodromo ed il presupposto; e la CED viene stimata come il solo parafulmine capace di scongiurare un tale uragano.

Insistere nella CED, per il Belgio, significa rimanere sul Trattato attuale, così com’è stato firmato. Dopo il probabile fallimento della Comunità, l’eventualità pitemuta è che i francesi non abbiano a proporre dei cambiamenti. Nulla è risultato qui a tal proposito, ulteriormente a quanto ho segnalato col mio telespresso n. 101/61 dell’11 corrente(3); ma già quel poco che è trapelato circa le incertezze di Bidault ed i nuovi progetti di alcuni parlamentari francesi e del Generale Weygand è stato sufficiente ad allarmare.

Veramente, appare poco comprensibile che si preferisca rischiare di non avere affatto la Comunità di Difesa, piuttosto che averla meno completa. È che il timore della strategia periferica è tale, che si crede che essa potrebbe prodursi, per stanchezza dell’opinione americana, anche soltanto di fronte all’eventualità di nuove e certo non facili trattative.

Da cideriva, a rigor di logica, una conseguenza: che il Belgio punta sul fallimento dell’incontro di Berlino, in quanto solo tale eventualità può esserecapace di persuadere i francesi a votare la CED, così come sta. Non che alle probabilità di successo di Berlino si sia mai creduto molto; ma si è anche inconsciamente sperato e si continua a sperare che da lì sia per nascere un principio di trattativa seria da svilupparsi nel futuro.

Su quali basi? Da un lato su quella della persuasione dell’intenzione sovietica di guadagnare tempo, eventualità questa di cui si è convinti a seguito dei ragionamenti che ho accennati in un precedente rapporto; e dall’altro, sull’offerta di garanzie di sicurezza che dovrebbero vertere su una specie di compromesso fra un tipo di Locarno orientale ed il piano van Zeeland.

In conclusione: immanenza della CED, così com’è; possibilità di trattative con i soviets esplorata sino all’estremo limite; in caso di fallimento, approvazione della CED da parte di tutti, e insistenza sui progetti di garanzia reciproca. Ecco quale sembra essere il calendario belga.

Per la verità, riuscita anche parziale della Conferenza di Berlino e progresso della CED sembrano due termini inconciliabili; ma tant’è, i belgi sono, sia pur nebulosamente, persuasi o fidenti che tali termini, sotto una specie di miracolo, si possano conciliare. Comunque, la CED rimane ancora il fulcro – anche dal punto di vista dei lavori parlamentari – della politica belga. Desideravo segnalarlo come uno tra gli elementi di decisione ai fini delle conseguenze che esso potrebbe avere sull’attitudine del nostro Governo a tale riguardo.

Gradisca, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

95 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 114.

95 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» con la sigla di Piccioni e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

95 3 Vedi D. 84, nota 2.

96

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 277. Bruxelles, 26 gennaio 1954.

Caro Massimo,

grazie della tua lettera del 18 corrente(2)che riannoda un dialogo che si era affievolito ma nel quale purtroppo io ho sempre meno cose da dire. In parte perché tutti siamo ormai oggetto di politica e non pisoggetti attivi, ed in parte per la convinzione che qualunque cosa si scriva o dica non serve a nulla.

Mi domando anch’io se non convenga forzare l’approvazione della CED, analogamente a quanto sta facendo il Belgio per un complesso di motivi. Scrivo oggi un rapporto a tal riguardo(3).

Ho letto col maggior interesse la riunione del Sindacato che tu hai presieduta. Meno male. Adesso sono tranquillo, dopo aver visto che i nostri colleghi hanno trovato il rimedio alla crisi della nostra professione, crisi generale in tutti i paesi e particolare a Palazzo Chigi: l’uso rinnovato dell’uniforme.

Mandami la tua conferenza, te ne sarmolto grato.

Credimi sempre

Tuo aff.mo

Umberto

96 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

96 2 Vedi D. 84.

96 3 Vedi D. 95.

97

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. riservata 20/20(2). Parigi, 27 gennaio 1954.

Caro Ministro,

ti ringrazio molto delle tue lettere n. 21/0078 del 14 gennaio(3)e n. 20/0169 del 25 gennaio(4).

Sempre a proposito delle voci che circolano circa la possibilità che da parte francese vengano prese delle iniziative tendenti a modificare il Trattato CED onde renderlo meno difficilmente accettabile a questo Parlamento, penso che possa interessarti – per completare il quadro che avete costà della situazione – di sapere quello che è – in questo momento – il pensiero di Bruce e dei suoi collaboratori al riguardo.

Dopo maturo e approfondito esame della questione nel suo insieme e delle diverse possibili soluzioni alternative, essi – da parte loro – sono giunti alla conclusione che le trasformazioni del Trattato che potrebbero essere immaginabili sono tutte inattuabili dal punto di vista tecnico e a doppio taglio da quello politico.

Gli americani di qui pensano inoltre che, dal punto di vista parlamentare, sarebbe arduo di apportare alla CED una qualche nuova alternativa che facesse guadagnare voti da un lato senza farne perdere altrettanti, e forse più dall’altro. In altre parole essi stimano che il Trattato assicuri già ai francesi una situazione in cui hanno la botte pipiena e la moglie piubriaca possibile: ogni mutamento non potrebbe che toglier vino dalla prima a favore della seconda o viceversa ma non attribuirne loro, complessivamente, un quantitativo maggiore, con l’aggravante di rompere un equilibrio già assai penosamente raggiunto.

In questo senso Bruce, richiesto di consiglio, si è espresso con Dulles e gli ha fatto anche avere al riguardo l’accluso appunto – in realtà assai schematico e relativo ad uno solo degli aspetti dell’intricato problema ‒che dovrebbe costituire la falsariga per le conversazioni che, in margine alla Conferenza di Berlino, il Segretario di Stato sarà per avere con Bidault in tema di ratifica francese della CED.

Con affettuoso e devoto animo, credimi

sempre tuo

Giorgio Bombassei

Allegato

Appunto.

The United States Government is firmly opposed to any modification of the present text of the EDC Treaty or to any other suggestion which would lead to new negotiations between the six governments and in NATO.

In connection with the negotiations on the protocols requested by the French Government, the French Government through its Foreign Minister gave a clear and explicit commitment at Rome in February 1953, later confirmed by its representative to the Interim Committee, that it would not ask for any changes in the present text of the EDC Treaty; that it would not request any additional protocols, even «interpretative», before submitting the present text of the EDC Treaty to the Assembly for approval; and that it believed the interpretative protocols obtained from its EDC partners would enable it to obtain favorable action from the Assembly.

This firm commitment was undertaken at the insistence of France’s Treaty partners as a precondition to their parliamentary action on the Treaty; it has been officially reiterated to them and to the United States on several subsequent occasions during the Mayer and the Laniel Governments. It is on the basis of this commitment that the German, Dutch and Belgian Governments have initiated and virtually completed parliamentary action on the Treaty, that the Italian and Luxembourg Governments have started their parliamentary action, and that the United States and the United Kingdom have undertaken negotiations with the six countries on related questions. Moreover, on the basis of the understanding reached with the French Government, all of France’s partners have refrained from making any proposals themselves.

If the French Government breaks this commitment, it would be tantamount to a rejection of the EDC Treaty. The United States, the United Kingdom and the other interested countries, as well as the other EDC countries, would then be forced to reconsider their present policies with regard to European and North Atlantic Treaty defense.

97 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

97 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

97 3 Vedi D. 79.

97 4 Con essa, Magistrati si limitava ad informare Bombassei di aver avuto una lunga conversazione con Lombardo sulla CED «che comincia ad essere la discussione “di moda” in Italia dopo un lungo periodo di silenzi o semi-silenzi» e di non sapere ancora se Benvenuti si sarebbe potuto recare a Parigi per la Commissione per la CPE (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110).

98

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. segreta 20/0210. Roma, 28 gennaio 1954.

Caro Ambasciatore,

entro domani la sorte del Gabinetto Fanfani sarà, penso, segnata e ci troveremo quindi a navigare nuovamente in piena crisi. Non ti nego che, per il nostro lavoro, tutto ciò è non poco pesante.

Ma passiamo ad altro. Ho sott’occhio la tua n. 94 del 23 gennaio(2), diretta all’amico Vittorio e nella quale hai precisato e fissato il collegamento CED-CPE, alla luce della situazione francese.

Premesso che anche a noi risulta da più parti come gli Americani – sempre nell’eventualità che un giorno la CED dovesse essere ratificata a Parigi – penserebbero di dare vita alla Comunità anche senza di noi, concordo, in riassunto, nel pensare che sarebbe, oggi, oltremodo complesso e contro-producente (e vorrei dire «strano» data questa nostra attuale situazione governativa) avanzare nostre proposte dirette a modificare sostanzialmente il Trattato che firmammo nel maggio 1952. Troppe sarebbero le interpretazioni altrui ed il tutto finirebbe per rivolgersi ai nostri danni. Estremamente utile, invece, appare la tua azione diretta a misurare, in sede competente il metro degli atteggiamenti e degli intendimenti francesi, in modo da tempestivamente fornirci, come stai facendo, gli elementi per conoscere l’andamento della questione. Abbiamo avuto qui Lombardo per alcuni giorni ed egli ha visto – sempre in tema CED – De Gasperi, Fanfani e Piccioni e potrà fornirti giudizi ed impressioni di prima mano. Avrai, inoltre, visto come, nelle sue dichiarazioni al Parlamento(3), Fanfani abbia finito per disgiungere – a differenza delle precedenti impostazioni Pella ed anche De Gasperi – il problema della ratifica CED da quello di Trieste. Effettivamente, a mio modo di vedere, l’evoluzione delle cose e dei tempi consigliano la disgiunzione stessa.

Quanto al Parlamento mi sembra di scorgere un netto orientamento CED nei democristiani, nei repubblicani, nei liberali ed in alcuni dei saragattiani, mentre contrari sono, naturalmente, i comunisti appoggiati, entro certi limiti tattici di tempo, dai nenniani. I monarchici continuano a non mostrare una ostilità preconcetta, mentre maggiori e piprofonde sono le riserve missine.

Quello che ci preoccupa non poco è il fatto che, mentre in Francia, qualora veramente il Governo dovesse decidere la presentazione del Trattato al Parlamento, una decisione potrebbe essere presa in brevi settimane, da noi la procedura parlamentare, qualora avviata, comporterebbe lunghi mesi di discussioni nelle Commissioni ed in aula, anche nell’ipotesi piottimista e cioè quella della mancanza di un vero e proprio ostruzionismo parlamentare da parte dei comunisti. In altre parole il «prossimamente» annunciato da Fanfani dovrebbe veramente essere seguito da qualche atto effettivo perché, altrimenti, non soltanto rischieremmo di rimanere nel vagone di coda ma potremmo anche trovarci fermi sul marciapiede della stazione senza poter salire sul convoglio(4).

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

98 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

98 2 Vedi D. 90.

98 3 Vedi D. 92, nota 2.

98 4 Per la risposta vedi D. 100.

99

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 10/73(2). Parigi, 30 gennaio 1954.

Oggetto: Commissione Costituzionale per la Comunità Politica Europea. Lavori del Comitato di Direzione.

Il Comitato di Direzione ha concluso ieri, dopo due giornate di dibattiti, i suoi lavori nel corso dei quali ha esaminato i rapporti interinali preparati, rispettivamente, dai Comitati Istituzionale, Economico ed Elettorale, ha preso alcune decisioni ed ha impartito direttive ai Comitati di esperti al fine del proseguimento dei loro lavori(3).

Riassumo qui di seguito i punti principali che sono stati esaminati nel corso dei dibattiti.

1) Legge Elettorale.

a) Il Comitato si è lungamente soffermato sulla questione della opportunità di inserire nel Trattato una clausola che permetta a ciascuno degli Stati membri di autorizzare i cittadini degli altri Stati di esercitare il diritto di voto sul proprio territorio (v. pag. 4 del rapporto del Comitato Elettorale).

Mentre le delegazioni belga, olandese e tedesca si pronunciavano a favore di una disposizione del genere, che, come è noto, era stata suggerita da parte nostra, la delegazione francese ha mantenuto la propria posizione ‒motivandola col fatto che la Francia, paese di immigrazione, desiderava evitare che in alcune sue circoscrizioni le votazioni venissero influenzate da vaste aliquote di elettori stranieri ‒ed ha chiesto che pertanto non venisse modificato il testo del rapporto succitato. La delegazione lussemburghese ha aderito alla posizione francese.

È stato deciso di rinviare la questione al Comitato Elettorale al fine di un piapprofondito studio di essa. Dovrà, fra l’altro, essere studiata la possibilità che cittadini di uno dei sei Paesi residenti in un altro di essi votino nella loro circoscrizione d’origine per corrispondenza o per il tramite delle rispettive autorità diplomatiche o consolari.

b) Si è iniziato successivamente l’esame del delicato problema dei principi generali comuni relativi al sistema elettorale.

Il Presidente van Starkenborgh, parlando nella sua qualità di delegato olandese ha esposto la nota tesi del suo Governo, secondo la quale l’elezione di una Camera europea a suffragio universale diretto sarebbe logicamente ammissibile solo nel caso in cui fosse contemporaneamente adottato da tutti gli Stati un sistema elettorale ispirato ad uno stesso principio, che permettesse a tutte le principali correnti politiche di farsi equamente rappresentare in seno all’Assemblea europea. Il sistema che, meglio d’ogni altro, permetterebbe la costituzione di una Camera che fosse specchio fedele della opinione pubblica della Comunità è ‒a parere del Governo dell’Aja ‒quello proporzionale.

La delegazione francese si è opposta alla adozione di un principio troppo rigido, mettendo in rilievo i pericoli dell’uniformità in simile materia, dato la diversità delle situazioni esistenti nei singoli Stati, ed ha fatto presente come l’aspetto squisitamente politico del problema, consigliasse soluzioni elastiche.

Da parte italiana si è tenuto un atteggiamento analogo, per quanto pisfumato, e si è comunque rilevata la correlazione della questione con quella della adozione del principio proporzionalistico per la ripartizione dei seggi in seno alla Camera.

A richiesta di alcune delegazioni è stato precisato che l’eventuale adozione del sistema proporzionale in materia elettorale non avrebbe escluso gli apparentamenti di lista, pur non permettendo la concessione di un premio alla lista, o gruppo di liste, che avessero raccolto il maggior numero di voti.

Il Comitato ha adottato il testo di cui agli allegati I e, con alcune modifiche, II del citato rapporto del Comitato Elettorale. Le modifiche di cui all’allegato II consistono nella sostituzione, alla terza riga, della parola «proportionnelle» a quelle «efficace et équitable» e con la soppressione delle parole da «sans négliger» fino alla fine. Non è stato perdeciso se la detta formula debba avere carattere obbligatorio o se debba considerarsi solo una raccomandazione non vincolante. Conformemente ad una proposta della delegazione tedesca, la questione è stata rinviata allo studio del Comitato Elettorale, che dovrà cercare una soluzione di conciliazione che possa raccogliere l’adesione di tutte le delegazioni. La divergenza di fondo è stata quindi trasferita sul terreno della obbligatorietà o meno delle norme che saranno stabilite.

c) Il Comitato ha deciso di porre ai parlamentari alcune domande circa i principi ai quali si è ispirata l’Assemblea ad Hoc quando ha previsto che fino all’adozione di una legge unica sui principi elettorali, le elezioni alla Camera dei Popoli avrebbero avuto luogo sul territorio di ogni Stato membro con lo scrutinio proporzionale con facoltà di apparentamento fra le liste; sul significato dei termini «facoltà di apparentamento» e sui sistemi elettorali che siano stati eventualmente preconizzati nel corso dei lavori dell’Assemblea stessa.

2) Creazione di un Comitato per il Bilancio.

Il Comitato ha esaminato l’opportunità di procedere alla creazione di uno speciale Comitato per l’esame dei principi relativi al bilancio della Comunità che dovrebbero essere inseriti nel Trattato, giungendo alla conclusione che la creazione di un Comitato del genere era per il momento prematura e che la questione avrebbe dovuto essere riesaminata nel corso della sessione del Comitato di Direzione del 22 febbraio p.v.

3) Rapporto Comitato Istituzionale.

La discussione sul rapporto del succitato Comitato si è aperta con un notevole intervento del sostituto tedesco, Hallstein, che ha chiarito l’atteggiamento della propria delegazione nel corso dei lavori degli esperti. Le proposte tedesche, che erano potute sembrare timide in quanto accentuavano il carattere confederale della costituenda Comunità, miravano essenzialmente e parallelamente ad ottenere che venissero attribuite alla stessa le competenze piestese possibili.

Il Comitato è passato poi all’esame dei singoli problemi esaminati dal Comitato Istituzionale.

a) Camera dei Popoli: Da parte tedesca è stato sottolineato che la struttura della

Camera dei Popoli ‒qual è prevista nel rapporto segna un limite minimo e che sarebbe

impossibile limitarne maggiormente i poteri, collegandone l’esercizio a numerosi controlli del Consiglio dei Ministri e della Camera Alta, nonché limitando la durata delle sessioni ordinarie e la possibilità di convocare delle sessioni straordinarie.

Per quanto riguarda le relazioni fra la Camera dei Popoli e l’organo supranazionale, le varie delegazioni hanno ribadito il punto di vista che avevano sostenuto in sede di Comitato Istituzionale, per quanto concerne l’investitura dell’Esecutivo europeo e l’adozione di una mozione di censura nei confronti dell’Esecutivo stesso. È stato deciso di rinviare all’esame del Comitato Istituzionale tale questione come pure quelle delle supplenze dei deputati nominati membri dell’Esecutivo, della durata delle sessioni ordinarie e della convocazione di quelle straordinarie. In ordine a tale ultimo punto, il Comitato Istituzionale è stato incaricato di fare uno studio sulla prassi parlamentare dei singoli Stati.

Lo stesso Comitato è stato incaricato di approfondire l’esame della questione della partecipazione del Consiglio dei Ministri ai lavori delle Commissioni della Camera. A questo proposito è stata prospettata, da parte italiana, l’opportunità di aspettare la soluzione dell’analogo problema che si è posto all’Assemblea Comune, circa la partecipazione del Consiglio dei Ministri ai lavori delle Commissioni dell’Assemblea Comune.

La delegazione tedesca, da parte sua, ha ricordato che il Comitato Istituzionale avrebbe dovuto studiare anche la questione della partecipazione dei Ministri ai lavori delle Commissioni della Camera Alta.

Il Comitato di Direzione ha anche deciso di porre ai Parlamentari, alcune domande circa i principi ai quali si è ispirato il sistema delle incompatibilità previsto all’art. 20 del progetto di Strasburgo; sulla durata delle sessioni ordinarie e la convocazione di quelle straordinarie ed infine sul problema dell’investitura dell’Esecutivo europeo come pure sulle possibilità, da parte dei due rami del Parlamento, di adottare una mozione di censura nei confronti dell’Esecutivo stesso.

b) Consiglio dei Ministri: La delegazione tedesca ha rilevato che dovrebbe essere limitato l’intervento del Consiglio dei Ministri nell’attività dell’Esecutivo europeo, in particolare sotto forma di direttive onde evitare che lo stesso assuma il carattere di un organo amministrativo.

c) Camera Alta: Le singole delegazioni hanno nuovamente esposto le loro opinioni in merito.

La delegazione belga si è dichiarata favorevole al Senato eletto paritario, aggiungendo perche considerava la nota proposta franco-tedesca circa la procedura legislativa un’utile base di discussione per il proseguimento dei lavori.

La delegazione tedesca ha fatto presente che la sua proposta si prefiggeva lo scopo di giungere alla realizzazione di un accordo sull’argomento. Tuttavia essa non si nascondeva gli svantaggi di tale soluzione che, non permettendo un collegamento organico fra il Parlamento europeo e quelli nazionali, può portare ad un antagonismo fra queste Assemblee ed alla nascita di uno spirito nazionalistico e separatista.

Essa‒pur mantenendo la sua tesi di base ‒ha quindi proposto il rinvio della questione al Comitato Istituzionale, affinché quest’ultimo cerchi di risolvere il problema del collegamento fra gli organi legislativi nazionali e quello supranazionale.

La delegazione italiana ha insistito sulla necessità ‒per le note ragioni ‒dell’adozione di un Senato eletto, facendo presente che una tale forma di composizione del Senato le appariva indispensabile per assicurare la realizzazione della Comunità e la sua democraticità; ha quindi aggiunto che conseguentemente non avrebbe potuto partecipare a delle discussioni che prendessero come base la proposta franco-tedesca.

La delegazione dei Paesi Bassi ha ricordato che il Governo olandese era sempre favorevole ad un Senato di composizione elettiva. Tuttavia, dato il carattere dei lavori dei Comitati che si limitavano a studiare le varie proposte avanzate, riteneva opportuno che il Comitato Istituzionale riesaminasse la proposta franco-tedesca cercando di modificarla in modo da superare le obiezioni che erano state avanzate.

La delegazione francese ha fatto presente che si rendeva conto della gravità delle obiezioni che erano state sollevate da parte italiana e tedesca. Tuttavia, fra la necessità di garantire il collegamento fra gli organi legislativi nazionali e sopranazionali e quella di assicurare l’equilibrio fra i poteri dei singoli Stati e quello della Comunità Politica, si riteneva, da parte francese, prevalente l’interesse di risolvere in modo soddisfacente quest’ultimo problema.

Per assicurare l’auspicato collegamento fra le Assemblee nazionali e quella sopranazionale, della cui utilità si era, peraltro, pienamente convinti da parte francese, Parodi ha suggerito che i deputati europei venissero in parte eletti a suffragio diretto ed in parte dai rispettivi parlamenti nazionali.

È stato deciso di rinviare la questione allo studio del Comitato istituzionale al quale la delegazione tedesca si è riservata di presentare un sistema più completo che permettesse i collegamenti desiderati.

d) Conglobamento. Il Comitato ha approvato il testo del rapporto che gli è stato sottoposto per quanto concerne la questione del conglobamento degli Esecutivi delle varie Comunità sopranazionali.

La delegazione francese ha fatto presente che si opponeva a che il Commissariato venisse sottoposto al controllo dell’Esecutivo supranazionale sin dalla creazione di quest’ultimo. Tuttavia, essa avrebbe accettato che, in un momento successivo, tale potere di controllo fosse attribuito all’Esecutivo europeo.

La questione è stata rinviata allo studio del Comitato Istituzionale al fine di esaminare la possibilità di giungere ad una formulazione che raccogliesse i consensi di tutte le delegazioni.

4) Esame del rapporto del Comitato Economico.

Il delegato olandese ha iniziato la discussione, ribadendo l’interesse del proprio Governo all’attribuzione di competenze economiche alla Comunità europea, che considerava condizione essenziale per la costituzione della Comunità Politica.

In particolare la delegazione olandese annetteva importanza ad una sollecita realizzazione di un’unione doganale ‒e qui Starkenborgh ha ricordato il noto progetto del suo Governo ‒che avrebbe permesso una più sollecita realizzazione del mercato comune. Ciò premesso, essa era aperta alla discussione di qualsiasi concreta proposta che fosse presentata da altre delegazioni per la soluzione dei suddetti come di altri problemi inerenti all’istituenda Comunità.

Il delegato tedesco ha fatto presente che la questione ‒nel suo complesso ‒aveva fatto dei progressi rispetto ai risultati conseguiti a Roma. Naturalmente rimanevano ancora numerosissime e gravissime difficoltà da superare; né poteva essere diversamente allo stadio attuale delle economie nazionali, ognuna delle quali costituisce un sistema autonomo diviso dagli altri. A parere della delegazione tedesca il problema doveva essere ulteriormente approfondito nei suoi singoli elementi, e la soluzione adottata doveva tenere conto dei vari fattori.

La delegazione francese ha chiarito l’importanza dell’integrazione economica ai fini dell’unificazione dell’Europa. Essa ha sottolineato che non bisognava, per sottovalutare i progressi conseguiti nel campo pistrettamente politico, che avevano contribuito in notevole misura a porre i presupposti per l’auspicata unificazione economica. Da parte francese si doveva fare presente la difficoltà dell’abolizione delle barriere doganali dato le strutture economiche di alcuni paesi, fra i quali la Francia, ed il pericolo che gravi perturbamenti economici causati dall’unificazione dei mercati

avrebbero costretto il Governo francese ‒sotto la spinta dell’opinione pubblica ‒a

rinviare «sine die» l’unificazione stessa.

In particolare, la Francia aveva una sensibilità estrema nei riguardi della questione della liberalizzazione del movimento delle persone, in quanto, dato che essa è Paese di immigrazione, un troppo rapido afflusso di immigranti potrebbe pregiudicare la compagine nazionale e rischierebbe quindi di provocare una reazione psicologica che finirebbe col silurare l’unificazione.

Il delegato francese, inoltre, non ha mancato di rievocare il noto atteggiamento di principio del suo Governo in materia delle competenze e dei poteri dell’istituenda Comunità. Egli è giunto a domandarsi, a questo punto, se fosse utile che i lavori del Comitato Economico proseguissero addentrandosi nell’esame di problemi che non rientravano nelle prospettive accettate da parte francese.

L’intervento di altri delegati, che hanno insistito affinché la Francia continuasse a collaborare all’attività del Comitato Economico su un piano, per il momento, meramente di indagine e di studio in vista di certe ipotesi, ha tuttavia ottenuto l’adesione del Sig. Parodi.

A proposito della liberalizzazione del movimento delle persone è stato chiesto alla

delegazione italiana ‒che tanta importanza annette alla questione ‒di presentare in

sede di Comitato Economico un documento che meglio precisi il suo pensiero sull’argomento e che possa costituire una base di più approfondita discussione. La delegazione italiana si è riservata di presentare un memorandum al riguardo(4).

Da parte nostra, si è riconosciuta la necessità di procedere con prudenza in un settore così delicato come quello economico, nel quale passi falsi produrrebbero inevitabilmente reazioni pericolose per la causa dell’unificazione europea. Tuttavia è necessario che vengano accettati da tutti alcuni sacrifici per la realizzazione dello scopo comune.

Il Comitato ha deciso di non iniziare una discussione sul quesito postogli dal Comitato Economico circa il carattere che dovrebbe assumere la parte economica del Trattato, ritenendo che la questione potrebbe essere definita unicamente a livello Ministri ed ha dato incarico, su proposta tedesca, al Comitato Economico di approfondire lo studio di certi argomenti che meritano un piaccurato esame: in particolare la libertà di movimento delle persone e dei capitali; il concetto di «concorrenza sleale»; le incidenze pratiche dell’unificazione; il coordinamento delle politiche sociale, economica e finanziaria; le relazioni fra il mercato comune ed i Paesi Terzi; il sistema di salvaguardia e le fasi progressive che devono portare all’unificazione.

Il Comitato di Direzione ha, infine, approvato il testo di un breve questionario composto di tre domande (v. doc. CCP/CE/doc. 13, di cui si allegano 6 esemplari) che il Comitato Economico ha elaborato perché siano sottoposte al gruppo di lavoro dell’Assemblea ad Hoc.

Nella discussione che ha avuto luogo in precedenza al Comitato Economico in merito alla formulazione delle domande stesse, il delegato belga aveva suggerito un quarto quesito, in cui, in sostanza, si chiedeva che i parlamentari si pronunciassero circa l’esatto significato da loro attribuito all’espressione «libera circolazione delle persone».

Pesato il pro e il contro, Prunas si è opposto a che il problema venisse prospettato in tali termini, in quanto gli è apparso pericoloso, data la nostra posizione di principio al riguardo, che la libera circolazione delle persone fosse oggetto di un esame particolare ed isolato dall’insieme degli elementi costitutivi del mercato comune. Egli ha quindi dichiarato che avrebbe potuto approvare unicamente un quesito che comprendesse, senza discriminazioni od esclusioni, le quattro libertà, pur rendendosi conto della complessità di una domanda del genere. In conclusione, visto il fermo atteggiamento italiano, il Comitato ha rinunciato a porre il quesito in argomento.

5) Prossime sessioni dei vari Comitati. Il Comitato di Direzione ha deciso di tenere due nuove sessioni: una dal 22 al 25

febbraio p.v. ‒nel corso della quale verranno presi contatti con il gruppo di lavoro dell’Assemblea «ad Hoc» al quale verranno sottoposte le questioni suindicate ‒ed

un’altra, dall’8 al 10 marzo p.v. durante la quale sarà esaminato il rapporto che dovrà

essere sottoposto ai Ministri.

I Comitati tecnici riprenderanno i loro lavori 1’8 febbraio p.v.

Mi riservo di trasmettere il verbale delle sedute del Comitato in oggetto e gli altri documenti da esso adottati, non appena verranno diramati dal Segretariato.

Come potrà essere rilevato, dalle note riassuntive che precedono nonché, ulteriormente, dai documenti che sono in corso di preparazione presso il Segretariato, le posizioni delle varie delegazioni in merito alle questioni più difficili e controverse sono rimaste, sostanzialmente, immutate rispetto a quelle che erano già state assunte dai rappresentanti nazionali e diversi Comitati tecnici. Pertanto la discussione più approfondita di esse ha dovuto esser nuovamente rinviata a questi ultimi Comitati, nella speranza che possa essere trovata qualche formula che avvicini i divergenti punti di vista.

Sarebbe al riguardo assai utile che la delegazione italiana potesse ricevere tempe

stivamente quelle indicazioni che ‒sulla base degli elementi sinora emersi ‒codesto

Ministero ritenesse opportuno inviare onde poterne trarre guida nel corso dei lavori che verranno svolti fino alla prossima riunione del Comitato di Direzione(5).

99 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

99 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

99 3 Su questa riunione riferì anche Cavalletti: vedi le conclusioni che egli ne trasse al D. 104, nota 3.

99 4 Vedi D. 121.

99 5 Vedi D. 105.

100

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. segreta 0163(2). Parigi, 2 febbraio 1954.

Caro Massimo,

grazie della tua lettera n. 20/0210 del 18 gennaio(3). Sono contento di sapere che siamo tutti d’accordo circa l’opportunità di non presentare delle eventuali proposte italiane di revisione: mi interesserebbe di sapere se almeno voi siete anche d’accordo, o no, sull’accettare delle eventuali proposte francesi di modifica.

So che Lombardo, come del resto tutti quelli che hanno preso parte alla redazione del Trattato, sono contrari a qualsiasi modifica: il che del resto è anche spiegabile. Resto tuttavia della mia opinione: che se delle modifiche sono necessarie perché passi davanti al Parlamento francese, bisognerà pure accettarle. Ma questo è un argomento del domani.

Condivido con te le apprensioni circa la durata del dibattito al Parlamento italiano, tanto più che tutto fa ritenere, specie in caso di scacco della Conferenza di Berlino – che potrebbe sollecitare una decisione francese – che ci sarà da parte dei nostri sinistri un ostruzionismo non meno violento di quello che abbiamo avuto per la legge elettorale: ostruzionismo che del resto, secondo me, attraverso la legge elettorale mirava appunto a rendere più difficile, se non impossibile, la ratifica della CED.

È strano come da noi non ci si sia resi conto, e forse non ce se ne rende ancora conto in parte, dell’assoluta opposizione comunista alla CED. Era del resto, questa, non una delle ultime ragioni per cui, prima delle elezioni, consigliavo all’allora nostro Presidente una certa calma in argomento.

In ogni modo qui, se si andrà alla ratifica, ci si vorrebbe andare dando al dibattito un aspetto di fronte anticomunista – ed è questo l’argomento più fortein favore di qualche modifica che permetta di allargare questo fronte. Anche da noi, se si vuole veramente mettere in moto la macchina, bisognerà dare a questa ratifica un aspetto di fronte anticomunista: e sotto questo punto di vista potrà anche essere un bene, perché potrà servire non solo a chiarire certe posizioni, ma anche a rompere molti ponti fra comunisti e non comunisti che tanto scompigliano la nostra vita politica.

Ma bisogna far presto: altrimenti rischiamo che alla CED si arrivi senza di noie che la nostra ratifica perda qualsiasi suo valore.

Non ho scritto ufficialmente sull’argomento perché, in assenza di un Ministro, è fatica sprecata: mi riservo di farlo quando la crisi sarà, sia pure temporaneamente, risolta.

Incidentalmente ti informo che Parodi, nell’ultima conversazione avuta con me, si è lagnato del fatto che, insieme all’olandese, la delegazione italiana sia stata, in seno alla CEP, la piviolenta a spingere per l’integrazione economica, lasciando la Francia completamente isolata. Mi ha detto che da parte francese si è disposti a fare tutto quello che vogliamo, se si tratta di studiare quello che ci sarebbe da fare per creare le premesse di un’integrazione economica – si ritorna alla vexata quaestio dei carichi fiscali, di assistenza sociale, ecc. –, ma che non si puammettere che si dia una qualsiasi competenza in materia economica sia all’Assemblea sia agli organi sopranazionali. Tieni presente, a questo riguardo, quello che ho già scritto a Zoppi: che cioè, adesso, la CEP rischia di rendere ancora più difficile il passaggio della CED al Parlamento francese(4).

Credimi sempre

Tuo aff.mo

P. Quaroni

100 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

100 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi; reca inoltre l’annotazione con la sigla di Magistrati: «Visto da S. E. Benvenuti, Del Balzo. A me».

100 3 In realtà del 28 gennaio. Vedi D. 98.

100 4 Vedi D. 90. Per il seguito vedi DD. 102 e 107.

101

IL MINISTRO A L’AJA, CARUSO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 351. L’Aja, 2 febbraio 1954.

Caro Massimo,

rispondo subito alla tua n. 20/0207 del 18 gennaio [recte: 28 gennaio], giuntami con questo stesso corriere, per dirti che ero sicuro che avreste rilevato le osservazioni finali del mio rapporto n. 194/67 del 15 gennaio u.s., circa la questione del mercato comune(2).

In relazione a quanto ebbi a riferire ti accludo copia di un riassunto in francese del dibattito che si ebbe alla Camera il 16 e 17 dicembre u.s.(4) e delle dichiarazioni che vi fecero Beyen ed altri: esse sono sintomatiche.

Era già mia convinzione che una evoluzione del genere sarebbe stata inevitabile e tu ricorderai che ebbi già a fartene cenno.

Vi è stato indubbiamente anche un po’ il desiderio di non spaventare troppo i francesi e quello forse ancora maggiore di essere di fronte agli americani integralmente «i primi della classe», in materia di Comunità europea, ma secondo me l’evoluzione è effettiva e ne ho avuto conferma da fonte molto attendibile, per quanto il Ministero degli Esteri abbia cercato in questi ultimi tempi di mettere un po’ d’acqua nel vino.

Le riserve che da parte di qualcuno ancora vengono fatte – salvo imprevisti – verrebbero secondo me soltanto avanzate nell’intento di tirar fuori in materia tutto quello che sarà possibile, facendo pesare e dosando opportunamente le concessioni che potrebbero essere fatte sulla rigida impostazione iniziale, in modo di poterle negoziare.

Come già ti dissi tutto mi lascia ritenere – almeno per ora, salvo un imprevedibile sopravvento di certi laburisti e la eventualità che la parte economica minacciasse di ridursi a poco più di zero – che se la Comunità Europea stesse per venire alla luce, non saranno certo gli Olandesi i responsabili di un «procurato aborto».

Credimi sempre, con molti cari saluti

tuo aff.mo

C. Caruso

101 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

101 2 Recte: del 19 gennaio. Caruso aveva concluso il rapporto nella maniera seguente: «Nel complesso per quanto non vi siano dubbi sulla loro approvazione definitiva anche da parte del Senato, gli accordi per la Comunità di difesa hanno riscaldato un po’ pila Camera Alta di quanto non riscaldarono la Camera Bassa. Di particolare interesse sono stati in quest’ultima le discussioni in materia di politica estera, che si sono avute negli ultimi giorni dell’anno. Tali discussioni hanno posto in vista: 1) che buona parte dell’opinione pubblica olandese pur plaudendo all’idea del “mercato comune” non gradirebbe che questa potesse comunque compromettere la formazione di un Comunità Politica Europea; 2) che il Governo olandese ha propositi meno rigidi al riguardo e non condiziona quest’ultima in maniera categorica alla istituzione di un “mercato comune” facendo comprendere che basterebbe l’affermazione e l’accettazione dei principi base per la costituzione di detto mercato e mostrando di essere pronto ad accogliere un concetto anche piampio di “comunità economica”» in DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, fasc. s.n. Nel rispondergli, Magistrati aveva commentato: «una flessione della posizione olandese rispetto alla linea rigida finora mantenuta in proposito rappresenterebbe un’evoluzione del massimo interesse» (ibidem).

101 4 Non pubblicato.

102

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. riservata 0176. Parigi, 4 febbraio 1954.

Caro Zoppi,

sempre a titolo sondaggi, ritengo interessante informarti delle idee di Guy Mollet poiché è molto dal Partito socialista che dipende la possibilità o meno di ratifica. Al comitato politico del Partito Socialista c’è un 25% (il gruppo Jules Moch e Daniel Mayer) che è irrimediabilmente contro, un 25% decisamente a favore (il gruppo André Philippe e Gouin), il restante 50%, che è il gruppo Mollet, favorevole a tre condizioni:

1) garanzia americana: su questo punto Mollet ritiene che si arriverà a qualche cosa di soddisfacente;

2) una certa associazione inglese: non è pessimista al riguardo;

3) una autorità politica.

Guy Mollet è contrario alla comunità politica, in quanto intesa come preludio alla comunità economica: se fosse olandese, sarebbe anche lui favorevole: l’Olanda ha fatto uno sforzo immenso, e riuscito, di riadattamento della sua economia, e puaffrontare la libera concorrenza. Se la Francia lo avesse fatto, potrebbe accettare la posizione olandese: non lo ha fatto, e quindi non lo pufare. Secondo lui – e non sono sicuro che non abbia ragione – le stesse ragioni che valgono per la Francia dovrebbero valere anche per l’Italia. Comunque è questa una estensione di cui, davanti al Parlamento francese, non si può nemmeno parlare.

È favorevole invece ad una autorità politica la quale, per ora, dovrebbe limitarsi a «coiffer» la CECA e la CED. Il difetto dell’attuale organizzazione CECA e CED è che, di fatto, l’Alta Autorità e il futuro Alto Commissariato sono al di fuori di ogni controllo democratico. Lo vediamo in pratica nel caso della CECA: né l’Assemblea né il Consiglio dei Ministri possono avere nessuna influenza effettiva sull’azione dell’autorità sopranazionale. Per il Consiglio dei Ministri si può dire, entro certi limiti, che questo è condizione del principio di sopranazionalità. Ma lo stesso non vale per l’Assemblea. Se a rigore questo lo si puammettere per la CECA, non lo si puammettere per la CED. Si è lavorato tanto, in tutti i nostri paesi, per sottomettere i militari al potere civile, ed ora, sotto la veste sopranazionale, si toglie qualsiasi controllo ai militari. Il Commissariato deve essere sottoposto ad un controllo democratico dell’Assemblea, come qualunque dei nostri Governi. È l’unico mezzo per evitare un nuovo team di tecnocrati, come alla CECA.

Per questo Mollet sarebbe favorevole, senza farne una questione sine qua non, a che nell’Autorità politica europea (e quindi per CECA e CED) il Consiglio dei Ministri fosse composto non dai Ministri della Difesa, troppo influenzati dai loro militari, ma dai Presidenti del Consiglio.

Circa l’Assemblea, egli è personalmente favorevole ad una Assemblea eletta al suffragio universale diretto, ma non tutto il Parlamento, nel suo settore non contrario, è maturo per accettare questa idea: bisogna sopratutto tener conto di Pinay che vi è contrario. Bisognerebbe quindi rimandare ad un secondo tempo l’elezione diretta e, almeno per la prima assemblea, contentarsi di una assemblea eletta dai Parlamenti.

Accettando una Autorità politica di questo tipo, si verrebbe di fatto a modificare il trattato CED, in una parte perche non intaccherebbe il suo carattere sopranazionale: non sarebbe una modifica vera e propria, sarebbe una cosa nuova e basterebbe, passando l’Autorità politica, dire che i trattati CECA e CED sono modificati in tutte le loro disposizioni che differiscono dalle decisioni prese per l’Autorità Politica.

Se queste sue idee vengono accettate, Mollet farebbe approvare la CED dal comitato politico del Partito, decidere di non accordare la libertà di voto, ed escludere dal Partito chi non si sottomette. In questo caso sarebbe sicuro di avere 90 voti socialisti in favore, invece dei 50-60 su cui comunque ritiene di poter contare oggi.

Per quanto riguarda il Partito Socialista, effettivamente quello che fin qui Guy Mollet mi ha detto – faccio qualche riserva sull’esattezza delle percentuali – è quello che lui sta cercando di fare. Gli avversari della CED ne sono preoccupati perché temono che riesca e cercano di opporvisi mobilitando Auriol e facendone un candidato alla Segreteria del Partito. È in fondo, la lotta fra i socialisti meridionali – meno Marsiglia

– che sono socialisti elettoralisti, ed i socialisti del Nord, che sono socialisti militanti. Come andrà a finire la lotta, non te lo so dire: certo perche se trionfa Auriol, allora le chances della CED diventano minime, per non dire nessune. In quanto siamo a favore della CED, dovremmo quindi desiderare che vinca Guy Mollet.

Con molta franchezza Guy Mollet mi ha detto:

Sui punti 1° e 2° voi non potete fare molto: sul punto 3° potreste aiutarmi moltissimo. Accettate di rimandare ad un futuro la Comunità Politica: sul terreno economico l’Assemblea avrebbe tutte le possibilità di fare studi, proposte, mozioni: basta che non abbia la possibilità di prendere delle decisioni. Accettate l’idea della sola Autorità Politica e presentate voi un progetto concreto, nel senso da me suggerito, alla prossima riunione di fine febbraio. Avrete il merito di aver fatto uscire la conferenza politica dall’attuale impasse: con un progetto di questo genere la CED ha il 70% di chances di passare davanti al Parlamento francese.

Ti giro la proposta.

Resta a vedere quale sarà il risultato finale dei sondaggi Laniel, e come evolve il Parlamento francese. In altri settori ho, fino ad ora, trovato tutti convinti della necessità dei punti 1° e 2°: quanto al punto 3°, molti favorevoli, alcuni dubbiosi, non sull’opportunità della proposta – il problema della mancanza di controllo dell’autorità sopranazionale, in seguito ad alcuni recenti avvenimenti CECA, è sentito da tutti – ma sulla portata dell’effetto che essa purealmente avere sui voti che bisogna guadagnare alla CED.

Comunque mi sembra che sarebbe bene che noi studiassimo questa idea in pratica e dal punto di vista nostro, in modo che in caso, essa non ci colga impreparati e che si abbia la possibilità, in caso, sia di farne realmente una proposta nostra, od una proposta anglo(2)-francese.

Mi sarebbe comunque utile di sapere le vostre prime reazioni in proposito(3). Cordialmente,

[Pietro Quaroni]

102 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

102 2 Annotazione di Magistrati a margine: «italo ?».

102 3 Per la risposta vedi D. 111.

103

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV(1)

Appunto [44/01893/c.]. Roma, 6 febbraio 1954.

ATTRIBUZIONI ECONOMICHE DELLA CPE

La Direzione Generale degli Affari Economici ha posto allo studio il complesso dei problemi relativi alle attribuzioni economiche della Comunità Politica Europea.

Tale studio è tuttora in corso, per cui si ritiene opportuno far precedere, con il presente appunto, alcune direttive di carattere generale, che debbono servire di orientamento per i lavori del Comitato Economico della Commissione per la Comunità Politica Europea.

In relazione agli orientamenti emersi nella riunione del Comitato di Direzione, sulla opportunità di proseguire i lavori del Comitato Economico tenendo conto di una ipotesi massima e di una ipotesi minima di attribuzioni della CPE, si precisa che il contenuto dei singoli punti presi in esame in questo documento è condizionato dalla visione complessiva che l’Italia ha della CPE e dei suoi poteri.

Sembra a questa Direzione Generale che la questione dell’integrazione economica debba esser vista con occhio diverso a seconda che contemporaneamente si realizzi

o meno la Comunità Politica, intesa come una effettiva realizzazione di una unità dotata di poteri centrali atti ad equilibrare, con senso di giustizia e di solidarietà la fusione dei vari fattori nazionali in un circuito pivasto in cui ogni singola unità trovi le condizioni propizie per progredire e non sia spinta verso il regresso.

Finché non si vede possibile la realizzazione di questo organismo centrale responsabile e capace di favorire e di creare le graduali condizioni necessarie perché l’integrazione costituisca uno sviluppo del livello di vita di tutti i partecipanti, è necessario, a nostro avviso, che la procedura di integrazione economica si impernii su ben chiare condizioni che garantiscano all’integrazione stessa una uniformità e una reciprocità di vantaggi.

La CPE, pertanto, deve essere in grado di far rispettare le decisioni da essa prese nell’ambito delle competenze e dei modi previsti dallo Statuto; a tali decisioni tutti gli Stati partecipanti debbono conformarsi. È evidentemente questa la condizione in base alla quale è possibile giungere alla realtà di un mercato comune tra i Paesi membri e ad una uniformità di politica verso i Paesi terzi.

Le situazioni dei singoli Paesi, e le necessarie differenziazioni che tra essi dovranno esistere, vanno regolate in sede di Comunità, sulle base dei principii di salvaguardia, coordinamento e progressività.

Tale concezione della Comunità, come dotata di una effettiva autorità politica supernazionale, dovrà essere – nei modi e nei termini che saranno ritenuti piopportuni – ribadita dalla Delegazione italiana nel corso dei lavori e dovrà essere richiamata nella discussione dei singoli problemi. Dovrà cioè risultare ben chiaro che, ove la Comunità non dovesse essere dotata dei poteri caratteristici di una autorità supernazionale, la posizione italiana sui singoli problemi in discussione verrebbe modificata.

Ciò detto, si precisano qui di seguito alcuni elementi di massima sulla interpretazione da dare ai principii di progressività, coordinamento e salvaguardia, nonché sugli elementi costitutivi del mercato comune.

Progressività. Circa la progressività appare necessario insistere sul concetto pivolte espresso da parte italiana che non è possibile all’inizio fissare i termini della progressione verso il mercato comune; cinel senso che non è possibile fissare dall’inizio date o scadenze di natura temporale. La progressività, quindi, va riferita non a scadenze di tempo (un anno, cinque anni, dieci anni), ma al grado di coordinamento raggiunto dalle politiche dei Paesi partecipanti e al maturare di situazioni strutturali

o congiunturali. Da questo punto di vista il principio della progressività si lega intimamente con il principio del coordinamento e con il suo effettivo raggiungimento. Il verificarsi e il raggiungersi di uno stadio di coordinamento sufficiente all’entrata in vigore di una misura di integrazione dovrà essere accertato dall’organo della Comunità cui sarà affidato il compito del coordinamento, organo che in questa sede chiameremo «Autorità». È evidente che quando l’Autorità unanimemente convenga che esistono le condizioni per la entrata in vigore di una misura di integrazione, essa può esserevarata. Essa potrebbe essere ugualmente varata quando nell’Autorità, comprendente i rappresentanti dei sei Paesi, cinque di essi ritengano sufficienti e mature le condizioni per l’entrata in vigore della misura; in tal caso perl’entrata in vigore della misura in questione deve essere condizionata dall’accettazione da parte del sesto Paese di misure di salvaguardia adeguate, misure che possono essere da lui proposte e che debbono contenere dei limiti di tempo, ossia delle scadenze temporali.

Coordinamento. La creazione di un mercato comune per i sei Paesi aderenti alla Comunità rende necessario un coordinamento degli interventi statali nel campo economico, sia durante un primo periodo di assestamento delle singole economie per rendere meno costoso il passaggio dall’assetto attuale a quello futuro, sia anche dopo l’unificazione del mercato per armonizzare le politiche economiche e finanziarie dei vari Paesi con le finalità proprie della Comunità.

Il coordinamento presuppone una delega dei poteri necessari ad un organismo appropriato, il quale deve avere la possibilità di far prevalere le proprie direttive su quelle dei singoli Stati.

Nella formulazione dei principii relativi ai poteri di questo organismo è bene tener presente che il coordinamento puconsistere tanto in un «divieto» di certe iniziative o di certe misure economiche esistenti o che gli Stati si accingono a prendere in contrasto con le direttive generali, quanto in un «comando» a prendere qualche disposizione in una qualsiasi direzione.

I «divieti» e i «comandi» dovranno evidentemente tener conto delle differenze strutturali esistenti nei vari Paesi, ed in questo senso dovranno tendere ad una sostanziale analogia delle varie situazioni economiche, analogia che sola puconsentire il passaggio delle economie isolate ad una economia unificata e ad un mercato comune.

Il coordinamento dovrà far sì che nessun atto (inteso in faciendo e in non faciendo) interno di uno Stato arrechi un danno ingiustificato alle economie degli altri Stati della Comunità o annulli i vantaggi di una misura di integrazione con altra misura contrastante, unilateralmente presa.

Le misure da prendersi per coordinare il passaggio verso il mercato comune non si possono prevedere a priori, anche perché dipendono dalla evoluzione delle economie dei vari Paesi membri nonché dalle modalità di attuazione. Ciò che si può dire è che per ottenere il costo minimo di unificazione dei sistemi, si debbono armonizzare i vari elementi che concorrono a formare il nuovo equilibrio economico.

Così se si procede ad una soppressione graduale delle barriere doganali e delle altre limitazioni equitative degli scambi interstatali, è necessario che questa soppressione venga accompagnata con una graduale armonizzazione nei costi di produzione dei singoli prodotti con particolare riguardo agli interventi statali nella produzione (sovvenzioni a certe industrie, aggravii del costo di manodopera per oneri sociali, imposizione di unità di lavoro per combattere la disoccupazione o a favore di certe categorie di lavoratori, etc.), nella politica fiscale in quanto questa falsi in misura evidente i principii della concorrenza (monopolii fiscali ed imposte di fabbricazione), nella politica monetaria livellando i cambi tra i singoli Paesi ad un livello naturale e conforme al rapporto tra i prezzi interni, fino a quando non si arriva ad una piena e completa convertibilità delle monete tra di loro o, ancor meglio, come sarà necessario arrivare ad un momento finale, fino a quando si verrà a creare una moneta unica della Comunità. La progressiva liberalizzazione delle merci si deve accompagnare ad una corrispondente liberalizzazione del movimento dei fattori della produzione così da consentire ai mercati di trovare tra di loro un equilibrio.

Questi rapporti tra i diversi elementi di equilibrio non possono venir fissati a priori perché non è facile una seria previsione dei fenomeni e dei turbamenti che si verranno a creare tra i Paesi della Comunità.

Dando al coordinamento il significato indicato, la Delegazione italiana potrà, in sede di discussione, accettare che il coordinamento venga esteso a tutte le materie indicate nel questionario belga-olandese e a tutte quelle altre materie che da chiunque dovessero essere proposte. Tenendo conto perdi un’altra considerazione, e cioè del fatto che il sistema economico, sociale e produttivo di un Paese è sostanzialmente un tutto unitario, per cui ognuno degli elementi è legato a tutti gli altri da interrelazioni più o meno evidenti ma comunque reali, bisognerà, nel corso delle discussioni, mettere in luce come ognuna delle materie che ci si propone di coordinare sia in sostanza legata a tutte le altre e che in questo senso ogni elencazione non puche riuscire parziale e quindi sostanzialmente limitante ed erronea.

Da ciconsegue che la linea a cui bisogna tendere è l’affermazione pura e semplice del principio del coordinamento inteso come prima indicato, senza elencazione alcuna delle materie da coordinare. Spetterà poi all’Autorità di individuare e indicare tutte le materie il cui coordinamento sia opportuno in relazione all’entrata in funzione delle misure di integrazione volta a volta proposte. Infine, poiché «nel quadro delle discussioni sulle questioni del coordinamento il Comitato si è trovato d’accordo nel prevedere la possibilità di interventi della Comunità in vista di assicurare la realizzazione di lavori pubblici di interesse europeo o di promuovere la ricerca scientifica» (vedi CCP/CE/Doc.11, pagina 12, punto 25), sarebbe opportuno sollecitare una precisazione circa il significato da attribuire all’espressione «di interesse europeo».

Si tratta infatti di accertare se con tale espressione ci si possa riferire solo ad opere interessanti due o più Paesi confinanti, o anche ad opere di carattere straordinario in un solo Paese, quando la loro realizzazione sia tale da facilitare la libera circolazione delle merci, o sia tale da assicurare, all’interno di un Paese, la soluzione di problemi che interessino direttamente o indirettamente tutti i Paesi della Comunità.

L’interesse italiano è ovviamente per tale seconda interpretazione.

Si tratterebbe inoltre di accertare se tali possibilità di intervento debbono essere considerate nel quadro del Fondo Europeo, o di altro organismo da costituire (tipo banca o società di investimento, previste ad altri fini nel questionario belga-olandese – CCP/CE/Doc. 4 (rev), pagina 7).

Salvaguardia. Il principio della salvaguardia è considerato dall’Italia come uno dei principii essenziali della CPE. Il campo di applicazione del principio di salvaguardia deve riguardare non soltanto le situazioni che vengono a crearsi con la adozione delle misure di integrazione nel quadro del mercato comune, ma anche le situazioni preesistenti all’inizio del mercato comune stesso; cinel senso che deve, anche per questa via, essere sancito il principio che la Comunità si preoccupa di ottenere l’armonico sviluppo delle economie dei Paesi partecipanti intervenendo laddove le condizioni di partenza per lo sviluppo ulteriore sono oggi pideficienti.

La strumentazione del principio di salvaguardia deve essere concepita in modo che si possa da un canto ricorrere ad esso per sospendere in un Paese, in una zona o in un settore produttivo, l’applicazione delle misure proposte oppure si possa derogare dalle misure già approvate ed entrate in funzione, sempre ove ricorrano pericoli di turbamenti gravi all’attività produttiva del Paese, della zona o del settore, in particolare quando tali turbamenti incidano sull’occupazione operaia. In relazione a tale situazione dovrebbe essere previsto il ricorso ad un Fondo Europeo i cui aiuti dovrebbero permettere alle zone, ai settori produttivi e alle singole imprese messe in difficoltà dall’apertura del mercato comune di adattarvisi attraverso ridimensionamenti, trasformazioni od altre forme di compensazione.

Tenuto conto di quanto sopra detto circa il fatto che il principio di salvaguardia deve giocare anche in riferimento alle situazioni precedenti l’apertura del mercato comune, dovrebbe essere consentito di far ricorso al Fondo Europeo per facilitare la soluzione di quei problemi strutturali di un Paese, le cui caratteristiche siano pertali da costituire un problema per la Comunità nel suo complesso.

***

In riferimento agli elementi costitutivi del mercato comune si precisa quanto segue:

Merci. In primo luogo bisogna ottenere dalle Delegazioni lussemburghese e francese un preciso chiarimento circa le categorie di attività produttiva che esse intendono escludere dall’ambito del mercato comune. Specie per quanto riguarda la Francia, bisognerebbe ottenere una precisa elencazione dei prodotti (oltre i fiori tagliati) che, essendo oggi fortemente protetti, essa intende, escludere dal mercato comune; un chiarimento sulla espressione «nuove o future industrie», che, oltre all’energia atomica, potrebbe intendersi riferita anche a tutte le nuove iniziative e comunque ai nuovi tipi di industrie, per esempio a quelle legate a processi chimici o sintetici; bisognerebbe anche ottenere una elencazione delle attività produttive che, oltre i cantieri navali, interessano i territori di oltremare. Solo in relazione al chiarimento da parte francese ed eventualmente di altre Delegazioni delle categorie di attività produttive da escludere dal mercato comune, l’Italia potrà decidere la sua linea di condotta al riguardo; in ogni caso, riservarsi la facoltà di poter proporre eventuali esclusioni.

Si conferma la direttiva che la progressione delle misure di liberazione deve essere tale per cui alla soppressione delle dogane tra i Paesi partecipanti dovrà giungersi solo come ultima fase, dopo l’eliminazione di tutte le misure quantitative, dopo l’eliminazione dei doppi prezzi e delle misure discriminatorie, nonché dopo la liberazione delle transazioni invisibili e la eliminazione di tutte quelle altre pratiche e misure falsanti il gioco della concorrenza.

Occorre inoltre, al riguardo della soppressione delle barriere doganali, tener presenti i principii espressi nel paragrafo «Coordinamento», ossia la necessità di una previa armonizzazione di tutti i fattori che incidono sui costi di produzione.

Si ricorda quanto detto circa il principio di progressività in generale, e cioè che in ogni caso ciascuna misura e ciascun provvedimento volto alla realizzazione del mercato comune deve essere preso tenendo conto dello stadio di coordinamento raggiunto dalle politiche dei Paesi partecipanti.

Si ritiene altresì che nello Statuto della CPE non sarà opportuno fare una elencazione precisa delle condizioni necessarie per assicurare la reale libertà di circolazione delle merci, ma ci si dovrà limitare all’affermazione di principio lasciando poi agli organi della Comunità di precisare di volta in volta i fattori che sono chiamati in gioco.

Capitali. Dato che tutti gli Stati partecipanti alla Comunità ammettono in via di principio la libera trasferibilità dei capitali come una meta da raggiungere, il problema si pone solo in un primo periodo.

Bisogna prevedere due fenomeni inversi ma ugualmente indesiderabili: fughe artificiose di capitali da un Paese all’altro, e mancati investimenti in taluni Paesi.

Per evitare tali fughe, è necessario che i singoli Governi eliminino ogni differenziale trattamento del capitale con altri Paesi: eccessiva tassazione sul reddito, timori di svalutazione, etc. Ma su questo punto, più che la Comunità, saranno i Governi dei singoli Paesi interessati a prendere nel campo delle loro competenze le misure atte a sollevare i timori dei proprietari dei capitali.

È necessario prevedere invece l’intervento della Comunità per evitare che tali fughe siano determinate da misure artificiosamente allettanti di un Paese per sollecitare il richiamo dei capitali degli altri Paesi.

Per il nostro Paese è da temere che la libertà di movimento dei capitali determini un impoverimento ulteriore della nostra economia. Non si puescludere, a priori, cioè che dal giorno in cui i capitali si possano muovere liberamente, il risparmio formatosi in Italia, anziché investirsi nel nostro Paese, trovi più conveniente indirizzarsi verso Paesi pifortemente industrializzati e pertanto piappetibili per i capitalisti. E ciaggraverebbe indubbiamente il problema della nostra occupazione ed industrializzazione.

Per evitare questi inconvenienti è necessaria l’applicazione dei principii generali della progressività e del coordinamento ossia giungere all’entrata in vigore di una misura di integrazione solo quando sia raggiunto un grado sufficiente di armonizzazione delle economie dei vari Paesi.

Circa la libera circolazione dei capitali si osserva che la sua definizione deve considerarsi includente la libera circolazione e il libero trasferimento delle valute.

La classificazione dei trasferimenti di capitali proposta dalla Delegazione olandese sembra insufficiente, in quanto considera unicamente la trasferibilità del risparmio creato in un Paese e destinato ad investimenti in un altro Paese; deve invece essere considerata anche la libera trasferibilità del risparmio anche se destinato ad essere consumato in un altro Paese. Da questo punto di vista la classificazione dei trasferimenti di capitali proposta dalla Delegazione olandese dovrebbe al punto 2 essere modificata come segue «Capitali delle persone fisiche o giuridiche di uno Stato impiegati o spesi negli altri cinque»; in ogni caso dovrà precisarsi che con libera circolazione dei capitali deve intendersi la possibilità di trasferimento delle valute dei turisti, delle rimesse degli emigranti e dei noli.

La libera circolazione dei capitali comporta, oltre al coordinamento delle politiche monetarie, creditizie e dei cambi dei Paesi, anche il coordinamento delle disposizioni oggi esistenti in ciascun Paese e riguardanti il trasferimento degli eventuali utili degli investimenti o degli interessi dei prestiti di capitali.

Andrà inoltre sollevata la questione se, nei riguardi dei Paesi terzi alla Comunità, i singoli Paesi possano seguire una linea di condotta autonoma o debbano invece conformarsi ad un criterio comune (come previsto sul terreno doganale a proposito degli scambi delle merci con i Paesi terzi) specie per quanto riguarda il trasferimento degli utili degli investimenti o degli interessi dei prestiti di capitali.

La Comunità dovrebbe poi essere autorizzata a prestare la sua garanzia agli investimenti o ai prestiti, sia che questi siano effettuati tra gli Stati partecipanti, sia che provengano da organismi finanziari internazionali o Stati terzi e siano diretti in favore dei Paesi della Comunità.

Circa la progressività delle misure di liberazione dei capitali, si richiama il principio generale, e cioè che, senza prevedere limiti temporali, le misure potrebbero essere adottate solo quando l’Autorità riscontri che esistono le condizioni per la loro entrata in vigore.

Persone. Per quanto riguarda la libera circolazione delle persone non si può non rilevare che l’osservazione della Delegazione francese («nelle attuali circostanze il problema dell’eccesso della manodopera non può essererisolto interamente ed in maniera soddisfacente per tutti nel quadro troppo limitato della Comunità dei Sei») risponde sostanzialmente a verità. Pertanto, prima di prendere una qualsiasi posizione definita, e pur confermando la posizione finora sostenuta dalla Delegazione italiana, dovrebbero prendersi in concreto dei contatti con le altre Delegazioni circa la possibilità di una considerazione particolare da parte della Comunità del problema della sovrappopolazione.

In tale linea dovrebbe prevedersi nello Statuto che la Comunità e i Paesi membri si impegnano a «favorire» il collocamento della sovrappopolazione europea al di fuori dei sei Paesi e sopratutto nelle Colonie dei Paesi partecipanti.

Da questo punto di vista si possono considerare una serie di proposte atte a favorire il raggiungimento di tale obiettivo: nel quadro dei rapporti dei Paesi della

Comunità con i Paesi terzi un trattamento preferenziale (doganale o altro) dovrebbe essere garantito a quelli che favoriscono concretamente il collocamento della manodopera; la Comunità si farebbe garante di eventuali finanziamenti internazionali (BIRS o altro) ad aree arretrate, specie se legate ai Paesi CPE, a condizione che nei programmi di sviluppo finanziati sia previsto l’ingresso di manodopera europea per colonizzazione agricola o per lo stabilimento di imprese industriali; favorire nell’ambito della Comunità, con l’assunzione di una parte del carico, la preparazione professionale dalla manodopera disoccupata (in tal modo si potrebbe favorirne il collocamento in altri Paesi, trattandosi non più digenerici ma di qualificati, certo maggiormente richiesti).

In sede di discussione del «principio» della libera circolazione delle persone e della possibilità del loro libero accesso alle attività economiche nella Comunità, bisognerà sollevare il problema delle disposizioni legislative in atto nei vari Paesi, disposizioni che potrebbero in pratica gravemente ostacolare la realizzazione del principio. Particolarmente importante quindi il riconoscimento e l’equiparazione delle qualifiche e delle classificazioni della manodopera, e l’equiparazione e il riconoscimento dei titoli di studio e professionali.

Si ricorda inoltre che in Italia esistono oggi delle disposizioni (per ottenere la residenza, per ottenere il libretto di lavoro, per il collocamento della manodopera) che in pratica limitano la mobilità della popolazione (esempio: non può essereassunta in un Comune o in una provincia della manodopera residente in altra località – a meno che non si tratti di specializzati – se nel Comune o nella Provincia esistono dei disoccupati). L’eventuale esistenza di analoghe disposizioni in altri Paesi sarebbe di non lieve ostacolo alla libera circolazione delle persone, specie se l’accertamento delle condizioni – esistenza di disoccupati o pericolo di torbidi sociali – avvenisse in modo unilaterale. Sarebbe quindi necessario chiedere delle garanzie e delle precisazioni su tale questione.

Servizi. Per quanto riguarda la libera circolazione dei servizi si fa rilevare che da nessuno dei documenti di lavoro risulta cosa si intende in concreto per «servizi».

Con il termine «servizi» potrebbero essere considerati: i noli e le tariffe dei trasporti in genere; alcuni servizi di interesse pubblico o collettivo (esempio: energia elettrica ed elettrodotti; acquedotti; metanodotti; etc.); le prestazioni delle persone fisiche o giuridiche; gli scambi e i servizi culturali; i servizi turistici; la pubblicità; i brevetti; l’assistenza tecnica; l’organizzazione creditizia; le assicurazioni.

Si tratta di materie del più grande interesse, che trovano oggi diversa definizione e trattamento legislativi nei sei Paesi, per cui sarà opportuno che la Delegazione italiana prenda l’iniziativa perché si raggiunga un approfondimento della materia e una piprecisa definizione del termine «servizi»(2).

103 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

103 2 Per il seguito vedi D. 105.

104

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

L. 1036(2). Lussemburgo, 6 febbraio 1954.

Caro Benvenuti,

come avrai visto dalle comunicazioni di Bombassei e mie la riunione dei Sostituti del 28 scorso(3)è stata più che altro interlocutoria, ha toccato solo problemi relativamente minori e realizzato accordi su questioni in massima di dettaglio.

A mio parere la riunione dei Sostituti del 22, 23 e 24 febbraio sarà invece assai più importante e decisiva per le sorti della Conferenza, perché, situata a mezza strada fra l’inizio e la fine dei lavori, puservire per dare un colpo di timone alla Conferenza, nel buon o nel cattivo senso (anche il fatto che si terrà dopo Berlino avrà la sua importanza). Non ti nascondo che io non sono soddisfattissimo di quanto la Conferenza ha fatto finora, ma spero che si possa ancora riuscire a sbloccarla, salvandola dagli estremismi utopistici olandesi e facendole fare qualche cosa di utile per quello che è il suo scopo precipuo, la ratifica della CED. Non sono soddisfatto perché, per quanto i problemi fondamentali (attribuzioni - nuovo esecutivo) siano stati toccati di sfuggita, è risultato chiaro che, sia da parte francese che da parte olandese, non vi sono stati mutamenti di posizioni. Temo quindi che quando si abborderanno i grossi problemi ci accorgeremo 1) di non aver realizzato alcun progresso da Villa Aldobrandini ad oggi; 2) che anche i limitati accordi finora raggiunti su formule bivalenti,sono illusori e caduchi. È chiaro che la Conferenza CPE per riuscire deve tener conto dell’involuzione che i sentimenti europeistici francesi hanno subito dalle dichiarazioni del Lussemburgo ad oggi; quanto era sperabile il 10 settembre 1952 non è pipensabile oggi. Se non sapessimo fare quello che i francesi chiamano «la part du feu», rischieremmo di peggiorare le prospettive della ratifica della CED. Allo stato attuale delle cose io riterrei impossibile: 1) che si riesca ad attribuire alla CPE delle attribuzioni economiche quali quelle volute dagli olandesi (i quali d’altra parte hanno ripetuto che, senza di esse, la CPE a loro non interessa); 2) che ci si accordi per la creazione di un nuovo vero esecutivo munito di nuovi poteri reali. Nell’assenza di nuove attribuzioni, il nuovo esecutivo sarebbe solo un fantasma, e non servirebbe che a intralciare gli esecutivi esistenti.

Per contro quello che io spero si possa ottenere è:

1) l’unificazione delle Comunità esistenti;

2) la creazione di una Assemblea elettiva (eventualmente con un Senato);

3) l’attribuzione di un carattere politico all’esecutivo europeo che allontani dalla Comunità i timori della tecnocrazia di ingegneri o di generali.

Su questo ultimo punto tu sai il mio pensiero: l’identificazione del Consiglio esecutivo europeo con il Commissariato e il graduale assorbimento – entro un termine fisso – dell’Alta Autorità.

Io crederei che sia necessario a un certo punto dirci – a sei – chiaramente queste cose, stralciare la parte viva e attuale della Conferenza, dalla parte puramente accademica e metterci alacremente al lavoro per la prima parte, mentre la seconda verrebbe mantenuta come un obbiettivo vivo ma lontano e per ora non raggiungibile.

Sul piano pratico io riterrei che il 22 febbraio occorrerebbe una riunione segreta dei capi delegazioni in cui si parlasse apertamente e si indagasse onestamente quali sono, tenuto presente il perdurare di certe posizioni, le possibilità effettive della Conferenza (per me sono quelle sopra indicate) e in che forma si potrebbe realizzare subito, con speciali protocolli o simili, quanto è necessario per fornire ossigeno alla ratifica francese della CED. Il resto rimarrebbe una meta, non dimenticata né negletta, ma una meta per cui ci vorranno forse ancora vari mesi di studio e di attesa, o forse anni(4).

Credimi devotamente.

F. Cavalletti

104 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

104 2 Trasmessa a Magistrati con L. 001038, pari data.

104 3 La riunione ebbe luogo il 28 ed il 29 gennaio; ne riferirono il giorno successivo il capo della Delegazione Lombardo (vedi D. 99) e lo stesso Cavalletti (L. a Benvenuti trasmessa anche a Magistrati), il quale così concludeva il suo resoconto: «La mia impressione generale sullo stadio attuale dei lavori della Conferenza è che essa, malgrado gli apparenti accordi (su questioni per lo più didettaglio) rimane sostanzialmente bloccata per la non diminuita distanza delle due opposte tesi. Ci si dilunga ad esempio in discussioni accademiche sulle incompatibilità, quando per le questioni di fondo (attribuzioni, responsabilità dell’esecutivo) permangono divergenze fondamentali. Si ha l’illusione di lavorare e di progredire, quando in realtà si è fermi. Forse è un pessimismo mio. Infatti Hallstein e de Staerke, con cui ho a lungo parlato, sono soddisfatti e considerano assai utili questi lavori che, essi dicono, sgombrano il terreno. Puanche darsi che siano essi ad avere ragione. Con Hallstein e de Staerke ho accennato ‒a titolo personalissimo e aggiungendo che non sei d’accordo ‒alla mia tesi: Consiglio esecutivo europeo = Commissariato e mi hanno detto di ritenere che molto probabilmente quello sarà la unica soluzione» (ibidem).

104 4 Per il seguito vedi D. 109 ed anche le considerazioni di Quaroni nel D. 112.

105

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA COMMISSIONE CPE(1)

Telespr. riservato 21/0304. Roma, 8 febbraio 1954.

Oggetto: Secondo periodo di lavori dei Comitati.

Con riferimento alle recenti comunicazioni di codesta Delegazione riassumo qui di seguito, per orientamento di codesta Delegazione, alcune osservazioni circa le principali questioni che torneranno allo studio della Commissione nel corso del prossimo secondo periodo dei loro lavori:

1) Principi relativi alla legge elettorale. La formula adottata dal Comitato di Direzione per il sistema elettorale (Doc. CCP/CD/PV I, pag. 2)(2) sembra in realtà presentare seri inconvenienti. Malgrado il contrario parere del delegato olandese, presidente del Comitato per la legge elettorale, noi seguitiamo a ritenere che sia interesse comune che il Parlamento europeo – e sovratutto il primo parlamento – sia al massimo possibile composto da elementi capaci di portare un contributo positivo alla causa dell’unione europea. Da tal punto di vista un sistema elettorale che si inquadri nella formula suddetta non è certo il piopportuno. Naturalmente se la formula, quale essa oggi è, restasse soltanto una raccomandazione potremmo, al momento dell’applicazione, non tenerne conto. Ma preferiremmo evidentemente una formula che, lasciando maggiore elasticità alle singole legislazioni nazionali, ci consentisse di stabilire il nostro sistema elettorale per l’Assemblea europea – quale noi lo desideriamo al fine di cui sopra – senza presentarsi subito in contrasto con una disposizione, per quanto facoltativa, pur sempre adottata di comune accordo.

Dobbiamo anche tener presente che ci è difficile accettare una formulazione così rigida come quella proposta, per le illazioni e speculazioni che se ne potrebbero fare sul piano della nostra delicata situazione politica interna.

2) Lavori del Comitato istituzionale. La spiegazione che Hallstein ha voluto premettere – che cioè la posizione tedesca in materia istituzionale, che poteva sembrare poco sopranazionale, era dovuta al presupposto che le attribuzioni della Comunità fossero estese – appare di notevole interesse. Infatti è giocoforza riconoscere che l’andamento generale dei negoziati non sembra per ora offrire serio fondamento alla speranza che possa effettivamente conseguirsi una concreta estensione della competenza della Comunità: e se così è, le precisazioni del Capo della Delegazione tedesca potrebbero quindi consentire di riportare su basi pifavorevoli alla nostra concezione la discussione su alcuni dei problemi istituzionali sui quali la nostra impostazione europeista ci ha messo attualmente in posizione isolata rispetto alle altre delegazioni. Da tale punto di vista anche alcuni sviluppi della posizione olandese sembrano presentare aspetti pifavorevoli e per noi interessanti.

Ciò premesso esaminiamo in particolare le specifiche questioni relative ai vari organi della Comunità.

a) Camera dei Popoli. Per quanto riguarda il controllo politico della Camera sul nuovo esecutivo sovranazionale la posizione sostenuta dalla nostra Delegazione sembra del tutto conveniente. Per contro l’impostazione francese della questione non appare chiara. È noto infatti che un importante settore del Parlamento francese considera che una delle principali giustificazioni per la costituzione della CPE sta nell’opportunità di stabilire un controllo politico e democratico sulle Comunità esistenti: questo si ottiene, a noi sembra, stabilendo ed estendendo – e non attenuando – la responsabilità dell’Esecutivo di fronte alla Camera eletta a suffragio diretto. Pur rendendoci conto che, nella concezione francese, permangono almeno in un primo tempo gli Esecutivi delle Comunità esistenti, tuttavia non ci appare coerente una posizione contraria a che il nuovo Esecutivo, il quale comunque dovrà «coiffer» gli altri due, abbia una larga responsabilità di fronte alla Camera. Su tale aspetto del problema ci auguriamo che qualche utile chiarimento possa venire anche dall’incontro della Commissione con i rappresentanti parlamentari dell’Assemblea ad hoc. Per quel che concerne la durata delle sessioni è evidente che, poiché ci attendiamo dalla Camera eletta una notevole spinta europeista, vediamo con favore formule che non restringano le possibilità di lavoro della Camera stessa.

b) Camera alta. È proprio sul problema della seconda Camera che la posizione tedesca precisata in generale da Hallstein ed il precisarsi della posizione olandese sembrano consentire forse un miglior giuoco alla tesi italiana. Conviene quindi per ora mantenere sostanzialmente tale tesi. Abbiamo esaminato con interesse, al riguardo, l’idea del Ministro Cavalletti di suggerire una formula quale quella che regoloriginariamente la composizione del Consiglio d’Europa: e ci sembra che essa possa eventualmente essere convenientemente accennata qualora l’evolversi della discussione consigli ai nostri rappresentanti in seno al Comitato di compiere, per sbloccare la situazione, una «avance» di avvicinamento alla tesi franco-tedesca. Naturalmente dovrebbe mantenersi fermo il principio che il voto avvenga per testa e senza mandato imperativo.

Se in seguito comunque l’andamento del negoziato dovesse realmente consigliare una evoluzione della nostra attuale posizione, le concessioni dovrebbero almeno esser compensate o da una riduzione dei poteri della seconda Camera o da un aumento delle attribuzioni complessive della Comunità. Nel senso cioè in cui così opportunamente si è già pronunziata la Delegazione.

Quanto infine alla proposta francese di assicurare il collegamento coi parlamenti nazionali immettendo nella Camera dei popoli un certo numero di rappresentanti eletti dai parlamenti stessi anziché a suffragio diretto, essa ci appare francamente negativa ed opportunamente codesta Delegazione vi si è opposta.

c) Consiglio dei Ministri. Constatiamo che non sono stati sollevati a proposito di questo organo particolari problemi. È stata riconosciuta all’Esecutivo nei confronti del Consiglio, come era nei nostri desideri, una posizione teorica che comporta una sfera di autonomia e poteri propri. La questione più che nella attuale formula generale si verrà precisando nell’elencazione, nel testo del Trattato, dei casi in cui sarà previsto l’intervento del Consiglio: è in tale sede che la citata posizione teorica dovrà naturalmente trovare pratica applicazione.

d) Conglobamento delle Comunità esistenti. La posizione, quale si è venuta delineando finora (pag. 30 del documento CCP/CI/Doc. 20) ci sembra abbastanza soddisfacente. Per quanto riguarda l’applicazione pratica dei principi che sono alla base della nostra impostazione (vedasi telespresso ministeriale 21/0023 del 6 gennaio 1954(3)) confermiamo una certa elasticità della nostra posizione, specie per il periodo transitorio che verrà particolarmente preso in esame nella prossima sessione del Comitato. Peraltro l’idea di un conglobamento degli Esecutivi da effettuarsi attraverso l’identità personale tra i membri del nuovo organo sopranazionale e quelli del Commissariato seguita, pur dopo pimaturo esame, a lasciarci perplessi; ove quindi la Delegazione lo ritenga del caso, si gradirebbe ricevere su di essa qualche ulteriore spiegazione per quanto riguarda sia le modalità di attuazione sia i risultati che si spera possano conseguirsi.

3) Lavori del Comitato Economico. Per quanto riguarda le attribuzioni in materia economica la nostra posizione in linea generale può riassumersi come segue. Noi pensiamo che una completa integrazione economica europea attraverso il mercato comune sia uno degli obbiettivi fondamentali della politica europeista. La realizzazione di tale obbiettivo, per presuppone un effettivo coordinamento delle politiche economiche, sociali, monetarie e fiscali e delle relative legislazioni nei Paesi partecipanti: coordinamento che la Comunità deve avere il potere di realizzare. Pertanto noi riteniamo che premessa indispensabile per l’integrazione economica sia una Comunità politica dotata di poteri centrali atti ad equilibrare, con senso di giustizia e di solidarietà, la fusione dei vari fattori nazionali in un circuito pivasto in cui ogni singola unità trovi le condizioni propizie per progredire e non sia spinta verso il regresso.

Se nel Trattato per la Comunità Europea fosse possibile incorporare tali principi noi saremmo i primi ad esserne soddisfatti; e per un maggior chiarimento dello stadio al quale sono giunti attualmente i nostri studi sull’argomento si allega un appunto della Direzione Generale degli Affari Economici, Ufficio IV, n. 44/01893/0 in data 6 corrente(4).

Ma se si rilevassero, come effettivamente appare, tuttora prematuri gli sforzi che si stanno compiendo per giungere a punti di vista comuni, non vorremmo che tale situazione si ponesse oggi come imprescindibile ostacolo al raggiungimento di una nuova tappa sul cammino dell’unione europea.

Al riguardo va tenuto presente che secondo recenti impressioni comunicateci dall’Ambasciatore a l’Aia la posizione olandese, che aveva già dato indizi di minor rigidezza alla riunione dell’Aja, andrebbe effettivamente evolvendo, nel senso che gli olandesi non farebbero pidel problema economico «conditio sine qua non» per la CPE. L’atteggiamento rigido ancora recentemente mantenuto da Starkenborgh avrebbe, secondo tali impressioni, piuttosto scopi tattici per il miglioramento della posizione olandese. Se questo si rilevasse esatto, l’atmosfera del negoziato dovrebbe presentarsi più propizia al raggiungimento di conclusioni che, se pur ben lontane dall’optimum che speravamo, costituirebbero un minimo accettabile per tutti i sei paesi.

In tal caso perevidentemente non è pipossibile parlare di integrazione e di mercato comune: se il Trattato non concede alla Comunità i necessari poteri nel campo economico, esso assume, almeno per tale settore, la figura di un patto multilaterale la cui osservanza rimane affidata ai rapporti fra le parti contraenti. La nostra posizione dovrà essere estremamente guardinga e gli impegni che deriverebbero dal Trattato dovranno caso per caso formare oggetto del piattento esame.

Pur tenendo presente le reali situazioni di fatto quali si presentano nelle attuali conversazioni, noi riteniamo che una discussione ed una elaborazione dell’ipotesi «massima» presenti notevole interesse ed utilità dal punto di vista dell’avvicinamento delle varie posizioni di principio in attesa di condizioni positive pifavorevoli che possano permetterne la realizzazione.

Di conseguenza appare opportuno che codesta Delegazione – assumendo un atteggiamento inverso nelle premesse, ma analogo nella sostanza, a quello francese – dia, sulla scorta del citato appunto del 6 febbraio, il suo contributo allo studio dell’ipotesi massima, ma tenga presente e favorisca le possibilità di conclusioni pratiche che si presentassero attraverso l’ipotesi minima.

105 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

105 2 «Chaque loi nationale pour l’election à la Chambre des Peuples devrait comporter un système électoral propre à assurer une représentation proportionnelle aux différents courants d’opinion ayant une certain importance».

150 3 Vedi D. 75.

150 4 Vedi D. 103.

106

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 636/338(2). Londra, 9 febbraio 1954.

Oggetto: Gran Bretagna, Francia e CED.

In questi giorni si sono qui rinnovati contatti col Foreign Office, ad alto e a medio livello, per sondarne ancora gli umori nei riguardi della CED e della ratifica da parte del Parlamento francese.

L’atteggiamento britannico è rimasto immutato, anzi in un certo senso si è preci

sato e irrigidito.Qui non si ha notizia di alcun concreto progetto o proposta di modifica

del trattato CED, per renderlo accettabile al Parlamento francese. Non si ignora che molte discussioni e molti suggerimenti si agitano a Parigi, ma si ritiene trattarsi più dispeculazioni che di progetti seri. Si tende d’altra parte a ritenere che il peggior momento nei riguardi della ratifica sia probabilmente passato, e che ora le probabilità di ottenerla siano piuttosto aumentate che diminuite. In ogni caso, ci si dichiara ben decisi a non partecipare in alcun modo ad iniziative che potrebbero indebolire il trattato CED e comprometterne la ratifica da parte di altri paesi, senza la sicurezza effettiva di favorire la ratifica francese.

Quanto alla possibilità di modifiche si è scettici, comprendendo quanto sia difficile suggerire alterazioni al Trattato che soddisfino un gruppo senza dispiacere l’altro; o soddisfino la Francia senza insospettire o irritare i tedeschi. In ogni caso, più che mai non si è disposti a prendere iniziative né a concorrervi: si è disposti solo a considerare obiettivamente qualsiasi mossa chiara ed ufficiale, che provenga da autorità responsabili e sia accompagnata dall’appoggio parlamentare. Tutto sommato poi, si pensa che nuove iniziative difficilmente raggiungerebbero il loro scopo, e che quindi la miglior soluzione rimane ancora di varare la CED quale è, senza imbarcarsi in progetti nuovi o modificati, implicanti picomplicazioni che agevolazioni.

Per ciò che riguarda in particolare una qualche forma di associazione britannica alla CED, qui si rimane estremamente scettici: non si esclude di poter studiare all’ultimo momento qualche ulteriore garanzia, quando si sia ben sicuri che questa determinerebbe veramente il voto favorevole del Parlamento francese; ma si considera cicon grande cautela e con nessuna intenzione, né di entrare veramente nel trattato a sei, né di fornire ai francesi una nuova scappatoia.

Questo atteggiamento britannico appare serio e fermo; e naturalmente mi pare debba tenersene conto nella valutazione dei suggerimenti francesi e nell’accoglienza da dare loro.

Rimane sempre vero che una CED anche attenuata è meglio di nessuna CED, e che di conseguenza, quando si sia veramente sicuri della ratifica da parte del Parlamento francese, varrebbe la pena di considerarla simpaticamente e con comprensione per compiere un primo passo, limitato ma importante: e ciò senza pregiudiziali aprioristiche, e magari sacrificando esigenze logiche e rispettabili ideali federalistici.

Quanto all’Italia sembra valida la considerazione che non sia consigliabile prendere iniziative, per le stesse ragioni per le quali lo si esclude da parte britannica. Non abbiamo infatti alcuna ragionevole certezza che le idee e la buona volontà di un uomo, di un partito o di un gruppo trovino effettivamente riscontro nell’azione finale del Governo e del Parlamento francese. Occorre, quindi, cautamente evitare tutto ciò che offra ai francesi una comoda via di uscita, come, d’altra parte, bisogna ragionevolmente appoggiare ogni compromesso che, da loro suggerito, appaia veramente suscettibile di essere accettato da tutti i sei paesi della piccola Europa(3).

Conviene anche considerare l’atteggiamento italiano nei riguardi della ratifica. Prescindendo dalle necessità parlamentari e di politica interna, e guardando la questione unicamente dal punto di vista esterno, rimane aperta la questione se convenga ritardare la ratifica in attesa che si chiariscano meglio le posizioni nei riguardi di Trieste. Certamente si potrebbe dire che, o i francesi non ratificheranno, e quindi la CED fallirà e l’arma del ritardo della ratifica rimarrà spuntata;

o i francesi ratificheranno, e in questo caso gli americani potrebbero molto ragionevolmente procedere al riarmo della Germania e alla attuazione della CED, lasciando la porta aperta o semiaperta per l’Italia, senza curarsi troppo della sua immediata adesione.

Bisogna però tenere conto di due elementi: il primo che se la Francia ha difficoltà a ratificare la CED, ancor più difficilmente potrebbe indursi a dare corso ad un sistema a cinque anziché a sei: e gli americani non potrebbero facilmente ignorare una tale logica riluttanza.

In secondo luogo, e sopratutto, una preventiva ratifica dell’Italia avrebbe scarsa influenza come mezzo di pressione sul Parlamento francese, e potrebbe anche produrre l’effetto contrario. D’altra parte una volta che tutti i paesi avessero ratificato, esclusa la Francia, questa verrebbe a trovarsi in situazione di forza per mettere le sue condizioni e proporre modifiche. Viceversa, dovendo mettere condizioni o proporre modifiche prima della ratifica italiana, il Parlamento francese potrebbe forse essere più facilmente indotto a ispirarsi a criteri di moderazione.

Tutto sommato, l’atteggiamento britannico appare tale da lasciare ai francesi di decidersi nei termini attuali del trattato. Nei riguardi dell’Italia nessuna pressione viene esercitata, forse perché si ritiene che la nostra ratifica non potrebbe mancare dopo quella francese: il che lascia a noi un margine, sia pure limitato, di manovra, sostanzialmente giustificato dai legami che la CED ci imporrebbe nei riguardi di ulteriori ricatti jugoslavi(4).

106 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

106 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

106 3 Annotazione di Zoppi a margine del paragrafo: «è appunto la linea del ministero».

106 4 Lombardo espresse dure critiche riguardo alle considerazioni contenute in questo rapporto nella lettera che indirizza Magistrati il 20 febbraio (vedi D. 120).

107

[IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI,] ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. riservata 20/0353. Roma, 12 febbraio 1954.

Caro Ambasciatore,

nel riferirmi alla tua del 4 n. 0176(2) diretta all’amico Vittorio e nel ringraziarti per quella n. 0163 del 2 u.s.(3), desidero attirare la tua attenzione sul fatto che il nuovo Governo Scelba ha ritenuto opportuno fare espressa menzione della «legge sulla CED» nella sua prima riunione di Consiglio, avvenuta ieri, per la nomina dei Sottosegretari di Stato. È stata una presa di posizione destinata, evidentemente, a porre in rilievo come, in tema di quadripartito, il problema stesso non possa non essere in primo piano, in considerazione anche di quelle prese di posizione da parte dei differenti partiti alle quali ho accennato nella mia lettera precedente.

In tali condizioni stiamo ora preparando la relazione destinata ad accompagnare, in sede parlamentare, quel progetto di legge. Ciò non di meno ho la sensazione che la cosa non dovrebbe essere imminente e che il nuovo Governo – una volta naturalmente ottenuta la fiducia – penserebbe, prima di addentrarsi in una lotta parlamentare sull’argomento, attendere tanto i risultati definitivi della Conferenza di Berlino, quanto le loro ripercussioni negli altri Paesi e particolarmente in quello dove tu risiedi.

Gli olandesi hanno, frattanto, provveduto a far firmare dalla loro Regina la legge già ratificata dalle loro due Camere in modo che lo strumento è ora perfetto nei Paesi Bassi: ciforse anche per evitare eventuali nuove modifiche formali da parte di altri Paesi.

Inutile dire che abbiamo preso conoscenza con attenzione, anche se non con sorpresa, delle rinnovate dichiarazioni anti-cediste di Moch.

Sono stato a Milano per due giorni per una prolusione in sede ISPI ai corsi NATO colà predisposti e naturalmente abbiamo molto parlato di te con gli amici Pirelli e Bassani. Nella capitale lombarda ti sei fatta una posizione di ferro e tutti colà mi sembrano attendere una tua nuova visita.

Qui abbiamo aumentato, come conosci, il numero dei nostri Sottosegretari con l’entrata, sotto il tetto di Palazzo Chigi, dell’On. Badini Confalonieri, che tutti dicono degna e corretta persona. Naturalmente, non molto facile sarà la suddivisione dei compiti e delle responsabilità e ci auguriamo – tanto per usare una frase NATO – che si tratti di utili infrastrutture e non già di soprastrutture.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

107 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

107 2 Vedi D. 102.

107 3 Vedi D. 100.

108

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 0205/149(2). Parigi, 12 febbraio 1954.

Oggetto: Esercito europeo.

A seguito di miei precedenti «sondaggi»(3), puforse interessare V.E. sapere cosa dell’Esercito europeo ne pensi Pinay, il quale in Parlamento, ha ancora, pur essendo in fase discendente, un certo peso.

Pinay è generalmente pessimista: pensa che, oggi, se si arrivasse al voto, si avrebbe una maggioranza di almeno 20 voti contro: un’azione serrata di Governo – che non c’è – potrebbe far sperare di arrivare in 5 o 6 voti di maggioranza: un margine così ristretto è sempre pericoloso.

La situazione potrebbe essere cambiata se ci fosse:

1) la garanzia americana – non è ammissibile che la Francia si impegni con la CED per 50 anni, mentre il Patto Atlantico, a cui essa è legata, non ha che poco più diquindici anni di vita legale. Non è ottimista al riguardo: nel corso della sua visita in America gli è stato detto molto definitivamente che non c’è da pensarci, almeno fino a dopo le prossime elezioni per il Congresso;

2) una partecipazione, anche solo simbolica, inglese: basterebbe, secondo lui, che gli Inglesi consentissero a che anche una sola divisione inglese facesse parte della CED. Mi ha detto di averne parlato durante il suo ultimo prolungato soggiorno a Londra e di avere avuta una negativa assoluta; gli Inglesi, secondo lui, sono preoccupati dell’attrazione americana su alcuni Dominions e sono sicuri che, legandosi la Madre Patria, anche solo simbolicamente, alla CED, questo potrebbe accelerare il movimento centrifugo dei Dominions;

3) una revisione del Trattato: e, su questo punto, nel suo complesso le sue idee non sono molto lontane da quelle di Guy Mollet: la differenza è che egli non conta molto sul controllo democratico da parte dell’Assemblea; vorrebbe invece che il controllo fosse, e forte, da parte del Consiglio dei Ministri, di fatto il Consiglio dei Presidenti del Consiglio. Ma anche su questo argomento è pessimista perché ritiene che se si modifica qualche cosa, si rimette in discussione tutto, ed in questo caso è molto difficile che la Germania riaccetti le discriminazioni che ha già accettato una volta.

Il pessimismo di Pinay è, in certa misura, personale. Egli dice in sostanza che la CED potrebbe passare, sia pure ad una piccolissima maggioranza, se il Governo fosse violentemente a favore: il che vuol dire in altre parole che potrebbe passare se fosse Presidente del Consiglio lui. Cosa che non mi sembra molto probabile. Pinay in questi ultimi mesi ha viaggiato intensamente all’estero ed ha parlato molto all’estero: la sua popolarità fuori di Francia è considerevolmente aumentata. Ma non ha tenuto conto, secondo me, che egli era popolare, e molto, in Francia appunto perché era un francese medio sconosciuto a tutti in Patria, ma sopratutto all’estero. Diventando popolare all’estero, sta raggiungendo la schiera degli altri uomini politici francesi molto popolari all’estero e che, appunto per questo, i Francesi non possono soffrire: sembra questa una legge ferrea della democrazia francese di cui è molto pericoloso non tener conto.

Detto questo, aggiungo subito che non sono molto piottimista di Pinay: nel senso almeno che delle chances, secondo me, ci sarebbero, e diverse: ma alla battaglia manca il direttore d’orchestra: si va avanti per sforzi scombinati ed in parte contraddittori, e con non molta voglia di affrontare un dibattito che sarà certamente difficile, incerto e con ripercussioni a lunga scadenza sui principali attori. Qui pochi si dimenticano la sorte politica di Robert Schuman che ha fatto ratificare la CECA sì, ma ci ha perduto il posto. La passione europea dei principali leaders francesi non arriva fino a queste forme di martirio.

Come correnti generali degli umori parlamentari, mi sembra che esse vadano piuttosto spostandosi dalla linea «revisione del Trattato» alla linea dei «fattori esterni»: ossia, garanzia americana e partecipazione inglese. Sono quasi tutti d’accordo nel dire che, così come è, la CED non passerà al Parlamento francese, che ci vuole un fatto nuovo: ora, mentre il fatto nuovo, qualche tempo addietro, sembrava vedersi in una revisione del Trattato, ora, ogni giorno più si può dire, si tende a cercarlo nel fattore esterno.

È sincero questo, od è una manovra?

Vorrei distinguere. Credo che sia sincero nel rank and file dei parlamentari; gli argomenti tecnico-patriottici contrari, per la loro sottigliezza e per la loro contraddizione, di fronte al dibattito hanno perduto un po’ del loro peso: l’atteggiamento contrario dei comunisti, come ho detto, fa esitare qualcuno: invece gli argomenti «esterni» sono facili a comprendere, evidenti, e, bisogna anche riconoscere, non mancano di una certa logica.

Meno sicuro sono della sincerità dei maneggiatori del movimento contrario, anche di quelli che non lavorano di concerto con i comunisti. Non mi sentirei di giurare che essi non puntino su queste condizioni nella certezza che non verranno realizzate. Colla mentalità avvocatesca dei francesi, essi pensano forse che si possano evitare le conseguenze politiche di un no o di un rinvio negativo, facendone cadere la responsabilità su degli altri. Mi induce a pensare questo un ragionamento, vero e capzioso allo stesso tempo, che si comincia a fare da qualche tempo a questa parte.

L’idea della CED non è francese, ma inglese, anzi proprio personale di Churchill. È lui che l’ha tirata fuori a Strasburgo, fra gli applausi generali: quando fu posta la questione del riarmo tedesco, il Governo francese ha fatta sua l’idea di Churchill, ma contando sull’adozione inglese: il primo colpo le fu dato dall’atteggiamento di Shinwell, ma allora si poteva sperare in un cambiamento dei conservatori: il colpo finale le è stato dato dal tradimento di Churchill. Se la CED fallisce, non è colpa dei francesi, ma degli inglesi.

Un punto su cui tutti sembrano d’accordo è che ogni progresso della Comunità Politica Europea ostacolerebbe ancor più l’accettazione della CED.

Comunque, situazione sempre fluida ed incerta.

108 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

108 2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

108 3 Vedi DD. 90 e 102.

109

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI(1)

L. 20/350. Roma, 13 febbraio 1954.

Caro Franz,

le tue lettere contenenti le tue osservazioni e commenti alle conversazioni CPE di Parigi, giungono regolarmente(2)e, grazie ad esse, abbiamo potuto avere un quadro completo della situazione. Questa – e qui concordo pienamente con te – non mi sembra molto chiara ed appare confermare come, tutto sommato, non si registri alcun mutamento sostanziale di posizioni. Proprio nei riguardi della tua diretta, in data 6 febbraio, a S.E. Benvenuti, concordo anche come appaia opportuno, e anzi necessario, «stralciare» la parte viva della Conferenza da quella che tu definisci «puramente accademica». Credo che, con ogni probabilità, lo stesso Benvenuti, che, per nostra buona fortuna, rimane al suo posto a Palazzo Chigi, si recherà a Parigi il 22 per prendere attiva parte alle discussioni che colà si svolgeranno nella riunione dei Sostituti. Certamente una riunione diretta e segreta dei Capi di Delegazioni servirebbe non poco a mettere una qualche luce sullo sfondo nebuloso nel quale i recenti incontri appaiono essersi svolti.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

109 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

109 2 Vedi DD. 81, 88 e 104.

110

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SOTTOGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

L. 1194(2). Lussemburgo, 13 febbraio 1954.

Caro Benvenuti,

Cleveland che, come tu sai, segue da tempo per incarico del Governo americano i lavori della CPE è venuto a vedermi per chiedermi le mie idee sulla Conferenza in corso e farmi sapere le sue.

Non ho creduto di fare misteri con Cleveland e, a titolo personale, gli ho detto quanto ti ho scritto nella mia lettera del 6 corrente(3)e cioè che ritenevo che gli attuali lavori non erano soddisfacenti e che occorrerebbe uno sforzo per sbloccare la Conferenza, prima che sia troppo tardi. Cleveland mi ha detto di essere convinto della sterilità dell’andamento dei lavori. La Conferenza è effettivamente in un’impasse, dovuta sopratutto all’atteggiamento francese. La delegazione francese svolge la politica del Quai d’Orsay. Il Quai, dice Cleveland, contrario alla CPE e riluttante alla CED, cercherebbe di far passare la CED con voti gollisti e non con quelli socialisti (anche per impedire il ritorno di questi al potere) e manovra per ridurre, attraverso i meccanismi della CPE, il carattere sopranazionale delle Comunità già esistenti.

Egli dubita perdella convenienza di fare uno sforzo per indirizzare la Conferenza verso obbiettivi pimodesti, ma realizzabili, come io suggerivo, e ciper le seguenti ragioni: anzitutto egli crede che vi sarebbero grandi difficoltà sia per l’opposizione degli olandesi (la posizione che Beyen aveva assunto all’Aja è stata oramai completamente superata), sia perché i francesi vogliono impedire qualsiasi risultato positivo sia pure minimo. Anche se poi tale cambiamento di rotta fosse possibile, è incerto se esso gioverebbe a quello che ne è l’obbiettivo principale: la ratifica della CED. Infatti la realizzazione parziale degli obbiettivi della CPE allarmerebbe a Palazzo Borbone il settore degli indipendenti scarsamente europeisti e ancora incerti, mentre forse non basterebbe a facilitare la decisione dei socialisti.

In realtà non si conosce esattamente di che cosa abbia bisogno Guy Mollet, nel campo della CPE, per ottenere la maggioranza del suo partito in favore della CED nel Congresso che precederà alla ratifica. Se da parte socialista si dovessero formulare richieste precise, allora, e allora soltanto, varrebbe la pena di forzare la Conferenza a concludere su qualche specifico e parziale risultato.

Per queste ragioni Cleveland ritiene che sarebbe preferibile seguitare a mandare avanti lentamente la Conferenza della CPE con lavori più che altro accademici, fino alla ratifica della CED, dopo di che gli sviluppi europeistici non potrebbero pimancare.

In altre parole la maniera di vedere di Cleveland e mia differiscono sopratutto in questo: che mentre io riterrei che il tentativo di sblocco della Conferenza sia necessario e urgente, gli americani lo subordinerebbero allo sviluppo della azione parlamentare francese e in particolare all’atteggiamento dei socialisti.

Ho creduto mio dovere, dopo averti esposto il mio pensiero nella precedente lettera, di metterti al corrente della non identica maniera di vedere americana, affinché tu, in vista del prossimo Comitato di direzione, abbia ampi elementi di giudizio.

Il ragionamento americano ha vari aspetti giusti (ad esempio: timore che la CPE possa indebolire il fianco destro della CED, enigma delle esigenze socialiste ecc.) tuttavia ha anche, a mio parere, una pecca fondamentale. Non vedo infatti come la Conferenza CPE, senza mutare per tempo l’andazzo attuale dei lavori, potrebbe riuscire a realizzare rapiù die concreti accordi, quando Guy Mollet si fosse finalmente deciso a farci conoscere i desideri suoi e dei suoi amici.

A mio parere solo se la Conferenza cominciasse senza ulteriori ritardi a avviarsi verso mete proporzionate alle attuali circostanze e pertanto realizzabili, si farebbe opera utile, non solo per la causa della integrazione europea ma appunto specificamente, per la causa della CED.

Ti prego di credermi devotamente tuo

F. Cavalletti

110 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

110 2 Trasmessa a Magistrati con L. 1195, pari data.

110 3 Vedi D. 104.

111

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. riservata 0372. Roma, 15 febbraio 1954.

Caro Ambasciatore,

faccio seguito alle mie precedenti, con particolare riguardo alla tua n. 0176 del 4 febbraio(2). Il sottosegretario Benvenuti prenderà parte personalmente, con ogni probabilità, alla prossima riunione dei Sostituti per la CPE che avrà luogo costà, come conosci, tra il 22 ed il 25 p.v.(3). Egli ti metterà al corrente, in dettaglio, di tutto il nostro orientamento e non mancherà di trattenerti in merito alla tua interessante conversazione con Guy Mollet.

Per intanto posso dirti che la tua lettera ha confermato pienamente quanto, da più sintomi, presentivamo essere l’atteggiamento dei socialisti francesi a tendenza fi-lo-CED. Naturalmente il punto delicato sta proprio nel vedere come, giuridicamente e contrattualmente, sia possibile addivenire alla auspicata creazione della «Autorità Politica» senza compiere una vera e propria rivoluzione nel Trattato CED da alcuni Paesi già ratificato (a questo proposito ho già attirato la tua attenzione sull’atteggiamento olandese).

Sempre sull’argomento aggiungo che ieri sera in una lunga e sviluppata conversazione con il Presidente Scelba (che mi sembra avere parecchie idee in tema di politica estera) ho tratto l’impressione che, mano a mano che la posizione del Governo va, come sembra, un poco solidificandosi, egli si mostri piconvinto della necessità di presentare il Trattato CED al nostro Parlamento, prima della ratifica francese. Stiamo ora provvedendo alla compilazione della nuova relazione di accompagnamento alla legge.

Naturalmente, se ciò dovrà avvenire, avremo, a giudicare dalla stessa dichiarazione di guerra di Nenni nel suo ultimo discorso dominicale, battaglia molto grossa. Ma il Presidente Scelba mi sembra persona dalle spalle piuttosto resistenti e, penso, buon manovratore.

Aggiungo infine – sempre nei riguardi di Guy Mollet –, che l’intervista da lui concessa al Giornale d’Italia in data 6 febbraio, è qui apparsa, nel complesso «buona e spiritosa».

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

111 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

111 2 Vedi D. 102.

111 3 Vedi D. 127.

112

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 1652/183-184. Parigi, 16 febbraio 1954, ore 22,56 (perv. ore 23,50).

Circa le prospettive dei lavori della CPE condivido pienamente quanto dice Cavalletti nella sua lettera a S.E. Benvenuti del 6 corrente(2), alla quale mi riferisco. Non è concepibile, allo stato attuale delle cose e per molto e molto tempo, che i francesi accettino di attribuire alla CPE funzioni economiche. Resta il fatto, indipendentemente dalle ripercussioni negative che qualsiasi tentativo di insistere su questo punto può avere sulla ratifica della CED, che nel Parlamento francese non c’è non dico una maggioranza, ma nemmeno una minoranza per un sia pur modesto inizio di comunità economica.

Gli amici europeisti francesi, che vorrebbero spingere noi ed altri ad insistere su questo punto, farebbero bene ad esercitare la loro propaganda e le loro pressioni piuttosto che su di noi, sull’opinione pubblica e sul parlamento francese.

Realmente il massimo immaginabile è quello che Cavalletti dice di sperare di poter ottenere.

Per parte mia se per l’Assemblea Elettiva si intende un’Assemblea eletta per suffragio universale diretto, faccio anche su questa molte riserve: qui, in Parlamento e fuori, questa idea incontra ostilità che ritengo difficilmente superabili. Una soluzione potrebbe forse essere trovata nel lasciare ogni Stato libero di decidere circa il modo dell’elezione dei suoi rappresentanti all’Assemblea.

Anche io ritengo ormai necessario uscire dalla finzione di un accordo che non esiste e di un processo di lavori che in realtà non procedono in avanti ma all’indietro: si rischia di coprire di ridicolo la Conferenza ed i suoi partecipanti, temo, a parte le reazioni anti CED che questo puprodurre nel Parlamento francese. Ritengo sia venuto il momento di parlarci chiaro, almeno fra noi sei, e di vedere cosa sia utile fare, cosa si possa effettivamente fare e cercare di sollecitare la concretizzazione di quanto possibile. Il miglior mezzo per riuscirci mi sembra sia una riunione segreta dei Capi Delegazione, destinata ad uscire dalla nebbia e dalle illusioni e credo che l’iniziativa di questo richiamo alla realtà potrebbe essere presa utilmente da noi. Secondo me dovremmo, senza polemiche e senza recriminazioni inutili, prendere atto che il Parlamento francese non è disposto a seguire le iniziative europeistiche che hanno voluto assumere alcuni uomini politici francesi bene ispirati ma altrettanto fuori di una reale influenza e dovremmo chiedere ai francesi di farci sapere che cosa, in maniera da servire alla ratifica della CED, potrebbe essere realizzato subito.

In altre parole è necessario mettere la questione sul terreno politico e su tale piano decidere una risposta. Non si tratta infatti di manovre del Quai d’Orsay o di atteggiamenti di singoli funzionari, ma di tutta una situazione parlamentare che sarebbe assurdo continuare ad ignorare.

Al punto in cui è giunta, la questione della ratifica della CED è questione che minaccia seriamente lo sviluppo e la stessa esistenza del Patto Atlantico che non è soltanto elemento essenziale della nostra politica, ma anche condizione della nostra sopravvivenza. A questa crisi siamo arrivati per molte ragioni, non ultima quella che la ricerca dell’ideale ci ha fatto perdere di vista quello che non era possibile: questa esperienza triste ci deve servire anche per quanto riguarda la CPE.

Che la Francia non sia disposta a seguirci se non in misura estremamente modesta, sono il primo a deplorarlo: non potendosi perpurtroppo fare a meno della Francia, bisogna che ci contentiamo di fare quello che la Francia stessa è disposta a fare.

D’altra parte ritengo che un passo avanti, anche se modestissimo, sia meglio che niente. Bisognerà pregare gli europeisti francesi, per lo sviluppo avvenire, di occuparsi pie piseriamente di lavorare la loro opinione pubblica e parlamentare e di fare meno progetti.

112 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

112 2 Vedi D. 104.

113

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI CORRIAS(1)

Appunto 44/02422/c.(2). Roma, 16 febbraio 1954.

CPE. RAPPORTI DELLA COMUNITÀ CON I PAESI TERZI

1) La posizione italiana è in generale favorevole ad ogni misura che consenta uno sviluppo del commercio internazionale. Pertanto, nel quadro dei rapporti della Comunità con i Paesi terzi, l’Italia è favorevole a che si stabilisca in breve tempo una tariffa doganale comune per quanto riguarda le materie prime e a che tale tariffa sia la pibassa possibile. Per quanto attiene ai semilavorati e ai prodotti finiti un sistema comune di dogane e di scambi con gli Stati terzi dovrà essere istituito progressivamente (senza scadenze fisse, con procedura analoga a quella indicata nell’Appunto n. 44/01893/c.)(3), tenendo conto dell’avanzamento raggiunto dalla politica di integrazione economica fra i sei Paesi, e nella misura in cui si otterranno dagli altri Paesi adeguate contropartite.

Norme comuni circa la regolamentazione degli scambi commerciali della Comunità con i Paesi terzi dovrebbero nel pibreve tempo essere concordate tra i sei e contrattate poi con gli altri Paesi; misure restrittive dovrebbero perpoter sussistere od essere ripristinate – di comune accordo tra i Paesi della Comunità – quando si verificassero per un Paese condizioni «analoghe» a quelle indicate negli Articoli XI, XII, XIII, XIV, XV e XX del GATT.

2) Dovrebbe essere sollevato il problema delle colonie o dei territori non europei che fanno parte degli Stati membri, o di cui questi assicurano l’amministrazione o le relazioni internazionali, nel senso di chiarire che in linea di principio tali territori dovrebbero essere considerati o come facenti parte della Comunità o come Paesi terzi alla Comunità stessa.

Non sarebbe peraltro realistico porre rigidamente in sede di trattative tale principio, dati i legami politici, finanziari e valutari di fatto esistenti tra madrepatria e dipendenze, legami che si traducono nella non autonomia di tali zone, specie per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti, che non consente di fatto una soluzione generale e indiscriminata.

Si tratta pertanto di riconoscere alla Comunità il potere di prendere, d’accordo con il Paese interessato, la iniziativa della regolamentazione della posizione delle singole colonie o dei singoli territori dipendenti, in vista di arrivare ad una soluzione che corrisponda in modo differenziato alle concrete situazioni economiche dei territori dipendenti e che sia conforme allo spirito del «mercato comune» fra i sei Paesi.

3) L’Art. XXIV del GATT pone dei limiti molto rigidi, di tempo e di modalità, alla formazione di «Unioni Doganali» o di accordi miranti ad esse; anche il progetto olandese prevede per l’unione doganale dei limiti di tempo. Queste posizioni contrastano pertanto con la linea di «progressività legata al coordinamento» seguita dal Governo italiano circa le attribuzioni economiche della CPE. Per sfuggire alla regolamentazione prevista dall’ Art. XXIV del GATT sembra opportuno sostenere la tesi che il concetto di «mercato comune» della CPE non possa farsi coincidere né con la formula giuridica della «Unione Doganale» né con quella della «zona di libero scambio»; esso supera le definizioni, in quanto prevede un coordinamento delle politiche ed una armonizzazione delle legislazioni che quelle non richiedono, e non si limita alle merci, ma si estende ai capitali, alle persone ed ai servizi, e crea non solo una «zona doganale» unica ma una unità politica, con autorità supernazionale.

Pertanto contatti con le Parti Contraenti del GATT andrebbero presi solo ad uno stadio avanzato di formazione del «mercato comune».

113 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

113 2 Trasmesso da Favretti alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale con Appunto 44/02455/310 del 17 febbraio, informando che: «data l’urgenza di far pervenire le istruzioni alla nostra Delegazione in Parigi dovendosi oggi stesso discutere la materia in questione, l’appunto è stato sottoposto direttamente al Sottosegretario Benvenuti che lo ha approvato e telefonicamente comunicato al Dottor Prunas».

113 3 Vedi D. 103.

114

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto 20/0380. [Roma, 17 febbraio 1954](2).

ORIGINE E SVILUPPI DEL PROGETTO DEL TRATTATO PER L’ISTITUZIONE DELLA COMUNITÀ POLITICA EUROPEA

1. Fin dall’inizio del processo di integrazione tra i sei Paesi dell’Europa Occidentale il Governo italiano non mancdi sottolineare che la sua adesione alle Comunità «parziali» (Carbosiderurgica e difensiva) veniva data sovratutto in vista di un piampio obiettivo: nella sua concezione, tali Comunità rappresentarono infatti, fin da quando i relativi accordi furono per la prima volta proposti da parte francese, due tappe fondamentali sul cammino che deve portare a quella pigenerale Comunità Politica che costituisce la meta finale del processo. Si ritenne cioè che, attraverso il raggiungimento di accordi nei due importantissimi settori della carbosiderurgica e della difesa, si realizzassero condizioni particolarmente favorevoli per affrontare il problema della Comunità Politica.

Partendo da tali premesse il Governo italiano richiese ed ottenne che nel Trattato costitutivo della Comunità di Difesa fossero incluse le disposizioni dell’art. 38; con esso si fissavano, pur con la necessaria elasticità di formule, le linee direttive di un processo verso la ulteriore «struttura federale e confederale». Alla futura Assemblea della Comunità veniva demandato lo studio di tale processo, e ad una successiva Conferenza intergovernativa le decisioni al riguardo.

2. Con la firma degli accordi per la istituzione della CED (27 maggio 1952) e l’entrata in funzione della Comunità carbosiderurgica (luglio dello stesso anno) si crenei sei Paesi un clima particolarmente favorevole al processo integrativo della cosidetta «piccola Europa» (risoluzione n. 14 dell’Assemblea del Consiglio d’Europa). Tali condizioni suggerirono di non attendere l’entrata in vigore del Trattato CED per dare seguito ai principi ed allo spirito dell’art. 38.

Su iniziativa franco-italiana si giunse in tal modo alla risoluzione di Lussemburgo (10 settembre 1952) approvata dai sei Ministri degli Esteri riuniti in quella Capitale in occasione dell’insediamento del Consiglio dei Ministri CECA.

Con tale risoluzione venne deciso, anticipando i tempi di attuazione dell’art. 38, di affidare all’Assemblea della CECA, opportunamente integrata fino a raggiungere il livello previsto dal Trattato della CED, il compito di predisporre entro sei mesi un progetto di Trattato istitutivo di una Comunità Politica Europea.

3.L’Assemblea assunse il nome di Assemblea ad hoc. Spaak ne fu il Presidente. Una mole notevolissima di lavoro fu svolta in seno alle Commissioni appositamente costituite per studiare i vari aspetti della questione. Sovratutto un gruppo direttivo (di cui facevano parte l’On. Benvenuti per l’Italia, l’On. Teitgen per la Francia, gli On. Von Brentano e Von Merkatz per la Germania, l’On. Wigny e Dehousse per il Belgio e gli On. Blaissé e Coss Van Naters per i Paesi Bassi) impresse la propria impronta a tale lavoro.

Nel prescritto termine di sei mesi l’Assemblea ad hoc fu in grado di presentare ai sei Ministri degli Esteri riuniti a Strasburgo il 9 marzo 1953 un progetto di Trattato per la Comunità Europea.

4. La fase successiva prevista per il processo integrativo europeo era l’esame del problema in sede intergovernativa.

Gli sviluppi della situazione internazionale e delle situazioni politiche e parlamentari in alcuni Paesi, sovratutto la Francia e l’Italia, avevano frattanto introdotto nuovi, differenti elementi: essi si sono tradotti in sostanza in un rallentamento del processo integrativo dell’Europa a sei, il cui piapparente sintomo è il ritardo nella ratifica degli accordi CED da parte di taluni dei sei contraenti. In tale atmosfera, le riunioni dei sei Ministri degli Affari Esteri tenutesi a Parigi nel maggio e giugno scorso ed a Baden Baden nell’agosto(3), pur raggiungendo opportunamente lo scopo di mantenere viva la questione, non hanno sostanzialmente apportato che un contributo minore alla realizzazione della Comunità Europea. Esse mostrarono anzi alcune impostazioni divergenti su fondamentali aspetti del problema tra i vari Governi; sopratutto si manifestnel corso di esse una posizione francese estremamente riservata e limitativa nei confronti di ogni sostanziale progresso sul cammino dell’integrazione sopranazionale.

Per passare ad uno studio piconcreto del problema ed avviare il negoziato ad un avvicinamento delle rispettive posizioni si riunì a Roma (Villa Aldobrandini), tra il 22 settembre ed il 9 ottobre, una Conferenza dei Sostituti dei Ministri degli Affari Esteri della Comunità(4). I lavori si conclusero con la redazione di un Rapporto. Tale documento in sostanza precisava un limitato numero di punti sui quali era stata raggiunta una intesa e chiariva le posizioni delle singole delegazioni nazionali nei riguardi dei principali problemi su cui l’accordo non era stato ancora raggiunto.

5. Il Rapporto venne approvato dai sei Ministri della Comunità durante la Conferenza dell’Aja (novembre 1953)(5), che decise di demandare la prosecuzione dei lavori ad una Speciale Commissione cui venne inoltre data facoltà di iniziare eventualmente la redazione dei primi articoli da includere nel futuro trattato.

La predetta Commissione (cui partecipa, accanto alle Delegazioni degli altri cinque Paesi, una Delegazione italiana presieduta dall’On. Benvenuti) ha iniziato i suoi lavori il 7 gennaio scorso(6)a Parigi. Essa si è articolata in due Comitati principali, quello Economico e quello Istituzionale. Quest’ultimo è affiancato da un Sottocomitato incaricato di studiare i principi della legge elettorale per la Comunità, nonché da un Sottocomitato per lo studio della Corte di Giustizia.

I lavori della Commissione continueranno fino al 15 marzo. Per il 30 marzo è già stata fissata a Bruxelles una riunione dei sei Ministri degli Esteri allo scopo di esaminare i risultati dei lavori stessi.

114 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

114 2 Data ricostruita dal n. di protocollo.

114 3 Vedi DD. 1 e 34.

114 4 Vedi D. 55.

114 5 Vedi D. 64.

114 6 Per le istruzioni vedi D. 75.

115

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. 0225. Parigi, 17 febbraio 1954.

Caro Zoppi,

sempre nel corso della mia opera di «mediatore», ho avuto stamane ancora una conversazione con Guy Mollet.

Circa lo stato di salute della CED al Parlamento francese, mi ha detto che il risultato dei colloqui di Berlino è nel complesso favorevole. Ormai l’argomento che la CED è un ostacolo ad un accordo con la Russia sulla Germania non attacca più Molto scompiglio, in senso negativo, è stato portato invece dalla dichiarazione dei Tre che in caso di unificazione della Germania, il nuovo Governo tedesco sarà libero di restare nella CED o di uscirne. Si dice: ma allora, il giorno in cui si facesse l’unificazione della Germania, la maggioranza diventerebbe socialista, la Germania uscirebbe dalla CED, quindi la CED non avrebbe servito che a dare alla Germania un esercito di cui poi si potrebbe servire per una politica indipendente. Queste impressioni di Guy Mollet vengono intieramente confermate da altre parti e vanno considerate come esatte.

Mi ha aggiunto di avere suggerito al Quai d’Orsay di far fare dai Tre una dichiarazione, in cui, confermando la libertà della Germania unificata di uscire dalla CED, si specifichi che, in questo caso, si dovrà sciogliere l’esercito tedesco e ritirare tutto il materiale dato alla Germania in quanto partecipante alla CED. Si rende perfettamente conto che tutto questo non ha nessun valore pratico, ma ritiene sarebbe bene farlo per controbattere un argomento che può avere una forte influenza negativa.

Mi ha confermata la mia impressione, che l’idea di superare le difficoltà della ratifica mediante modifiche, almeno importanti del Trattato CED, va sempre piperdendo terreno a causa delle difficoltà di trovare un punto di accordo fra le modifiche da proporre. L’interesse si sposta verso i fattori esterni. Per parte mia aggiungo: è così certamente oggi, domani possiamo avere un nuovo spostamento verso la revisione: c’è l’incognita della posizione Juin.

Circa la partecipazione inglese, mi ha detto che il progetto attuale britannico – e che ritengo voi conoscete – nel complesso va bene, ai suoi fini di Partito Socialista: ci vorrebbero perancora alcune precisazioni: sopratutto all’Art. III-b. Bisognerebbe che fosse specificato che il rappresentante inglese al Commissariato sia un funzionario od una personalità politica di grado abbastanza elevato, per potere, su questioni di importanza non grande, prendere delle decisioni, e non essere un semplice osservatore obbligato per la minima cosa a riferire al suo Governo e probabilmente a non dare nessuna risposta.

Occorrerebbe anche, secondo lui, precisare maggiormente che cosa si intende per consultazione.

Circa la garanzia americana, pensa ad una dichiarazione a Tre che dicesse, sostanzialmente, che la data di scadenza del Patto Atlantico non è una data ghigliottina, ma che, nell’intenzione dei partecipanti, il Patto Atlantico è destinato a durare fino a che esiste la situazione politica di fatto che ne ha motivata la creazione. C’è a questo riguardo un progetto francese che non ha ancora avuto risposta dagli americani.

Per quello che riguarda noi, mi ha detto che farebbe un’ottima impressione nei circoli parlamentari francesi e potrebbe facilitare certamente la ratifica, se noi facessimo un passo a Londra e Washington appoggiando le domande francesi di garanzia, accompagnando il passo con un exposé de motifs che mostrasse che noi condividiamo certe apprensioni francesi, sulla secessione della Germania e sull’equilibrio di forze: naturalmente, dice lui – e con ragione – se lo facciamo bisognerebbe che si sapesse che lo abbiamo fatto. Questo servirebbe per far tacere quelli che parlano del pericolo di un’Italia ed una Germania bloccate nella CED contro la Francia. L’argomento ha la sua importanza – aggiungo io – era molto importante nei primi mesi di quest’anno. Ha perduto un po’ della sua portata in seguito all’atteggiamento del Governo Pella: putornare ad averne a seconda dell’impressione che si può avere qui della nostra politica.

Circa l’autorità politica, o comunità che dir si voglia, non ha cambiate le idee di cui alla mia precedente lettera(2). In via, diciamo così, esecutiva, bisognerebbe, secondo lui, procedere in questa forma: arrivare ad una forma di convenzione, accordo o come sia in questo senso.

«I lavori della Commissione per lo studio di una Comunità Politica Europea continuano. Intanto, e in vista della necessità di creare un’autorità politica che possa assicurare il funzionamento delle Comunità esistenti CED e CECA, i Sei hanno convenuto di creare un’autorità politica, etc. etc.». Quanto alla sua idea di un’iniziativa nostra, gli ho fatto osservare che, essendoci su questo argomento una certa divergenza fra le idee socialiste e le idee di Pinay e di altri, e la scelta fra le due impostazioni, o una loro eventuale conciliazione essendo una questione di orientamento politico interno del Governo francese, noi non potevamo prendere posizione per le tesi di un Partito piuttosto che un altro. Il massimo che eventualmente noi avremmo potuto fare era quello di chiedere che il Governo francese ci faccia sapere in via politica quello che ritiene di potere e di dover fare per facilitare la ratifica CED: stava poi a lui di orientare il Governo francese in un senso piuttosto che in un altro. Su che ha convenuto completamente. Mi ha aggiunto altre considerazioni di dettaglio su cui sorvolo perché vorrei che questa lettera ti arrivasse a tempo per le vostre eventuali decisioni prima della partenza di Benvenuti.

Circa Laniel, mi ha assicurato – il che è anche il mio parere – che è ormai definitivamente acquisito all’idea CED e che farà tutto il suo possibile per portarla in porto, naturalmente nella misura delle sue possibilità e capacità. Mi ha assicurato che Le Troquer è decisamente a favore e che si pucontare su tutta la sua influenza sia nel Partito socialista che all’Assemblea. Coty personalmente è piuttosto per: che non si deve contare su di lui per una forte pressione a favore, ma che si può esseresicuri che non farà niente contro. Sostanzialmente quindi – e sono d’accordo con lui – il risultato delle elezioni può essereconsiderato come relativamente favorevole.

Con tutto questo prevengo, e tornerpidettagliatamente sull’argomento, il risultato finale deve essere considerato, per quello che ci puinteressare, come ancora incerto(3).

Cordialmente,

[Pietro Quaroni]

115 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

115 2 Vedi D. 102.

115 3 Per il seguito vedi D. 119.

116

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 2151(2). Washington, 18 febbraio 1954.

Oggetto: Comunità europea di Difesa.

Signor Ministro,

nel corso dei contatti che abbiamo avuto in questi giorni col Dipartimento di Stato a proposito della Conferenza di Berlino sono emersi, per quanto concerne la CED, degli elementi e delle considerazioni che, pur non esprimendo alcun nuovo fatto concreto, forniscono degli utili punti di riferimento nella valutazione dell’attuale fase del problema.

La CED ha costituito a Berlino il principale obbiettivo degli attacchi e delle manovre russe ed è stata pertanto il punto centrale intorno a cui si è svolto direttamente

o indirettamente il serrato dibattito. Perfino nei confronti della NATO Molotoff ha lasciato socchiusa, almeno apparentemente, la porta ma per quanto concerne la CED c’è stata opposizione aperta e violenta.

La ragione di quest’atteggiamento è ovvia; dato che la NATO rappresenta un’area a situazione ormai definita e cristallizzata, l’Unione Sovietica non pusperare di introdurvisi, almeno con attacchi frontali: l’estensione di quest’area alla Germania, attraverso il canale della CED, rappresenta invece esattamente il contrario di quanto i Russi si propongono, ossia il mantenimento fra i due opposti blocchi di una «no man’s land» che finirebbe fatalmente per diventare campo di manovra e di attrazione per Mosca, mentre l’Occidente resterebbe in ogni caso privato del contributo attivo della forza militare tedesca.

Con la chiusura della Conferenza di Berlino si inizierà la fase conclusiva del problema CED. L’impressione che prevale per il momento qui è che le probabilità di ratifica sono ora leggermente aumentate. La Conferenza ha avuto, a giudizio del Dipartimento, la funzione di dimostrare in modo inequivocabile l’intransigenza sovietica; essa inoltre ha rafforzato la solidarietà fra le tre potenze occidentali sui principali problemi di loro comune interesse. La seconda costatazione è un’ovvia conseguenza della prima. La sua principale estrinsecazione pratica dovrebbe consistere in una maggiore decisione da parte dei Francesi per quanto concerne la ratifica del Trattato CED.

Naturalmente, prima di azzardare piconcrete previsioni, il Dipartimento attende di vedere quali accoglienze vengano riservate a Bidault al suo ritorno a Parigi e quale atteggiamento i partiti francesi assumano al momento decisivo. Si attribuisce molta importanza alla posizione dei socialisti e in particolare si spera che essi, o almeno una loro notevole frazione, si astengano dal sollevare il problema delle rettifiche del Trattato e quelle delle garanzie anglo-americane.

Il fatto che i socialisti belgi e quelli olandesi abbiano in maggioranza votato a favore della ratifica invoglia gli osservatori americani a deduzioni favorevoli.

Nei confronti della Germania la soluzione del problema della «costituzionalità» della CED non desta alcuna speciale preoccupazione.

Per quanto concerne l’Italia, la decisione del Governo di presentare al più presto alle Camere il progetto di legge sulla CED ha naturalmente avuto qui ripercussioni assai favorevoli. Gli uffici del Dipartimento chiedono, ogni qualvolta se ne presenta l’occasione, quali previsioni si possano fare circa lo svolgimento e la durata della relativa procedura parlamentare e non mancano di sottolineare l’interesse con cui il Governo americano segue la cosa. Tuttavia nessuno si nasconde qui la complessità del problema e la difficoltà di fare le previsioni stesse.

Da parte nostra, oltre ad esporre le opportune considerazioni atte a sviluppare negli uffici Americani la comprensione dei vari aspetti della questione, abbiamo attirato l’attenzione degli uffici stessi su due principali elementi:

₋ la ratifica da parte italiana non può essere considerata isolatamente, essa è connessa con lo stato del problema negli altri paesi interessati e con le caratteristiche generali della situazione europea nel prossimo avvenire;

₋ è indubbio che il problema di Trieste continua ad esercitare un’influenza determinante sullo stato d’animo del Paese e quindi del Parlamento, non solo per ragioni di carattere emotivo, ma anche per concrete e meditate considerazioni circa i metodi piconsoni alla tutela di un preminente interesse nazionale qual è quello in gioco.

Mentre sul primo elemento gli uffici del Dipartimento convengono in via di massima con le nostre considerazioni, sul secondo essi, come è noto, non sono riusciti finora ad andare oltre un atteggiamento di generica comprensione, nonostante la questione sia stata da parte nostra approfonditamente illustrata.

L’eventualità che l’intero progetto della CED, almeno nella sua edizione attuale, non arrivi in porto viene naturalmente tenuta presente, sebbene si continui a ripetere che il Governo americano non vede alcuna alternativa e che esso anzi ritiene pericoloso discuterne, in quanto ogni esame anche solo ipotetico di diverse soluzioni non farebbe che rallentare gli sforzi in corso. In questi giorni, per la prima volta, un funzionario del Dipartimento di Stato ha posto, sia pure in via del tutto teorica e con ogni riserva, il problema delle maggiori o minori difficoltà che il Governo francese potrebbe sollevare nei confronti di una diretta collaborazione della Germania con la NATO in sostituzione del progetto CED. Il funzionario americano ha poi aggiunto che comunque gli sembrava che il riarmo unilaterale della Germania fosse la soluzione peggiore.

È sintomatico che il problema delle cosidette alternative, di cui, in via ufficiale si vuol negare perfino l’esistenza, affiori poi facilmente nelle conversazioni private.

Comunque, ripeto, la prossima fase appare al Dipartimento come risolutiva, in un senso o nell’altro. In aprile il Congresso riprenderà il dibattito sull’assistenza economico-militare alla Europa Occidentale e farà in tale sede il punto sulla situazione europea, cominciando dalla CED. Sono possibili quindi ulteriori sviluppi sulla linea dell’emendamento Richards.

D’altra parte il Dipartimento si aspetta che in quel torno di tempo, se nessun progresso sarà stato realizzato, il Governo Tedesco invocherà un riesame del problema facendo presente la situazione anomala in cui la Germania Occidentale si trova per la mancata applicazione degli Accordi Contrattuali.

Siamo rimasti d’accordo col Dipartimento che ci manterremo in stretto contatto e che da parte nostra non mancheremo di fornire periodiche informazioni circa gli sviluppi del procedimento di ratifica da parte del nostro Parlamento.

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio profondo ossequio.

Tarchiani

116 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 114.

116 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

117

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 1969/446. Bad Godesberg, 19 febbraio 1954.

[Oggetto:] Riarmo tedesco, CED e sue alternative.

Signor Ministro,

ho riferito a parte su quelli che, attraverso anche le impressioni dirette ricevuto a Berlino, sembrano essere i risultati generali della Conferenza. Il problema centrale per per il quale essa era stata originariamente prevista, quello tedesco cioè, è rimasto al punto di prima.

Se nessuna sorpresa ne è derivata a Bonn e direi con graduazioni diverse, anche nelle varie capitali occidentali, l’insuccesso della Conferenza sul problema della riunificazione della Germania ha riportato in primo piano come prevedevasi quello del riarmo della Repubblica federale.

Dalla chiarificazione delle posizioni emerse a Berlino è apparsa, come riferisco separatamente, una circostanza di grosso peso: quella cioè che i sovietici non faranno la Guerra per la CED.

L’atteggiamento sovietico a Berlino è stato anzi così drastico nel non offrire mai nessun appiglio agli occidentali per una conversazione seria sul riarmo tedesco che mi è venuto, a Berlino stesso, spontaneo di chiedere a François-Poncet se, in via di paradosso, egli non ritenesse che i russi volessero spingere gli alleati occidentali a proseguire nella strada dell’integrazione europea. François-Poncet mi ha risposto che, se era escluso «di poter mettere in testa una cosa simile a Molotov», vi erano invece altri russi, come Semionov, che non erano forse troppo lontani da tale idea.

Rimane naturalmente la vecchia questione di sapere, per il caso che la CED dovesse fallire, anche con nuove modifiche concesse alla Francia, in quale forma tale riarmo tedesco possa avvenire. La questione è da tempo dibattuta in tutte le maggiori capitali e non c’è alternativa alla CED che non vi abbia già fatto oggetto di esame, tanto negli ambienti governativi quanto nella grande stampa; ma è particolarmente interessante conoscere le reazioni tedesche sulla questione. Una autorevole fonte della Cancelleria federale giudicava che, per l’eventualità che la CED non arrivasse in porto, tre alternative si aprirebbero alla Germania.

La prima è quella di un riarmo unilaterale della Germania d’accordo cogli Stati Uniti: possibilità che lo stesso Alto Commissario francese non mi ha affatto escluso. Personalmente perrimango assai scettico di fronte ad una ipotesi del genere che potrebbe avere conseguenze imprevedibili sugli orientamenti di politica estera della Francia.

Una seconda alternativa, e che sembra rivestire una maggiore dose di attendibilità, sarebbe, sempre secondo la stessa fonte, un progetto attribuito a Monnet, e di cui i tedeschi, parlandomene, hanno tenuto a sottolineare il carattere confidenziale. La Francia dovrebbe prendere l’iniziativa per la costituzione di una Assemblea europea provvisoria e di un Consiglio dei Ministri europeo, anch’esso provvisorio, che dovrebbero assumere il controllo politico sulla CECA e sulla CED. La novità del progetto ed il suo elemento distintivo rispetto agli analoghi piani di costituzione europea finora dibattuti sarebbe il carattere della provvisorietà: grazie a tale espediente si penserebbe di poter girare il grosso ostacolo finora frapposto all’integrazione europea dalla questione dei poteri dei costituendi organi istituzionali e di lanciare una formula di compromesso a cui tutti potrebbero dare tranquillamente il proprio consenso giacché non pregiudica definitivamente l’avvenire né in un senso né nell’altro.

La terza alternativa, che potrebbe secondo la Cancelleria federale entrare in linea di conto solo per il caso che anche il progetto Monnet dovesse dimostrarsi irrealizzabile, consisterebbe nel sostituire alla CED una coalizione di eserciti nazionali europei, facenti percapo a due organi integrati sovranazionali e cioè ad un Consiglio dei Ministri europeo e ad uno Stato Maggiore europeo, dei quali la Gran Bretagna entrerebbe a far parte. Scopo del progetto concepito come una estrema ratio, sarebbe quello di venire incontro alle tesi di molti avversari della CED in Francia.

È appena il caso di ripetere ancora una volta che tutto quanto ho sopra riferito costituisce solo una seconda linea della politica estera della Cancelleria federale, su cui essa potrebbe suo malgrado essere costretta a ripiegare; ma ciò nonsignifica affatto che la ratifica della CED, così come essa è stata finora concepita, non rimanga al centro di tutti gli sforzi e di tutte le preoccupazioni della politica estera tedesca. Basterebbe tra l’altro a provarlo l’ansiosa attenzione con cui si segue in Germania in ogni ambiente l’evoluzione politica interna in Francia e in Italia, per trarne indizi sulle prospettive di ratifica in questi due Paesi. La CED rimane infatti per il Governo di Adenauer la soluzione ideale: non solo perché essa, costituendo per forza di cose solo il punto di partenza per una Comunità europea più integrata e organica, offre alla ripresa politica ed economica della Germania un pivasto e fecondo campo di attività e di espansione, ma anche perché, almeno nel pensiero di Adenauer, solo un’Europa fortemente integrata che possa magari un giorno allentare qualcuno dei legami specie d’ordine militare che ora la uniscono strettamente al Nord-America ed acquistare così una maggiore autonomia fra i due blocchi contrapposti, potrà forse avere qualche prospettiva di arrivare ad un modus vivendi coi sovietici e di risolvere pacificamente il tormentoso problema della riunificazione tedesca. Se ed in quali limiti queste vedute tedesche corrispondano alla realtà della situazione politica internazionale e soprattutto agli intendimenti russi è un’altra questione: certo è che esse sono qui molte diffuse e non poche voci si sono levate per l’addietro per rimproverare al Governo ed agli Occidentali di avere troppo prematuramente lanciato l’idea di piani di sicurezza, da concludersi fra l’Europa e la Russia, in un momento in cui l’Europa unita ancora non esisteva o comunque, anche se gifosse esistita, sarebbe stata di fatto se non di nome una semplice appendice militare dell’America. Questa stretta compenetrazione che i tedeschi, a torto o a ragione, stabiliscono tra la CED e la loro riunificazione, è una delle chiavi della loro politica e va sempre quindi tenuta ber presente per giudicare le mosse e l’evoluzione di tale politica.

Voglia gradire, Signor Ministro, i miei devoti ossequi.

[Francesco Babuscio Rizzo]

117 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 26, fasc. 1.

118

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. riservato 0252(2). Parigi, 19 febbraio 1954.

Oggetto: Ratifica CED-Francia.

Signor Ministro,

ritengo possa essere utile per V.E. che cerchi di chiarire, in quanto sia possibile chiarire una situazione estremamente confusa ed instabile, la situazione parlamentare francese di fronte alla CED.

Debbo prima di tutto premettere che la questione Europa è praticamente assente dall’impostazione del dibattito.

Richiamiamoci del resto alle origini della CED: essa non è nata per considerazioni europee. Da parte americana è stato posto il problema del riarmo tedesco: il Governo francese si è trovato, od ha ritenuto trovarsi, nell’impossibilità di far accettare al paese il riarmo tedesco puro e semplice. È partito allora da un ragionamento realistico: è impossibile mantenere la Germania, sola, in un regime di discriminazione controllata: se si vuole controllare l’esercito tedesco, bisogna accettare di sottoporre a controllo anche l’esercito francese. Esattamente come la CECA è nata non da un punto di vista europeo, ma dalla constatazione che era impensabile di continuare in eterno a controllare la Ruhr se non si accettava al tempo stesso di controllare anche la Lorena.

Ai fini della presentazione si è fatto largo uso della fraseologia europea, ma il problema è rimasto lo stesso. Le vecchie democrazie, come la Francia, sono ben abituate a mascherare dei loro interessi, molto reali, dietro dei principi generali: noi purtroppo non lo abbiamo ancora imparato: siamo o idealisti, ma allora sul serio, oppure cinici. Ma è bene non dimenticare questo punto di partenza se ci si vuol veder chiaro.

Mi permetto di aggiungere che l’elemento «esercito tedesco» è preminente anche presso gli americani. Gli americani, è vero, sono convinti, ed a ragione, che l’Europa, per prosperare economicamente, avrebbe bisogno di spazi pilarghi degli attuali quadri nazionali, però non hanno mai fatto una vera pressione a fondo, né profferite minaccie, per l’Europa in sé: quello che li interessa nella CED resta l’esercito tedesco.

Riportato il problema ai suoi dati fondamentali, constatiamo che nel Parlamento francese si affrontano sostanzialmente tre tesi:

1) quelli che non vogliono, a nessun costo, il riapparire dell’esercito tedesco;

2) quelli che ammettono l’esercito tedesco sì, ma controllato;

3) quelli che, pur di non far controllare l’esercito francese, sono disposti ad ammettere un esercito tedesco indipendente, picollegato che controllato.

Noto, di passaggio, che quando noi ci rifiutiamo ad ammettere qualsiasi cambiamento all’attuale Trattato CED, lo facciamo perché riteniamo che qualsiasi cambiamento ne diminuirebbe il carattere sopranazionale che, a nostro punto di vista, è già molto modesto. I francesi, salvo qualche rarissima quanto meritevole eccezione, del sopranazionale se ne infischiano: ritengono invece che con l’attuale formula si è ottenuto l’optimum, tecnicamente possibile, di imbrigliamento dell’esercito tedesco, il massimo di discriminazione a favore dei francesi e che qualsiasi mutamento, anche minimo, guasterebbe questo massimo di garanzie: il che, fra l’altro, è perfettamente esatto.

Vediamo adesso un po’ di numeri. Ricordo la consistenza dei Partiti alla Camera francese:

-Comunisti e Progressisti 100

-Socialisti SFIO 105

-MRP 87

-UDSR (il partito di Pleven) 25

-Radicali 76

-Indipendenti 54

-Indipendenti-Contadini (divisi in gruppo Antier e anti-Antier) 47

-Indipendenti d’oltremare 15

-Gaullisti dissidenti ARS 34

-Gaullisti URAS 77

Di tutti questi Partiti gli unici due che, salvo qualche possibile defezione individuale, sono pronti a votare la CED così come essa è, sono l’MRP e l’UDSR. Radicali, Indipendenti e Contadini, oggi, sono divisi sul problema: è difficile stabilire quale sia il punto di frattura: ammettiamo, per essere sul solido, che ce ne sia la metà sicura a favore della CED. Questo fa, arrotondando un po’ la cifra, duecento voti sicuri. Per arrivare alla maggioranza di un solo voto, bisogna arrivare ad avere 313 voti.

Gli Indipendenti d’oltremare, pur essendo solo 15, costituiscono un problema a sé; sono quasi tutti acquistabili: ora è indubbio che gli anti-CED hanno il portafoglio pifornito e piaperto che i pro-CED.

Certamente con un’azione decisa ed abile di governo, si possono ricuperare molti Radicali e molti Indipendenti: mai tutti, per non si riuscirà mai ad incamerare, per esempio, nei Radicali, il gruppo Herriot e quello Daladier, e, negli Indipendenti, quello di Pierre André. Facciamo un’ipotesi estremamente ottimista: che le defezioni nei due gruppi possano essere ridotte ad una sola trentina: questo darebbe un totale di poco più di270 voti. Per arrivare alla maggioranza, sempre di un solo voto, bisogna trovare ancora più di40 voti.

Questi voti non si possono trovare altro che tra i Socialisti o fra i due gruppi

gaullisti.

Guy Mollet sta conducendo la sua battaglia per avere la maggioranza del Comitato politico del Partito a favore della CED, ed imporre la disciplina di partito. Lui è abbastanza ottimista, i suoi amici lo sono più dilui: i suoi avversari giurano che non ci riuscirà: non mi sento di fare delle previsioni: bisognerà aspettare e vedere. Se ci riesce, la maggioranza c’è, e sufficiente, anche ammettendo che la disciplina di voto sarà rispettata meno di quanto lui spera: se non ci riesce, ci saranno anche in questo caso delle deroghe alla disciplina di partito, ma non in numero sufficiente a colmare il vuoto necessario.

Dunque, se vince Guy Mollet, si può far votare la CED con i voti socialisti: anche in questo caso, saranno necessarie delle modifiche, ma, come V.E. ha visto, si tratta di modifiche accettabili perché non toccano né l’imbrigliamento dell’esercito tedesco, né le istanze europee che maggiormente ci interessano: e potrebbero non richiedere un nuovo negoziato.

Se Guy Mollet non gliela fa, allora per far passare la CED ci vogliono i voti di gaullisti: per avere i voti dei gaullisti, bisogna non solo diminuire, ma tagliare radicalmente nel sopranazionale. A parte le difficoltà esterne, si presenta anche il problema interno: accetterebbero gli attuali partigiani della CED, come essa è, di rinunciare alle loro formule per l’imbrigliamento dei tedeschi? Ne sono tutt’altro che sicuro: certamente ci sarebbero delle defezioni che potrebbero anche far sì che, su formule accettabili dai gaullisti, non si potrebbe trovare la maggioranza: anzi, allo stato attuale delle cose, dovrei dire che questa, oggi, sembra l’ipotesi piprobabile. Bisognerebbe, per riuscire, trovare una formula intermedia, accettabile dalle due parti, che limitasse le defezioni a pochi estremisti: è la formula che attualmente sta studiando Laniel, per avere in ogni caso un’alternativa. Ma comunque, in questo caso, ci vorrebbero delle modifiche importanti.

Questo mio calcolo, aritmetico-politico, mostra abbastanza chiaramente che la

chiave del voto della CED, come essa è oggi, è nelle mani dei socialisti.

Ma anche col voto socialista la situazione presenta ancora delle complessità. Se il Governo Laniel si orienta decisamente, come sembra, verso la ratifica della CED, così come essa è, i Ministri URAS e ARS dovranno dare le dimissioni: anche se, per ambizione di portafoglio, qualcuno di loro restasse, il Governo perderebbe comunque il voto dei loro partiti. In sé, in Francia, questo non significa la caduta del Gabinetto: possono andarsene anche tutti i Ministri purché resti il Presidente. Ma questo implicherebbe che il Governo Laniel, da governo di centro-destra diventi governo di centro-sinistra: lo seguiranno in questo caso gli Indipendenti ed i Contadini? È almeno dubbio.

Guy Mollet mi ha detto che, in caso di sua vittoria, non collegherebbe il voto del suo Partito con un’entrata al Ministero dei socialisti e comunque con condizioni politiche di altro genere. Ci credo, perché Guy Mollet fa questo non per amore disinteressato per la CED, ma per un calcolo politico molto realista: sa benissimo che una volta tolta di mezzo la questione della CED, la maggioranza per un governo centro-sinistra, di apertura sociale, diremmo noi, c’è: sono pronti a formarlo, socialisti, UDSR, i Radicali quasi tutti, ed anche quasi tutto 1’URAS. Questo non è possibile oggi perché c’è la CED che divide questa maggioranza in potenza, ma sarebbe, ripeto, possibile, il giorno che la questione della CED fosse risolta. Ma la destra, ossia gli Indipendenti Contadini, che di questo governo di centro-sinistra hanno una paura folle – et pour cause – essendo dei vecchi «routiers» parlamentari non possono non vedere la manovra socialista. Lasceranno fare, per amor di patria? o non soccomberanno alla tentazione di assumere in materia di CED un atteggiamento piuttosto orientato verso quello gaullista per rendere di nuovo impossibile una maggioranza di centro-sinistra?

Ho voluto esporre in dettaglio la situazione – e V.E. pucontrollarne l’esattezza

‒per mostrare a V.E., quanto essa è complessa e variabile, per cui è difficile fare delle

previsioni.

E in tutto questo pasticcio, non è affatto da escludere che il Parlamento francese si rimetta alla soluzione pifacile: che è quella di rimandare ancora il dibattito. Sono oggi gli estremisti anti e pro-CED che spingono al dibattito, ritenendo, ambedue, che la situazione sia loro favorevole: la maggioranza, temo, ha una forte tendenza a rimandare.

Temo anche che l’annuncio di una conferenza, il 26 aprile, sull’Indocina finirà per portare acqua al mulino del rinvio. L’Indocina è, oggi, un potente argomento an-ti-CED: è noto il ragionamento, del resto esatto; lo sforzo che la Francia deve fare in Indocina le rende impossibile essere presente in Europa, a parità colla Germania. Quindi una soluzione del problema Indocina faciliterebbe la CED: ma non l’annuncio di una conferenza sull’Indocina.

Il ragionamento è semplice, e anche logico. Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che l’URSS non vuole la CED, sotto nessun pretesto: se si spera che la Russia voglia influire per una soluzione onorevole per la Francia in Indocina, non lo farà certo per favorire la ratifica della CED: bisogna darle almeno la speranza che la CED possa, in cambio, non essere ratificata. Non è il ragionamento di tutti quelli, che nella lotta violenta al Consiglio dei Ministri, si sono battuti, contro Teitgen sopratutto, per istruzioni ferme a Bidault affinché insistesse su Dulles – che pare non volesse – per accoppiare nettamente Corea ed Indocina: ma è certo la tesi e la speranza di qualcuno: ed è certo una tesi che ostacolerà il «ralliement» degli esitanti.

Qui non tutti credono che il dilemma Dulles «o CED o agonizing research, ossia politica periferica» sia vero: molti pensano: l’America non puabbandonare l’Europa ai russi; quindi_ anche se non si vota la CED, dovrà continuare ad aiutare, in qualche forma, l’Europa occidentale. In sé non si punegare che ci sia una certa logica in questo ragionamento. Solo che esso non tiene conto che la decisione è in mano al Congresso americano, il quale non è certo piconseguente dei Parlamenti europei: ci sono le correnti isolazioniste larvate che non bisogna, a mio avviso, sottovalutare. Abbiamo poi a che fare con Foster Dulles il quale non è un Ministro degli Esteri, ma un caso freudiano.

Concludendo: personalmente credo poco alla possibilità che il Parlamento francese respinga la CED puramente e semplicemente. Può però benissimo rimandare il dibattito: in caso estremo resta sempre la possibilità di far cadere il Governo Laniel; oppure metterà alla ratifica una serie di se e di ma, che comunque richiederebbero un nuovo negoziato.

Per cui non mi sento affatto di poter dire che ci sono delle probabilità che la CED sia ratificata, anche con modifiche, in tempo per le decisioni del Congresso americano: e quindi il pericolo di decisioni affrettate del Congresso stesso, che possano mettere in forse tutto il Patto Atlantico, non mi sembra affatto da escludere.

Perci visto che ci stiamo orientando verso il dibattito al Parlamento italiano, è da vedere se non ci converrebbe meglio – per quello che ci concerne – andare avanti. Ma sui riflessi italiani dell’Affare CED mi riservo di intrattenere V.E. con un successivo rapporto(3).

La prego di credere, Signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

118 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

118 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

118 3 Vedi D. 125.

119

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. riservatissima 20/0420. Roma, 20 febbraio 1954.

Caro Quaroni,

Ti ringrazio della tua del 17 n. 0225(2), qui giunta tempestivamente, nel momento stesso nel quale avevamo, presso il Ministro Piccioni, la riunione preparatoria per i lavori del Comitato dei Sostituti che si riunirà, costà, lunedì prossimo.

Il Sottosegretario Benvenuti ti dirà, in dettaglio le conclusioni di massima alle quali siamo giunti dopo la riunione stessa. In una parola, mentre intendiamo mantenere vivo, attraverso i lavori dei Comitati per la CPE, il processo destinato a facilitare in qualche modo l’integrazione politica, riteniamo opportuno non provocare, attraverso eccessive iniziative ed appesantimenti un ritardo della ratifica del Trattato CED.

Sull’argomento mi è apparso molto interessante quanto Margerie ha detto a Catalano a Berlino, al momento della conclusione della Conferenza. I Russi, cioè, tutto sommato, pur di evitare una unificazione della Germania sulla base proposta dagli Alleati, sarebbero persino disposti ad ingoiare la CED.

Con viva cordialità

[Vittorio Zoppi]

119 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

119 2 Vedi D. 115.

120

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. Parigi, 20 febbraio 1954.

Carissimo Ministro,

sono un attento lettore delle comunicazioni provenienti al Ministero dalle nostre Ambasciate ed opportunamente dal Ministero diramate. Mi è spesso parso, nella materia specifica concernente la CED, che molti nostri Capi Missione non hanno avuto modo di conoscere e meditare a fondo la materia. E questa impressione – che si è particolarmente rafforzata in me leggendo la comunicazione della nostra Ambasciata di Londra del 9 febbraio(2)– mi induce a pregarla di voler considerare se non sarebbe opportuno che materiale illustrativo ed il testo integrale del Trattato e Protocolli annessi fossero messi a disposizione delle nostre Ambasciate al fine di poter loro consentire di esprimere giudizi ed opinioni «ab informato».

Quando, infatti, leggo a pag. 2 di quella comunicazione una considerazione di questo genere: «rimane sempre vero che una CED anche attenuata è meglio di nessuna CED» e della convenienza di «compiere un primo passo limitato ma importante e ciò senza pregiudiziali aprioristiche, e magari sacrificando esigenze logiche e rispettabili ideali federalistici» ho l’impressione che si parli di una cosa conosciuta piattraverso la deformante polemica di gazzetta che non attraverso un severo studio del Trattato e dei Protocolli.

Cosa potrebbe essere una CED «attenuata»? Quando si tratta di approfondire tale concetto, si arriva scherzosamente ma inevitabilmente a riandare con il pensiero alla possibilità che una donna possa essere solo leggermente incinta...

Tutto ciò che poteva essere fatto in sede di compromessi, limitazioni, stringature, dosature nel campo dei nostri concetti informatori della CED, è stato fatto a suo tempo ed incorporato nel Trattato, per cui spesso si è dovuto, anzi – per raggiungere il minimo possibile ma tuttavia funzionale – sacrificare persino esigenze logiche.

Non è stato necessario viceversa sacrificare ideali federalistici per il piccolo particolare che quelli non hanno pesato nella elaborazione della struttura della CED che è, sì, una impostazione di carattere comunitario, ma lo è anche in una forma «sui generis» e non può esserecerto considerata come concepita e costruita secondo lineari impostazioni federalistiche.

Pregiudiziali aprioristiche? O Dio, se questo si riferisce alla necessità di consacrare quel minimo di supranazionalità atto a far funzionare la struttura; di evitare il riarmo autonomo nazionale della Germania e la ricostituzione dello Stato Maggiore tedesco; di interferire – sia pure per il minimo possibile – nel problema del processo produttivo, agli effetti di certe limitazioni indispensabili specie per quanto concerne le zone strategicamente esposte; di studiare il mezzo atto a far funzionare un organismo militare integrato ecc. ecc., debbo ammettere che i negoziatori del Trattato non hanno potuto ignorare a priori alcune pregiudiziali.

Ma senza tali premesse ed esigenze non vi era neppur la necessità di creare la struttura della CED e percil’unica alternativa alla struttura creata non è una CED «attenuata» ma è, semmai, la rinuncia pure e semplice alla CED stessa (salvo vedere cosa combinare di altro in fatto di apporto tedesco).

Se non si rendono conto di questo fatto i commentatori delle nostre fatiche e gli ottimisti suggeritori di soluzioni atte a dare il necessario senso di responsabilità a certi Parlamentari di certi Paesi, ovviamente continueranno ad incappare in erronee impostazioni ed a trarne illazioni altrettanto errate.

Ritenendola d’accordo con me mi permetto di raccomandarle, caro Ministro, di considerare l’opportunità della proposta di cui sopra Le ho fatto cenno e La prego di gradire i miei amichevoli saluti

Suo

Ivan Matteo Lombardo

120 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 114.

120 2 Vedi D. 106.

121

IL DIRETTORE GENERALE PER L’EMIGRAZIONE, GIUSTI, AL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE, PRUNAS(1)

L. 9697/29(2). Roma, 23 febbraio 1954.

Caro Prunas,

rispondo alla tua lettera 0625 del 13 corrente(3)e ti ringrazio per quanto mi scrivi circa la presentazione da te effettuata al Comitato di Direzione [sic] del nostro appunto, contenente alcune considerazioni sulla libera circolazione delle persone nell’ambito della futura Comunità europea.

Ho preso nota delle modifiche, del resto marginali, da te apportate al nostro testo e sono senz’altro d’accordo con te in merito alle stesse, come pure per quanto riguarda la presentazione che tu ne hai fatta costì. In particolare approvo l’idea di dare all’appunto stesso la paternità della Delegazione e non del Governo italiano: in questo delicatissimo settore noi dobbiamo infatti mantenere la piampia libertà di azione, anche se le altre delegazioni sembrano tanto ansiose di vederci mettere nero su bianco.

L’esatto punto di vista del Governo italiano potrà essere precisato in un secondo tempo, allorché la trattazione del problema sarà passata in fase piconsolidata di quella attuale (i recenti telegrammi 183 e 184 dell’ambasciatore Quaroni(4)sembrano perritenere un simile consolidamento ancora lontano), nonché dopo attenta e profonda consultazione fra tutte le Amministrazioni interessate e competenti.

Ciò premesso, mi riferisco al tuo recente appunto(5)(passatoci con cortese sollecitudine dagli Affari Economici), con il quale hai riferito circa lo svolgimento della discussione seguita alla presentazione del nostro documento, e mi richiamo al telegramma 180 di Bombassei(6), con il quale ci è stato chiesto di preparare «un progetto degli articoli del trattato relativo alla libera circolazione delle persone».

In base a questi due riferimenti troverai qui allegato un siffatto progetto(7), che lascio a voi di giudicare in base agli elementi generali e particolari in vostro possesso e che, seguendo la vostra richiesta, contiene la sintesi, in forma di articoli di trattato, delle idee da noi espresse nel precedente appunto.

Inutile che io aggiunga subito che le considerazioni da me fatte più sopra conservano pieno valore anche nei confronti di tale nuovo documento. Esso infatti non deve impegnare minimamente il Governo italiano, che non solo si riserva ogni possibilità di discussione e modifica su tali articoli, ma anche la possibilità (come da te già precisato costì, molto opportunamente) di presentare se necessario anche altre proposte sostanzialmente diverse.

Per tua maggiore chiarezza ti preciso da ultimo che il nuovo documento si divide in due parti: una che diremo generale ed una di dettaglio.

La prima, contiene quattro formulazioni a) b) c) d) che mi sembra dovrebbero costituire il nerbo degli articoli da includersi nella parte introduttiva dell’eventuale futuro trattato (vedi art. 2 del Patto Atlantico, art. 8 del Trattato OECE, ecc.).

La seconda, dovrebbe costituire un primo embrione della sezione dedicato nello stesso progetto di trattato, allo specifico problema della libera circolazione delle persone.

Mi auguro che anche questa volta tu possa giudicare il nostro lavoro – che è stato nuovamente condotto con scarsezza di tempo – in maniera favorevole e che esso possa esserti utile nel tuo lavoro.

Tienimi informato e credimi con viva cordialità

[Justo Giusti]

121 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

121 2 Trasmessa da Giusti alle Direzioni Generali della Cooperazione Internazionale e degli Affari Economici con Appunto riservatissimo 60/9968/1961 del 24 febbraio.

121 3 Il contenuto è qui riassunto. Il documento cui si fa riferimento era stato presentato da Prunas al Comitato Economico del 15 febbraio e fu diramato successivamente alle Ambasciate e Rappresentanze: vedi D. 183, Allegato I.

121 4 Vedi D. 112.

121 5 Appunto n. 5 del 17 febbraio, trasmesso da Bombassei al Ministero degli Affari Esteri con Telespr. 10/132, pari data: riunioni del 15 e 16 febbraio del Comitato Economico, in DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

121 6 T. 1642/180 del 16 febbraio: Bombassei riferiva che Prunas ‒nella riunione del giorno precedente ‒aveva sottolineato la necessità che «alla libera circolazione delle persone fosse dato un rilievo non inferiore a quello fatto ad altri elementi costitutivi del mercato comune» e che francesi e belgi avevano chiesto la presentazione di un progetto di articoli in materia. Bombassei richiedeva pertanto elementi utili allo scopo (ibidem).

121 7 Vedi D. 183, Allegato II.

122

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 885/464(2). Londra, 23 febbraio 1954.

Oggetto: CED. Conversazione con Kirkpatrick.

La stampa britannica di questi giorni ha accennato alla possibilità che da parte inglese si addivenga a più stretti rapporti con la Comunità Difensiva Europea. Il Times in particolare, in una sua nota diplomatica di ieri, parla di nuove proposte di Londra, lasciando adito a qualche dubbio – a causa della formulazione insolitamente nebulosa e contradditoria – se si tratti di una indiscrezione sulle misure previste nel progetto di convenzione del 25 novembre 1953, oppure di nuovi e pisostanziali impegni che la Gran Bretagna sarebbe adesso disposta a prendere nei confronti della CED.

In una visita effettuata oggi a Kirkpatrick gli ho chiesto come dovessero essere interpretate queste notizie di stampa.

Il Sottosegretario Permanente mi ha detto che in preparazione vi è effettivamente qualche cosa di pidell’accordo elaborato dal Comitato giuridico della CED. A Berlino americani e inglesi hanno promesso a Bidault di riesaminare assieme le misure necessarie per meglio garantire la CED e facilitarne la ratifica. Tali misure dovrebbero fare oggetto nel prossimo futuro di conversazioni per via diplomatica tra Londra, Washington e Parigi.

L’oggetto di tali conversazioni sarà anzitutto quello di studiare la possibilità di prolungare la durata del NATO portandola a 50 anni. In secondo luogo verrà esaminata la possibilità di qualche accordo sulla permanenza delle truppe anglo-americane in Europa o sulla procedura che dovrà essere seguita per modificare la consistenza numerica delle truppe stesse. Infine si tratterà di rivedere il progetto di convenzione del 25 novembre 1953 per stabilire se sia possibile apportarvi dei miglioramenti. ciò nonimplica, secondo Kirkpatrick, nessun nuovo accordo, bensì l’impegno di discorrere per perfezionare ed integrare le garanzie già convenute.

Il Sottosegretario Permanente ha quindi sostenuto che le informazioni di stampa erano sostanzialmente inesatte e costituivano un «leakage» indesiderabile. Del resto, egli aggiungeva, le previste conversazioni a tre avrebbero avuto anche il compito di stabilire il momento piopportuno per dare pubblicità alle intese raggiunte in rapporto alle fasi della ratifica francese. Ogni intempestiva pubblicazione era quindi, a suo giudizio, controproducente.

Circa gli umori di Parigi nei riguardi della CED, Kirkpatrick ha detto che, oggi, le possibilità di ratifica gli sembravano molto migliorate. Da parte inglese si continua a ritenere che la CED debba essere ratificata così com’è: e a questo riguardo il Sottosegretario Permanente mi ha ripetuto quanto già dettomi e cioè che ogni proposta di sostanziale modifica non farebbe che rimettere tutto in alto mare.

Ha aggiunto perche si sarebbe disposti a considerare lievi modifiche, purché tali da essere facilmente realizzate senza provocare ritardi nella ratifica. Ma anche questa possibilità deve essere lasciata alla iniziativa e responsabilità del Governo francese.

122 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 33, fasc. 116.

122 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale», con la sigla di Zoppi.

123

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, UFFICIO IV, [AL CONSIGLIERE DELLA DELEGAZIONE PRESSO L’OECE, PRUNAS](1)

Appunto 44/02783/c.(2). Roma, 24 febbraio 1954.

Oggetto: CPE. Problema del coordinamento delle politiche economiche.

Con riferimento al telegramma n. 197 della nostra Delegazione al Comitato CPE in Parigi(3)ed a seguito dell’Appunto di questa Direzione Generale n. 44/01893/c. del 6 corrente(4), si precisa ulteriormente come segue la nostra posizione circa il problema in oggetto:

1) scopo del «coordinamento» è quello di prevenire o riassorbire gli squilibri economici tra gli Stati membri, di attenuare le disparità eccessive tra i costi globali di produzione, e di garantire che la libertà di circolazione delle merci, dei capitali, delle persone e dei servizi nell’ambito della Comunità sia effettiva e non incontri ostacoli sostanziali nella diversità delle disposizioni vigenti nei diversi Paesi.

L’espressione «coordinamento delle politiche» non deve perfar pensare che si voglia giungere ad avere in tutti i Paesi della Comunità la medesima politica e le identiche legislazioni e disposizioni; il coordinamento, anzi, deve tener conto delle differenze strutturali esistenti tra i Paesi membri, e della diversità delle loro economie, dei loro sistemi sociali e delle loro situazioni politiche e sindacali. Pertanto il coordinamento deve tradursi in direttive politiche e prassi economiche analoghe nei fini anche se materialmente diverse, tali da favorire il perseguimento degli obiettivi generali della Comunità pur nella salvaguardia delle condizioni particolari di ciascun Paese.

Attraverso il coordinamento, pertanto, si dovranno eliminare tutte le differenze che non rispondono alle caratteristiche strutturali dei sistemi sociali e produttivi di ciascun Paese o che non sono legate al diverso grado di sviluppo delle economie dei Paesi membri. Ove invece le differenze dipendano appunto da tali motivi, esse andranno individuate e riconosciute, e dovrà provvedersi attraverso l’applicazione del principio di salvaguardia.

2) Sulla base di tale interpretazione nell’Appunto del 6 febbraio di questa Direzione Generale degli Affari Economici si sosteneva che il coordinamento dovesse essere enunciato «sic et simpliciter», essendo fin troppo note le strette interrelazioni esistenti tra i molteplici fattori economici e sociali, per cui ogni indicazione tassativa – sulla base di un elenco – delle materie da coordinare risulta necessariamente limitante ed erronea.

Tale tesi dovrà essere sostenuta come «posizione di massima» dell’Italia, ma è evidente che nel corso delle trattative, come già si accennava nell’Appunto, si potrà accedere ad una formulazione del principio che indichi le materie da coordinare; in tal caso perl’elencazione deve tendere ad essere la picomprensiva possibile.

3) Facendo riferimento al documento presentato dalla Delegazione belga (CCP/ CE/Doc.20) è opportuno affermare che esso costituisce un utile contributo esemplificativo al chiarimento del problema del coordinamento economico tra gli Stati membri della Comunità.

Ove persi volessero indicare nello Statuto «tutte e sole» le materie trattative [sic] nel documento belga, la nostra posizione non potrebbe essere che negativa.

In una elencazione del tipo proposto dal documento belga, dovrebbe essere infatti previsto anche il coordinamento delle politiche degli investimenti, decisive ai fini del futuro assetto del mercato comune e delle economie degli Stati membri, e dovrebbe inoltre essere inserita una clausola generale avente approssimativamente il seguente tenore: «tutte le materie non espressamente contemplate nel presente articolo possono fare oggetto di coordinamento quando civenga ritenuto opportuno, a maggioranza, dall’organo della Comunità cui il coordinamento è affidato». Si potrà in pratica accettare una formula che preveda l’estensione del coordinamento a nuove materie solo quando si abbia l’accordo unanime, ma la formulazione a maggioranza va sostenuta come posizione di principio italiana.

4) Risulta da cievidente che – salva la posizione di principio che va affermata e consacrata negli atti – si potrà in pratica accedere ad ogni formulazione che non metta dei limiti tassativi tali, per cui una eventuale richiesta di coordinamento possa domani essere respinta dalla Comunità per «incompetenza».

La formula che più si avvicina in pratica a quella italiana dovrebbe indicare solo in via generica le materie: «coordinamento delle politiche monetaria, finanziaria, economica e sociale»; ove si scenda, in sede di elencazione, ad un dettaglio maggiore, è necessaria la riserva generale di cui al punto 3.

5) La concezione indicata a pag. 4 del documento belga (essendo l’intervento della Comunità a carattere suppletivo, esso è sottomesso alla «limitazione di competenza») risulta inaccettabile ove la «competenza» debba derivare esclusivamente dalla lettera del Trattato e non anche della possibile decisione dell’organo della Comunità cui il coordinamento è affidato.

Per quanto riguarda la «limitazione di circostanze», la formulazione del documento belga purisultare troppo restrittiva. Il coordinamento deve poter riguardare non soltanto le materie di nuova definizione, ma anche – e forse soprattutto – le materie quali risultano già oggi definite nelle legislazioni dei vari Paesi. È necessario lasciare all’apprezzamento dell’organo della Comunità incaricato del coordinamento la valutazione delle circostanze nelle quali il coordinamento stesso risulti opportuno, e delle forme e dei modi che esso deve assumere.

6) Quanto alla «comunicazione obbligatoria» (documento belga, pag. 5) delle decisioni prese dalle istanze nazionali in materia economica, sociale, finanziaria e fiscale, si dovrebbe prevedere l’estensione dell’obbligo anche agli schemi di decisioni da prendere; non solo – come è fin troppo ovvio – bisognerebbe comunicare alla Comunità i testi dei provvedimenti presi, ma bisognerebbe comunicare ad essa gli schemi, i progetti e i disegni di legge in corso di preparazione, in modo che la Comunità, possa preventivamente fare le sue osservazioni, che non dovrebbero peravere carattere obbligatorio, ma dovrebbero solo servire ad orientare lo Stato interessato sulle prevedibili ripercussioni del provvedimento nei confronti del mercato comune e delle relazioni economiche nell’ambito della Comunità.

La progressività e i modi dell’intervento previsto dal documento belga sembrano accettabili. La definizione delle situazioni indicate al terzo capoverso, pag. 6, del documento belga, non dovrebbe peressere codificata nel Trattato.

7) Tutta la materia del coordinamento dovrebbe essere affidata ad un organo della Comunità, che potrebbe poi, su singoli argomenti, delegare i suoi poteri ad altri organi (conferenze dei Governatori delle Banche centrali, di Ministri, di Direttori Generali o altro); nel trattato la materia del coordinamento dovrebbe perfar capo ad un organo unico.

In tale organo dovrebbero essere rappresentati pariteticamente gli Stati della Comunità.

8) Le decisioni dell’Autorità dovrebbero poter essere prese anche a maggioranza assoluta, ossia a maggioranza di quattro Stati su sei.

Ove una decisione obbligatoria dell’Autorità – che diverrebbe senz’altro esecutiva se approvata all’unanimità – fosse approvata solo a maggioranza, dovrebbe essere consentito allo Stato o agli Stati contrari alla decisione di chiedere opportune misure di salvaguardia e compensazione.

Se tali misure dovessero essere respinte dalla maggioranza degli Stati, lo Stato contrario alla decisione dovrebbe avere il diritto di ricorrere, entro il termine di due mesi, alla Corte di Giustizia della Comunità, che sarebbe chiamata a decidere in ultima istanza sulla controversia.

123 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

123 2 Trasmesso da Favretti alle Direzione Generali della Cooperazione Internazionale e dell’Emigrazione, con Appunto 02807/352, pari data, informando che il documento era stato inviato direttamente a Prunas in quanto le questioni trattate sarebbero state oggetto di discussione nella riunione del giorno successivo.

123 3 T. 1769/197 del 19 febbraio, con cui Bombassei riferiva sulla questione del coordinamento economico e sull’opportunità che il memorandum italiano pervenisse entro il 28 febbraio, in DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

123 4 Vedi D. 103.

124

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I(1)

Appunto. Roma, 27 febbraio 1954.

CED

1) Il 5 gennaio l’Ambasciatore a Londra riferì(2) che gli Inglesi pensavano che l’unica strada da seguire era quella della fermezza, almeno per ottenere che fossero gli stessi francesi a fare dei suggerimenti; Brosio riteneva che era meglio una CED riveduta piuttosto che nessuna CED e che fosse opportuno affrontare con i francesi, senza prevenzioni, le difficoltà delle possibili alternative. Anche l’Ambasciatore a Parigi (12 gennaio)(3) scrisse che era utile metterci sulla strada delle alternative.

2) Il 13 gennaio il Segretario Generale(4)comunicò a Quaroni le idee di Brosio (nonché quelle raccolte da Bombassei(5)e che contenevano l’implicito suggerimento di una qualche iniziativa intesa a rompere il nostro «immobilismo») e gli chiese il suo parere.

La Direzione Generale Cooperazione Internazionale e, credo, quella degli Affari Politici, fecero delle riserve circa la tempestività di un sondaggio del genere(6).

3) Nel frattempo il Capo della nostra Delegazione presso la CED (Lombardo) comunicò(7)di aver saputo da Alphand che il Governo francese non solo non contemplava nessuna revisione del Trattato, ma che a Berlino Bidault si sarebbe rifiutato a qualsiasi baratto tra Indocina e CED.

4) Il 23 gennaioQuaroni segnalò una evoluzione dell’opinione pubblica francese a favore della CED(8); malgrado ciegli era del parere che, da parte nostra, appoggiare e sostenere sia la tesi integralista sia la tesi riformista sarebbe stato agire in realtà contro la CED, confondendo di pile acque.

Quaroni era in sostanza del parere che la nostra posizione dovrebbe essere questa: «L’Italia ha dato la sua adesione alla CED quale essa è e la ratificherà. Il giorno in cui voi ci direte che per far passare la CED al Parlamento ci vogliono delle modifiche, principalmente nel senso di diminuire di una x la parte sovranazionale, e di aumentare di altrettanto la parte nazionale e di non voler troppo prevedere, noi non faremo difficoltà, e faremo del nostro possibile per aiutarvi a che altri non ne facciano».

5) Alla fine di gennaio si intensificin Italia la campagna anti-CED (articolo di Nenni sull’Avanti, campagna dell’Unità, ecc.).

6) Il 29 gennaio Lombardo escluse, in base a suoi colloqui avuti con Alphand e con altre personalità francesi, qualsiasi possibilità di modifica al Trattato(9).

Malfatti osserva che l’equivoco tra quanto veniva riferendo Quaroni e quanto riferiva Lombardo, dipendeva dal fatto che il primo parlava con Laniel ed il secondo con Alphand (che vuole dire praticamente Bidault); Bidault infatti ha sempre sostenuto l’inopportunità di riaprire la discussione sul Trattato, mentre Laniel era invece favorevole a delle modifiche sperando in tal modo di ottenere l’appoggio dei gollisti in sede di Assemblea Nazionale.

7) Il 4 febbraio Quaroni segnalò che la ratifica francese dipendeva dall’atteggiamento del SFIO e riferì su di un colloquio avuto con Mollet(10). Questo si era mostrato favorevole alla CED a tre condizioni: garanzia americana, associazione col Regno Unito e autorità politica. Mollet disse a Quaroni che il Governo italiano avrebbe potuto aiutare molto la ratifica francese col cercare di rinviare qualsiasi decisione nel settore economico della Comunità Politica ed appoggiando invece l’idea della sola Autorità Politica.

8)Il 12 febbraioQuaroni riferì le idee di Pinay sulla CED(11). Anche Pinay insisteva sulla garanzia americana e sulla collaborazione col Regno Unito, sulla quale tuttavia si dimostrava scettico. Contemporaneamente Quaroni comunicò che gli umori dell’Assemblea Nazionale si stavano spostando dalla linea «revisione del Trattato» a quella «fattori esterni», ossia garanzia americana e collaborazione col Regno Unito. Secondo

Quaroni, tutti sarebbero ormai d’accordo nel sostenere che, così com’è, la CED non

pupassare e che ci vuole un fatto nuovo; questo non sarebbe pila revisione del Trattato, ma appunto la garanzia anglo-americana.

9) Il 12 febbraio la stampa italiana (Nuova Stampa di Torino, Avanti, Tempo, Messaggero, Popolo di Roma) diede la notizia di una pretesa mediazione di Quaroni: ciò in seguito ad un articolo del «Monde» del 10 febbraio, nel quale Fauvel scriveva che l’Ambasciatore d’Italia a Parigi aveva aiutato molto il Governo francese nella sua azione per la revisione del Trattato.

10) Intorno al 22 febbraio Quaroni spiegò dettagliatamente lo schieramento dei partiti dell’Assemblea Nazionale circa la CED e l’intensità della campagna pro e contro(12). Egli era del parere che allo stato attuale delle cose il Trattato avrebbe avuto – in seno all’Assemblea Nazionale e a condizione che il Governo francese si fosse impegnato a fondo – una maggioranza di pochi voti e che perciò Laniel e Bidault avrebbero cercato di rinviare ancora la discussione. Quaroni ritiene che, anche nell’attuale fase, saranno i socialisti a decidere le sorti del Trattato e che soltanto dopo il dibattito Mollet chiederà un mutamento dell’indirizzo governativo.

L’impressione che si ha dal rapporto Quaroni è che il Governo francese tenterà

ancora una volta di rinviare il dibattito sulla CED.

Con lo stesso rapporto, Quaroni consiglia di approfittare di questa circostanza per

iniziare da parte nostra la procedura parlamentare di ratifica.

11) Quaroni ha preannunziato (via Plaja) un altro rapporto in cui tratterà della connessione fra la situazione in seno all’Assemblea Nazionale, la situazione interna italiana e il nostro atteggiamento sulla ratifica, che raccomanda abbia luogo prima di quella francese(13).

12) Il Presidente del Consiglio Scelba ha dichiarato al Parlamento che presenterà prossimamente il trattato(14)ed ha fatto contemporaneamente sapere alla Direzione Generale della Cooperazione Internazionale che è sua intenzione arrivare al più presto al dibattito.

Come preparazione psicologica alla ratifica – e per reagire alla propaganda an-ti-CED dei social-comunisti, che viene effettuata capillarmente – verrà svolta una intensa campagna pro-CED sulla stampa, attraverso pubblicazioni, volantini e manifesti murali.

124 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 32, fasc. 110.

124 2 Vedi D. 74.

124 3 Vedi D. 77.

124 4 In realtà la lettera di Zoppi a Quaroni fu protocollata il 18 gennaio (vedi D. 82) forse per le riserve espresse dalla DGCI: vedi D. 80, nota 6.

124 5 Vedi D. 76.

124 6 Vedi D. 80.

124 7 Vedi D. 87.

124 8 Vedi D. 90.

124 9 Non rinvenuta documentazione relativa al 29 gennaio; Lombardo riferì in tal senso già il 19 gennaio: supra nota 7.

124 10 Vedi D. 102.

124 11 Vedi D. 108.

124 12 Verosimilmente il rapporto di Quaroni a cui si fa riferimento è quello del 19 febbraio (vedi D. 118).

124 13 Vedi D. 125.

124 14 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 18 febbraio 1954, pp. 5530-5538: p. 5537; Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 18 febbraio 1954, pp. 2924-2934: p. 2933; ivi, seduta del 26 febbraio 1954, pp. 3187-3196: pp. 3193-3194.

125

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. riservato 283(2). Parigi, 27 febbraio 1954.

Oggetto: CED. Ratifica italiana.

Signor Ministro,

V.E. vorrà scusarmi se mi permetto di sottoporle alcune mie considerazioni per quello che concerne la ratifica italiana della CED. Per me il problema va considerato, più che altro, dal punto di vista della nostra politica interna e dei riflessi purtroppo inevitabili che la nostra situazione interna ha sulla nostra posizione di fronte all’esterno e, quindi, sulle nostre possibilità reali di fare della politica estera. Anticipando un rapporto sull’argomento, che sto preparando, basta che dica che la nostra situazione è una delle pibasse registrate dalla fine della guerra ad oggi, e che è necessario fare tutto quello che è in nostro potere per rimontarla. Nessuno domanda a noi, è evidente, che con un colpo di bacchetta magica, facciamo sparire i vari milioni di italiani che, purtroppo, non sapendo quello che fanno, votano comunista o affine. Ma quello che si aspetta, prima di pronunciare un giudizio sulla situazione italiana, è di vedere quale è l’effettiva volontà di lotta della parte non comunista dell’Italia.

Lottare, c’è da lottare in molti settori: il settore perche, per l’interesse che specialmente l’America porta alla questione, sarebbe uno dei pispettacolari, è senza dubbio la ratifica della CED.

La Russia, e dietro a lei i comunisti ed i para-comunisti di tutto il mondo, sono partiti a fondo contro la CED. Non lo fanno, come comunemente si dice – almeno questa è la mia convinzione – perché hanno paura di dodici o più divisioni tedesche. Con la testa montata come l’hanno i russi, non sono certo alcune divisioni tedesche che fanno loro perdere il sangue freddo. Lo fanno per un ragionamento molto pirealistico, che corrisponde del resto all’argomento principe, ed indiscutibile, degli europeisti.

I russi ritengono che, continuando nei loro sistemi anarchico-individualisti, i paesi europei non riusciranno mai a risolvere i loro problemi economici e sociali. Solo un coordinamento dell’Europa in un mercato pivasto pustabilizzare democrazia o capitalismo, come si preferisce – per i russi è la stessa cosa. Questa stabilizzazione, anche se da loro considerata relativa, non permetterebbe loro più disperare di vincere in Europa la guerra fredda, cosa su cui contano. Ora i russi pensano che anche se una vera integrazione economica dell’Europa dovesse segnare il passo dopo lo sforzo CEP, CECA e CED, quest’ultima per il settore più che importante delle fabbricazioni militari rappresenta già un’integrazione essenziale e che il resto in gran parte seguirebbe per forza naturale delle cose.

Inoltre, una volta realizzata la CED, le differenti nazioni europee non dovrebbero avere grande difficoltà a convincersi che non sono più in grado di farsi la guerra fra di loro. Questo nuovo concetto, rivoluzionario, una volta generalmente compreso, renderebbe molto più difficile ai russi il loro giuoco favorito di dividere il mondo occidentale ed europeo, eccitando gli uni contro gli altri.

Come che sia, resta il fatto che i russi non vogliono la CED e che metteranno in moto tutti i mezzi interni di cui dispongono per evitare che essa sia ratificata sia in Francia che in Italia. Questo è, o dovrebbe ormai essere, chiaro: per cui chi è contro la CED, se ne renda conto o no, è a favore dei comunisti: chi è per la CED è contro i comunisti.

Quindi nessuna migliore occasione per il Governo italiano di provare la sua volontà di lotta contro il comunismo che di ingaggiare la ratifica della CED.

Ma, e tengo a ripeterlo, è una questione che, da noi, va – a mio avviso – considerata principalmente da questo punto di vista. Ai fini della ratifica da parte francese, la nostra ratifica non avrà nessun effetto pratico, né negativo né positivo.

Ai fini politici americani, se mi posso esprimere così, vorrei far presente che la nostra ratifica può avere un’importanza considerevole soltanto se essa ha luogo prima della ratifica francese. Una volta avvenuta la ratifica francese, siccome, e questo mi viene ancora confermato da più parti, gli americani concepiscono perfettamente la CED senza di noi, almeno per un certo periodo, e ci considerano come periferici, una nostra ratifica non avrebbe tanta importanza né tanta ripercussione.

Quindi, per quello che mi concerne, non solo sono favorevole alla ratifica, ma penso che sarebbe utile di farla al più presto possibile e, comunque, prima della ratifica francese.

Detto questo, mi permetto di sottomettere a V.E. alcune considerazioni, anch’esse più che altro di carattere interno.

È ovvio naturalmente che la battaglia della ratifica non dovrebbe essere impegnata se non siamo sicuri di riuscire. Dato il carattere di prova di forza tra forze comuniste ed anticomuniste che essa fatalmente assumerà, il non riuscire sarebbe un disastro: meglio allora mascherare il rinvio della ratifica con qualsiasi motivo: non ingannerebbe molti, ma sarebbe comunque meglio che una sconfitta aperta.

Ho cercato di esporre a V.E. la situazione politica francese. Tengo a dirle che la mia esposizione è la piottimistica che si possa fare. Non mi sento quindi affatto di garantire che la CED sarà ratificata dal Parlamento francese e non sarà invece oggetto di ulteriori rinvii, che non sarebbero in pratica che un rigetto mascherato. Il fatto che la CED possa non essere ratificata dalla Francia, dopo che il Governo italiano, avrà data una battaglia dura, in Parlamento, per la sua ratifica, pupresentare degli inconvenienti interni per il Governo italiano?

Attualmente si può dire che non si prevede la necessità di modifiche sostanziali al

Trattato CED, per facilitarne il passaggio davanti al Parlamento francese. Quello che

potrebbe essere necessario per facilitare il compito di Guy Mollet non è in realtà una modifica. Ma non mi sento affatto di garantire che, per necessità di equilibrio interno ministeriale e parlamentare, altre modifiche non ci possano essere chieste, un giorno, per facilitare la ratifica francese. I francesi sono molto coscienti del fatto che gli americani ritengono, a torto od a ragione, che senza la Francia niente si pufare: quindi anche fra gli europeisti più in buona fede, c’è una certa tendenza a sfruttare al massimo questa situazione nell’interesse della Francia. E non è affatto detto che quegli stessi americani che adesso raccomandano di tener duro, all’ultimo non esercitino su tutti una pressione altrettanto violenta perché si accettino le richieste francesi.

Attualmente, ripeto, questa possibilità non sembra realizzabile. Si dovrebbe dire anzi che l’elemento decisivo, per i francesi, viene sempre considerato il fattore esterno, ossia qualche forma di garanzia americana e di cooperazione inglese. Ma in questo benedetto affare della CED, di sorprese ne abbiamo avute tante che è bene essere prudenti.

Sarebbe quindi opportuno che da parte nostra si studiasse qualche mezzo che lasciasse al Governo la possibilità di apportare alla CED qualche modifica – naturalmente non sostanziale, ma quello che è sostanziale e non sostanziale è un concetto elastico

– senza essere obbligati a ricominciare da capo tutto il difficile dibattito parlamentare.

Ho voluto far presenti a V.E. queste due eventualità, che, ripeto, non mi sento di escludere, perché, nel prendere la sua decisione, il Governo italiano abbia a sua disposizione tutti gli elementi di giudizio.

La prego di credere, signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

125 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

125 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

126

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 001544. Lussemburgo, 27 febbraio 1954.

Caro Massimo,

non ti sto [a] informare sulla ultima riunione del Comitato di direzione della CPE,

perché Plaja ti avrà portato notizie ampie e dettagliate.

Di nuovo, avvenuto dopo la partenza di Plaja, non vi è stato molto. Vi è stato anzitutto un colloquio di Benvenuti con Teitgen. Teitgen si è mostrato, a quanto mi ha detto Benvenuti, ottimista per la ratifica francese per la CED. Può darsi tuttavia che occorra un accordo preliminare dei sei in cui si decida che l’Assemblea CED verrà eletta a suffragio universale (basterebbe dire che i Governi sono d’accordo per applicare la seconda alternativa indicata all’art. 21 del Trattato CECA e che il numero dei parlamentari è moltiplicato per tre).

Vi è stata poi, sempre dopo la partenza di Plaja, una colazione a cui Tomlinson ha invitato Benvenuti e me, in cui ci sono state ripetute in maniera particolarmente drastica le note prospettive in caso che la CED non venisse ratificata. Tomlinson ha chiaramente alluso alla conclusione di accordi bilaterali, – di tipo Spagna – anzitutto con l’Inghilterra. Quanto alla Germania, non è possibile mantenere le divisioni americane – senza la CED – in posizione critica, tuttavia non è esclusa la conclusione di un accordo bilaterale anche con lei. Nei nostri riguardi è stata fatta allusione a una nostra partecipazione alla difesa del mediterraneo.

Possiamo concordare con voi, ha osservato Tomlinson che tutto questo è forse un errore anche per l’America, ma in politica si fanno anche talvolta irreparabilmente degli errori, e questa volta si faranno. Ci è stato chiesto se l’Italia attendeva la Francia per ratificare, cosa che S.E. Benvenuti ha smentito.

Quanto alla riunione dei Ministri del 30 marzo, come è stato telegrafato, non si parla ancora di rinvio, ed è probabile che rinvio non ci sia. Sorgerà allora, alla prossima riunione del Comitato di direzione, la questione dell’ordine del giorno, e in particolare quello di includervi o non il consueto scambio di vedute su questioni di interesse generale. Bisognerà cominciare a pensarci se noi lo desideriamo.

Credimi cordialmente,

tuo aff.

Francesco

126 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

127

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI BENVENUTI(1)

Appunto(2). Roma, 28 febbraio 1954.

APPUNTO CIRCA LA SESSIONE DEL 22-24 FEBBRAIO DELLA «CONFERENZA DEI SOSTITUTI DEI MINISTRI DEGLI ESTERI» PER LA COMUNITÀ POLITICA EUROPEA

L’interesse della missione parigina degli scorsi giorni ha consistito essenzialmente nei contatti diretti che, in occasione della Conferenza, è stato possibile avere con vari esponenti dei Paesi, e particolarmente con talune personalità francesi di primo piano.

Interessante è stato anche il contatto coi funzionari americani incaricati di seguire l’attività e le sorti della CECA, della CED e del CEP.

Poiché da tali contatti è emerso chiaramente il carattere contingente e strumentale che sembrano rivestire attualmente (agli occhi dell’America oltre che a quelli della Francia) i lavori relativi alla Comunità Politica Europea, ritengo utile accennare anzitutto al contenuto di tali colloqui.

1) Tanto Cleveland, che già conoscevo nella sua qualità di osservatore americano per i lavori di Strasburgo quanto Tomlinson, suo immediato superiore, hanno sottolineato in forma direi «drammatica» la prevalenza assoluta del problema CED su ogni altro problema.

Per problema CED gli americani intendono essenzialmente il problema «ratifica francese della CED».

Essi infatti insistono nell’ora attuale, nel proclamare insolubile il problema del riarmo germanico senza l’adesione francese alla CED.

«Noi e l’Italia, mi hanno detto, siamo sostanzialmente confinanti attraverso il mare, invece fra noi e la Germania sta la Francia». Quindi, a loro avviso, il problema di una politica bilaterale italo-americana sarebbe concepibile, mentre l’idea di una politica bilaterale germano-americana senza adesione francese sembra porre dei problemi insolubili.

L’ipotesi di un’alternativa alla CED esiste probabilmente nel fondo delle prospettive americane: ma essa è in questo momento rigorosamente esclusa.

Personalmente ho l’impressione che gli americani siano sinceri quando dicono che non sanno cosa succederebbe se la CED fosse respinta. Certo gli Stati Uniti non rinuncerebbero a combattere il bolscevismo, ma ogni alternativa (per esempio il tentativo, tanto caro alla destra francese, di una grande alleanza militare fra eserciti non integrati, comprendente la Germania e la Gran Bretagna), riaprirebbe tali e tante laboriose discussioni in Francia, in Germania, in Inghilterra, in USA, da rimettere in gioco tutto il sistema della collaborazione occidentale e della politica americana in Europa.

Si comprende quindi che gli Americani non vogliano neppure sentir parlare di alternative, e considerino l’eventuale mancata ratifica della CED da parte della Francia come equivalente ad un rifiuto francese di collaborare militarmente con la Germania.

Su queste premesse si spiega il perché delle pressioni massicce che (a quanto i miei interlocutori mi hanno apertamente dichiarato) si stanno in questo momento esercitando da parte americana sul Governo francese per ottenere la ratifica della CED prima del 26 aprile, data di apertura della Conferenza di Ginevra.

Essi hanno aggiunto di sperare di arrivare a questo risultato, anzi di considerarlo indispensabile.

Personalmente sono molto scettico su tale possibilità: nessuno degli uomini politici francesi con cui ho parlato ha prospettato l’eventualità di una ratifica a tamburo battente, per quanto tutti abbiano dichiarato che (in questo momento) la ratifica ha le maggiori probabilità di successo.

Anche per quanto riguarda i cosidetti «préalables» richiesti dalla Francia (associazione inglese, garanzia americana, Sarre) si sta svolgendo da parte americana, a quanto mi è stato detto, una intensa attività, attività i cui risultati sono considerati a Parigi, in questo momento, e non soltanto da parte americana, con molto ottimismo (non so quanto giustificato).

Anzi ho avuto l’impressione che talune di tali condizioni richieste dai francesi (forse già acquisite) potrebbero venire annunziate soltanto al momento psicologico opportuno per premere sull’opinione parlamentare.

Questa questione dei «préalables» francesi ha naturalmente richiamato da parte nostra il discorso su quello che potrebbe essere il «préalable» italiano, ossia la questione di Trieste.

Non ho mancato di fare presente che anche l’Italia ha un’opinione parlamentare, ed ha quindi un interesse a raccogliere intorno alla CED il massimo di consensi. Sotto questo aspetto precisai che attualmente una onesta risoluzione del problema triestino rappresenterebbe una grossa e fondamentale facilitazione per noi: quindi, ho aggiunto, tutti gli alleati dovrebbero preoccuparsi di far progredire la soluzione del problema e di creare un fatto nuovo a favore dell’Italia nel prossimo avvenire, che dimostri la solidarietà degli alleati in un problema di giustizia.

Ricordo a questo proposito la risposta di Tomlinson:

«Tutto quello che sarà possibile fare state certi che Dulles lo farà, al momento buono». (Naturalmente riferisco la frase come la ho udita per debito di cronaca, e … per quello che puvalere).

2) Il Ministro Mutter appartiene al centro-destra «contadino»: ed è favorevole alla CED. La sua opinione presenta qualche interesse perché come Vice Presidente dell’Assemblea Nazionale dovrebbe avere sottomano la tastiera dei «voti». Egli è indubbiamente il pipessimista per quanto riguarda la cifra dei voti che potrebbero ottenersi per la ratifica del trattato. Egli pensa a quasi 300 voti (che tuttavia potrebbero essere a rigore sufficienti) piuttosto che ai quasi 400 a cui pensa il Signor Guy Mollet. L’Onorevole Mutter è convinto che bisogna fare una larga parte agli «squagliamenti» dei radicali, dei socialisti e degli indipendenti.

Tuttavia egli si è dichiarato convinto che non vi è in pratica alcuna possibilità che la CED sia approvata coi voti della destra e senza i voti dei socialisti.

Circa l’incidenza del problema «Indocina» e Conferenza di Ginevra sulla ratifica CED l’Onorevole Mutter è assai preoccupato. Può darsi che qui egli subisca una certa deformazione professionale. Egli infatti è Ministro per gli ex combattenti, pensionati, e mi ha dichiarato di aver dovuto istituire nel suo Ministero uno speciale Servizio al sabato e alla domenica per comunicare alle famiglie le notizie relative ai caduti d’Indocina: ha aggiunto che quando in una città come Parigi le famiglie hanno difficoltà a far celebrare Messe per i loro caduti perché le principali Chiese sono «impegnate» in tali funzioni, non c’è da farsi illusioni sulla prevalenza nello spirito del francese medio del problema «cessare il fuoco» rispetto al problema «ratificare la CED».

Aggiungo in proposito che, se questa opinione pessimistica non è condivisa né dall’Onorevole Teitgen né a quanto pare dall’Onorevole Guy Mollet, essa invece ha fatto breccia nello spirito dell’Onorevole Von Brentano Presidente del Gruppo Democratico-Cristiano alla Camera dei Deputati germanica.

Von Brentano che ho avuto occasione di vedere nella sua qualità di Presidente della Commissione Costituzionale non mi ha nascosto la sua grave paura che, in fondo, la trattativa sulle sorti della Germania Occidentale non si sia chiusa a Berlino e che essa possa riaprirsi a Ginevra.

Aggiungo che Von Brentano chiamato dinanzi alla Conferenza ad esporre l’opinione dei parlamentari dell’Assemblea ad hoc circa alcuni problemi «costituzionali», si è pronunciato in maniera alquanto violenta contro le posizioni prese ufficialmente dalla Delegazione germanica: non saprei quindi dire fino a che punto Von Brentano rappresenti in questo momento il pensiero del Cancelliere Adenauer. Certo si è che Von Brentano ha chiaramente deplorato la decisione di indire una nuova Conferenza.

3) Il Vice Presidente del Consiglio Onorevole Teitgen mi ha pregato di far presente al Governo italiano quanto erroneo sarebbe il ritenere che la politica di Bidault sia meno europea di quanto non lo fosse la politica francese nelle fasi precedenti: ma ha sottolineato che la situazione oggi è tale che il problema della CED deve considerarsi come assolutamente preminente rispetto a quello della CEP.

Egli si è detto convinto che dopo Berlino la situazione si presenta ai fini della CED di gran lunga migliore. Prima di Berlino i sostenitori della collaborazione europea e quindi del riarmo germanico, hanno attraversato una fase di gravi timori: essi hanno temuto che il problema CED venisse messo, a Berlino, sul piatto dei negoziati in contrapposto con la pace indocinese.

ciò non è avvenuto, o meglio è stato evitato, e l’Onorevole Teitgen sembra convinto che il pericolo sarà meno grave a Ginevra ove i problemi europei sono formalmente sganciati da quelli asiatici il che dovrebbe facilitare l’azione di Bidault già uscita vittoriosa (in condizioni più difficili) dalla Conferenza di Berlino.

L’Onorevole Teitgen è quindi convinto che la CED verrà ratificata in aprile-maggio.

Ma, ha precisato, occorrono assolutamente i voti socialisti.

In relazione a tale esigenza egli mi disse di stare esaminando una proposta circa le eventuali elezioni europee: proposta che, ove approvata, potrebbe facilitare l’approvazione della CED specialmente da parte di tutte le correnti di sinistra.

Si tratterebbe cioè di annunciare al Parlamento francese un accordo di principio fra i 6 Paesi, in base al quale essi provvederebbero prossimamente alla firma di un protocollo con cui le 6 Potenze si impegnerebbero ad indire entro un periodo determinato (per esempio entro un anno) elezioni a suffragio universale diretto per la nomina dei membri dell’Assemblea Carbone-Acciaio, e della CED.

In sostanza poiché il Trattato CED non è ancora in vigore si nominerebbero a suffragio universale i membri dell’Assemblea della CECA, eventualità questa prevista espressamente dal rispettivo trattato: nel contempo si fisserebbero per l’Assemblea CECA delle nuove cifre le quali sarebbero di 63 membri per i tre grandi Paesi (Italia, Francia, Germania), di 30 membri per il Belgio e per l’Olanda, di 12 membri per il Lussemburgo. Cifre queste che corrispondono alla moltiplicazione per tre delle cifre rispettivamente previste dal trattato CED: (21, 21 e 21, 10, 10 e 4) e che corrisponderebbero alle proposte fatte dall’Assemblea ad hoc per il futuro parlamento della Comunità Politica.

Mi si consentano qui due rilievi:

a) il tasto delle elezioni dirette per l’Assemblea Europea è un vecchio «tasto fisso» francese, già infinite volte battuto sia dalla Delegazione francese ufficialmente sia con particolare passione ed insistenza dal Signor Monnet.

Da quando il Signor Monnet è Presidente dell’Assemblea Carbone-Acciaio egli ha sempre, e molto cortesemente, in ripetute occasioni, convocato a cordiali riunioni conviviali i deputati europeisti per convincerli che non vi è che una sola cosa essenziale da fare (prescindendo da Statuti, Costituzioni, Commissioni, ecc.), e cioè indire delle elezioni europee a suffragio universale onde appassionare l’opinione pubblica dei 6 Paesi ai problemi dell’unificazione.

Anche in questi giorni il Monnet ha ribadito energicamente tale punto di vista.

Non mancammo molte volte di fargli osservare che agli occhi di noi, parlamentari che conosciamo il corpo elettorale e quindi anche le difficoltà inerenti alla sua mobilitazione, una grande campagna elettorale europea non si presenta come un’impresa delle più facili e delle più sicure.

Ma in fondo al pensiero francese sta una previsione abbastanza sottile e fondata: la nuova Assemblea a suffragio universale non avrebbe poteri eccedenti quelli previsti dai due Trattati: almeno per quanto riguarda le competenze materiali.

Quindi si avrebbe un’Assemblea priva di poteri costituenti ma che per l’autorità che le deriverebbe dalla sua origine popolare, assumerebbe e riassumerebbe in sé stessa tutto il lavoro «costituente».

Le lungaggini di una costituente senza poteri costituenti darebbero indubbiamente respiro a coloro che hanno sempre temuto un’integrazione europea a tappe troppo affrettate.

b) In secondo luogo ebbi già a far presente che la cifra di 63 membri italiani confrontata a quella di 72 per i tre Paesi del Benelux potrebbe provocare notevoli reazioni in seno al Parlamento italiano, qualora si trattasse di membri della futura Assemblea Politica della Comunità Europea.

Penso invece che queste cifre presentate come una semplice maggiorazione (con coefficiente fisso) di quanto già previsto dal Trattato CED, e presentate solo ai fini dell’Assemblea CECA-CED (non ai fini della futura Assemblea politica europea) potrebbero essere molto piagevolmente difese.

L’Onorevole Teitgen ha dichiarato che questa sua idea non si era ancora tradotta in alcuna iniziativa del Governo francese dato che egli stesso non era assolutamente sicuro che una tale iniziativa (elettoralistica) sia assolutamente indispensabile ai fini della ratifica della CED.

Ha tuttavia aggiunto che qualora lo svolgersi dei prossimi avvenimenti lasciasse intravvedere come molto utile una tale proposta egli spererebbe di contare anzitutto e soprattutto sul nostro appoggio, e magari sulla nostra iniziativa.

4) L’Onorevole Guy Mollet, Segretario del Partito Socialista francese, opportunamente invitato da Quaroni, ha voluto personalmente visitarci all’Ambasciata.

Il colloquio ci ha permesso di avere conferma di quanto già l’Onorevole Mollet ci aveva detto in varie occasioni: ma questa volta il suo pensiero è corredato da un documento (naturalmente riservato e non impegnativo) che traduce in articoli il contenuto di un eventuale accordo a 6.

Va precisato, e la precisazione è importante, che l’Onorevole Guy Mollet non intende minimamente provocare la fine e neppure l’interruzione dei lavori per la Comunità Politica Europea: al contrario egli intende che tali lavori continuino, col loro «tran tran» normale: ma chiede che frattanto si proceda alla democratizzazione delle Assemblee CECA CED ed all’aumento dei loro poteri (non delle loro competenze materiali).

Mentre Teitgen prospetta l’iniziativa «elettoralistica» come probabilmente utile ai fini della CED, l’onorevole Mollet la considera decisiva in vista di realizzare una maggioranza (per la ratifica della CED) che potrebbe avvicinarsi ai 400 voti.

Come risulta dal documento l’Onorevole Guy Mollet aggiunge peraltro alla proposta Teitgen due condizioni supplementari.

La prima riguarda la richiesta di 7 posti supplementari a favore della Francia la quale, secondo il proponente, dovrebbe tener conto dei suoi doveri di rappresentante (anche in seno all’Europa) dell’«Union française».

A questo proposito va ricordato che da parte italiana al tempo dei lavori dell’Assemblea ad hoc, fu vista con favore un’eventuale assegnazione di delegati supplementari alla Francia per i territori d’oltremare, purché si realizzassero due condizioni:

a) che i nuovi deputati fossero autentici rappresentanti dei territori e dipartimenti d’oltremare (o Stati associati) democraticamente e liberamente eletti in loco;

b) che i territori nei quali i deputati verranno eletti rientrino a loro volta nella Comunità e ne accettino l’autorità nei limiti in cui essa sarà configurata nel futuro trattato CPE.

Il Signor Guy Mollet ha nettamente confermato la prima condizione ma ha nettamente rifiutato la seconda.

Senza qui entrare in ulteriori discussioni sono personalmente convinto che tale richiesta di posti supplementari in tali condizioni, creerebbe per noi difficoltà estremamente serie in sede parlamentare.

Sarebbe infatti difficile giustificare la presenza di rappresentanti d’oltremare in seno alle Assemblee europee senza una corrispettiva autorità delle Organizzazioni europee sui territori da cui tali rappresentanti sono eletti. In altre parole non sarebbe ammissibile che l’Africa … avesse dei diritti di governo sull’Europa, senza che l’Europa abbia alcun diritto di intervenire negli affari africani.

In secondo luogo l’Onorevole Guy Mollet (e a quanto pare egli ha ripetuto la domanda nel Congresso dell’Internazionale che si tiene a Bruxelles in questi giorni) richiede che la nuova Assemblea eletta a suffragio universale abbia il diritto di concedere la fiducia o di negarla, in qualsiasi momento, tanto all’Alta Autorità che al Commissariato, secondo le consuete norme, e le normali maggioranze parlamentari.

Ritengo che per parte nostra noi non potremmo che aderire ad una tale effettiva democratizzazione delle Organizzazioni europee: ma da parte del Vice Presidente del Consiglio francese Teitgen che sembra piqualificato ad anticipare e ad interpretare i desideri governativi, tale richiesta non viene avanzata, anzi se ho ben compreso tale estensione di poteri non viene desiderata per le complicazioni che potrebbe creare con gli elementi di destra contrari ad una Europa «sopranazionale».

Non va dimenticato che l’On. Guy Mollet è giustamente preoccupato di procurarsi buone carte democratiche in vista del prossimo Congresso Socialista, nel quale egli si batterà per la ratifica della CED.

5) Naturalmente non ho potuto esprimere su nessuna delle due proposte alcuna opinione impegnativa. Si tratta di problemi che superano la competenza della Delegazione italiana alla Conferenza CPE; basti pensare alle gravi questioni di politica interna e di legislazione elettorale che tali proposte involgono.

Personalmente ritengo che ci sarebbe certo un aspetto attivo anche per noi nel progetto francese, nel senso che potremmo presentare la CED e la CECA al Parlamento italiano come munite di un ampio suggello di democraticità: e quindi capaci di resistere sia ai «generali» quanto ai «Padroni delle Ferriere».

Ma tale elemento «attivo» non può esserevagliato che nel complesso quadro di un problema ben pivasto, quello cioè di una grande campagna elettorale.

Saggia quindi mi è parsa la proposta dell’Ambasciatore Quaroni il quale si propone in un suo prossimo incontro con Bidault(3)di sondare discretamente ed a titolo personale, quale sia l’importanza vera che il Governo francese attribuisce a queste ventilate proposte elettorali, ai fini della ratifica della CED.

6) Non va dimenticato un altro aspetto della questione ossia le reazioni da parte dei tre Stati del Benelux di fronte a tali proposte di elezioni dirette con nuove cifre di eligendi. E particolarmente si pone il problema dell’atteggiamento dell’Olanda ossia di un Paese fedelmente adempiente per quanto concerne la «ratifica»: e che nel contempo si mostra su questo deciso a tener fermo in materia di «integrazione economica».

L’Olanda si trova ora nella posizione estremamente favorevole di chi non chiede nulla quindi è in condizione di farsi pagare quanto le si chiedesse. È noto lo scarso entusiasmo olandese per le elezioni europee immediate e dirette. Senza azzardare profezie è da ritenere che di fronte alla richiesta di un protocollo speciale per le elezioni (che implica una certa modifica ai trattati CED e CECA) l’Olanda chiederà in contropartita un riesame della posizione negativa francese in materia di integrazione economica.

Va tuttavia aggiunto che sia i francesi che gli americani sembrano convinti che una volta si fosse creato un accordo fra i tre grandi circa l’opportunità, per facilitare la ratifica della CED, di annunciare la convocazione dei comizi elettorali «europei», i tre minori, volenti o nolenti, sarebbero costretti a piegarsi alle pressioni, sia di provenienza continentale, sia eventualmente di provenienza oltre-oceanica: e lo stesso dissenso «economico» potrebbe forse alla bell’e meglio venire provvisoriamente composto.

7) Quanto ai risultati per così dire tecnici della Conferenza sulla Comunità Politica il discorso è breve.

Essa può riassumersi così:

Da parte francese c’è lo sforzo evidente (assecondato dai tedeschi) di introdurre nel testo «costituzionale» della progettata Comunità un ulteriore sistema di freni: la Camera Alta dovrebbe essere costituita da delegati governativi con voto unico per Delegazione, e vincolati a mandato imperativo: sistema questo che non sembrerebbe rispondere all’articolo 38 del Trattato CED che prevede un autentico bicameralismo.

Ma a parte tale considerazione giuridica ed astratta sta il fatto che un ulteriore intervento degli «Stati» come tali a temperare il carattere sopranazionale o federalistico della futura costruzione, sarebbe comprensibile se esso si applicasse a competenze materiali nuove e delicate: per esempio alle competenze economiche.

Ma una volta esclusa tale estensione (ed i francesi sono stati in questo perentori) è chiaro che l’accentuazione dell’intervento negli Stati nazionali e nelle Organizzazioni «sopranazionali» verrebbe ad incidere soltanto sulle competenze materiali già trasferite agli organi europei, ossia verrebbe a diminuire il carattere sopranazionale (per verità assai limitato) della CECA e della CED.

Tale almeno è il tentativo, reso evidente dal fatto che il progetto franco-tedesco per la Camera Alta vorrebbe far rientrare nella competenza di quest’ultima – configurata come Camera di Delegati Governativi – un certo numero di materie già diversamente regolate dai trattati della CECA e della CED. Se dovessi dire la mia impressione direi che questo tentativo rappresenta l’ultima e minore ripercussione dell’idea, (che sembra sia stata concepita dal Presidente Laniel), di conquistare la benevolenza delle destre annacquando al massimo l’elemento sopranazionale non soltanto nelle Organizzazioni dell’Europa futura ma anche negli Organismi dell’Europa in gestazione.

La Delegazione italiana in questi mesi in cui la Conferenza ha lavorato a livello esperti ha molto lodevolmente e molto fermamente resistito sulle proprie posizioni: tale atteggiamento è stato da me confermato in sede di riunione dei Sostituti.

La mancanza assoluta di qualsiasi atmosfera negoziale (sottolineata dalla non adesione alla proposta italiana di una Conferenza riservata e ristretta fra i sei Capi Delegazione) toglieva ogni interesse a qualsiasi concessione, alla quale non avrebbe corrisposto né sul piano degli «articoli» che si stanno elaborando, né sul pivasto piano politico alcuna contropartita utile per il Paese.

8) Resta a vedere perché la Delegazione germanica si sia in questa occasione dimostrata così arrendevole di fronte ai desideri francesi.

Può darsi, e questa sembra l’ipotesi pisemplice, che i tedeschi desiderino dare soddisfazione alla Francia in problemi di scarsa portata attuale come quelli che si dibattono nella Conferenza per il futuro Statuto della Comunità, salvo poi mantenersi pifermi in problemi pigrossi.

L’Ambasciatore Quaroni invece è convinto che la collaborazione franco-tedesca nella Conferenza CPE è soltanto un piccolo sintomo marginale dello stato d’animo di grave preoccupazione che dominerebbe a Bonn: il Cancelliere Adenauer cioè avrebbe gravi timori circa le conseguenze di un’eventuale secessione della Francia dalla CED che andrebbe evitata ad ogni costo: in quanto un tale evento anziché aprire le prospettive (che d’altronde il Cancelliere non vede di buon occhio) d’un bilateralismo militare germano-americano, provocherebbe una revisione radicale di tutta la politica degli Stati Uniti con incalcolabili ripercussioni sulla Germania Occidentale ed in particolare sul «regime di Bonn» il quale ha puntato sempre apertamente ed esclusivamente sulla continuità dell’attuale politica americana.

Onde il presente appunto si chiude come è cominciato sottolineando cioè il problema centrale dell’attuale momento politico ossia la ratifica della CED da parte del Parlamento francese.

9) La Conferenza dei Sostituti terrà la sua ultima riunione il giorno 8 marzo. In sostanza si tratterà solo di approvare gli ultimi ritocchi al rapporto degli esperti col quale vengono fissati i divergenti punti di vista e poche convergenze (d’altronde ereditate dai lavori di Roma a livello Sostituti e dell’Aja a livello Ministri).

La riunione sarà presieduta (per diritto di turno) dal Sottosegretario di Stato tedesco Hallstein. Egli ha invitato i Sostituti ad una riunione conviviale per la sera dello stesso giorno: in tale occasione e cioè dopo che i Sostituti avranno deposto la loro veste ufficiale e le loro istruzioni imperative, pare che si procederà ad un giro d’orizzonte circa le prospettive generali della CPE e particolarmente circa i lavori della Conferenza dei Ministri fissata per il 30 marzo a Bruxelles.

Per tale riunione non è sinora stata prospettata da nessuna parte l’ipotesi di un rinvio(4).

127 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

127 2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

127 3 Vedi D. 128.

127 4 Per il seguito vedi D. 136.

128

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

L. 0298(2). Parigi, 2 marzo 1954.

Caro Benvenuti,

come d’accordo, nel corso della nostra conversazione di ieri con Bidault, gli ho chiesto che cosa egli pensava delle idee di Guy Mollet sulla questione della Comunità Politica in rapporto alla ratifica della CED(3). Bidault – che mi aveva già detto che ritiene di poter iniziare il dibattito per la ratifica CED ai primi di aprile – mi ha risposto: «Guy Mollet vuole un’Assemblea eletta al suffragio universale: la destra non vuole sentir parlare di assemblea eletta al suffragio universale: io debbo trovare una maggioranza: se per aiutare Guy Mollet perdo il voto della destra, il conto per me non torna». Gli ho fatto osservare che nella conversazione avuta con Lei e prima con me, Guy Mollet si rende perfettamente conto di questo e non insiste adesso per l’elezione dell’Assemblea al suffragio universale. Si contenta di rimandarla al primo rinnovo dell’Assemblea. Insiste invece sulla questione del controllo del Commissariato e dell’Alta Autorità da parte dell’Assemblea. A questo Bidault mi ha risposto: «Se è così, ci possiamo allora perfettamente intendere». D’altra parte, ho continuato a spiegargli che per quello che ci riguarda, non teniamo affatto adesso a che la questione del controllo dell’Assemblea e in genere dell’Autorità Politica venga stralciata per gli studi della Comunità. Se perquesto potesse effettivamente servire alla ratifica francese della CED non ci si sarebbe certo rifiutati, pensavo, a studiare favorevolmente questa possibilità.

Quello che però bisogna ad ogni costo evitare è che all’improvviso i francesi ci mettano davanti a delle proposte concrete su questo argomento e ci dicano: «c’est à prendre ou à laisser» come hanno fatto altre volte. Una linea di condotta di questo genere avrebbe certamente provocato dei risentimenti da noi che avrebbero potuto turbare l’azione del Governo nel corso del dibattito per la ratifica dopo che sarebbe stata già di per sé non facile. Lo pregavo quindi di assicurarmi che, qualora studiando la situazione parlamentare, egli fosse arrivato alla conclusione che una procedura fosse necessaria ed utile per la ratifica francese della CED, ce lo facesse sapere in tempo, in maniera che si avesse potuto trovare la possibilità di prepararci e di presentare la cosa per lo meno come una iniziativa congiunta italo-francese.

Bidault mi ha promesso di farlo.

Nel corso della conversazione, Bidault mi ha detto, fra l’altro, che Adenauer non vuole assolutamente delle elezioni per l’Assemblea. Mi ha detto espressamente che non vuole eventuali elezioni europee prima del ‘57 data in cui probabilmente si farebbero insieme le elezioni politiche tedesche e le elezioni europee.

Basandomi sulle considerazioni da Lei svoltemi gli ho detto che anche da parte nostra, pur restando del principio che l’Assemblea doveva essere eletta al suffragio universale, ritenevo che ci fossero dei dubbi sull’opportunità di fare delle elezioni europee ad una data molto vicina.

Nel complesso, Bidault mi ha data l’impressione di una persona la quale è veramente decisa ad affrontare il dibattito ma che non ha affatto delle idee chiare su come e dove putrovare la maggioranza. Anzi questo me l’ha detto in tutte lettere. Mi ha aggiunto: «La CED la vogliono tutti, meno i comunisti, ma non ci sono due persone che la vogliono nella stessa maniera e nessuno è disposto ad accettare la CED dell’altro», il che, del resto, corrisponde a quanto ho avuto l’occasione di dirLe.

Sento, e mi rallegro, che La vedrò qui domenica 7.

A presto dunque e mi creda,

[Pietro Quaroni]

128 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

128 2 Il documento reca su un foglietto allegato il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

128 3 Vedi D. 127.

129

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 2900. Washington, 4 marzo 1954.

Oggetto: Prossima Sessione Consiglio Atlantico.

Il Dipartimento di Stato ha dimostrato stamane soddisfazione per la decisione presa ieri dal Consiglio dei Rappresentanti permanenti della NATO di fissare al 23 aprile prossimo la data della nuova sessione del Consiglio Atlantico. Tale data (per la quale il Governo americano aveva manifestato la sua preferenza durante le riunioni che hanno avuto luogo nei giorni scorsi a Parigi) rappresenta infatti, a giudizio del Dipartimento di Stato, l’optimum non solo per ragioni di pratica organizzazione, ma anche per considerazioni di fondo.

La prossima sessione avrà sopratutto la funzione di un bilancio consuntivo della Conferenza di Berlino. Gli Americani, avendo impostato quest’ultima come un banco di prova delle reali intenzioni sovietiche, trovano ora ovvio che i Tre Occidentali espongano, al massimo livello, agli altri Alleati i risultati della Conferenza e le conclusioni a cui essi sono giunti.

Da tale constatazione si possono trarre varie deduzioni le quali possano a loro volta essere il punto di partenza di diversi orientamenti politici. La deduzione che traggono gli Americani è che, essendosi accertato che non esiste un «new look» sovietico, non resta altro che sviluppare la solidarietà fra i paesi dell’Occidente e rafforzarne la difesa. ciò non toglie, si aggiunge al Dipartimento di Stato, che convenga continuare anche in avvenire a cogliere ogni occasione propizia per mantenere aperto il dialogo con i Russi, anche se sussistano scarse prospettive di sviluppi concreti. Le due cose non sono in contrasto, mirano anzi allo stesso risultato, poiché la saldezza della compagine Occidentale è il miglior strumento per indurre i Russi a compiere qualche nuovo passo che fosse loro suggerito da circostanze tuttora ignote allo Occidente.

Tale impostazione riflette le conclusioni che Foster Dulles ha esposto, dopo il suo ritorno a Washington, al Presidente ed ai Comitati del Congresso. Mentre il primo ha dichiarato apertamente di condividere il pensiero del suo Segretario di Stato, le reazioni del Congresso sui problemi europei sono state alquanto vaghe ed incerte, anche perché i problemi dell’Asia Orientale e sopratutto l’ossessione di un possibile slittamento sulla questione del riconoscimento della Cina comunista hanno preso il sopravvento ed hanno assorbito in massima parte l’attenzione dei circoli parlamentari.

Comunque, anche se quasi tutti, nell’Amministrazione e nel Congresso, hanno convenuto sull’opinione che, per quanto concerne l’Europa, la Conferenza di Berlino aveva dimostrato la impossibilità di trovare un terreno d’intesa con i Russi, nessuno ha detto che la Conferenza era stata inutile e nessuno ha preso spunto dalla Conferenza stessa per insistere su temi estremistici. Anzi la prova di piena solidarietà fornita dai Tre Occidentali ha impedito il risorgere delle note valutazioni pessimistiche circa la capacità e l’efficienza collaborativa dei Paesi europei.

Inoltre, in qualche settore dell’Amministrazione si è affacciata l’ipotesi che, pur rimanendo inalterati gli scopi a largo raggio della politica sovietica, l’attuale Governo russo abbia minore fiducia del precedente nella possibilità di realizzare a breve scadenza gli scopi stessi. Dinanzi a tale ipotesi, si è osservato, ha una certa importanza il fatto che i due opposti blocchi rimangano comunque in contatto, in una atmosfera che non è certo pitesa di quella esistente prima della Conferenza di Berlino.

Dato quanto precede, il problema CED sarà necessariamente al centro dei lavori del Consiglio Atlantico. La atmosfera moderatamente fiduciosa che si era creata qui sul finire della Conferenza di Berlino si è in gran parte dissipata poiché si è visto che all’atteggiamento verbale di Bidault non è seguito quel risveglio su cui si faceva assegnamento. Si è capito (forse con ritardo) che, accettando la convocazione della Conferenza di Ginevra, si erano implicitamente create le premesse per nuovi rinvii e si vuole quindi sgombrare il terreno dei molti impacci e dei molti pretesti che si frappongono a una rapida evoluzione del problema. In particolare si vuole evitare il prolungarsi di negoziati e discussioni sulle cosidette contropartite che i Francesi continuano a chiedere.

Quello che gli Americani potrebbero essere disposti a concedere è una assicurazione sul mantenimento delle truppe in Europa, restando tuttavia nel quadro della NATO. Gli Americani vogliono perche da parte francese si arrivi prima a un punto fermo e cioè almeno alla fissazione della data in cui il processo di ratifica sarà messo in movimento.

Tale proposito di chiarificazione deriva sopratutto dal fatto che il Dipartimento non è riuscito ancora a fare una valutazione chiara delle possibilità di ratifica del Trattato CED da parte francese. L’impressione prevalente è che il Governo Laniel non ha dato prova della necessaria decisione, e che, essendo gli animi nel Paese e sopratutto nel Parlamento profondamente divisi, la mancanza di energia da parte del Governo purendere la ratifica problematica.

Ma gli Americani vogliono ora uscire dall’impasse per poter, in caso negativo, pensare concretamente al da farsi per quanto concerne la collaborazione con la Germania. Essi sperano che un chiarimento abbia luogo nelle prossime settimane attraverso sia i loro contatti diretti col Governo Francese sia il lavorio degli altri paesi europei (incontro Bidault-Adenauer per la Sarre, riunione a Bruxelles per la Comunità Politica Europea, nuove offerte britanniche di collaborazione con la CED). In questo quadro si capisce la particolare importanza che il Governo Americano attribuisce alla possibilità che il nostro procedimento di ratifica abbia inizio. Dalle conclusioni a cui gli Americani giungeranno nel corso di questa fase dipenderà in notevole misura il loro atteggiamento alla sessione del Consiglio Atlantico. Attualmente non si registra alcun proposito di «drammatizzare» i problemi della difesa europea e della relativa collaborazione fra Alleati; tuttavia, se le suddette conclusioni fossero del tutto negative, non è da escludere che il tema dell’«agonizing reappraisal» con cui Foster Dulles chiuse la precedente sessione di Parigi verrebbe ripreso e sviluppato.

Altro elemento che influirà sull’atteggiamento della Delegazione americana sarà l’andamento dei lavori del Congresso. In una situazione interna alquanto confusa sopratutto per i contrasti fra Amministrazione e una parte del Partito di maggioranza ed in una situazione economica che richiede un’attenta vigilanza da parte del Governo, le elezioni dell’autunno prossimo fanno già sentire la loro influenza non certo chiarificatrice.

Il Dipartimento ha infine sottolineato che la prossima sessione del Consiglio Atlantico avrà un carattere prevalentemente politico, data la natura dei problemi che debbono essere discussi. D’altra parte la revisione annuale non ha ancora realizzato sufficienti progressi per essere portata al livello ministeriale. Inoltre lo Standing Group sta studiando i problemi relativi all’applicazione dei nuovi concetti strategici ed all’utilizzazione delle nuove armi e non è ancora in grado di chiarire, in modo definitivo e dettagliato, con gli Stati Maggiori alleati le conclusioni a cui esso va giungendo.

Siamo rimasti d’accordo con i competenti uffici del Dipartimento che ci terremo in stretto contatto nel corso delle prossime settimane e ci è stato assicurato che man mano che il pensiero del Dipartimento sui problemi suesposti si andrà concretando ne saremo opportunamente informati. Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio piprofondo ossequio.

[Alberto Tarchiani]

129 1 Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 28, fasc. 774.

130

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATA A WASHINGTON(1)

T. segreto 1781/34. Roma, 5 marzo 1954, ore 23,30.

Insistenze americane, secondo quanto riferito in questi giorni dalla Delegazione Italiana CED, hanno continuato a svilupparsi sul Governo francese per ottenere, prima di Pasqua e indipendentemente dalla Conferenza di Ginevra, il voto dell’Assemblea nazionale sul Trattato istituente la CED. Due messaggi al riguardo sarebbero stati indirizzati da Dulles a Laniel. Circa l’esito delle prossime conversazioni sulla Sarre fra Adenauer e Bidault, gli americani si dimostrano fiduciosi. Verrebbero al più presto resi pubblici i termini dell’accordo con la Gran Bretagna attualmente in via di definizione al Comitato Interinale, in caso che i francesi decidessero di muoversi nel senso indicato sopra. Una solenne dichiarazione relativa alle garanzie americane verrebbe contemporaneamente fatta dal Presidente Eisenhower.

Secondo quanto riferito dalla Delegazione CED, Bruce sta preparando in continuo contatto con Washington un documento che precisa ciò che accadrebbe nel caso che la risposta francese non giungesse a tempo. Il 10 marzo sarebbe considerato dagli americani 1’ultimo termine utile per tale risposta. Come ulteriore mezzo di pressione si farebbero conoscere ai francesi le linee essenziali di tale documento per via di simulata indiscrezione. Si comunica quanto precede per riservata informazione di V.E. e con preghiera di telegrafare quanto risulti costì(2).

130 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

130 2 Per la risposta vedi D. 134.

131

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 2307/51. Londra, 5 marzo 1954, ore 20,25 (perv. ore 6,45).

Ho avuto stamane colloquio con Eden che avevo chiesto di vedere per normale presa di contatto. Conversazione ha toccato vari argomenti di attualità. Riferisco punti essenziali:

CED: mi ha confermato che inglesi sono disposti qualche ulteriore passo avanti. Contatti erano in corso con Parigi dopo di che risultati sarebbero stati comunicati ai Sei. Non si sarebbe pertrattato di nulla di sensazionale, ma solo miglioramento del già noto progetto Associazione Britannica.

Americani stavano premendo su Parigi per rapida ratifica. Contrariamente a quanto dettomi ieri da Nutting che se ratifica non avesse luogo prima di Ginevra sovietici avrebbero potuto manovrare durante conferenza in modo da ritardarla sine die, Eden non pensava che alla ratifica si sarebbe arrivati prima 26 aprile. Quello che parevagli importante è che, a quella data, procedura avesse raggiunto stadio molto avanzato.

Egitto: Eden era pessimista. Telegrammi da Cairo indicano che crisi è lungi da essere risolta e situazione è esposta qualsiasi mutamento. In attuale stato delle cose egli non si sentiva continuare conversazioni per soluzione questione Canale: non per timore che intese vengano poi rinnegate da eventuale nuovo Governo, ma perché in questo momento non si sa quale sia organo o persona responsabile e con necessaria autorità.

Nel corso del colloquio che è stato improntato ad estrema cordialità Eden ha accennato rapporti italo-britannici esprimendo, con sincerità, suo desiderio che essi vengano posti sempre maggiormente su piano reciproca fiducia. Ho di proposito detto che risultavami ambasciatore Clarke svolgeva attiva ed efficace azione in tal senso: Eden mi è parso gradire questo mio accenno.

Mi ha detto di avere apprezzato misurate dichiarazioni S.E. Scelba su Trieste in occasione dibattito parlamentare(2), per senso responsabilità che le improntava. Mi ha pregato voler porgere suo saluto al Presidente.

131 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 26, fasc. 1.

131 2 Vedi Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 18 febbraio 1954, pp. 5530-5538: p. 5537; Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 18 febbraio 1954, pp. 29242934: p. 2933; ivi, seduta del 26 febbraio 1954, pp. 3187-3196: pp. 3195-3196.

132

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 2433/578(2). Bad Godesberg, 5 marzo 1954.

Oggetto: Aspettative per la ratifica italiana della CED.

Signor Ministro,

ho già riferito a Vostra Eccellenza sulle reazioni favorevoli che la decisione governativa di presentare entro breve termine al Parlamento la ratifica della CED ha provocato in Germania, come era d’altra parte presumibile. Credo pure superfluo riassumere alcune delle considerazioni che verbalmente e per iscritto mi avevano spinto negli anni decorsi a sostenere la causa della ratifica italiana quale sola alternativa possibile – che si sia in favore o contro la Comunità di difesa – nella attuale contingenza internazionale.

Le decisioni governative sulla CED hanno indubbiamente riportato sull’Italia l’attenzione internazionale ed aiutano a superare le perplessità e i dubbi che si erano accumulati su di noi in seguito alle crisi politiche succedutesi alle elezioni del 6 giugno[recte: 7 giugno]. Mi permetta Vostra Eccellenza di sottolineare che quando io parlo di reazioni in Germania, per esperienza ormai di parecchi anni e per lo stato di simbiosi che sembra creatosi fra Bonn e Washington ciò che vale per la Germania sembra corrispondere esattamente alle reazioni di opinione pubblica anche negli Stati Uniti. È questo un elemento di più– mi sembra – da tener presente nel giudicare quanto più grave sarebbe la caduta del nostro prestigio internazionale, qualora dovessimo ancora una volta deludere le speranze che vengono oggi riposte in noi, con nuovi rinvii dei dibattiti parlamentari della CED.

Ho visto riapparire sulla stampa italiana ed altrove vecchie obiezioni tra le quali la inopportunità per l’Italia di ratificare la CED prima della Francia. A parte gli insegnamenti di queste ultime settimane, credo che il problema per l’Italia sia dominato, come ho già pivolte riferito da quello delle nostre relazioni con l’America. Proprio in funzione di ci che si sia in favore o contro la comunità di difesa, non credo che ci si possa mai sottrarre alla ratifica qualora Parigi dovesse procedervi. Tanto vale quindi non perdere quel capitale di prestigio che indubbiamente ce ne verrà negli Stati Uniti, per non parlare della Germania, anticipando la ratifica a Roma. Qualora poi la ratifica a Parigi dovesse fallire, avremmo ugualmente compiuto un gesto che né l’America né la Germania dimenticheranno. Né credo utile insistere pisu una circostanza ben nota, quella cioè dell’abbinamento esistente tra i trattati di Bonn e di Parigi ed il pericolo che, rimanendo noi buoni ultimi, possa la Germania vedere ritardato per fatto nostro il suo ritorno allo stato di sovranità.

Naturalmente tanto maggiore sarà il successo per l’Italia della avvenuta ratifica, quanto pivasto sarà stato il consenso parlamentare.

Esistono effettivamente in Italia strati di opinione pubblica che diffidano della CED quasi vedendo in essa la strada che conduce alla scomparsa di molti valori individuali nazionali. Credo doveroso da parte mia di richiamare un altro concetto. Non credo cioè che la nostra adesione alla CED debba significare l’abdicazione alla nostra posizione di grande o, come si dice adesso, di media Potenza in Europa. ciò nonsembra esatto in quanto se si arriverà a fare della comunità europea un ente nel quale i singoli membri vengono ad acquistare, ciascuno nel proprio settore, la tutela non solo dei propri interessi singoli, ma di quelli dell’intera comunità, l’Italia, che la seconda guerra mondiale ha lasciato depauperata di potenza politica ed economica, vedrebbe la sua posizione vivificata da questa concezione e riceverebbe nuovo impulso e prestigio nella sua naturale sfera di azione e cioè nel Mediterraneo.

Non so se una tale presentazione della Comunità europea possa aiutare il Governo a raccogliere l’adesione di alcune correnti parlamentari ancora scettiche sulle possibilità che, anche ai fini nazionali, potrebbero aprirsi all’Italia attraverso la comunità di difesa e la comunità politica europea. Se cipotesse apparire utile si potrebbe anche pensare alla presentazione di una apposita mozione in Parlamento, cosa che non sarebbe anacronistica con quanto è già accaduto, e con maggiore sostanza, tanto al Parlamento di Parigi che al Bundestag di Bonn.

Resta infine il problema di Trieste. Se dovessi giudicare da Bonn le prospettive di soluzione della questione triestina, direi che ulteriori indugi italiani alla ratifica della CED, anche solo nella forma di una ratifica italiana che venga buona ultima dopo tutte le altre, lungi dal migliorare la nostra posizione contrattuale nei confronti degli Alleati e di Tito, ci metterebbero nell’isolamento diplomatico e diminuirebbero ancora il nostro peso internazionale. La negoziazione della ratifica, come strumento di pressione sull’America, è un’arma oramai troppo logora e spuntata dopo l’uso e l’abuso che ne ha fatto la Francia. I termini del problema triestino sono oramai talmente obbligati e lasciano agli Alleati un così scarso margine di manovra e di pressione su Tito che mi sembra che, comunque, una politica di fattiva solidarietà occidentale ed atlantica non potrà in alcun modo danneggiarci, bensì, nei ristretti limiti in cui ciè possibile, favorirci e soprattutto farci ricuperare all’estero e in America molte delle simpatie e del credito che da un anno a questa parte abbiamo perduto.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

Babuscio Rizzo

132 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

132 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

133

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. segreta 2389(2). Bad Godesberg, 5 marzo 1954.

Caro Zoppi,

ho avuto in via del tutto privata e confidenziale copia del piano predisposto dal Governo francese in collaborazione coi tedeschi e cogli americani per l’azione da svolgere onde ottenere la ratifica a Parigi prima del 16 aprile.

Come vedrai, il piano è molto preciso e dettagliato ed attiro la tua attenzione sui punti più importanti che mi sembrano i seguenti:

Punto 2) la proposta che il Governo francese dovrebbe il 6 marzo avanzare agli altri membri della Comunità di Difesa per l’azione dell’Assemblea europea è diretta evidentemente a favorire l’atteggiamento dei socialisti francesi. Mi è stato detto che Bidault e Laniel non sarebbero ancora del tutto d’accordo non avendo il primo rinunziato all’appoggio totale dei socialisti e puntando il secondo verso l’apporto delle destre.

Punto 3) prevede il giorno 9 una conversazione fra Bidault ed Adenauer sulla Saar e un primo annunzio che le trattative saranno completate nel secondo incontro a Bruxelles il giorno 30. Secondo le notizie in mio possesso le trattative sarebbero già a buon punto e si arriverebbe alla formulazione di un accordo basato su principi generali.

Punto 6) e punto 11) concernono, alle date indicate in ciascun punto, le dichiarazioni che verrebbero fatte dall’America e dall’Inghilterra per le garanzie alla Comunità di Difesa.

Dopo il programma dei lavori a Bruxelles è da notare al punto 13) una prevista dichiarazione comune il giorno 30 nella capitale belga di Adenauer e Bidault sulla Saar. Punto 16) prevede la riunione dell’Assemblea a Bruxelles il giorno 31; non si

esclude però un breve rinvio all’inizio di aprile.

Non so se il documento allegato sia in possesso di Roma. In caso diverso ti sarei grato, per riguardo alla fonte dalla quale esso mi proviene, e per le raccomandazioni fattemi, di non volerne fare oggetto di diramazione, conservando al medesimo il carattere di documento confidenziale.

Con i picordiali saluti credimi

tuo aff.

Francesco Babuscio Rizzo

Allegato

SCHEDULE OF DATES BY WHICH FRENCH GOVERNMENT WILL NEED TO TAKE ACTION TO OBTAIN RATIFICATION BEFORE APRIL 16

26 February 1954.

1) Before March 6 – Final discussions opened between French and Germans on Annex C. Blank arriving Paris next week.

2) Before March 6 – French Government to make through diplomatic channels proposal for direct election of European Common Assembly.

3) Before March 9 – Discussions between Bidault and Adenauer on Saar with announcement negotiations to be completed at Minister’s meeting on March 30. Adenauer leaving for Greece on March 9.

4) Before March 10 – French Government decision to hold debate at end of March. Proposal by National Assembly Steering Committee to place EDC on Agenda for end March and approval thereof by Assembly.

5) Before March 10 – Final French Government action to force completion of work in Parliamentary Committees.

6) On March 12 – NATO Council and EDC Interim Committee informed of contents of proposed Presidential statement on US guarantees.

7) Before March 15 – Meeting of EDC Interim Commission to put final touches on UK-EDC association and US-EDC bilateral, to agree on form of signature of protocols, and to begin work on «Interpretative Communique».

8) Before March 15 – Mollet to schedule Extraordinary Congress for March 24 and begin informal consultations with local Socialist organizations.

9) Before March 15 – Begin talks on support costs if really necessary for ratification.

10) On March 15 – Presidential statement on US guarantees made public.

11) On March 15 – Terms of UK-EDC association made public.

12) On March 30 – Meeting of Six Foreign Ministers. Adenauer would have to cut short trip

to Greece and Turkey. Meeting now scheduled for March 31 would be cancelled. Ministers would:

a) Agree on Convention for direct election of European Common Assembly.

b) Sign (with UK) documents on UK association.

c) Agree (with US) on form of announcement for MDAP bilateral.

d) Agree on « Interpretative Communique»

13) On March 30 – Bidault and Adenauer issue agreed statement of principles for Saar settlement.

14) On March 24 – Extraordinary Socialist Congress begins.

15) Between March 23 and March 27 – Completion of Committee reports to National Assembly. Assembly should have reports at least few days before debate.

16) On March 31 – Assembly debate. Senate to take action after Easter holidays. Above are outside dates, especially point 5. None of these decisions have been taken.

133 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

133 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi e la seguente sua annotazione: «la data del 6 è già passata. Deve essere un progetto di “wishful thinking” americano».

134

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 2345/118. Washington, 6 marzo 1954, ore 14,52 (perv. ore 2,30 del 7).

Suo 34(2).

Azione americana continua svilupparsi secondo linee indicate mio rapporto 2900 del 4 marzo.

In ulteriori colloqui con Dipartimento e Ambasciate interessate emerso quanto segue:

1) Francesi confermato richiesta tre condizioni preliminari per ratifica e cioè accordo per Sarre, collegamento CED Gran Bretagna, assicurazione non ritiro truppe americane. Dipartimento si mostra fiducioso sviluppi favorevoli prime due questioni ma sottolinea poter influire su esse solo indirettamente: circa terza assicura esistere già decisione favorevole di massima. Sono tuttavia sorte serie divergenze su testo: americani ritengono che Presidente non puandare oltre semplice «espressione proposito non ritirare truppe» mentre francesi chiedono assicurazione che ritiro non verrà effettuato «senza loro consenso».

Ambasciata Francia sostenuto calorosamente tale punto anche con noi sottolineando comune interesse tutti Paesi europei.

2) Americani «indipendentemente suddette condizioni» insistono per fissazione data inizio dibattito parlamentare; data dovrebbe cadere su periodo precedente Pasqua. Tuttavia non (dico non) contano possa arrivarsi al voto in tale periodo.

3) Non risulta Dipartimento abbia registrato in un documento suoi propositi in caso sviluppi negativi. È anzi opinione generale qui che non si sia concretata alcuna policy per tale caso. Dipartimento avrebbe fatto presente che risposta negativa francese avrebbe gravi effetti su prossimo dibattito parlamentare circa aiuti. Comunque aprirebbesi seria crisi di cui non possibile prevedere sviluppi.

4) Ufficialmente continuano escludersi alternative CED ma in via confidenziale risultaci che mentre ritienesi difficile associazione Germania NATO si pensa piconcretamente ad eventuale riarmo unilaterale Germania.

5) Recenti dichiarazioni Molotov su CED sono considerate da Dipartimento esclusivamente come proposito intimorire francesi.

6) Atteggiamento americano si concreterà prossime settimane e sarà esposto aprile Consiglio Atlantico(3).

134 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

134 2 Vedi D. 130.

134 3 Per il seguito vedi D. 138.

135

IL PRIMO SEGRETARIO DELLA DELEGAZIONEPRESSO L’OECE, DUCCI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

Appunto. Parigi, 8 marzo 1954.

Ho visto venerdì [il 5] Dick Freund(2), di passaggio da Parigi. Mi ha detto di esser molto soddisfatto della sua visita a Roma, che era stata per lui assai istruttiva. Era stato molto impressionato dal colloquio con te, da cui aveva ascoltato una «brillantissima» esposizione della situazione politica e parlamentare dell’Italia nei confronti della CED. Ritornava in America fiducioso che il Parlamento italiano avrebbe ratificato, anche se la procedura avrebbe preso alquanto tempo per ragioni tecniche.

Mi ha detto che, quale capo dell’Italian desk, si augura soprattutto che possa chiudersi la questione della «persecuzione» della Church of Christ, che gli dà moltissimi fastidi e lavoro.

Era rimasto colpito dell’insistenza con cui Del Balzo e Grillo gli avevano parlato dell’Alto Adige: ciin cui credeva scorgere un nostro timore che Gruber, inviato ambasciatore a Washington, sollevi la questione col governo americano.

Mi ha dato l’impressione che l’Ambasciata americana a Roma, per quanto ricordi con nostalgia Pella, consideri Scelba favorevolmente. Anche Fanfani d’altronde non era dispiaciuto, per la sua presa di posizione fortemente anticomunista e per la sua efficienza.

135 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

135 2 Presumibilmente si fa riferimento a Richard B. Freund, Officer in Charge of Italian and Austrian Affairs, Office of Western European Affairs, Department of State, dal novembre 1953.

136

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 10/199(2). Parigi, 9 marzo 1954.

Oggetto: Lavori del Comitato di Direzione.

Nel corso della sua riunione di ieri, il Comitato di Direzione della Commissione per la CPE ha esaminato ed approvato, apportandovi alcune modifiche, il progetto di Rapporto elaborato dal Comitato Istituzionale(3)che verrà sottoposto alla prossima Conferenza Speciale dei Ministri degli Esteri dei sei Paesi membri della CECA.

A parte le numerose modifiche di carattere meramente redazionale, in sede di Comitato di Direzione sono state apportate alcune varianti di un certo rilievo al testo presentato che è stato definitivamente messo a punto oggi.

1) La delegazione italiana ha aderito alla formula di cui alla lettera b) della pagina 12 del documento CCP/Doc. 6/Projet, relativa al sistema elettorale della Comunità pur mantenendo la sua riserva circa la necessità che ai singoli Parlamenti nazionali venga lasciata la massima libertà circa i principi cui si dovranno ispirare le legislazioni nazionali in materia di elezioni europee(4). Sentito anche il Dott. Cosentino, nostro rappresentante nel Comitato elettorale, è apparso, in ultima analisi, che la formula da noi adottata sempre sotto forma di semplice raccomandazione sia effettivamente quella pielastica e meno impegnativa.

2) Il secondo alinea della pagina 21, in cui era esposta la posizione delle delegazioni italiana e tedesca circa il problema della censura da parte della Camera dei Popoli, è stato definitivamente redatto come segue:

«Les délégations allemande et italienne, tout en rappelant qu’elles sont en faveur de l’investiture, estiment en tout cas que l’Organe exécutif supranational devrait démissionner en cas d’un vote de méfiance pris à la majorité simple de la Chambre des Peuples au moment de sa première présentation, tandis que pour les autres cas un vote de méfiance entraînant la démission de l’Organe exécutif supranational requerrait une majorité des 3/5».

3) È stato raggiunto un accordo sulla partecipazione dei membri all’Organo Esecutivo e del Consiglio dei Ministri a lavori del Parlamento Europeo: conseguentemente i quattro ultimi capoversi della pagina 23 sono stati sostituiti dalla frase:

«Les modalités de cette participation, qui comprend le droit d’être entendu sur demande, tant par l’Assemblée que par les Commissions, seront arrêtées par le règlement de la Chambre des Peuples».

4) Alla pagina 25 il testo relativo al titolo: III Chambre haute è stato rielaborato come segue:

«Le texte relatif au titre “III. Chambre Haute” sera remplacé par le texte qui suit:

“La nécessité d’une Chambre Haute a été reconnue. En ce qui concerne le carac

tère de cette Chambre Haute, les positions suivantes ont été prises:Les délégations allemande et française prévoient une Chambre des États dont les membres seraient désignés par les Gouvernements.

La délégation belge accepte de prendre cette conception comme base de travail, sans toutefois renoncer à sa position relative à un Sénat élu paritaire.

La délégation luxembourgeoise est d’accord pour prendre la conception franco-allemande comme base de travail et considère qu’elle rencontre dans une large mesure les préoccupations de son Gouvernement en cette matière. Elle est cependant disposée à continuer également l’étude du système d’un Sénat élu.

La délégation italienne prévoit un Sénat élu par les Parlements nationaux.

La délégation néerlandaise s’est associée aux propositions de la délégation italienne à ce sujet, sauf en ce qui concerne la répartition des sièges et la compétence en matière de désignation des membres de l’Organe exécutif supranational”».

5) La delegazione belga ha chiesto di essere associata a quella olandese, nella dichiarazione di cui al quarto capoverso della pagina 30, relativa alla pariteticità nella Camera Alta.

6) A seguito di una richiesta di precisazioni da parte italiana la delegazione francese ha consentito ad aggiungere alla sua dichiarazione concernente le relazioni fra l’organo esecutivo della CPE e gli esecutivi della Comunità CECA e CED, che figura alla pagina 64, la seguente frase: «Sans que cela doive avoir pour effet de diminuer le caractère supranational des fonctions prévu par les Traités existants».

7) Da parte italiana si è fatto presente che circa il problema dell’adesione di terzi Stati alla CPE sembrava preferibile venisse adottato puramente e semplicemente il sistema previsto dall’art. 116 del progetto di Strasburgo, con la sola variante che l’avviso conforme del Consiglio di Ministri dovrebbe essere dato all’unanimità.

Un sistema del genere, salvaguardando da un lato le legittime preoccupazioni dei singoli Stati, dà infatti, dall’altro un maggior rilievo agli organi supranazionali ed in particolare all’esecutivo della Comunità. Pertanto a pagina 73, davanti al primo capoverso, è stato indicato che le disposizioni di cui al seguito della pagina sarebbero accettate dalle altre cinque delegazioni, mentre per quanto concerne quella italiana è stata inserita, alla pagina 74, la seguente presa di posizione:

«La délégation italienne serait prête à se rallier aux dispositions contenues à l’art. 116 du Projet de l’Assemblée ad Hoc. Elle estime toutefois que l’avis conforme du Conseil de Ministres devrait être adopté à l’unanimité».

8) Circa il problema dei collegamenti con il Consiglio d’Europa, la delegazione italiana ha precisato che, da parte sua, sarebbe favorevole a risolverlo adottando le norme suggerite dal Progetto di Strasburgo.

Si è così inteso di completare la nostra posizione che nella prima stesura del rapporto figura principalmente sotto forma di critica ai metodi di collegamento immaginati dai francesi, con un’impostazione di carattere positivo.

Subito dopo la prima frase che figura alla pagina 7, è stato, pertanto, inserito il seguente nuovo capoverso:

«La délégation italienne serait prête à se rallier au système prévu dans le Protocole sur les liaisons avec le Conseil de l’Europe annexé au Projet de l’Assemblée ad Hoc».

Il rapporto definitivo verrà diramato, entro il termine fissato del 15 marzo, a cura del Segretariato, che provvederà ad inviarlo direttamente a codesto Ministero in un sufficiente numero di esemplari.

Invio, altresì, due copie del documento CCP/Sec.Doc. contenente un’elencazione schematica dei principali problemi esaminati dal Comitato stesso, nonché le varie soluzioni prospettate per ciascuno di essi. Tale documento non è stato presentato ai Sostituti e quindi non verrà ufficialmente sottoposto ai Ministri; esso è pertanto da considerare soltanto come un documento di lavoro.

136 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

136 2 Sottoscrizione autografa.

136 3 Commission pour la Communauté Politique Européenne, Paris 12 décembre 1953-8 mars 1954, Rapport aux Ministres des Affaires Étrangères, Première Partie, Questions institutionnelles, Sécretariat, CCP/Doc. 6, in DGCI, Uff. II, 1951-1954, b. 82, fasc. CPE. Comunità Politica Europea (vedi anche ASUE, CM1/CPE, 24.3-7).

136 4 La formula cui si fa riferimento è la seguente: «b. il est recommandé que la loi nationale de chaque État membre relative aux élections à la Chambre des Peuples comporte un système électoral propre à assurer une représentation adéquate aux différents courants d’opinion ayant une certaine importance» (Rapport aux Ministres cit., p. 13).

137

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 2460/244(2). Parigi, 10 marzo 1954, ore 20 (perv. ore 20,50).

Rappresentanti americani qui continuano, in conversazioni private a vari livelli, sostenere con noi la tesi che ci converrebbe annunciare inizio procedura ratifica del trattato CED (indipendentemente da periodo necessario per completarla) prima di una decisione francese. Essi dicono che altrimenti, in caso tale decisione fosse positiva, noi appariremo essere a rimorchio di Parigi e nostro gesto perderebbe suo valore, mentre, nella ipotesi di prolungate esitazioni francesi che provocherebbero certo spiacevoli irrigidimenti americani, sarebbe difficile che l’Italia potesse scindere la sua posizione da quella della Francia se non agli occhi dell’Amministrazione certamente a quelli del Congresso e dell’opinione pubblica, che guardano assai meno per il sottile. Eventuali reazioni potrebbero quindi appuntarle fatalmente anche verso noi, nonostante reale diversità situazione italiana e francese.

137 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 4.

137 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi. Il documento reca per errore la data del 10 febbraio.

138

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 3168(2). Washington, 10 marzo 1954.

Oggetto: Comunità Europea di Difesa. Conversazione con Bonnet.

Riferimento: Mio telegramma n. 118 del 6 corrente(3).

Signor Ministro,

ho creduto opportuno avere uno approfondito scambio di idee con questo Ambasciatore di Francia sull’attuale fase del problema CED.

Bonnet mi ha confermato quanto ci risultava già dai nostri precedenti contatti. Egli ha voluto illustrarmi dettagliatamente i fattori di carattere interno e internazionale che rendono così complessa la questione per il suo Paese, ma si è al tempo stesso dichiarato convinto della necessità di superare gli attuali ostacoli.

Circa gli ultimi sviluppi egli mi ha detto anzitutto che Laniel e Bidault sono ormai decisi a presentare il progetto al Parlamento ai primi di aprile, come desiderano gli Americani: la battaglia sarà molto dura ma il Governo sa di non poterla evitare, anche se essa implica un grosso rischio per la sua stessa esistenza.

A proposito della prima condizione posta dal suo Governo, cioè l’intesa per la Sarre, Bonnet si è mostrato soddisfatto dei colloqui Bidault-Adenauer e della formula preliminare di compromesso da essi raggiunta, formula che, se è ben lungi dal costituire una soluzione del problema, offre peralmeno una base già delineata per i futuri negoziati. Circa le assicurazioni americane Bonnet spera che si possa giungere parimenti a qualche formula di compromesso ma si rende perfettamente conto della difficoltà che ha il Governo americano ad assumere impegni concreti a lungo termine. (Egli ha osservato fra l’altro che, nonostante il pifermo atteggiamento assunto dal Presidente Eisenhower in questi ultimi giorni, la pressione degli isolazionisti è sempre molto forte. È poi quella stessa che indusse Dulles ad essere così perentorio verso Parigi in dicembre). Comunque i negoziati continuano; e Bonnet è persuaso che si avrà una dichiarazione di Eisenhower sufficiente allo scopo di influenzare le decisioni del Parlamento francese, rassicurandolo sui punti in cui si mostra più contrariato.

Se invece le decisioni del Palais Bourbon dovessero essere negative, si aprirebbe una crisi molto seria, ché la Francia dovrebbe entrare in piena ribellione rispetto all’America con incalcolabili conseguenze. L’isolazionismo americano avrebbe buon gioco, ma il Governo di Washington, preoccupato della sua difesa oltre oceano, non mancherebbe di adottare altri modi per assicurarsela, cominciando col riarmo della Germania, dato che le divisioni tedesche rappresentano una copertura di primo urto, alla quale gli Americani non sono disposti a rinunziare, perché la credono di grande importanza ritardatrice. Il massimo sforzo verrebbe poi concentrato lungo la catena di basi periferiche già allestite

o in via di allestimento. Si creerebbe così una situazione tutt’altro che vantaggiosa per i Paesi che, come la Francia e l’Italia, si trovano al di là di tale catena. Mi ha ripetuto quindi che riteneva disastroso per i massimi interessi francesi un eventuale rifiuto di adottare la CED.

Bonnet si è infine mostrato ansioso di conoscere il nostro atteggiamento. Gli ho detto che anche noi ci rendevamo conto della vitale importanza del problema ma che ci trovavamo in mezzo a difficoltà varie di natura non solo politico-parlamentare ma anche tecnica (ferma di 18 mesi) e psicologica. Gli ho poi detto come la mancata soluzione del problema di Trieste, creando vivo malcontento nella classe politica e nel paese, continui ad esercitare una sfavorevole influenza sulla questione rendendo facili le anche grossolane speculazioni anti CED ed anti-NATO. L’ho perinformato dello sforzo attivissimo che il Governo Italiano stava compiendo per giungere ad una conclusione positiva del futuro prossimo dibattito.

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio profondo ossequio.

Tarchiani

138 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

138 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

138 3 Vedi D. 134.

139

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto 21/0585(2). Roma, 11 marzo 1954.

Oggetto. Inizio procedura ratifica Trattato CED in Italia.

In queste ultime settimane i nostri rappresentanti nelle Capitali più importanti hanno ripetutamente segnalato come i Governi presso i quali sono accreditati seguono con sempre maggiore attenzione il nostro atteggiamento per quanto riguarda la ratifica del Trattato CED.

Il 13 febbraio(3), l’Ambasciatore a Bonn riferiva sulla «ansiosa attenzione con cui si segue in Germania, in ogni ambiente, l’evoluzione politica interna francese e italiana, per trarne indizi sulle prospettive di ratifica in questi due Paesi».

Il 5 marzo(4)l’Ambasciatore a Bonn segnalava le reazioni favorevoli che la decisione del Governo Scelba di presentare quanto prima il Trattato al Parlamento ha provocato in Germania, aggiungendo che «le decisioni governative sulla CED hanno indubbiamente riportato sull’Italia l’attenzione internazionale ed aiutano a superare le perplessità e i dubbi che si erano accumulati su di noi in seguito alle crisi politiche succedutesi alle elezioni del 6 giugno».

L’Ambasciatore Babuscio Rizzo aggiungeva che era da tenere presente che si era creato tra Bonn e Washington «uno stato di simbiosi» per il quale le reazioni tedesche corrispondono spesso a quelle dell’opinione pubblica americana e cidoveva essere tenuto presente «nel giudicare quanto più grave sarebbe la caduta del nostro prestigio internazionale, qualora dovessimo ancora una volta deludere le speranze che vengono oggi riposte in noi, con nuovi rinvii dei dibattiti parlamentari della CED». Infine il nostro rappresentante nella Repubblica Federale attira l’attenzione «sul noto abbinamento esistente tra i trattati di Bonn e di Parigi ed il pericolo che, rimanendo noi buoni ultimi, possa la Germania vedere ritardato per fatto nostro il suo ritorno allo stato di sovranità».

Il 23 febbraio(5), l’Ambasciatore a Londra, riferendo su una conversazione con Kirkpatrick, segnalava che il Sottosegretario Permanente al Foreign Office riteneva migliorate le prospettive della CED in seguito alla Conferenza di Berlino e che ogni proposta di sostanziale modifica del Trattato non avrebbe fatto che rimandare il tutto in alto mare. Kirkpatrick era del parere che «il Trattato doveva essere ratificato così com’è», e parlando della collaborazione tra CED e Gran Bretagna ha aggiunto che il suo Governo era ora disposto a fare «qualche cosa di più dell’accordo attualmente all’esame del Comitato Interinale della CED a Parigi.

Il 27 febbraio(6), l’Ambasciatore a Parigi segnalava che la nostra situazione è una delle pibasse registrate dalla fine della guerra ad oggi e che tutti vogliono vedere quale è l’effettiva volontà di lotta della parte non comunista dell’Italia. Mentre l’Ambasciatore Quaroni ritiene che la nostra ratifica non avrà nessuna influenza su quella francese, egli è del parere che essa potrebbe avere delle ripercussioni a noi molto favorevoli negli Stati Uniti «se essa ha luogo prima della ratifica francese» e perciegli insiste sulla necessità di farla al più presto e «comunque prima della ratifica francese».

Il 18 febbraio(7)il nostro Ambasciatore a Washington scriveva che la decisione del Governo italiano di presentare prossimamente il Trattato CED al Parlamento aveva destato una impressione molto favorevole e gli era immediatamente stato chiesto quando sarebbe avvenuta tale presentazione. Il Dipartimento di Stato aveva poi tenuto a sottolineare l’interesse col quale il Governo degli Stati Uniti seguiva la questione.

Il 4 marzo(8), lo stesso Ambasciatore ha segnalato che la CED sarà al centro dei lavori del prossimo Consiglio Atlantico che «avrà carattere prevalentemente politico» ed ha insistito sulla particolare importanza che il Governo americano attribuisce «alla possibilità che abbia inizio il nostro procedimento di ratifica».

Lo stesso giorno(9)la nostra Delegazione presso il Comitato Interinale della CED a Parigi ha telegrafato che sono in corso delle pressioni americane sul Governo francese per ottenere ancora «prima di Pasqua» un voto dell’Assemblea Nazionale sul Trattato CED e che in tal senso erano stati inviati due messaggi personali da Dulles a Laniel. Il Governo francese starebbe febbrilmente esaminando il da farsi anche in relazione alle ripercussioni sugli schieramenti politici in campo interno.

Nel corso di una conversazione con il Ministro Magistrati(10), l’Ambasciatore Bruce, parlando della questione della nostra ratifica, ha fatto una distinzione tra presentazione e dibattito. Secondo Bruce «se c’è da parte nostra la decisione di presentare il Trattato e di iniziare la procedura di ratifica, anche se poi questa vada per le lunghe e giunga all’ostruzionismo parlamentare da parte dell’estrema sinistra, evidentemente la responsabilità di ciò nonpotrà essere attribuita al Governo italiano». Sempre secondo Bruce la mancanza di una decisione circa la data della presentazione ed il suo rinvio farebbe invece nascere a Washington «dubbi circa le reali intenzioni del Governo italiano».

Ancora la Delegazione presso la CED in data di ieri(11), ha informato che i Rappresentanti americani continuano a sostenere la tesi che solo l’inizio della procedura di ratifica da parte nostra prima di una eventuale decisione francese darebbe un significato concreto al nostro gesto e ci eviterebbe la conseguenza di una eventuale decisione negativa o di un ulteriore temporeggiamento francese.

Nel complesso i nostri rappresentanti delle grandi Capitali insistono quindi nel sottolineare l’interesse che l’Italia ha di iniziare al più presto la procedura parlamentare di ratifica.

Alle comunicazioni dei nostri rappresentanti all’estero si deve poi aggiungere che nei contatti frequenti che gli uffici di questa Direzione Generale hanno con le Missioni Diplomatiche anglo-americane e quelle dei Paesi che già hanno ratificato il Trattato, trapelano analoghe preoccupazioni circa il nostro atteggiamento in materia e si manifestano particolarmente in questi giorni le stesse insistenze per conoscere la data dell’inizio della nostra procedura di ratifica(12).

139 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

139 2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

139 3 Recte: il 19 febbraio: vedi D. 117.

139 4 Vedi D. 132.

139 5 Vedi D. 122.

139 6 Vedi D. 125.

139 7 Vedi D. 116.

139 8 Vedi D. 129.

139 9 T. segreto 2242/225.

139 10 Conversazionidel 7 marzo: ne riferì Quaroni con T. segreto 2358/231 dell’8 marzo (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108).

139 11 Vedi D. 137.

139 12 Per il seguito vedi D. 153.

140

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. riservato 0351. Parigi, 13 marzo 1954.

Oggetto: Trieste.

Signor Ministro,

tanto il Quai d’Orsay, quanto questa Ambasciata d’America sembrano all’oscuro di quello che accade a Londra. Il più informato, se così si può dire, è stato Joyce, il quale mi ha lasciato comprendere che il silenzio, secondo lui, è dovuto al fatto che gli jugoslavi hanno presentate delle richieste esorbitanti.

Non sono quindi molto lontano dal pensare, come Tarchiani(2), che la conferenza di Londra non condurrà a nulla di positivo: si tratta più che altro di sapere se e quando verrà il momento in cui gli anglo-americani penseranno sia giunto il momento di informarci su quello che è accaduto, momento in cui logicamente ‒ma la logica non è il forte degli anglosassoni ‒ essi dovrebbero anche dirci che cosa intendono fare.

Personalmente resto sempre poco favorevole alle conversazioni a due: non ho mai pensato che realmente gli jugoslavi siano disposti a cedere a noi, direttamente, quello che non vorrebbero cedere agli americani e agli inglesi: ne nascerebbe la solita polemica su chi è irragionevole; e, in mancanza di testimoni, sarà sempre più difficile sostenere che il torto principale non è nostro. Le conversazioni a due potrebbero essere raccomandate solo nel caso che noi fossimo disposti ad accettare quello che sappiamo essere i termini jugoslavi, e ritenessimo utile, per varie ragioni, di annacquare gli assestamenti territoriali in una serie di accordi di carattere economico e politico. Poiché una operazione di questo genere, in caso, sarebbe molto meglio farla a mezzo di trattative dirette che attraverso intermediari. Ma, se le nostre idee «minime» su di una soluzione del problema delle nostre frontiere orientali restano quelle che io conosco, dei colloqui a due non servono realmente a niente.

La nostra Ambasciata a Washington fa una giusta distinzione fra l’obbligo per gli americani di eseguire la decisione dell’8 ottobre(3), e il sentirsi in grado di eseguirla. Per me, piuttosto che parlare di essere in grado, sarebbe il caso dire volere eseguirla.

Lo showdown dell’agosto scorso ci ha portati ad un millimetro dal successo: sarebbe quindi più che ingiusto dire, come si ha una certa tendenza, mi sembra, a farlo oggi, che l’iniziativa è stata uno sbaglio. Premesso questo, ed è doveroso farlo, bisogna ammettere che attualmente, a mia impressione, la nostra situazione non è migliore di prima.

Tito si è reso conto che le sue minacce sono sufficienti a far retrocedere gli americani e gli inglesi.

La maniera come si sono svolte certe manifestazioni di strada dell’anno scorso, molte reazioni italiane durante il periodo critico, hanno portato l’estero alla conclusione che la questione di Trieste non è poi così veramente sentita dall’opinione pubblica italiana.

Quindi, se vogliamo essere sinceri con noi stessi, dobbiamo pur riconoscere che la dichiarazione dell’8 ottobre è ormai un documento superato, come tanti altri; possiamo servircene come di una posizione giuridica a scopo di polemica; faremmo un grave errore nel credere oggi al suo valore concreto ed attuale.

Si tratta adesso di sapere se e che cosa possiamo fare per richiamare gli americani all’«obbligo» di risolvere la questione di Trieste su limiti non troppo distanti da quel minimo che noi possiamo considerare come accettabile(4).

La prima idea che viene naturale è quella di insistere sull’alternativa «CED o Trieste»: passo sotto silenzio le questioni minori come quella delle facilities, etc. che sono una questione differente.

Per gli americani, e questo mi permetto di ripeterlo, la CED, in quanto integrazione europea, non interessa che molto mediocremente: essa interessa in quanto permette il riarmo tedesco. Essi sono convinti, a torto od a ragione, che per poter riarmare la Germania, e servirsi della Germania in caso di guerra, essi hanno bisogno della Francia: sono egualmente convinti che l’Italia, per questo scopo, non è decisiva. Quindi sono perfettamente rassegnati a passar oltre ed a realizzare la CED anche senza di noi. Penso, o temo, che i nostri amici americani, quando insistono perché noi ratifichiamo, lo fanno piuttosto perché sono preoccupati delle reazioni americane verso di noi, in materia di possibili aiuti, che per l’importanza della cosa in sé stessa.

D’altra parte se i francesi si decidono a fare lo sforzo di ratificare e ci riescono, non sarà certamente perché noi non abbiamo ratificato che si fermeranno: si lascerà lo strumento aperto alla nostra adesione.

Questo oggi. Evidentemente, un giorno, quando la CED sia un fatto compiuto, ci si renderà conto degli inconvenienti che presenta l’assenza dell’Italia, e comincerà una campagna ed un’azione per persuadere l’Italia ad entrare nella CED: ed allora noi avremo delle chances di poter negoziare la nostra accessione dietro una soluzione accettabile per noi della questione di Trieste, sulla misura in cui la situazione internazionale non abbia ancora spostato, a favore di Tito, i termini di una eventuale scelta. Insisto nella parola scelta perché questo è come il problema si presenta agli americani. Non si tratta di dare soldi, armi o garanzie, ossia cose loro; si tratta di imporre all’una

o all’altra delle parti in causa una soluzione spiacevole: ed è, in fondo, quello a cui noi vorremmo portarli, a preferire noi a Tito.

La ratifica CED è quindi un’arma di negoziato, o come amiamo dire noi, una carta che si pueventualmente giuocare ma solo a molto lunga scadenza.

Adesso c’è una sola soluzione del problema TLT che si potrebbe realizzare senza difficoltà, indifferentemente in conversazioni a due o a cinque: la città di Trieste a noi, unita con un cordone ombelicale territoriale al resto dell’Italia. È possibile che, accedendo alla richiesta jugoslava di un corridoio a mare sul Golfo di Trieste, noi possiamo ottenere anche qualche cosa di più in Zona B: questo è tutto. È questa una soluzione accettabile per noi all’interno?

Se non lo è ‒e, indipendentemente dal merito della soluzione, sulla quale ci sarebbe molto da dire, mi sembra poter affermare che non lo è ‒allora bisogna, secondo me, che evitiamo adesso di cercare di forzare una soluzione: se cerchiamo di forzare, è di fronte ad una proposta di soluzione più o meno di questo genere che saremo messi. Dicendo questo, assicuro V.E. che sono molto cosciente che andremo incontro a rischi gravi: la questione puavviarsi ad una stabilizzazione di fatto sullo statu quo attuale, nelle due zone: e non è affatto detto che il tempo giochi a nostro favore: fin qui, certo, non ha giocato in nostro favore.

Nel corso dello showdown abbiamo dovuto fare la constatazione, poco piacevole, che di fronte all’opinione pubblica, specie anglo-sassone, Tito gode di molte, ma molte più simpatie che non l’Italia. Vorrei precisare: non che, per quello che concerne la questione di Trieste in sé, la gente che se ne occupa sia realmente convinta che è Tito che ha ragione e noi che abbiamo torto: forse in realtà è piuttosto il contrario. È che la Jugoslavia, il suo regime, il suo capo, godono del favore di una popolarità assai maggiore che non l’Italia.

E non si tratta soltanto di propaganda, pur ammettendo che, specialmente in America ed in Inghilterra, ossia nei due Paesi che contano, la propaganda di Tito è stata fatta molto meglio della nostra.

È che, in un momento come questo, in cui tutti sono più o meno confusamente alla ricerca di una soluzione dei problemi di ogni genere che ci assillano, Tito rappresenta, agli occhi di molti, una formula nuova, che può avere anche dell’avvenire, mentre noi rappresentiamo una formula vecchia che, fra l’altro, non mostra nemmeno di funzionare alla perfezione. Noi abbiamo fatta molta propaganda per le nostre tesi sulla questione di Trieste: abbiamo fatta invece poco o nulla propaganda per l’Italia, per quello che essa ha fatto e fa. Tito ha fatto piuttosto il contrario, ed al momento opportuno ha inserito il caso di Trieste in un terreno già favorevolmente disposto al suo Paese. Senza un rovesciamento di questa situazione non possiamo sperare niente di buono per noi.

Ho esposto a V.E. come, a mio avviso, l’Italia è vista dal di fuori: siamo quindi, evidentemente nella situazione pisfavorevole per qualsiasi negoziato, il che rappresenta una ragione di piper non forzare una decisione. Si tratta, anche nei riguardi della questione di Trieste, di vedere cosa si pufare per rimediare a questa spiacevole posizione italiana.

La mia opinione in proposito V.E. già la conosce. È inutile che noi diciamo agli americani o a chi che sia, che una soluzione favorevole della questione italiana faciliterebbe al Governo italiano la lotta contro il comunismo: oggi non ci crederebbe nessuno.

Ritengo invece che, domani, un Governo italiano, il quale abbia già data l’impressione di stare lottando coraggiosamente e a fondo per rimontare la china del 7 giugno, abbia molte pichances di avere dagli americani, anche nella questione di Trieste, degli appoggi, sia pure relativi.

Bisogna, in altre parole, che noi drammatizziamo di fronte all’opinione pubblica americana e mondiale, non la situazione italiana, come si sta facendo un po’ adesso, ma quello che il Governo italiano sta facendo per battere e vincere la battaglia contro il comunismo in Italia. Così come Tito è riuscito a drammatizzare, molto abilmente, il suo caso. Non mi sentirei certamente di garantire che questa politica riesca: ma non ne vedo altre, a meno, ripeto, di accettare la sola soluzione realisticamente possibile oggi. In altre parole oggi agli occhi degli americani la carta Tito ha pivalore della carta italiana: bisogna che si cerchi di dare alla carta italiana almeno lo stesso valore.

La ratifica della CED va, quindi, secondo me, considerata non come una carta che abbiamo per risolvere il problema di Trieste, perché questo valore non lo ha, ma come uno degli elementi per creare intorno all’Italia un’atmosfera che ci dia maggiori chances di risolvere, un po’ meglio, la questione di Trieste. Perché, che possiamo risolverla bene, in senso assoluto questo ‒ in quanto si possano fare delle previsioni ‒ non è possibile.

Sulle ragioni che consigliano la ratifica CED io già riferito a V.E. col mio rapporto

n. 299 del 2 marzo(5)e confermo la mia opinione.

Ripeto a questo proposito quello che ho già detto: la ratifica della CED sola non basta: ha bisogno di essere accompagnata da tutto un programma di azione e di lotta in tutti i settori e su tutti i fronti. Perpuò essereun elemento importante in un insieme.

La prego di credere, Signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

Quaroni

140 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 39, fasc. 1.

140 2 Quaroni fa riferimento ad un rapporto segreto di Tarchiani del 27 febbraio sulla questione di Trieste (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 136, fasc. 1). Vedi anche nota 4.

140 3 Vedi D. 56, nota 3.

140 4 A tal proposito, queste erano le riflessioni di Tarchiani a conclusione del suo rapporto in merito ai rapporti tra la questione di Trieste e la ratifica della CED: «Si tratta quindi di vedere se la nostra situazione interna ci consente (o, per altro verso, ci costringe) a far presente agli americani che la mancata esecuzione della decisione dell’8 ottobre, pur senza compromettere la partecipazione italiana all’Alleanza Atlantica e il rispetto degli altri impegni già assunti, impedirebbe di sviluppare ulteriormente la collaborazione fra l’Italia e l’Occidente. Conosco le critiche rivolte, anche in Italia, ad ogni atteggiamento che sembri (anche senza esserlo) ricattatorio nei riguardi degli Stati Uniti. Sono critiche da non scartarsi alla leggera, perché procedono dal giusto convincimento della ineluttabile associazione dei destini dell’Italia e di quelli degli altri Paesi occidentali. Sono critiche che meritano di essere pesate nello scegliere l’atteggiamento da adottare; ma non permettono di eludere la scelta. Possono l’opinione pubblica e il Parlamento, nella loro maggioranza, accettare una completa subordinazione di ogni specifico problema italiano, compreso quello di Trieste, alle crescenti esigenze di un’attiva e incondizionata partecipazione nostra alla politica «atlantica» e «europeista»? Se sì, le critiche cui accennavo più sopra acquistano un maggior peso e possono condurre ad escludere ogni connessione fra la questione di Trieste da un lato e la CED, le “facilities”, l’aumento delle spese militari, la ferma di 18 mesi ecc. ecc. dall’altro. In tale caso, occorre adattarsi all’idea che il problema di Trieste non sarà risolto. Per contro, se l’opinione pubblica e il Parlamento non sono in grado di accettare una subordinazione così completa, allora è doveroso, oltre che utile, dirlo francamente agli americani. Non si tratta, in tal caso di minacciare la volontaria adozione di una politica dilatoria nei riguardi della CED, delle “facilities” ecc., bensì di denunciare il pericolo di una crisi italiana, diversa da quella che la stampa americana si è accanita a prevedere da due mesi in qua, e consistente invece nella impossibilità, per qualsiasi governo democratico, di adottare le misure auspicate da parte americana. Si tratta, in altri termini, di denunciare l’eventuale necessità di un “agonizing re-appraisal” (per adottare la famosa frase usata da Dulles ad altro proposito) della nostra politica estera» (Rapporto segreto del 27 febbraio: supra nota 2).

140 5 Il citato rapporto di Quaroni analizzava l’opinione pubblica francese e straniera, in particolar modo statunitense, sulla situazione politica ed economica interna italiana. L’Ambasciatore suggeriva di spiegare al Governo statunitense che l’Italia si trovava nella necessità di effettuare investimenti finalizzati a combattere la disoccupazione, investimenti che essa avrebbe realizzato autonomamente in dieci anni; se, però il Governo degli Stati Uniti avesse aiutato l’Italia con sussidi o altre forme di sostegno, il piano avrebbe potuto essere realizzato in un tempo inferiore e una parte dei sussidi sarebbe stata finalizzata in investimenti nel campo militare: «Questo piano lo eseguiremo comunque da noi, con i nostri mezzi, Se voi ci aiutate, come meglio potrete, con dei sussidi, con dei prestiti, col commercio, colle ordinazioni off shore, e nella misura in cui voi ci aiuterete, invece di realizzare questo piano in dieci anni lo potremmo realizzare in cinque, in tre anni. Vi assicuriamo che una parte considerevole delle risorse che alla fine di questo piano di investimenti affluiranno al bilancio italiano, le dedicheremo a perfezionare il nostro sforzo militare» (in Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 39, fasc. 1). Al tema specifico dell’opportunità di ratificare la CED, Quaroni aveva dedicato un precedente rapporto: vedi D. 125.

141

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 981/503(2). Bruxelles, 16 marzo 1954.

Signor Ministro,

come ho telegrafato, la manovra francese per far rinviare la riunione dei Ministri degli Esteri fissata qui per il 30 corrente era basata sul supposto desiderio belga di posporre la riunione stessa a dopo le elezioni.

Il Governo belga ha reagito; e con un secco comunicato ha rimesso le cose a posto, specificando che se i francesi desiderano un rinvio, lo debbono chiedere essi stessi, i belgi in tal caso non volendo essere i soli ad opporsi.

Per verità, la manovra francese era abile in quanto non già la preparazione delle elezioni avrebbe potuto assorbire questo Governo, bensì il fatto che questo non è ormai altro se non un Gabinetto dimissionario, incaricato degli affari correnti, il che dovrebbe impedirgli di ritenersi autorizzato ad assumersi rilevanti responsabilità.

Sta perdi fatto che il Gabinetto belga si sente ed è forte dell’approvazione ormai ultimata della CED e soprattutto della votazione con cui essa è avvenuta, nonché dell’elevatezza dei dibattiti e delle discussioni svoltesi al riguardo; e si trova quindi in stato di dare persino una lezione al Governo francese oltreché di sentirsi in grado di impegnare il paese su una direttiva politica determinata.

Il Governo francese, d’altro canto, col desiderio di rinviare la Conferenza, da un lato dimostra di non voler appesantire la sua difficile situazione in materia di Comunità di Difesa, e dall’altro dà prova di voler affrontare il dibattito relativo al più presto o quanto meno con il minor numero possibile di elementi contrari.

Per conseguenza, di fronte tanto all’avvenuta approvazione belga quanto alle manifestazioni di volontà da parte del Governo francese, la posizione dell’Italia viene ad essere situata in un rilievo particolare.

Voglia a tal riguardo consentirmi, Eccellenza, di aggiungere la mia modesta opinione a quella dell’Ambasciatore a Parigi(2).

Per quanto riguarda il Belgio, condivido appieno il di lui apprezzamento che la nostra posizione non è mai stata all’estero così bassa: il che è tanto pispiacevole ad osservarsi, quando una tale constatazione parte da un paese come questo il quale, per molteplici ragioni, è stato quello nel quale opinione pubblica e stampa ci hanno meglio trattato sin adesso in tutte le questioni generali e specifiche che ci riguardavano.

E condivido anche l’avviso del collega Quaroni sul fatto che per il momento non avremmo miglior arma per reagire all’ondata che ci ha investito, se non affrettando al massimo la presentazione della CED al Parlamento, prima cioè che lo facciano i francesi. Aggiungo anche che tale considerazione puconservare, anzi aumentare il suo valore, se ed in quanto l’atteggiamento francese rimarrà incerto se non addirittura negativo.

Non che sia da attendersi positivamente molto dai risultati di un tale nostro gesto isolato in sé stesso; non ho, per mia parte, mai molto contato sulla possibilità di «monetizzare» presso gli Stati Uniti le prove di un’eccessiva nostra buona volontà; ho avuto anzi, prima delle elezioni, a manifestare la mia opinione al riguardo.

Ma credo oggi che sia necessario il gesto sopra indicato, da un punto di vista che chiamerei negativo: nel senso cioè che ove noi ci facessimo precedere dai francesi, la nostra posizione internazionale (anche con le conseguenze interne, morali ed economiche che è lecito immaginare) sarebbe finita. I motivi, strutturali e contingentali, paiono così chiari da dispensare dall’obbligo di riassumerli.

Certo, decisioni del genere non possono prendersi che in funzione della situazione e della politica interne, sulle quali non mi è dato, non dico di esprimermi, ma neppure di avere un’opinione precisa; ma manifestando un avviso dall’osservatorio in cui mi trovo, considero un dovere fornire a Vostra Eccellenza tutti gli elementi esterni che possano contribuire ad integrare un giudizio di ordine pigenerale.

Si possono avere molti dubbi sulla Comunità di Difesa; si possono fare persino delle riserve sul modo di servirsi del Trattato relativo come eventuale arma di negoziato generale; ma vi sono dei momenti e delle situazioni in cui il fondo di una questione deve considerarsi posto in ombra dagli elementi di sostanza e di contorno che lo accompagnano. Il momento attuale, almeno a giudicare da qui, pare appunto uno di questi, ed appare anzi non solamente tale in sé stesso, ma anche caratterizzato da un aspetto di particolare urgenza.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

141 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

141 2 Vedi D. 125.

142

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

L. 2250(2). Lussemburgo, 16 marzo 1954.

Caro Benvenuti,

facendo seguito a quanto ho avuto occasione di dirti a Parigi, vorrei permettermi di riepilogare, nella imminenza dell’eventuale Conferenza di Bruxelles, la situazione dei lavori per la CPE.

A mia opinione, gli sviluppi dei lavori delle Commissioni di Parigi hanno assunto un carattere abbastanza pericoloso per i fini a cui noi miriamo. Certo da parte nostra nessuna concessione di sostanza è stata fatta, ma, cinonostante, la tesi minimalista francese – rimasta anche essa di una intransigenza assoluta – ha finito per guadagnare terreno, trovando talvolta favorevole accoglienza presso i tedeschi, i belgi e i lussemburghesi.

Il pericolo sta in questo: malgrado che risulti chiaramente dalle conclusioni del Comitato economico che è preclusa la possibilità di una estensione delle attribuzioni della Comunità, i lavori del Comitato istituzionale prevedono la creazione di una superstruttura di organi, in parte nuovi e con un carattere sopranazionale attenuato, che, sovrapponendosi a quelli esistenti della CECA e della CED, finirebbero per inceppare il funzionamento di queste.

In altre parole, se i sei Governi volessero assolutamente sforzarsi a raggiungere ora un accordo, la soluzione di compromesso a cui si finirebbe per arrivare, sarebbe quasi certamente infelice e la Comunità politica che ne risulterebbe, munita solo di una vaga – e assai vaga – speranza di sviluppi economici, sarebbe gravata da una molteplicità di organi e di istituti, in gran parte controllati dai Governi nazionali, che snaturerebbe e soffocherebbe quanto vi è di sopranazionale nella CECA e nella CED.

Per queste considerazioni, sarebbe, a mio parere, consigliabile di non arrivare ora a nessuna conclusione, di prendere tempo e di attendere gli sviluppi della CED. Qualora la CED dovesse cadere, il problema della CPE, purtroppo, non si porrebbe più almeno nella forma attuale. Qualora invece la CED fosse ratificata, si aprirebbero forse nuove possibilità anche per la CPE o, per contro, dovendosi constatare che la CPE è irrealizzabile, il suo abbandono avrebbe minore gravità.

Sarebbe quindi preferibile che la Conferenza di Bruxelles venisse rinviata, ma se essa dovesse aver luogo, si dovrebbe far in modo che la Conferenza avesse, come quella dell’Aja, un carattere interlocutorio. Mi rendo conto che non è facile far riunione [sic] una seconda volta i ministri per non decidere nulla, tuttavia si potrà ancora trovare una forma per salvare le apparenze.

L’atteggiamento quindi che mi permetterei di suggerire a S.E. il Ministro in detta Conferenza sarebbe il seguente:

1) in via generale approvare il rapporto del Comitato di Studio, rilevando tuttavia che il Comitato non ha ancora esaurito il suo compito (lo stesso rapporto indica che certi problemi non sono stati ancora approfonditi; altri problemi non sono stati affatto esaminati. Vedi lista allegata);

2) rilevare che i Ministri non si trovano ancora in presenza di proposte complete su tutti i problemi, problemi che per altro sono strettamente interdipendenti. Solo di fronte a proposte complete i Ministri potranno prendere le decisioni finali;

3) chiedere che il Comitato di Studi continui i lavori, sulla scorta delle osservazioni che faranno i Ministri, onde rivedere e completare il rapporto, per sottoporlo poi nuovamente all’esame dei Ministri, fra due o tre mesi;

4) nell’esame di dettaglio mantenersi intransigenti su tutti i punti importanti della nostra tesi e anzi avvicinarsi maggiormente alla rigida posizione olandese sulla indispensabilità delle nuove attribuzioni economiche;

5) fare concessioni minime su questioni di dettaglio, al solo scopo di non dare l’impressione di irrigidimento sistematico e ostruzionistico (in allegato una lista di simili questioni).

Evidentemente le considerazioni che ti ho sopraindicate sono subordinate al perdurare dell’impossibilità – a causa dell’atteggiamento olandese e francese – di un accordo parziale e cioè su quei problemi la cui risoluzione sarebbe urgente e necessaria per convincere i socialisti francesi a votare la CED. Se invece qualche possibilità in tal senso si presentasse, quella sarebbe evidentemente la via che continuo a ritenere come la unica costruttivamente da seguire oggi più che mai dopo il Congresso del partito radicale francese(3).

Credimi devotamente.

F. Cavalletti

Allegato I

LISTA DELLE QUESTIONI SULLE QUALI LADELEGAZIONE ITALIANA

POTREBBE FARE CONCESSIONI ALLA CONFERENZA DI BRUXELLES(4)

A) Questioni istituzionali.

1) pag. 18. Durata delle Sessioni della Camera dei Popoli. Si potrebbe accettare la formula accettata dai tedeschi e dai belgo-lussemburghesi;

2) pag. 19. Convocazioni sessioni straordinarie. Si potrebbe accettare la proposta francese al punto 2;

3) pag. 20 e 21. Investitura e censura. Si potrebbe abbandonare la richiesta di investitura, purché si conferissero alla Camera dei Popoli le piampie facoltà di censura;

4) pag. 32. Si potrebbe abbandonare la richiesta che il Senato abbia una competenza speciale nella nomina dell’organo esecutivo sopranazionale;

5) pag. 43. Si potrebbe accettare la proposta franco-tedesca secondo cui una parte dei membri della Camera dei Popoli debba far parte dei parlamenti nazionali. Ciindipendentemente dal carattere del Senato, che, per noi, resta elettivo. In tal modo, secondo la nostra tesi, i collegamenti fra Camera europea e i parlamenti nazionali sarebbero duplici: attraverso il Senato, ove tutti i membri avrebbero duplice appartenenza e attraverso la Camera europea, ove una frazione dei membri avrebbe duplice appartenenza;

6) pag. 42. Designazione del Presidente dell’esecutivo. Si potrebbe accettare la formula sostenuta dalle Delegazioni tedesca, belga, francese e lussemburghese, rinviando al Comitato di Studio lo stabilimento delle modalità;

7) pag. 73. Adesione. Abbiamo sostenuto la formula della Assemblea ad hoc; si potrebbe accettare la formula delle altre cinque delegazioni al punto 2 a condizione che la Camera dei Popoli sia chiamata non a dare un parere, ma a dare l’approvazione alla adesione dei nuovi membri;

8) pag. 80. Procedura di revisione al Trattato. Si può accettare la formula sostenuta dalle delegazioni belga, francese, lussemburghese e olandese.

B) Questioni economiche. (I punti seguenti sono stati proposti da Prunas):

1) alla «formula» n. 2, pag. 3, si potrebbe chiedere ai francesi di rinunziare al secondo capoverso del loro testo e di fondere il primo loro capoverso col testo proposto dalle altre cinque delegazioni. Basterebbe, in sostanza, accontentarsi dell’enunciazione dei soli principi generali. Ma anche questo non appare facile.

2) Alla «formula» n. 4, pag. 6, noi potremmo aderire – vi avevamo del resto pensato durante il Comitato di Direzione – al «testo addizionale» belgo-lussemburghese.

3) Alla «formula» n. 5, pag. 9 («indications spéciales») noi potremmo associarci ai tedeschi.

Qui però, la questione non è puramente marginale, poiché si tratta dell’impostazione stessa del

Trattato, come esso dovrà essere articolato. Occorrerebbe quindi che a Roma – specie Corrias

– ci riflettessero un poco.

Alla «formula» n. 12, pag. 23, si potrebbe tentare la fusione dei due testi proposti dai francesi e dalle altre cinque Delegazioni rispettivamente. Non mi sembra infatti che vi siano profonde divergenze nella sostanza.

Allegato II

A) Questioni di cui il rapporto non ha esaurito lo studio.

1) pag. 56. Compiti e attribuzioni dell’esecutivo sopranazionale;

2) pag. 64. Modalità del coordinamento dell’azione dell’Alta Autorità e del Commissariato;

3) pag. 71. Fusione dei bilanci della CECA e della CED;

4) pag. 74. Applicazione del principio dell’associazione di altri Stati;

5) pag. 80. Durata del Trattato e recesso.

B) Questioni che il Rapporto non ha preso in considerazione.

1) Altre attribuzioni della Comunità e particolarmente quelle in politica estera. Quest’ultimo

punto è stato appena toccato nel rapporto di Roma, ma non è pimenzionato nel rapporto di Parigi.

2) Attribuzioni finanziarie. Nel rapporto di Parigi si parla solo della formazione del bilancio, ma vi sono molti altri problemi.

A parte il prelevamento della CECA e i bilanci militari nazionali che verranno versati alla CED, c’è il problema della costituzione del fondo di garanzia per il mercato unico. Vi è poi il problema,minore ma sempre importante, delle spese generali della Comunità e della loro ripartizione.

142 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

142 2 Trasmessa a Magistrati con L. 2251, pari data.

142 3 Per il seguito vedi D. 152.

142 4 Il documento reca in calce la seguente annotazione: «La numerazione delle pagine del rapporto è quella del documento provvisorio del 6 marzo»: Commission pour la Communauté Politique Européenne, Secrétariat, Projet de rapport aux Ministres des Affaires Étrangères, Première Partie, Questions institutionnelles, CCP/Doc. 6/Projet Première Partie, e Seconde Partie, Questions Économiques, CCP/Doc. 6/ Projet Seconde Partie, Paris le 6 mars 1954 (ASUE, CM1/CPE, 24.1 e 24.3).

143

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. riservata 2258(2). Lussemburgo, 16 marzo 1954.

Caro Zoppi, Vorrei permettermi, come vecchio collaboratore della CED, di associarmi alle

considerazioni che l’Ambasciatore Quaroni (di cui a telespresso ministeriale 21/0591

dell’11 corrente)(3) ha fatto recentemente circa la ratifica italiana di detto Trattato, ritenendo anche io che sia assolutamente essenziale per il nostro Paese di iniziare subito la procedura della ratifica.

Ricorderai che già nel passato (mio rapporto del 18 novembre 1952), quando facevo parte della Delegazione per la CED, avevo attirato l’attenzione di S.E. il Ministro sul fatto che la nostra ratifica poteva avere peso solo se fosse sollecita, e che, nel caso che volessimo servirci della ratifica come di una moneta di scambio, cisarebbe stato possibile solo se si fosse offerta una sollecita ratifica.

Questa situazione non è cambiata; solo le prospettive sono, da allora, alquanto

peggiorate. Si tratta oramai, sopratutto, di evitare il peggio. Il pericolo di veder messa in vigore la CED senza di noi, a cui fa allusione l’Ambasciatore Quaroni, è un pericolo reale, se noi, rimasti gli ultimi a ratificare, tardassimo molto.

Ebbi occasione di parlare della questione con Bruce qualche tempo fa, riferendomi non già, naturalmente alla nostra situazione parlamentare, ma a eventuali nostri irrigidimenti nell’abbinamento Trieste-CED. E Bruce mi disse, senza titubanze che se l’Italia ritardasse la ratifica, gli altri cinque contraenti avrebbero potuto concludere un Protocollo speciale per mettere in vigore la CED senza di noi, lasciandoci, ben inteso, la porta aperta. Noi, per gli americani, non siamo quindi indispensabili alla creazione della CED.

È superfluo che rilevi come l’eventualità di cui sopra sarebbe catastrofica, specie in questo momento. E anche nella ipotesi che, in un secondo tempo, riuscissimo a riinserirci nella CED, ti lascio giudice delle gravissime conseguenze pratiche che porterebbe l’arrivare ultimi in una organizzazione, quando gli altri si sono già installati (la Germania arrivata ultima al Consiglio d’Europa non è riuscita ancora ad ottenere nemmeno un posto di segretario generale aggiunto).

Permettimi poi un’altra considerazione: il procedimento per la nostra ratifica sarà necessariamente assai lungo a causa dell’ostruzionismo comunista. Esperti di lavori parlamentari mi hanno parlato di vari mesi.

Ora ai primissimi di aprile, il Benelux e la Germania avranno completato le loro ratifiche. La Francia, il giorno che si decidesse a presentare il Trattato al Parlamento, procederà speditamente (è vero che si parla della possibilità di un doppio voto alla Assemblea nazionale a causa di un eventuale responso sospensivo o negativo del Senato, ma si tratterebbe sempre di ritardi di qualche settimana). Civuol dire che il rischio di rimanere ultimi e di sospendere, con i nostri ritardi, per mesi la messa in vigore del Trattato effettivamente esiste anche se il nostro procedimento di ratifica cominciasse subito. Se esso poi dovesse ritardare, il rischio diverrebbe certezza.

Credimi devotamente.

F. Cavalletti

143 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

143 2 Trasmessa a Magistrati con L. 2257, pari data.

143 3 Telespr. segreto 21/0591 ad Ambasciate, Legazioni e Rappresentanze, a firma Plaja che ritrasmetteva il rapporto di Quaroni del 27 febbraio, per il quale vedi D. 125.

144

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI(1)

T. 2128/103(2). Roma, 17 marzo 1954.

Oggetto: Riunione Bruxelles CPE.

Suo telespresso 10/200(3).

Nostro accordo per comunicazione rapporto finale Commissione CPE a Delegazione Assemblea Consultiva nonché a Gruppo Lavoro Assemblea ad hoc già comunicato Segretariato tramite Cavalletti.

Anche per audizione da parte Ministri a Bruxelles della Delegazione Assemblea Consultiva e, ove lo richieda, del Gruppo Lavoro Assemblea ad hoc non abbiamo difficoltà ove altri non ne sollevino.

144 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

144 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

144 3 Del 9 marzo, non pubblicato. Con esso Bombassei aveva domandato istruzioni sulla richiesta della delegazione dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa di conoscere il testo del rapporto finale; telespresso in DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

145

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATA A PARIGI(1)

T. urgentissimo 2188/109. Roma, 18 marzo 1954.

Oggetto: Riunione Ministri CPE a Bruxelles.

Si conferma in relazione alla comunicazione telefonica di oggi(2)che non solleveremo da parte nostra difficoltà alla richiesta di un breve rinvio a data fissa della Conferenza dei Ministri degli Affari Esteri a Bruxelles.

In linea di massima sembra che al riguardo possa essere raggiunta una decisione per il consueto tramite del Segretariato e quindi che non sia indispensabile una apposita riunione dei Sostituti costì. Non ci opporremo peraltro ove da parte francese si tenesse particolarmente a tale riunione. L’On. Benvenuti in tale caso parteciperebbe alla riunione.

145 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

145 2 Comunicazione di Quaroni sulla richiesta francese di un rinvio della Conferenza dei sei Ministri degli Affari Esteri, riassunta nel D. 147.

146

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 2835/60. Londra, 18 marzo 1954, ore 18,30 (perv. ore 24).

Oggi ho parlato con Kirkpatrik mettendolo al corrente contatti avuti a Roma e situazione italiana. Gli ho sottolineato intenzione Governo italiano presentare sollecitamente trattato CED al Parlamento per ratifica, non nascondendogli tuttavia previsione fortissima e difficilmente superabile opposizione accentrata su questione Trieste. Ho quindi concluso che non intendevo esercitare pressioni né sollecitazioni di sorta per accelerare risposta circa noti sondaggi con jugoslavi ma facevo presente necessità, sentita da E.V. e da Presidente Consiglio di ottenere favorevole soluzione definitiva oppure attuazione della decisione 8 ottobre(2). Ho raccomandato sopratutto di non porre Governo italiano di fronte a proposta insoddisfacente la quale avrebbe soltanto creato deprecabile dissenso fra noi ed Alleati.

Kirkpatrik ha inteso perfettamente promettendo di parlarne con Eden che vedrio stesso prossimi giorni. Intanto di sua iniziativa mi ha detto che sondaggi erano ormai alla fine e che fra pochi giorni (al massimo fra una settimana) ci sarebbe stato comunicato qualcosa. Ha aggiunto che non aveva perso speranza perché jugoslavi si rendevano conto loro interesse giungere a soluzione pur essendo ansiosi non apparire perdenti data loro precedente accanita opposizione decisione 8 ottobre. D’altro lato alleati non mancavano fare loro comprendere essere impossibile a Italia accettare soluzione peggiore di quella decisione il che jugoslavi sembravano comprendere. A titolo personale ho impressione che forse nelle attuali condizioni la migliore via consisteva nella attuazione decisione 8 ottobre eventualmente con qualche formula che salvasse prestigio dittatore jugoslavo e dissipasse suoi supposti timori circa preteso espansionismo italiano. Kirkpatrik mi ha risposto che sforzi alleati stavano svolgendosi precisamente in questa direzione(3).

146 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

146 2 Vedi D. 56, nota 3.

146 3 Per il seguito vedi DD. 148 e 149.

147

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto 21/0679. Roma, 18 marzo 1954.

Oggetto: Riunione CPE di Bruxelles. Rinvio.

Questa mattina l’Ambasciatore Quaroni mi ha telefonicamente informato che il Ministro Bidault gli aveva fatto sapere che il Governo francese riteneva opportuno un rinvio della Conferenza di Bruxelles fissata, come è noto, per il 30 corrente. Per decidere al riguardo il Governo francese avrebbe desiderato che fosse tenuta a Parigi martedì prossimo [il 23] una riunione dei Sostituti dei Ministri degli Esteri dei Sei Paesi.

Ho detto all’Ambasciatore Quaroni che ad una richiesta di un breve rinvio a data fissa della Conferenza non avremmo, da parte nostra, sollevato difficoltà. Ho aggiunto che ci sembrava che, in linea di massima, dovesse essere possibile raggiungere una decisione al riguardo per il consueto tramite del Segretariato della Conferenza e che quindi non fosse indispensabile una riunione dei Sostituti. Ove perda parte francese vi si tenesse particolarmente, non ci saremmo opposti.

L’insistenza francese a che una decisione per il rinvio venga presa in una riunione dei Sostituti appare intesa ad evitare il rinvio appaia dovuto ad iniziativa francese.

Comunque, anche se tuttora la decisione definitiva non è conosciuta, puconsiderarsi ormai scontato un rinvio della riunione di Bruxelles.

147 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

148

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 1278/659(2). Londra, 19 marzo 1954.

Oggetto: Garanzie inglesi alla CED. Riferimento: Telespressi ministeriali n. 21/0554 del 6 marzo e n. 21/0560 dell’8 marzo(3).

Secondo informazioni avute oggi al Foreign Office ad alto livello, le conversazioni fra britannici e francesi per rafforzare la cooperazione della Gran Bretagna con la CED sono giunte a buon punto. Un promemoria è stato consegnato in questi giorni ad Alphand, contenente le concessioni che il Governo inglese sarebbe disposto a fare. Alphand lo ha sottoposto a Bidault, del quale, tuttavia, non si conoscono ancora le reazioni.

Mi è stato precisato che le nuove proposte britanniche si riferiscono al «Progetto di convenzione concernente la cooperazione fra il Regno Unito e la Comunità Europea di Difesa» redatto nel novembre scorso dal Comitato giuridico della CED.

Sotto forma di dichiarazione unilaterale interpretativa di tale progetto (e particolarmente dell’art. 3), la Gran Bretagna preciserebbe la portata della sua cooperazione ai Paesi della CED ed assumerebbe al riguardo obblighi militari di concreto contenuto; questi sarebbero probabilmente connessi con analoghi impegni militari americani.

Circa il momento in cui questi nuovi accordi, una volta conclusi, verrebbero resi pubblici, il Foreign Office esclude che vi sia alcuna data prestabilita. Come già riferito con telegramma di questa Ambasciata dell’11 marzo corrente, la data dipenderà dai tempi della procedura francese di ratifica, rispetto ai quali il Foreign Office continua a non nascondere la sua perplessità. Certo è che Londra e così Washington, a quanto mi è stato qui detto, appaiono tuttora ben decise a non sprecare i loro ulteriori impegni con l’annunciarli prima che la discussione della ratifica francese sia veramente imminente. Mi è stato ripetuto che gli inglesi non intendono fare uscire il coniglio dal cappello (secondo la loro usuale espressione) se non all’ultimo momento, nel timore di far perdere alla loro mossa ogni efficacia(4).

148 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 33, fasc. 116.

148 2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

148 3 Con i telespressi in riferimento il Ministero trasmetteva comunicazioni del 4 e del 6 marzo, rispettivamente dalla Delegazione CED a Parigi (vedi la sintesi nel D. 139) e dall’Ambasciata a Washington (vedi D. 134), sull’atteggiamento americano nei riguardi della ratifica francese della CED.

148 4 Per il seguito vedi D. 154.

149

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. segreta personale 1270(2). Londra, 19 marzo 1954.

Caro Zoppi,

con la tua lettera n. 322 del 6 marzo(3)chiedi il mio avviso circa l’impostazione piopportuna della questione di Trieste.

Negli incontri della settimana scorsa a Roma, specialmente nel colloquio nostro col Ministro Piccioni, ho espresso le mie idee ed ho visto che esse corrispondono abbastanza con le tue. Ritengo tuttavia doveroso ripetere chiaramente il mio pensiero.

La questione di Trieste è collegata oggi con quella della ratifica della CED, e quindi si divide in due: 1) si deve e si puratificare la CED senza connessioni colla questione di Trieste? 2) come meglio prospettare e risolvere la questione di Trieste, a parte le sue connessioni con la CED?

1) Sul primo punto, io credo che nessun Governo possa avere la forza di ottenere la ratifica della CED senza tenere conto della questione di Trieste.

Naturalmente la questione ha un aspetto molto serio di politica interna. Molti ritengono che la miglior battaglia anticomunista possa essere fatta oggi in Parlamento, precisamente per la ratifica della CED.

Io credo invece che come arma anticomunista la ratifica della CED valga poco e che anzi sia una delle peggiori vie che si possano scegliere.

Si voglia o no, discutendo la ratifica della CED, la questione di Trieste non può non venir fuori, perché la CED ci legherà le mani e ci impedirà di servirci liberamente delle nostre forze armate, anche per fronteggiare minacce o provocazioni jugoslave. In queste condizioni, la discussione sulla CED diventerebbe un campo minato ed esporrebbe il Governo a forti, giustificate critiche da sinistra e da destra. Cercare di trascinare l’opinione pubblica in una ondata anti-comunista sulla CED, ossia su un terreno relativamente impopolare o almeno indifferente, là dove la questione di Trieste puridiventare popolare a ogni piè sospinto, è secondo me, pericoloso. Le destre e le sinistre possono desiderarlo, ma non i democratici di centro; e gli stessi democratici di centro dovrebbero evitare assolutamente di farsi gli eterni campioni di una politica estera nobile ed occidentalista fin che si vuole, ma che non terrebbe conto abbastanza dei sentimenti nazionali pielementari.

D’altra parte che cosa otterremmo ratificando rapidamente la CED prima dei francesi? Null’altro che un nuovo certificato di buona condotta da parte degli americani, di valore relativo come tanti altri. Vale la pena di affrontare per questo una tremenda lotta parlamentare contro i comunisti per giungere poi nella migliore delle ipotesi a far passare la ratifica per pochissimi voti, dopo aver stremato il Governo e disorientata ancora una volta l’opinione pubblica, con maggior pericolo che vantaggio?

Viceversa, non bisogna sottovalutare la posizione in cui ci troveremmo dopola ratifica francese e prima della nostra. È verissimo che gli Stati Uniti vogliono la CED essenzialmente per riarmare la Germania; come è vero che, ratificata la CED dalla Francia, essi potrebbero lasciarci la porta semiaperta o tirare innanzi col riarmo tedesco. Questo diminuirebbe il valore della nostra successiva ratifica, ma non lo annullerebbe, perché la CED senza di noi rimarrebbe una CED monca e gli alleati se ne accorgerebbero ben presto. Tanto pipoi se ne preoccuperebbe la Francia che già ora teme di essere sopraffatta dalla Germania e molto pilo temerebbe in una CED a cinque.

Per tutte queste ragioni io non credo né alla possibilità né alla utilità della ratifica pura e semplice della CED: sono convinto che se il Governo pensasse di gettarsi ad occhi chiusi verso tale ratifica ad ogni costo, dimenticando Trieste per timidità di impiegare il cosidetto ricatto o per timore di apparire nazionalista, si caccerebbe in difficoltà senza fine e farebbe il gioco dei suoi avversari sia di sinistra, che di destra.

2) Quanto al secondo punto, sono pienamente d’accordo con Quaroni (vedi sua lettera n. 361 del 13 corrente)(4) che le conversazioni a due con gli jugoslavi sarebbero pericolose e sono da evitare. Anche per la ragione che, fino a quando gli Alleati sono in Zona A, discutere con i soli jugoslavi significa discutere sulla sola Zona A.

Ma io ho forti dubbi sulla convenienza di attendere e di accantonare la questione: nessuno di noi dubita piormai, io credo, che il tempo ha giocato, gioca e giocherà contro di noi.

Andando avanti di questo passo ci troveremmo, forse già alle prossime elezioni triestine, con una tendenza indipendentista molta rafforzata e purtroppo limitata fatalmente alla Zona A. Questo è il pericolo.

Dunque qualche cosa bisogna fare. È bensì vero che la nostra situazione interna è debole e la nostra quotazione internazionale è conseguentemente molto bassa, pibassa di quella di Tito. Ma il mio avviso è che non bisogna cadere da un eccesso all’altro: ossia, né cercare sempre di superare i nostri guai interni con diversivi internazionali né al contrario accantonare i problemi internazionali urgenti nell’attesa di avere superato i guai interni. Più o meno, la realtà obbliga sempre a fare le due cose parallelamente e contemporaneamente. È anche vero che noi dobbiamo dimostrare di essere capaci di prendere misure anti-comuniste serie e positive, accompagnate da misure amministrative, fiscali ed economiche altrettanto positive e serie; ma se aspettiamo di avere fatto questo per affrontare di nuovo la questione triestina, forse ci troveremo in situazione anche peggiore. Non parlo poi della opinione secondo la quale la questione di Trieste dovrebbe risolversi pitardi, a CED fatta, nel quadro europeo, perché questa è secondo me una formula dietro la quale c’è il vuoto e che potrebbe soltanto riservarci le più amare delusioni.

Dunque bisogna continuare ad agire ora; ma come? Al riguardo io non direi che la dichiarazione dell’8 ottobre(5)possa considerarsi senz’altro un documento superato; dipende molto da noi se e come vogliamo farla valere, con quale serietà, abilità o risolutezza. Per me la decisione 8 ottobre ha ancora un peso diplomatico notevolissimo; è una carta che bisogna giocare. Quindi la nostra posizione dovrebbe essere sempre la stessa: a cavallo fra la dichiarazione tripartita(6)e la decisione 8 ottobre, disposti ad accettare un onorevole compromesso definitivo a mezza via fra l’una e l’altra, oppure a ricevere l’adempimento integrale della seconda. Per togliere pretesto a timori degli alleati e a reazioni (tardive ormai) di Tito, potremmo aggiungere l’offerta di una solenne garanzia che non cercheremo mai di modificare con la forza il confine fra le due zone, ma solo mediante un accordo con la Jugoslavia.

***

Dopo avere risposto ai due quesiti, mi rimane da delineare meglio la procedura da seguire. Mi rendo conto infatti che il Governo, firmando la CED, ha assunto un impegno e deve rispettarlo: dovrà quindi presentare il trattato al Parlamento al più presto, nel modo piserio e pirapido. Se cercasse di negoziare, di proporre protocolli o simili prima della presentazione, darebbe prova non solo di scarsa serietà, ma anche di debolezza nei riguardi dell’opposizione interna, specialmente dei comunisti.

Ma la difficoltà sorgerà nel momento in cui l’opposizione solleverà l’inevitabile obiezione triestina. In quel momento il Governo non potrà semplicemente lasciare andare le cose alla deriva, secondo gli umori delle Camere: né potrà, come dicevo, impegnarsi a fondo compromettendo le rivendicazioni per Trieste.

A quel punto per me non vi saranno che due vie da impiegare l’una dopo l’altra in opportuna graduazione.

Anzitutto bisognerà agire presso gli alleati, documentare loro lo stato delle discussioni nelle commissioni e nelle assemblee, cercare di convincerli della necessità di decidersi e di darci una delle due soluzioni cui abbiamo diritto.

Se poi, nel corso del dibattito, che sarà inevitabilmente lungo, non si raggiungesse con gli alleati alcun risultato, il Governo dovrebbe cercare di scindere la discussione in due, per poter dividere gli oppositori in due. Bisognerà cioè cercare di ottenere anzitutto una solenne approvazione di principio della CED e di tutto ciò che essa rappresenta come integrazione della politica atlantica, come mezzo per comporre il dissidio franco-tedesco e riarmare la Germania e come riconferma della nostra determinazione di creare l’Europa. Tale deliberazione dovrebbe avere quanto meno l’appoggio dei monarchici e dovrebbe escludere ogni dubbio di compromesso con le sinistre.

Poi bisognerà mettere ai voti una qualche formula aggiuntiva, del tutto separata, la quale ponga la soluzione della questione di Trieste come una condizione cui la firma dello strumento di ratifica da parte del Presidente della Repubblica dovrebbe essere subordinata. Confesso che a questo riguardo non ho ancora una formula precisa da suggerire; ma penso che giuristi e parlamentari dovrebbero trovarla senza troppa difficoltà. Quest’ultima soluzione sarebbe un ripiego in extremis; ogni sforzo dovrebbe essere fatto per convincere gli Alleati ad intervenire prima, in modo da consentire al Governo di ottenere una ratifica incondizionata a notevole maggioranza. Non mi nascondo le difficoltà di questa linea di condotta che richiederà estrema accortezza e molto sodaggio(7); ma non mancherà al Governo la possibilità di metterle opportunamente in atto.

Credimi, con molti cordiali saluti.

[Manlio Brosio]

149 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

149 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

149 3 Con essa, Zoppi, nel chiedergli un parere su Trieste, gli trasmetteva anche il R. segreto di Tarchiani del 27 febbraio (Ambasciata a Londra, 1951-1954, b. 136, fasc. 1). Per le riflessioni di quest’ultimo sui rapporti tra la questione di Trieste e la ratifica della CED vedi D. 140, nota 4.

149 4 Si intende presumibilmente far riferimento al R. 351: vedi D. 140.

149 5 Vedi D. 56, nota 3.

149 6 Vedi D. 66, nota 3.

149 7 Si intende verosimilmente coraggio.

150

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI(1)

L. 20/0700. Roma, 20 marzo 1954.

Carissimo,

da qualche tempo non ho il piacere di scriverti. Grazie per le tue nn. 2251 e 2257, ora pervenutemi, con allegate le copie delle lettere inviate l’una a Zoppi sulla CED e l’altra al Sottosegretario Benvenuti in merito alla futura (e ora in alto mare) Conferenza di Bruxelles(2).

Mi sembra di comprendere che, in definitiva, quanto tu dici a Benvenuti circa un vantaggio nel rinvio della Conferenza stessa finisce per concordare con i fatti che si stanno verificando. Siamo oggi effettivamente in attesa di conoscere le decisioni che saranno prese a Parigi, dove si sta trattando, come conosci, proprio in merito alla opportunità di addivenire ad una battuta di attesa e di evitare quindi l’incontro dei sei Ministri alla data del 30. E naturalmente stiamo seguendo con grande attenzione gli alti e bassi della politica francese e della polemica franco-americana.

In merito alla CED, dirche abbiamo ora portato a termine tanto la traduzione completa italiana del Trattato quanto l’estensione della relazione politica con la quale il Governo accompagnerà il Trattato stesso al Parlamento. Ma non è stato ancora stabilito quale delle due Camere verrà prescelta per il primo dibattito e quale dovrà essere la procedura in sede di Commissioni competenti. Indubbiamente la prevista nuova sosta francese potrebbe fornirci qualche nuova buona occasione per tempestivamente muoverci.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

150 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

150 2 Vedi DD. 142 e 143.

151

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 3741/1441. Washington, 20 marzo 1954.

Oggetto: Ratifica Trattato CED. Riferimento: Telespresso di quest’Ambasciata n. 3707/1407 del 18 marzo corrente(2).

Il contrasto franco-americano circa il rapporto di precedenza tra le precondizioni richieste dai Francesi e la fissazione della data del rimpasto parlamentare non è stato tuttora risolto. Da informazioni stampa provenienti da Parigi sembra anzi che il Capo del Governo francese abbia assicurato il Presidente del Comitato per gli Affari Esteri della Camera che la data in questione non verrà fissata fino a che non sarà stato risolto il problema delle precondizioni. Se la notizia viene confermata a Parigi, ne consegue un notevole appesantimento dei negoziati in corso.

Altro ostacolo che non è stato finora possibile rimuovere è quello dell’ostruzionismo francese all’emendamento della costituzione tedesca necessario per consentire la sanzione finale e formale da parte del Governo di Bonn del Trattato Costitutivo della CED. Il fatto ha irritato notevolmente il Dipartimento, il quale ha trovato illogico che i tre Alti Commissari debbano avere delle difficoltà ad autorizzare un atto che è la diretta conseguenza dei Trattati di Parigi e di Bonn di cui i tre rispettivi Governi sono firmatari

o garanti. Inoltre il Dipartimento ritiene infondate le preoccupazioni francesi che l’emendamento in questione possa aprire la via ad un eventuale riarmo unilaterale della Germania nel caso che il progetto CED fallisca, preoccupazioni, si aggiunge, alquanto strane se si pensa che, se la CED fallisce, la relativa responsabilità ricade proprio ai Francesi.

Tutte queste difficoltà non sembrano perinsuperabili e vengono considerate in fondo problemi piprocedurali che di sostanza. Ciò che preoccupa maggiormente gli Americani è invece lo scarso interesse reale che il Governo francese starebbe dimostrando per l’intero problema CED, scarso interesse che sarebbe sopratutto determinato da una valutazione piuttosto pessimistica delle possibilità di successo in seno al Parlamento.

Per quanto il problema dell’Indocina e le prospettive che potrà aprire al riguardo la Conferenza di Ginevra non vengano formalmente collegati con l’atteggiamento francese sulla CED, si capisce che la connessione esiste e che il Governo francese intende servirsene. Intanto le recenti dichiarazioni di Jebb in favore dell’ammissione della Cina alle Nazioni Unite (quando essa avrà dimostrato di aver rinunziato all’aggressione in Corea e Indocina) hanno destato in questi ambienti politici molta, e non certo favorevole, impressione.

Per quanto concerne l’Italia hanno avuto particolare rilievo le informazioni stampa relative alle dichiarazioni fatte in Senato dal Ministro della Difesa(3), specie per quanto concerne la determinazione del Governo ad ottenere la ratifica del Trattato CED da parte del Parlamento. Analogo rilievo ha avuto la notizia della prossima sosta del Cancelliere Adenauer costà(4).

151 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

151 2 Concernente lo stesso argomento, non pubblicato.

151 3 Atti Parlamentari, Senato, legislatura II, Discussioni, seduta del 18 marzo 1954, pp. 3554-3564: p. 3554.

151 4 Per il seguito vedi DD. 167 e 177.

152

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 20/57. Parigi, 20 marzo 1954.

Caro Ministro,

Cavalletti, nel mandarmi copia della lettera che ha diretto in data 16 corrente al Sottosegretario Benvenuti(2)circa la prossima (cioè ormai non piprossima) Conferenza di Bruxelles, mi ha pregato di fare avere direttamente a Roma le mie eventuali osservazioni relative ai diversi punti del Rapporto finale sui quali egli ha proposto che da parte nostra si faccia qualche concessione in senso conciliativo per addolcire, con taluni gesti di buona volontà, quella rigida posizione sui principi fondamentali che egli consiglia.

Si tratta in realtà di modesti problemi a carattere soprattutto tecnico (tranne uno di importanza alquanto maggiore: quello che si riferisce alla nomina dell’esecutivo) che normalmente non dovrebbero davvero essere discussi a livello Ministri; ma sono pienamente d’accordo con Cavalletti che convenga tener pronto qualche piccolo intervento al riguardo, sopratutto nella eventualità che le circostanze possano far ritenere utile – come non è escluso – che si faccia qualcosa per mascherare il disaccordo sulle questioni di fondo e si debba avere un dibattito suscettibile di portare ad accordi su quelle di minore momento e portata.

Mi limito, nelle mie considerazioni, al campo istituzionale poiché, per quanto concerne quello economico, le proposte di Cavalletti, come egli stesso avverte, riproducono quelle di Prunas, che io avevo già in precedenza discusso con quest’ultimo.

Ti parlo delle diverse questioni nello stesso ordine in cui esse sono state elencate da Cavalletti e mi richiamo agli stessi numeri del suo appunto.

1) Si tratta di divergenza assai poco rilevante. Comunque, se si accettasse la formula belgo-lussemburghese-tedesca occorrerebbe insistere sulla soppressione della prima frase, anche per venire incontro ai giusti rilievi fatti al riguardo dai Parlamentari dell’Assemblea ad Hoc.

Il concetto di unanimità mi sembra necessario solo se si tratti di direttive del Consiglio di Ministri: in questo caso infatti l’unanimità giocherebbe a favore della sopranazionalità e non viceversa.

2) Se si decidesse di rinunciare alla facoltà del Presidente di convocare l’Assemblea da solo, mi pare che ci converrebbe piuttosto di unirci alla tesi tedesca e olandese.

Una formula di compromesso, poi, anche con i francesi potrebbe essere trovata nell’accettare da parte nostra il terzo dei membri contro la rinuncia da parte loro all’accordo del Bureau (che è una proiezione della maggioranza, ammettendo eventualmente l’«avis»).

3) Sono d’accordo.

4) Sono d’accordo. Come ho rilevato più sopra questo è il punto di maggiore importanza sostanziale.

5) Pur non avendo decise obiezioni e anzi condividendo la motivazione di ordine generale addotta da Cavalletti a sostegno della sua proposta, sono alquanto incerto per la seguente considerazione. Nella concezione italo-olandese, il Senato è composto di rappresentanti dei popoli degli Stati membri, mentre la Camera dei popoli è composta dei rappresentanti dei popoli della Comunità. Nello svolgimento della loro attività quindi i deputati devono ispirarsi solo a criteri sopranazionali, mentre i senatori non potranno non tener presenti anche gli interessi del singolo popolo della Comunità che sono stati chiamati a rappresentare in seno alla Camera Alta. Ora, qualora si accettasse la tesi franco-tedesca, verrebbero a far parte della Camera dei Popoli, elementi che – per la loro origine – non potrebbero non tener conto delle esigenze dei singoli paesi dei cui parlamenti nazionali farebbero parte. Si verificherebbe così in seno alla Camera

bassa quella «commistione» che è stata deprecata dal delegato italiano, nel corso della prima seduta del Comitato di Direzione, col risultato che verrebbe falsato l’auspicato

equilibrio in seno al Parlamento fra i due rami dello stesso. Questa stessa obiezione

è stata accennata anche nelle osservazioni dei Parlamentari dell’Assemblea Consultiva, circa le proposte delle delegazioni francese e tedesca, relative ai collegamenti da stabilire tra CPE e Consiglio d’Europa (paragrafo 7 delle osservazioni stesse). È stato sottolineato come un sistema del genere potrebbe portare ad una diminuzione della omogeneità della Camera dei Popoli. I Parlamentari dell’Assemblea Consultiva hanno anche aggiunto che si avrebbero così, in seno alla stessa Camera, dei «membri di primo e secondo ordine». In sede di negoziato temo poi che annunciare ora questa concessione possa indebolire la nostra tesi relativa alla Camera Alta. Penso dunque che si dovrebbe – semmai – farla soltanto sulla base di eventuali contropartite e non a titolo gratuito.

6) Sono d’accordo; è la stessa cosa di cui al numero 4.

7) Non mi pare che vi siano da fare obiezioni di fondo ma credo varrebbe la pena di cercare, in cambio dell’abbandono della nostra posizione isolata, di far capovolgere la procedura, pur lasciando intatte le prerogative dei diversi organi della Comunità, quali previste dalle altre cinque Delegazioni. Cioè, allo scopo di meglio armonizzare la procedura per l’adesione di nuovi Stati alla CPE alle nostre concezioni fondamentali sull’agencement degli organi stessi (con particolare riguardo al Consiglio di Ministri) si potrebbe forse suggerire una formula di compromesso sulle linee seguenti: la domanda dovrebbe essere rivolta all’organo sopranazionale esecutivo; questo, qualora ritenesse la domanda accettabile e ottenuto l’avviso conforme del Consiglio di Ministri dato all’unanimità (dopo che i Governi degli Stati membri abbiano, se lo ritengano necessario, consultato i rispettivi Parlamenti), dovrebbe sottoporre la detta domanda al Parlamento europeo. Idem per le modalità.

8) Sono d’accordo.

Circa le osservazioni di ordine generale esposte nella lettera di Cavalletti non posso che sostanzialmente concordare con quanto egli dice. Ormai pertutto questo appare sorpassato dalla iniziativa in corso per un rinvio della Conferenza, in quanto l’atteggiamento che dovremmo tenere quando essa avrà luogo, dovrà essere dettato da quelle che saranno le circostanze del momento e dalla evoluzione che gli eventi avranno subito fra ora ed allora. Principalmente da quello che sarà per essere – anche in relazione all’andamento delle discussioni sulla CED in Francia e in Italia – il nuovo «Ubi consistam» politico della riunione dei Ministri.

Con affettuosi e devoti saluti.

Tuo dev.mo

Giorgio Bombassei

152 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

152 2 Vedi D. 142.

153

IL DIRETTORE GENERALE, DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

Appunto 21/0727(2). Roma, 23 marzo 1954.

Oggetto: Inizio procedura di ratifica del Trattato CED in Italia.

Riferimento: Appunto della Direzione Generale Cooperazione Internazionale Ufficio I, n. 21/585 dell’11 marzo 1954(3).

Continuano a giungere comunicazioni dei nostri Rappresentanti nelle capitali più importanti che insistono sulla necessità di precisare al più presto il nostro atteggiamento per quanto riguarda la ratifica del Trattato CED.

L’Ambasciatore a Parigi, riferendosi alla connessione tra Trieste e la ratifica della CED scrive il 13 corrente(4): «È inutile che noi diciamo agli americani o a chicchessia, che una soluzione favorevole della questione della frontiera orientale faciliterebbe al Governo italiano la lotta contro il comunismo: oggi non ci crederebbe nessuno.

Ritengo invece che, domani, un governo italiano il quale abbia già dato l’impressione di stare lottando coraggiosamente e a fondo per rimontare la china del 7 giugno, abbia molte pichances di avere dagli americani, anche nella questione di Trieste, degli appoggi sia pure relativi».

L’Ambasciatore Quaroni conclude il suo rapporto scrivendo che la nostra ratifica deve essere considerata come «uno degli elementi per creare intorno all’Italia un’atmosfera che ci dia maggiori chances di risolvere, un po’ meglio, la questione di Trieste».

Il 16 marzo(5)il Ministro a Lussemburgo scrive che egli «considera assolutamente essenziale per il nostro Paese di iniziare subito la procedura di ratifica». Il Ministro Cavalletti riferisce poi che l’Ambasciatore americano Bruce, in un recente colloquio, gli ha detto «che se l’Italia ritardasse la ratifica, gli altri cinque contraenti avrebbero potuto concludere un protocollo speciale per mettere in vigore la CED senza di noi» facendo capire chiaramente che «noi, per gli americani, non siamo quindi indispensabili alla creazione della CED». Di questo parere è anche l’Ambasciatore Quaroni.

Il 16 marzo(6)l’Ambasciatore a Bruxelles, dopo avere dichiarato di condividere pienamente il parere dell’Ambasciatore a Parigi circa la nostra posizione all’estero ed aver aggiunto che anche in Belgio il nostro prestigio non è stato mai così basso, scrive «che per il momento non avremmo migliore arma per reagire all’ondata che ci ha investito se non affrettando al massimo la presentazione della CED al Parlamento, prima cioè che lo facciano i francesi», aggiungendo che «tale considerazione puconservare, anzi aumentare il suo valore, se ed in quanto l’atteggiamento francese rimarrà incerto se non addirittura negativo».

L’Ambasciatore Grazzi insiste sulla necessità di una nostra rapida ratifica segnalando che «ove noi ci facessimo precedere dai francesi la nostra posizione internazionale sarebbe finita».

L’Ambasciatore a Bonn, attualmente a Roma, ha ancora ripetutamente sottolineato quanto egli ha riferito nei recenti suoi rapporti (cfr. appunto dell’11 corrente), e cioè le crescenti preoccupazioni che desta negli ambienti del Governo Federale il nostro ritardo nel portare la ratifica al Parlamento e l’urgente necessità di arrivare rapidamente ad una approvazione degli accordi di Parigi se vogliamo superare le perplessità ed i dubbi che ogni giorno si rafforzano sul nostro conto.

153 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

153 2 Sottoscrizione autografa. Annotazione di Zoppi: «non è ... completo! Perché non si è aggiunto quello che dicono Tarchiani e Brosio?». Annotazione di Magistrati: «perché non li conosco». Su altra copia (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 2) annotazione di Del Balzo: «non sono convinto dal ragionamento Quaroni (CED-Trieste), sono invece d’accordo che in ogni caso occorra iniziare la procedura di ratifica».

153 3 Vedi D. 139.

153 4 Vedi D. 140.

153 5 Vedi D. 143.

153 6 Vedi D. 141.

154

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto 21/0728(2). Roma, 24 marzo 1954.

COLLEGAMENTO TRA REGNO UNITO E CED

Il collegamento tra Regno Unito e CED, auspicato, come è noto, sopratutto da parte francese, si è concretato in due accordi la cui parafatura in seno al Comitato Interinale CED a Parigi, è stata fissata per venerdì 26 corrente.

Le relative proposte furono avanzate dal Governo britannico fin dal febbraio-marzo 1953 e sono state successivamente oggetto di scambi di vedute tra il Comitato suddetto e la Gran Bretagna. A seguito di essi erano stati concordati nello scorso novembre i testi

a) di una Convenzione sulla cooperazione tra il Regno Unito e la CED e b) di una dichiarazione di politica comune circa l’associazione militare tra il Regno Unito e la CED.

In questi giorni sono state proposte da parte britannica alcune modificazioni al testo di questo secondo accordo, intese ad aprire pistrette possibilità di collaborazione militare di quelle in un primo tempo previste.

Si riassume qui di seguito il contenuto dei due accordi quali risultano nella loro formulazione attuale:

1) Convenzione concernente la cooperazione tra Regno Unito e CED. Essa prevede che, fintanto che il Regno Unito rimarrà legato dagli impegni derivanti dal NATO per quel che riguarda il mantenimento di forze armate in Europa, verrà mantenuta una stretta cooperazione tra CED e Regno Unito. Tale cooperazione si effettuerà sul piano militare secondo accordi stabiliti a parte. Sul piano politico si effettuerà mediante consultazioni su questioni di reciproco interesse ivi compresi il livello e la composizione delle forze armate britanniche e della CED poste sotto il comando del Comandante Supremo Alleato: a tale scopo è previsto a) che un Ministro britannico parteciperà alle sedute del Consiglio dei Ministri CED quando esso discuterà problemi interessanti la collaborazione con la Gran Bretagna e b) che il Governo britannico nominerà un rappresentante presso il Commissariato della CED con compiti di stretto e costante collegamento.

2) Dichiarazione di politica comune sull’associazione militare tra il Regno Unito e la CED. Il testo indica in primo luogo gli scopi a lungo termine da raggiungersi nell’associazione delle rispettive forze armate in Europa; tali sforzi si riferiscono ai seguenti settori: a) dottrine tattiche e di comando, b) organizzazione logistica, c) standardizzazione degli equipaggiamenti, d) istruzione delle truppe.

In secondo luogo sono poi indicate le misure che potrebbero essere prese fin dall’inizio dell’attività della CED per attuare praticamente la collaborazione militare tra le due parti; tali misure differiscono secondo le tre armi. Si tratta di linee generali per il momento, ritenendo il Governo britannico piadatta allo scopo una intesa non rigida in tale materia, suscettibile di graduali sviluppi alla luce dell’esperienza.

Le modificazioni, accennate più sopra, proposte in questi giorni da parte britannica riguardano la cooperazione tra le forze (di terra ed aeree) delle due Parti; esse prevedono che verrà stabilita tra dette forze, una stretta associazione, i cui dettagli verranno determinati dopo consultazione congiunta con il Comando in Capo per l’Europa della NATO e che potrà giungere all’inclusione di formazioni britanniche entro formazioni europee e viceversa, qualora ciò sia reso desiderabile da considerazioni militari e sia possibile in base a considerazioni logistiche.

Si ritiene che i due accordi in questione costituiscano, in linea di massima, un soddisfacente quadro per lo sviluppo dei rapporti di collaborazione tra la CED e la Gran Bretagna. Pertanto, salvo istruzioni contrarie, questa Direzione Generale provvederà il 25 corrente ad autorizzare la nostra Delegazione presso la CED a parafare gli accordi stessi(3).

154 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 106.

154 2 Sottoscrizione autografa.

154 3 Vedi D. 156.

155

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. riservatissima 0407(2). Parigi, 24 marzo 1954.

Caro Magistrati,

mi riferisco alla tua lettera del 17 marzo(3). Tu sai che «L’Agence Économique et Financière» non ha di comune con «L’Information» che la presenza nella direzione di uno dei fratelli Bollack.

Del resto anche per quello che riguarda «L’Information», come tu pure sai, l’accordo era che il giornale sarebbe aperto a tutte le informazioni sull’Italia che noi volessimo dare, ed a prendere una linea favorevole all’Italia, in tutte le questioni che interessavano l’Italia, con la riserva naturalmente che questo non fosse pregiudizievole agli interessi della Francia.

La nostra amica, bisogna ammetterlo, nel complesso, ha fatto la sua parte: dove zoppica è nella questione della CED dove i fratelli Bollack, e lei stessa, sono fra i pisfrenati contro. E lì veramente noi non ci possiamo far niente perché loro, come tutti i loro simili, sostengono che sono in giuoco gli interessi vitali della Francia.

Per questo «L’Information» come tu sai, era felice di appoggiare la linea nostra quando la nostra linea era «niente CED senza Trieste», anche se detto in forma pinuancée.

La corrispondenza da Roma, era una induzione dell’articolista, in quanto dava alle parole di De Gasperi una interpretazione che probabilmente esse non avevano, ma era in pratica passata qui inosservata. Non sono invece passate inosservate le parole del nostro Presidente del Consiglio alla stampa estera, che hanno fatto l’oggetto di un articolo trionfante della Tabouis, che ti accludo: e di una nota del «Monde»(4).

Se le parole del Presidente del Consiglio sono state quelle riportate dall’Ansa, c’era da aspettarsi che esse sarebbero state interpretate fuori d’Italia come un ritorno alla linea del Governo precedente.

Cosa vuoi che ci faccia? A tutti quelli che me ne hanno richiesto in queste ultime settimane, di tutte le nazionalità, io avevo detto, a tour de bras, che noi avremmo ratificato la CED, che ci sarebbe stata una lotta parlamentare durissima, ma che alla fine saremmo riusciti, perché una piccola maggioranza c’era. Lo aveva detto qui perfino Nenni a tutti quelli che glielo avevano chiesto.

Evidentemente adesso debbo tornare a dire che una soluzione della questione di Trieste faciliterebbe la ratifica della CED. La frase è molto diplomatica, ma il significato sembra chiarissimo sia agli avversari che ai fautori della CED. Con mixed feelings secondo le loro opinioni. Ma evidentemente con questo non è molto facile domandare a qualcuno di rettificare(5).

Cordialmente,

tuo

P. Quaroni

155 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

155 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

155 3 Lettera riservatissima 20/0657, il cui tenore era il seguente: «Caro Ambasciatore, abbiamo visto con una certa sorpresa nell’ “Agence Économique et Financière” di martedì 9 marzo (di cui è direttore Robert Bollack) una notizia da Roma, di prima pagina, dal titolo: M. De Gasperi:“La ratification de la CED de la part de l’Italie est improbable”. Non ti nego che, data l’origine e talune connessioni del giornale, la cosa ha alquanto sorpreso Vittorio [Zoppi] ed il sottoscritto, nonché l’amico Mario Ferrari Aggradi. Tanto ti volevo segnalare. Credimi sempre» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105).

155 4 Non si pubblicano gli allegati.

155 5 Per la risposta vedi D. 163.

156

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 3183/301-302(2). Parigi, 26 marzo 1954, ore 22 (perv. ore 22,45).

Telegrammi 266 e 276(3).

In odierno Comitato Direzione testo definitivo accordo cooperazione Regno Uni-to-CED è stato formalmente approvato da parte britannica e da tutte Delegazioni ad eccezione di quella francese che inopinatamente si è dichiarata ancora priva istruzioni suo Governo. Alphand – che è apparso assai imbarazzato – ha solo potuto impegnarsi raccomandarlo ma ha dovuto riservarsi di far conoscere risposta finale appena possibile.

In queste condizioni non è stato possibile parafare, nonostante tutti altri capi Delegazione fossero autorizzati a farlo.

Delegato inglese ha proposto allora addivenire direttamente a firma; senza previa parafatura, entro prossima settimana. A questo suggerimento francesi hanno aderito in linea di massima (sempre percon riserva che questo Governo abbia per allora adottata una decisione) ma hanno sollevato nuova difficoltà dichiarandosi incerti se firmatari dovessero essere capi Delegazione (tutti, eccetto Alphand, avevano detto che ritenevano poter ricevere pieni poteri) ovvero, onde conferire maggiore solennità ad atto, gli stessi Ministri. Si è dovuto quindi ammettere che, non appena sarà nota approvazione francese, dovrà aver luogo una nuova riunione per fissare questo punto.

Maggioranza ritiene – sembrami giustamente – che firma da parte Capi Delegazione sia più conveniente per evitare sia spostamento Ministri (almeno che francesi non pensino trascinare cose fino a Consiglio Atlantico) sia eventuale strana procedura, che è stata ventilata, di far circolare trattato nelle varie capitali. Fra l’altro firma Ministri importerebbe pubblicità immediata che contrasterebbe con riconosciuta utilità conservare libertà di manovra circa momento pubblico annuncio raggiunto accordo. Mi proporrei quindi – salvo contrarie istruzioni di codesto Ministero – aderire a tesi che accordo venga firmato da Capi Delegazione, riservando invece posizione italiana in caso insistenza francese per altra soluzione.

L’atteggiamento francese, evidentemente dilatorio ed ambiguo, è sembrato dispiacere ad inglesi, che pare si aspettassero invece maggiore sollecitudine e riconoscenza per ultime concessioni fatte proprio su insistenze di Parigi ed ha sollevato un certo malumore anche in altre Delegazioni.

È stato convenuto che pubblicazione testo accordo dovrà avvenire in coincidenza presentazione medesimo a Camera Comuni; la data di tale presentazione potrà a sua volta essere fissata tenendo presente opportunità scegliere momento più favorevole per produrre massimo effetto psicologico in pubblica opinione.

Intanto testo stesso sarà mantenuto segretissimo ed alla stampa verrà solo comunicato che conversazioni hanno svolgimento favorevole e continuano.

156 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

156 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

156 3 T. segreto 326/266 del 16 marzo: sintesi delle modifiche apportate dalla Gran Bretagna al testo sull’accordo (in Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 39, fasc. 1); T. segreto 2861/276 del 19 marzo: perplessità statunitensi sulla convocazione del Parlamento francese per la ratifica della CED prima della Conferenza di Ginevra (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108).

157

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 1183/593(2). Bruxelles, 26 marzo 1954.

Oggetto: Conversazioni con Van Zeeland circa la Comunità di Difesa.

Ho rivisto dopo molto tempo il Ministro van Zeeland col quale ho fatto un giro(3)di orizzonte.

Van Zeeland è ancora sotto l’impressione ottimistica del voto della CED nei due rami del Parlamento belga, anche perché in politica estera l’attuale Gabinetto termina la sua esistenza «en beauté». D’altronde la indipendenza, certo molto più grande che in tanti altri paesi europei, che il Belgio ha potuto e saputo conservarsi nei riguardi degli Stati Uniti, non puche essere accresciuta dalla posizione ortodossa che questo paese si è acquistata mediante l’approvazione della Comunità di Difesa. Di più il consueto giuoco di van Zeeland di servire un poco da mediatore tra i vari interessi contrastanti, non solo viene ad essere anch’esso favorito, ma rende più che probabile la di lui inserzione nel futuro Gabinetto qualunque possa essere la dosatura dei cattolici.

In sostanza il signor van Zeeland ritiene:

1) Le proposte britanniche alla Francia (egli mi ha anzi parlato di un accordo che verrebbe parafato oggi o domani fra i due paesi) sono stimate altamente soddisfacenti. Sarebbe stato preferibile che il termine di 50 anni previsto per la Comunità di Difesa avesse un’influenza anche nella politica inglese; ma ad ogni modo la decisione inglese di mantenere un piccolo contingente militare più o meno direttamente nel quadro della Comunità di Difesa viene stimata qui come un insperato vantaggio che la Francia era riuscita ad ottenere;

2) da vari segni, ivi compresi i più recenti articoli del giornale «Le Monde», il signor van Zeeland ritiene molto piprobabile che non ieri l’approvazione del Trattato da parte della Francia. Egli crede peraltro di dover escludere che la Francia vorrà applicare un recente suggerimento che egli stima molto pericoloso, cioè di mantenere sospeso il deposito degli strumenti di ratifica fino ad un intervenuto accordo tanto sulla Saar quanto sull’Indocina;

3) di non molto rilievo sembrano essere al Ministro le risposte che il signor Bidault ha date in questi ultimi tempi alla Commissione per gli Affari Esteri, in quanto egli pensa che il Trattato della CED non è perfetto in sé stesso e che anzi deve essere mantenuto in rodaggio per molto tempo per poter funzionare; e le risposte del signor Bidault costituirebbero appunto i vari tempi e metodi di un tale rodaggio. «Ben diversa invece, ha detto van Zeeland, mi è sempre apparsa la risposta data da Bidault a Berlino circa la futura libertà di decisione di una Germania riunita».

Il Ministro mi ha naturalmente e con insistenza domandato cosa mi risultasse circa gli intendimenti del Governo italiano tanto in materia di CED quanto di un nuovo abbinamento di essa con la questione di Trieste, abbinamento che non gli risultava essere stato fatto al momento della presentazione del Gabinetto ai Parlamenti. Non ho potuto rispondergli altro che non ero in grado di esprimermi al riguardo con sicurezza di elementi.

157 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108.

157 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

157 3 Di seguito all’aggettivo «largo», depennato.

158

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

L. 002741(2). Lussemburgo, 26 marzo 1954.

Caro Benvenuti,

aggiungo alcuni dettagli al mio telegramma sulla riunione del 23 corrente per la CPE(3).

Parodi voleva un rinvio puro e semplice e senza la fissazione di nessun nuovo appuntamento, disposto anche, in caso di non accordo, a farne prendere alla Francia la piena responsabilità. I rappresentanti del Benelux, che erano stati, come è noto, lavorati prima, si sono mostrati perfettamente d’accordo con Parodi; per loro la CPE poteva benissimo dormire sine die. L’unico che è stato relativamente con noi è stato Ophs, ma senza troppo insistere.

Quindi le cose sul principio si sono messe piuttosto male. La mia tesi – che era di imputare il rinvio unicamente alle lacune esistenti nel rapporto e di fissare una nuova data per la Conferenza – è stata del tutto isolata. Ed è con un certo sforzo che si è potuto arrivare alla formula che tu conosci, la quale, almeno all’apparenza, conserva intatta la volontà dei Governi di seguitare a lavorare per la CPE.

Non ti nascondo tuttavia che, malgrado la nostra posizione e quella pisfumata dei tedeschi, nella riunione del 23 mi è sembrato assistere a un pre-funerale della CPE. Il disinteressamento dei francesi e del Benelux è stato totale.

In queste circostanze non resta che attendere la ratifica della CED, nella speranza che questa possa portare a una ripresa della CPE; ma prima della ratifica non c’è nulla da fare.

Perciò la ripresa dei lavori dei Comitati di studio, decisione a cui sono stati molto riluttanti tutti, meno i tedeschi, sarà piformale che sostanziale. Aggiungo che è solo a questa condizione che gli olandesi hanno consentito alla ripresa dei lavori. Non è stato fissato [sic] nessuna data e per il momento la presidenza si limiterà a distribuire un elenco delle questioni non sufficientemente approfondite nel rapporto di Parigi.

Fra le questioni che rimangono in sospeso, per la mancata riunione dei Ministri degli Esteri, vi è quella delle spese dell’Assemblea ad hoc. I Ministri avrebbero dovuto infatti pronunciarsi sul noto rapporto redatto dalla Commissione a cui ho partecipato. Ma a questo proposito non abbiamo, credo, nessun interesse a prendere iniziative. Spetterà al Presidente di turno a decidere sul da farsi.

Credimi devotamente.

[Francesco Cavalletti]

158 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

158 2 Trasmessa a Magistrati con L. 2740, pari data.

158 3 Il testo del telegramma è riportato interamente nel riepilogo di Benvenuti del 27 marzo: vedi D. 161. Sulla riunione del 23 Cavalletti indirizzanche un telespresso al Ministero: vedi D. 164.

159

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, CON IL CANCELLIERE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER (Roma, Ambasciata di Germania, 27 marzo 1954)(1)

Appunto(2).

CED-Trieste. Dopo la colazione ho avuto un breve colloquio con Cancelliere Adenauer presente l’Ambasciatore di Germania.

Il Cancelliere mi ha detto che egli si era reso conto dell’importanza della soluzione del problema del TLT al fine di una pronta ratifica della CED, e mi ha chiesto se il Governo italiano avrebbe gradito che egli avesse fatto da arbitro tra Italia e Jugoslavia.

Gli ho risposto che in questo momento erano in corso dei sondaggi da parte degli Anglo-Americani e che pertanto ogni altra iniziativa deve considerarsi prematura.

Ha replicato dicendo che egli avrebbe mandato a chiamare l’Ambasciatore tedesco a Belgrado per quegli eventuali interventi su Tito che si potranno fare.

Ho ringraziato ricordando che esiste un comune interesse alla soluzione.

Alto Adige. Ho richiamato l’attenzione del Cancelliere sulla penosa impressione che fanno in Italia gli articoli della stampa tedesca sull’Alto Adige. In modo particolare il danno che alle relazioni internazionali fra i due Paesi fanno articoli come quello di Elhers la Germania non essendo interessata ai tedeschi dell’Alto Adige lascino se mai al Governo austriaco di occuparsi delle faccende.

Il Cancelliere mi ha risposto che egli deplorava gli articoli e che in quanto al Sig. Ehlers questi era un uomo «terribile» che reca non pochi fastidi al Governo. A riprova dei sentimenti del Governo tedesco, mi ha detto che gradirebbe una protesta formale da parte del Governo italiano, perché cigli avrebbe dato modo di confermare la sua deplorazione e il disinteresse della Germania ai problemi dell’Alto Adige.

Ho risposto che trattandosi di dichiarazioni o di scritti di persone non appartenenti al Governo tedesco, non ritenevo di dovere drammatizzare la situazione ma che si sarebbe proceduto a richiamare l’attenzione del Governo tedesco per avere conferma dei suoi buoni propositi.

L’Ambasciatore tedesco ha aggiunto che egli attende di essere chiamato, a Palazzo Chigi.

Rapporti commerciali. Ho accennato agli squilibri della bilancia dei pagamenti. L’Ambasciatore ha risposto che l’argomento è in corso di discussione e che il suo Governo è animato dalle migliori intenzioni.

159 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 26, fasc. 1.

159 2 Vedi anche D. 162.

160

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, DULLES(1)

L. Roma, 27 marzo 1954.

Mio caro Segretario di Stato,

nel momento in cui il Trattato per la Comunità Europea di Difesa viene presentato al Parlamento italiano per la ratifica, sento il dovere di esporle con tutta franchezza il pensiero del Governo su questa questione, così come su quella di Trieste, e cianche in relazione alle dichiarazioni da me fatte alla Associazione della Stampa Estera il 22 corrente e da lei rilevate nella Conferenza Stampa del giorno successivo.

1) Il Governo italiano è fermamente convinto della funzione essenziale della CED come elemento fondamentale della difesa del mondo libero, e quindi del supremo interesse che il relativo Trattato venga ratificato al più presto dai Parlamenti dei Paesi che la compongono. Esso deve tuttavia prospettare ai suoi Alleati alcune considerazioni obiettive, nonché i rischi che si presenteranno in sede di discussione parlamentare e nel Paese, qualora la discussione stessa non venga preceduta da un regolamento del problema del TLT o quanto meno dall’attuazione della decisione dell’8 ottobre(2).

2) La maggioranza dell’opinione pubblica italiana è favorevole alla CED ma la forza stessa delle circostanze la porta a considerare il problema della ratifica in rapporto con la situazione oggi esistente alla frontiera orientale.

L’opinione pubblica italiana non riesce infatti a convincersi che la CED è destinata a realizzare un’efficace difesa contro ogni più grave pericolo di aggressione armata nei riguardi dell’Europa libera, quando essa stessa ha dovuto, con amarezza, constatare che con le sole minacce verbali i Governi jugoslavi sono riusciti a indurre le due maggiori Potenze atlantiche a sospendere l’attuazione della decisione annunciata al mondo, in modo così categorico, l’8 ottobre dell’anno scorso. L’opinione pubblica italiana non riesce a comprendere come gli Alleati non possano indurre il Governo di Belgrado a non opporsi all’attuazione della suddetta decisione, quando è evidente che l’attuale regime jugoslavo non ha in realtà alcuna libertà di scelta tra l’Oriente a l’Occidente, e dipende in così larga misura dagli aiuti economici e militari che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna gli elargiscono.

3) Sul terreno parlamentare il mancato regolamento del problema di Trieste porterebbe come conseguenza di costringere il Governo, per la ratifica della CED, a lottare su due fronti: a destra e a sinistra. Il che significa che per la ratifica stessa il Governo dovrebbe fare affidamento sui soli partiti dell’attuale coalizione; i quali dispongono alla Camera di appena 15 voti di maggioranza; mentre è evidente che, data la importanza della CED, la durata cinquantennale dell’impegno e dei problemi costituzionali che essa implica, nessun sforzo deve essere trascurato, da parte di tutti coloro che in Italia e fuori valutano appieno la portata di una simile decisione, per far sì che l’approvazione della CED avvenga con la pilarga maggioranza possibile e con la adesione anche di forze politiche e parlamentari che oggi non fanno parte della coalizione governativa.

4) Se si tiene poi conto anche del fatto che nella stessa maggioranza governativa vi sono autorevoli personalità, le quali, in piena coscienza, hanno espresso nel passato il convincimento che la soluzione del problema di Trieste debba avere la precedenza sulla ratifica della CED, non è da scartare l’ipotesi che la stessa maggioranza di cui dispongono il [recte: in] Parlamento, i quattro partiti di Governo, potrebbe ridursi ulteriormente o addirittura diventare incerta in sede di approvazione della CED.

5) La mancata esecuzione da parte degli alleati della solenne decisione dell’8 ottobre continuerà ad offrire all’opposizione social-comunista la migliore carta propagandistica. L’estrema sinistra maschererà i veri motivi della sua fondamentale opposizione alla CED dietro il paravento della questione di Trieste, sfruttando l’alto potenziale emotivo che essa ha per tutti i settori dell’opinione pubblica italiana. Essa accuserà il Governo di debolezza nei confronti degli alleati ed accuserà questi ultimi di non tenere in alcun conto l’Italia ed i suoi interessi nazionali.

È il miglior regalo che gli alleati possano fare al comunismo italiano! Infatti nelle loro tesi pseudo-patriottiche i comunisti non rimarrebbero isolati ma si avvantaggerebbero della rispondenza che esse fatalmente suscitano sia nei partiti di destra sia nello stato d’animo del Paese, deluso per la mancata soluzione, dal 1948 (data della Dichiarazione Tripartita)(3) ad oggi, del problema di Trieste. Questa delusione è accresciuta dalla situazione in cui versano gli italiani della Zona B, occupata provvisoriamente dai jugoslavi, situazione già riconosciuta come insostenibile dagli alleati nel 1948 e che si è andata da allora in poi ulteriormente aggravando, determinando un continuo esodo di italiani spinti a sottrarsi alla persecuzione della dittatura comunista.

Di fronte a una tale situazione le ragioni dei partiti democratici a favore della CED avrebbero poca efficacia sull’opinione pubblica, indeboliti come essi si troverebbero per non aver ottenuto dagli alleati giustizia per l’Italia, solidarietà per la democrazia italiana e adempimento di impegni formalmente assunti.

6) L’attuazione della decisione dell’8 ottobre potrebbe invece modificare radicalmente la situazione psicologica, parlamentare e politica, e potrebbe forse anche segnare una svolta decisiva nel corso della politica interna italiana.

Infatti, una volta rimosso questo ostacolo per l’adesione della CED, la maggioranza dell’opinione pubblica italiana, si schiererebbe attorno al Governo per la ratifica.

Al Parlamento il Governo potrebbe contare sulla totalità dei voti dei quattro partiti di centro, sull’adesione di tutte le personalità pieminenti che in esse militano, sul voto del gruppo monarchico, e forse anche sui voti del MSI o per lo meno sulla astensione di questo partito. Gli stessi socialisti del Partito di Nenni si troverebbero scoperti ed in grave imbarazzo giacché qualora, come è prevedibile, insistessero nella loro opposizione alla CED anche dopo che fosse stata soddisfatta l’esigenza di giustizia per Trieste, essi sarebbero costretti ad ammettere palesemente la loro dipendenza dai comunisti. A meno che l’imbarazzo della situazione così creatasi non costringesse addirittura buona parte dei socialisti ad attenuare in qualche modo il loro atteggiamento, ponendo in maggior rilievo l’isolamento dei comunisti: ciò che questi ultimi cercano con ogni mezzo di evitare.

Qualora infine i comunisti, in esecuzione di ordini provenienti da Mosca, tentassero di attuare in Parlamento il minacciato ostruzionismo ad oltranza per impedire l’approvazione della CED, il Governo, forte del consenso di una larga maggioranza nel Paese e nelle Camere, si sentirebbe autorizzato ad adottare misure anche di estrema severità. Esso ben comprende, ed è in condizione di far comprendere alla propria opinione pubblica che, nelle presenti circostanze, l’America, e la Inghilterra non sono in grado di attuare la Dichiarazione Tripartita del 20 marzo 1948 per l’insieme del TLT. Il Governo italiano chiede quanto è possibile e cioè che gli alleati eseguano quello che è attualmente in loro potere di eseguire, l’impegno preso con la Decisione dell’8 ottobre di trasferire «de facto» all’Italia la amministrazione della zona A, stabilendo così, oltre tutto, le premesse per il raggiungimento di una pacifica e concordata soluzione definitiva dell’insieme del problema. Che se poi, ai fini di facilitare la posizione degli alleati nei confronti dei jugoslavi, fosse ritenuto utile un formale impegno da parte italiana di non ricorrere ad alcun atto di forza per modificare lo stato di fatto così creato tra l’Italia e Jugoslavia nel TLT, il Governo italiano è pronto ad assumere un simile impegno per quanto lo concerne.

Queste sono, Signor Segretario di Stato, le conclusioni alle quali sono giunto, dopo matura riflessione e che ho tenuto ad esporle nel piamichevole intento di collaborazione. Si tratta, come Ella stessa si sarà potuto rendere conto da quanto sono venuto dicendo, di difficoltà obiettive e non di insufficiente convincimento o determinazione da parte del Governo. Mi consenta dunque di sottolineare che sarebbe serio errore il non volerne tenere conto o il considerare Trieste, che appassiona indistintamente tutta la Nazione italiana, come un problema marginale o, peggio, come un argomento artificiosamente creato dai Governi italiani per sfuggire a più graviresponsabilità. È vero esattamente il contrario. Sta quindi in larga misura nelle mani degli alleati la possibilità di mettere il Governo italiano in condizioni di conseguire in sede parlamentare una rapida ratifica della CED, così come di consolidare la democrazia in Italia.

Nell’esprimere la fiducia che Ella vorrà considerare questa mia lettera avendo presenti quei comuni obiettivi che mi hanno ispirato nello scriverle, la prego accogliere, Signor Segretario di Stato, l’espressione dei miei picordiali sentimenti(4).

[Mario Scelba]

160 1 DGAP, Uff. I, 1947-1962 (II versamento), b. 180/1, fasc. Politica estera italiana dal 1954 al 1958. Appunti, verbali, corrispondenza di natura riservata.

160 2 Vedi D. 56, nota 3.

160 3 Vedi D. 66, nota 3.

160 4 Sul colloquio Tarchiani-Dulles alla consegna di questa lettera vedi D. 167; per la risposta vedi D. 171.

161

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE, LEGAZIONI E DIREZIONI GENERALI(1)

Telespr. riservato 21/0786(2). Roma, 27 marzo 1954.

Oggetto: Negoziati intergovernativi per la Comunità Politica Europea.

Nella riunione tenuta lo scorso novembre a L’Aja(3)i sei Ministri degli Esteri decisero, come è noto, di rinviare ad una apposita Commissione l’ulteriore approfondimento delle questioni relative alla costituenda Comunità Politica Europea e l’esame delle possibilità di avvicinamento delle posizioni manifestate dalle Delegazioni nel precedente corso dei negoziati. Stabilirono che il rapporto di detta Commissione avrebbe dovuto esser loro rimesso il 15 marzo ed esaminato da essi in una riunione da tenersi il 30 successivo a Bruxelles.

La Commissione ha svolto a Parigi negli scorsi mesi la sua attività. Due Comitati principali, quello istituzionale e quello economico, hanno esaminato i problemi di rispettiva competenza. Un terzo Comitato si è particolarmente occupato delle questioni elettorali, in base al desiderio manifestato da parte olandese – nell’accettare a L’Aja il principio del suffragio universale diretto – che fossero stabiliti quanto meno i principi generali elettorali comuni da applicarsi fin dalle prime elezioni europee da parte dei sei Paesi.

La Commissione ha svolto i suoi lavori in un’atmosfera che sempre più si è venuta delineando come priva di serie possibilità di negoziato. Sovratutto la posizione francese – resa particolarmente delicata dalla nota situazione del Governo, del Parlamento e dell’opinione pubblica nei riguardi della ratifica della CED – ha condizionato, con le sue impostazioni minimaliste rigidamente mantenute, i risultati dei lavori.

Il rapporto conclusivo redatto dai Capi delle Delegazioni ed inviato ai Ministri nel termine previsto, pur costituendo un notevolissimo sforzo di approfondimento dei vari problemi e di chiarificazione delle relative posizioni, e pur apportando quindi in tal senso un contributo importante all’ulteriore sviluppo dei negoziati, non contiene in realtà avvicinamenti sostanziali delle rispettive posizioni sulle questioni fondamentali quali venute delineandosi fin dalla Conferenza dello scorso ottobre in Roma(4). Né, in verità, poteva attendersi differentemente: fin dalla citata Conferenza è infatti manifesto che la soluzione di tali questioni fondamentali – che implicano determinati orientamenti politici dei singoli Governi – non puvenire dall’opera di esperti ma solo da decisioni ad alto livello e già nella riunione dei Ministri a L’Aja fu chiaro che la situazione non si presentava matura per tali decisioni.

Si unisce, per documentazione di codesta Rappresentanza, copia del citato rapporto della Commissione(5). Risulta da esso come la Delegazione italiana abbia mantenuto un atteggiamento consono alle direttive che hanno costantemente guidato la nostra azione nei riguardi della integrazione europea: secondo le quali la creazione di una Comunità Politica Europea sopranazionale, dotata di effettivi poteri e capace quindi di portare a concreti risultati nel campo della unione politica ed economica dell’Europa, costituisce per noi la meta finale del processo in corso, di cui la Comunità carbo-siderurgica e quella Difensiva sono soltanto tappe, sia pur di importanza fondamentale.

Durante le discussioni a Parigi, i negoziatori si sono continuamente – se pur non apertamente – posti a sé stessi l’interrogativo se fosse possibile trarre dall’attuale stadio dei lavori per la CPE qualche elemento capace almeno di favorire la rapida entrata in vigore della CED. Si tratta sovratutto, come è noto, della posizione francese in relazione alle esigenze di alcuni settori parlamentari che condizionano il loro voto favorevole della CED al previo rafforzamento del controllo democratico e parlamentare in seno alla Comunità. Peraltro non vi è stata alcuna concreta discussione sull’argomento, nessuna apertura essendo stata avanzata al riguardo dalla Delegazione francese, cui evidentemente spettava dare l’avvio.

Tale essendo la situazione, subito dopo la conclusione dei lavori della Commissione di Parigi si è andato delineando un interesse francese a rinviare la riunione dei Ministri a Bruxelles fissata, come detto sopra, per il 30 marzo. A chiarimento della situazione che ha portato in definitiva a tale rinvio si trascrive la seguente comunicazione da Parigi, in data 18 corrente, del funzionario incaricato di mantenere i contatti con le altre Delegazioni(6):

«Parodi ha visto ieri De Staerke e gli ha detto apertamente, per quanto confidenzialmente, che Governo francese considera impossibile tenere conferenza Bruxelles a data prevista. Ha aggiunto che Bidault si augurava che altri Paesi lo avrebbero aiutato per evitare che rinvio apparisse come iniziativa francese ma che, se ciò nonfosse avvenuto, Quai d’Orsay sarebbe stato ugualmente costretto a chiedere apertamente aggiornamento, nonostante si rendesse conto impressione negativa che ciavrebbe potuto produrre in diversi ambienti.

De Staerke ha risposto che istruzioni Van Zeeland escludevano che Belgio prendesse iniziativa del genere ma si è dichiarato disposto fare, a titolo personale, quanto stava in lui per facilitare posizione francese. Come rappresentante Paese ospitante, si è quindi assunto incarico di invitare capi Delegazione ad avere scambio di vedute per esaminare situazione e fissare eventualmente nuova data per Conferenza.

Starckenborgh e Homel hanno subito aderito. Tedeschi, dopo qualche esitazione, hanno pure consentito ed hanno invitato – sempre a mezzo De Staerke – sostituti a incontrarsi martedì 23 corrente ore 17 presso questa Ambasciata di Germania».

Contemporaneamente l’Ambasciatore a Parigi telegrafava(7):

«Ragione vera rinvio è che Governo francese non è ancora in grado di dare una risposta a quesito se si debba o no proporre stralciare da CPE parte relativa assemblea come richiesto da Guy Mollet.

Data delicatissima situazione interna Gabinetto e Parlamento, Governo francese non pusenza gravi inconvenienti verso l’una o l’altra delle parti in causa né decidere

o rifiutare stralcio, né andare alla conferenza né apparire iniziatore di un suo rinvio ed è quindi venuto alla conclusione di pregare altri accettare finzione rinvio come decisione collettiva dei sei».

La riunione presso l’Ambasciata di Germania di cui alla prima delle sovratrascritte comunicazioni si è tenuta, come previsto, il 23 corrente. Su di essa così riferisce il funzionario della nostra Delegazione che vi ha partecipato(8):

«Parodi ha esordito chiedendo rinvio conferenza poiché essa avrebbe potuto nuocere sforzi che suo Governo sta facendo per ratifica CED. Altre delegazioni si sono dichiarate d’accordo.

Quanto a me ho detto Governo italiano pur avendo già accettato riunione conferenza non avrebbe obiezioni rinvio; era necessario perche questo non desse impressione esistenza difficoltà insormontabili per CPE. A tale scopo proponevo che si continuassero i lavori dei comitati tecnici su problemi non sufficientemente approfonditi e si fissasse data prossima riunione conferenza Ministri.

Su primo punto ho incontrato netta opposizione Starckenborgh secondo cui comitati non potrebbero far pinulla di utile; sul secondo Parodi ha affermato essere assoluta impossibilità indicare data.

Come soluzione intermedia ho creduto poter accettare formula indicata comunicato secondo cui comitati proseguiranno lavori – siamo d’accordo che sarà al rallentatore – e che comitato direzione si riunirà in maggio per fissare riunione Conferenza Ministri».

Si trascrive infine il Comunicato Stampa concordato nella riunione suddetta:

«I Capi delle Delegazioni CPE si sono riuniti a Parigi il 23 corrente. Su loro proposta i Governi dei sei Paesi, in vista dei compiti che incombono attualmente ad alcuni di essi e che concernono questioni legate ai problemi della comunità politica, hanno deciso di aggiornare la Conferenza Ministri prevista per il 30 marzo prossimo.

I Comitati di esperti proseguiranno le loro riunioni. I Capi delle Delegazioni si riuniranno nuovamente nel corso del mese di maggio per esaminare lo stato lavori in vista della prossima riunione dei Ministri».

161 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

161 2 Diretto alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington, alle Rappresentanze presso la NATO, la CED e l’OECE a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, alle Legazioni a L’Aja e Lussemburgo e alle Direzioni Generali degli Affari Politici, degli Affari Economici, della Cooperazione Internazionale, Uffici II e III.

161 3 Vedi D. 64.

161 4 Vedi D. 55.

161 5 Vedi D. 136, nota 3.

161 6 Bombassei con il T. segreto 2796/269 del 18 marzo.

161 7 Quaroni con ilT. segreto 2804/270 del 18 marzo

161 8 Cavalletti con il T. 3018/288 del 23 marzo.

162

[LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI](1)

Appunto. Roma, 28 marzo 1954.

Si riassumono i punti salienti delle conversazioni che hanno avuto luogo a Roma il 26 e il 27 marzo fra il Presidente del Consiglio On. Scelba e il Presidente Adenauer(2)con l’intervento, da parte italiana, del Ministro degli Affari Esteri On. Piccioni, del Sottosegretario On. Benvenuti, degli Ambasciatori Zoppi e Babuscio Rizzo e, da parte tedesca, del Segretario di Stato Hallstein e dell’Ambasciatore von Brentano.

2) [sic] Il Cancelliere Adenauer ha informato il Presidente Scelba delle amichevoli accoglienze ricevute in Grecia e in Turchia, due Paesi che, ritenendo il pericolo russo sempre assai grave, considerano assolutamente necessario che si continui sulla via della CED e della CPE.

Il Cancelliere ha escluso che il suo viaggio fosse connesso con gli sviluppi del Patto balcanico e con la politica occidentale nel Pakistan, come pubblicato anche da qualche giornale tedesco.

3) Circa la Conferenza di Berlino il Cancelliere ha riferito l’impressione concorde dei Tre occidentali che la morte di Stalin non ha cambiato assolutamente nulla nella politica sovietica verso l’Europa. Il fine di Mosca è l’esclusione degli americani dal continente europeo; questo dovrebbe così divenire zona di espansione sovietica.

4) Circa la situazione interna dell’Unione Sovietica il Cancelliere ha detto che i tedeschi hanno, come nessun altro, la possibilità di giudicare la situazione russa, sia per le notizie che a loro vengono dalla Germania orientale, sia attraverso i racconti dei loro ex prigionieri. Il caso ha voluto che fra costoro si trovassero uomini degni di fede, che hanno lavorato nei punti pivitali dell’URSS, dall’Artico agli Urali, da Mosca a Stalingrado, al canale Don-Volga, in stretto contatto con la popolazione sovietica. Tutti sono d’accordo nel dichiarare che il risentimento del popolo contro il regime è marcatissimo e che altrettanto grandi sono i risentimenti e talvolta l’odio fra i vari popoli dell’Unione Sovietica. Vi sono molti villaggi dove gli ex combattenti tedeschi sarebbero molto meglio accolti che non i soldati di un’altra provincia sovietica.

Noi credevamo – ha detto il Cancelliere – che vi fossero nei campi di concentramento circa 15 milioni di uomini. Dai racconti dei prigionieri dobbiamo dedurre che ve ne sono almeno 20 o 25 milioni. Dato che la popolazione russa è di 220 milioni di abitanti, la cifra dei condannati apparirebbe troppo elevata in rapporto alla popolazione adulta. Dobbiamo pertanto ritenere che nei campi di concentramento vi siano non pochi vecchi e bambini.

Il lavoratore russo odia lavorare per lo Stato. La produzione industriale in alcuni settori, intorno alle grandi città, è buona. Nelle zone di sviluppo industriale create recentemente è cattiva, per mancanza di tecnici. Alcuni nostri lavoratori hanno potuto constatare che le chiuse del canale Don-Volga non funzionano, mentre essi stessi hanno visto tali chiuse funzionare magnificamente ... nei documentari cinematografici.

La produzione agricola è rimasta pressoché immutata dal 1928 ad oggi mentre la popolazione è aumentata di 30 milioni.

Il contrasto fra l’Armata rossa e il partito è assai forte. Si sono avute notizie di generali seguaci di Beria che sono letteralmente spariti.

La morte di Stalin ha lasciato un «vuoto psicologico» nel popolo russo. Come rimedio si fanno sparire le sue fotografie, si cancellano i suoi nomi dalle strade. I suoi motti vengono ora attribuiti anonimamente al Partito comunista.

5) Su domanda del Presidente Scelba il Cancelliere, dopo avere ricordato l’enorme sproporzione di forze tra i Paesi CED e quelle sovietiche e dei satelliti, ha sostenuto che i sovietici sono in malafede quando professano di temere la CED come strumento di aggressione; in realtà i russi temono solo gli Stati Uniti; la loro paura della CED è un argomento assolutamente ridicolo; il loro scopo è quello di allontanare gli americani dall’Europa perché il giorno in cui la Ruhr e la Lorena cadessero nelle mani dei russi essi supererebbero in potenza gli Stati Uniti.

6) Il Cancelliere, sottolineando l’impazienza dell’opinione pubblica e del Congresso americano di vedere tangibili progressi sulla via dell’integrazione europea, ha insistito sulla necessità di ratificare la CED: se questa si fa e i russi capiscono che la politica americana in Europa non cambia e che essi non potranno attrarre un Paese dopo l’altro nella loro sfera d’influenza, allora la situazione volgerà a vantaggio dell’Occidente. Ad un certo momento essi si domanderanno se vale la pena di continuare a rovinare economicamente l’URSS attraverso il riarmo o se non sia preferibile cercare un accordo con gli Stati Uniti.

Se si arriverà alla CED i russi riesamineranno tutta la loro politica in Europa. Allora sarà compito nostro e sopratutto degli americani di rassicurare l’URSS sulla «non aggressività» della CED. Vi saranno allora basi ragionevoli per negoziare sui grandi problemi mondiali.

7) Il Presidente Scelba ha detto al Cancelliere di essere d’accordo sulla necessità di perseguire con fermezza la politica CED, ha nel contempo illustrato le difficoltà che il Governo italiano deve superare e che derivano in gran parte dalla questione di Trieste. Egli ha spiegato come varie forze politiche colleghino l’approvazione della CED ad un’equa preventiva soluzione di tale problema. Se questo non sarà risolto prima delle discussioni sulla CED in Parlamento l’opposizione comunista si batterà nel nome di Trieste e si farà ai comunisti «il più grande dei regali», verrà loro consentito, cioè, di mobilitare il sentimento nazionale contro la CED e di sostenere che la loro opposizione è dettata da motivi patriottici e non deriva dalla loro dipendenza dalla Russia. Se il problema di Trieste venisse risolto, la situazione psicologica nel Paese e nel Parlamento sarebbe completamente capovolta.

Il Cancelliere Adenauer ha detto di valutare appieno queste considerazioni del Presidente Scelba, soggiungendo essergli la condotta dell’America verso la Jugoslavia in buona parte inesplicabile; ha aggiunto di rendersi conto dell’importanza della soluzione del problema del TLT al fine di una nostra picelere ratifica della CED, sulla quale tutti i popoli europei hanno un interesse ugualmente grande.

Il Cancelliere ha detto che, presentandosene l’occasione e senza, naturalmente, voler interferire nella questione, egli avrebbe fatto parte agli americani di queste due considerazioni.

Tanto il Presidente Scelba che il Cancelliere Adenauer hanno concluso convenendo che il fallimento della CED rappresenterebbe una vittoria comunista: del comunismo russo sul piano internazionale e del comunismo interno nei singoli paesi.

162 1 DGAP, Uff. I, 1947-1962 (II versamento), b. 180/1, fasc. Politica estera italiana dal 1954 al 1958. Appunti, verbali, corrispondenza di natura riservata.

162 2 Vedi anche D. 159.

163

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. riservatissima 20/0791. Roma, 29 marzo 1954.

Caro Ambasciatore,

ti ringrazio della tua n. 0407 del 24 marzo u.s.(2) ed è inutile che ti dica che mi rendo perfettamente conto delle conseguenze di una indubbia incertezza che regna in merito alla linea da seguire nell’abbinamento – complesso e difficile – CED-Trieste.

Per dartene un esempio, trascrivo qui appresso le parole pronunciate ieri dall’On. De Gasperi a Napoli: «In quanto a Trieste noi speriamo che si addivenga ad una soluzione al di fuori o in connessione col Trattato della CED. Ma la questione non va posta come se partecipare alla CED fosse una nostra concessione agli altri, da compensare con altre concessioni. Bisogna onestamente dichiarare che la CED è nel nostro interesse, per la sicurezza e lo sviluppo dell’Italia». Occorre, come vedi, far concordare queste dichiarazioni con quelle fatte dal Presidente Scelba alla stampa estera.

Credo che la formula finale sarà la presentazione del Trattato da parte del Governo e poi una possibilmente abile manovra nei tempi e nell’avviamento delle discussioni parlamentari a cominciare da quelle in seno alle Commissioni.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

163 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

163 2 Vedi D. 155.

164

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 002823/341. Lussemburgo, 30 marzo 1954.

Oggetto: Riunione Capi Delegazione Conferenza CPE – Rinvio Conferenza Bruxelles.

Come è noto a V.E. ho partecipato il 23 corrente, quale sostituto di S. E. Benvenuti, alla riunione dei Capi delle Delegazioni del Comitato di studio per la CPE, che ha deciso il rinvio della Conferenza dei Ministri degli Esteri, già prevista per il 30 corrente a Bruxelles(2).

La riunione dei capi delegazione ha avuto luogo, dopo che la Francia aveva, senza risultato, cercato di trovare un altro paese che assumesse l’iniziativa e la responsabilità del rinvio. Non essendoci riuscita, e stando già pervenendo al Segretariato le accettazioni per l’appuntamento del 30 maggio, il Governo francese ha dovuto provocare la riunione dei capi delegazione, riunione in cui l’Ambasciatore Parodi ha chiesto, senz’altro, il rinvio della Conferenza, dichiarandosi disposto, in mancanza di accordo, ad assumere egli stesso, ufficialmente, l’iniziativa e la responsabilità.

Parodi ha sommariamente spiegato che la Conferenza di Bruxelles avrebbe creato nuove e superflue difficoltà al Governo francese per la ratifica della CED, senza dare peralcuna indicazione circa le intenzioni del suo Governo sulla ratifica stessa.

Il rinvio avrebbe dovuto essere, per il delegato francese, «sine die»; solo con un certo sforzo, da parte tedesca e mia, si è ottenuto che Parodi consentisse a prendere, per maggio, un nuovo appuntamento per i capi delegazione, allo scopo di vedere se, come e quando la Conferenza dei Ministri potrebbe riunirsi.

Parodi avrebbe, d’altra parte, preferito che i lavori di studio per la CPE venissero completamente interrotti, ma anche qui, accondiscendendo alle richieste mie e tedesche, ha finito per accettare che i lavori dei Comitati – i quali in realtà non hanno a tutto oggi esaurito la materia – continuino. Si tratterà perdi lavori piformali che sostanziali.

Esaminando l’atteggiamento francese in questa faccenda mi sembra chiara una cosa: che il Governo francese ha rinunziato all’apertura a sinistra per la ratifica della CED.

Infatti la Conferenza di Bruxelles sarebbe stata la migliore e forse l’unica occasione per venire incontro, se il Governo francese lo avesse voluto, alle note richieste dei socialisti francesi, dirette a creare un controllo democratico parlamentare sulla CECA e sulla CED. Il rinvio (praticamente a dopo la ratifica parlamentare della CED) dell’incontro dei Ministri, blocca questa possibilità e sembrami significare, per essere stato voluto dal Governo Francese, la ferma intenzione di questo di non tener alcun conto delle condizioni poste da Guy Mollet per concedere il suo voto e quello dei suoi seguaci alla ratifica del Trattato CED.

164 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

164 2 Vedi anche D. 158.

165

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED(1)

T. s.n.d. 2644/134(2). Roma, 1° aprile 1954, ore 15,45.

Il presente telegramma è per la Delegazione CED e fa riferimento al telegramma ministeriale n. 129(3).

Oggi l’Ambasciata Britannica ha richiesto di conoscere se codesta Delegazione era autorizzata a firmare, il 2 aprile, l’Accordo di collaborazione fra la Gran Bretagna e la CED, per il caso che il Comitato di Direzione, come è stato ventilato, addivenisse ad una tale decisione. Si è risposto che data l’importanza e il significato dell’Accordo si sarebbe preferito in linea di massima che esso fosse firmato dai Ministri, ma che non avevamo difficoltà, ove vi fosse accordo generale al riguardo, ad accettare firma da parte dei Capi Delegazione. In tal caso codesta Delegazione riceverà a parte autorizzazione telegrafica a firmare(4).

Secondo quanto informato dall’Ambasciata, Eden si proponeva comunque di fare dichiarazioni stampa su tale accordo il 5 aprile: l’Ambasciata ha domandato se in tale dichiarazione potesse farsi stato dell’accordo italiano al progetto predisposto costì. Si è risposto affermativamente ma si è suggerito che venga preso costì in sede Comitato Interinale un accordo collettivo al riguardo.

165 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 33, fasc. 116.

165 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

165 3 T. s.n.d. 2604/129 del 31 marzo, col quale Zoppi, interpellato dalla Delegazione CED a proposito della firma dell’Accordo CED-Gran Bretagna, aveva risposto che data «l’importanza ed il significato dell’impegno britannico, anche noi preferiremmo, in linea di massima, che fossero i Ministri a firmare l’accordo. Comunque prego di fare conoscere l’atteggiamento degli altri Paesi, appena possibile».

165 4 Vedi D. 166.

166

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO(1)

T. segreto 2646/135(2). Roma, 1° aprile 1954.

Autorizzasi V.S. firmare accordo collaborazione CED-Regno Unito. Segue strumento formale pieni poteri.

166 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 33, fasc. 116.

166 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

167

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 4567(2). Washington, 1° aprile 1954.

Oggetto: Trieste e CED.

Signor Ministro,

come ho telegrafato a V.E. martedì [il 30 marzo] ho consegnato, illustrandogliela brevemente, la lettera del Presidente del Consiglio al Segretario di Stato Dulles(3). Precedentemente lo avevo fatto preparare al colloquio da Bonbright, Vice Assistente Segretario di Stato per gli Affari Europei (essendo l’Assistente Segretario, Merchant, assente per malattia). Bonbright ha inoltre assistito alla mia conversazione con Dulles.

Questi ha letto attentamente la lettera, soffermandosi a rileggere i punti salienti. Mi ha poi detto: «Non posso naturalmente rispondere subito punto per punto a questo documento che solleva questioni di tanta importanza. Lo farò in seguito quando potrò dare al vostro Primo Ministro una risposta adeguata».

Dulles ha subito aggiunto: «Voglio perdirvi intanto che:

1) non considero la questione di Trieste come un problema marginale, ma come un problema di fondamentale importanza;

2) proprio per questo stiamo a Londra, in conversazioni necessariamente lente, esaminando ogni possibilità per risolverlo».

Ho dovuto a questo punto osservare subito che era appunto la lentezza delle conversazioni di Londra e la seria probabilità di una conclusione insoddisfacente, che rendevano ardua e quasi impossibile al Governo Italiano una pronta e rapida procedura per la ratifica della CED.

Come il Presidente del Consiglio scrive, ho aggiunto, o una soluzione definitiva pisoddisfacente della decisione dell’8 ottobre(4), o l’esecuzione di quella decisione sono le sole basi sullo quali il Governo puimpostare e vincere la battaglia per la CED con l’ausilio dell’opinione pubblica o d’una adeguata maggioranza parlamentare. Gli ho pure dimostrato come la questione di Trieste sia strettamente legata anche alla difficile impresa anti-comunista iniziata con tanta decisione o coraggio dal Presidente Scelba.

Dulles ha totalmente convenuto sulla serietà e fondatezza di questi argomenti, come di tutti quelli contenuti nella lettera del Presidente.

Mi ha domandato chi sarebbe stato alla riunione di Parigi per la NATO. Gli ho risposto che vi sarebbe andato Vostra Eccellenza. Ma, temendo si facesse l’illusione di poter prendere molto altro tempo, ho subito aggiunto che per Trieste occorreva far presto, se si voleva affrettare e rendere possibile la ratifica della CED, perché un ostruzionismo comunista, anche blando, avrebbe portato facilmente la discussione al limite delle vacanze, se non si cominciava al più presto e con favorevoli auspici.

Dulles mi ha ripetuto che si rendeva conto di tutto questo e vi avrebbe fermamente fissata la sua attenzione, cercando di dare, nel pibreve tempo, una risposta a Sua Eccellenza Scelba.

Ho l’impressione che la lettera del Presidente del Consiglio costituisca un’iniziativa felice e tempestiva: felice, per la franchezza e l’efficacia dell’esposizione, che so essere stata apprezzata dal Dipartimento di Stato; tempestiva, perché giunta quando le comunicazioni anglo-americane sui sondaggi londinesi erano annunciate come imminenti.

Sui risultati delle conversazioni di Londra la mia prognosi era, e rimane, sfavorevole. Mi sembra da escludere che quelle conversazioni abbiano potuto condurre, almeno finora, ad un progetto di soluzione pressoché equivalente alla decisione dell’8 ottobre. Può darsi che abbiano delineato una proposta, assai peggiore, come farebbe credere qualche indicazione britannica, da me raccolta qui e telegrafata a Vostra Eccellenza il 15 marzo u.s. Può darsi che abbiano suggerito qualche formula dilatoria, contemplante un tentativo di ritorno al progetto della conferenza, come farebbe credere la corrispondenza del «New York Times» del 27 marzo u.s., che ho parimenti segnalato a Vostra Eccellenza e che, quantunque non firmata, so essere stata redatta da un collaboratore di Reston, dopo aver avuto un lungo colloquio informativo al Dipartimento di Stato.

Era quindi prevedibile che ci saremmo trovati di fronte ad un progetto, o almeno a un suggerimento inaccettabile e ad una più o meno sincera sorpresa per la nostra mancata accettazione.

Ho motivo di ritenere, anche sulla base dei sondaggi da me fatti in questi ultimi due giorni, che la lettera del Presidente del Consiglio abbia avuto l’effetto di «bloccare» una comunicazione del genere. Nella risposta del Segretario di Stato(5), che il Dipartimento di Stato annuncia come prossima, si potrà trovare un riferimento alle richieste jugoslave, ma difficilmente si troverà un «avallo» americano ad esse, se sono in contrasto con le nostre esigenze minime. Di qui l’inutilità di aver detto francamente e in tempo quel che possiamo accettare o quel che non possiamo accettare.

Io condivido in gran parte le considerazioni svolte dall’Ambasciatore a Parigi nel suo rapporto n. 0351del 13 marzo u.s., trasmessomi con la lettera del Segretario Generale 391 del 22 marzo u.s.(6). Fra l’altro ritengo possibile, se non addirittura probabile, che nell’immediato futuro e senza che entrino in gioco nuovi elementi, non ci si offra, come soluzione definitiva del problema di Trieste, nulla più che l’annessione della città, provvista soltanto di uno stretto corridoio costiero e forse mutilata dei sobborghi industriali. Sarebbe, naturalmente, una soluzione inaccettabile, non solo perché ingiusta in se stessa, ma anche per il «premio» che sfacciatamente darebbe all’aggressività jugoslava. Mi rendo altresì conto che la situazione interna italiana esercita sul problema di Trieste una influenza di primaria importanza perché determina una specie di rovesciamento delle responsabilità, mettendo noi in istato di più o meno larvata accusa, per l’asserita negligenza nel combattere il comunismo e mettendoci quindi nella necessità di «riprendere quota» nella considerazione degli americani.

Ciò premesso, la questione da esaminare era se convenisse ratificare la CED e rinviare a tempo indeterminato la soluzione del problema di Trieste, nella fiducia che detta ratifica e altre iniziative di politica interna del Governo italiano rialzassero il nostro prestigio agli occhi degli americani, così da indurli a cercare una migliore soluzione del problema di Trieste; oppure se convenisse sospendere la ratifica della CED in attesa della soluzione del problema di Trieste. Quantunque io sia stato da tempo incline a preferire la seconda via, non mi nascondo che, da un punto di vista strettamente di politica estera, possono esservi forti argomenti in favore della prima. Senonché, la situazione interna italiana essendo quella così efficacemente descritta dal Presidente del Consiglio nella sua lettera al Segretario di Stato, essa non consente scelta: se il Governo italiano, indipendentemente dai desideri di chi lo dirige, non è in grado di fare accettare dal Paese una politica di intensificata collaborazione con l’Occidente (quale la CED comporterebbe) senza una concreta manifestazione di solidarietà da parte dell’Occidente in un problema vitale per l’Italia, è meglio dirlo francamente agli americani piuttosto che fare sperare in una rapida ratifica, e poi non effettuarla e lasciare che tale mancata effettuazione si aggiunga ad altre vere o asserite inadempienze italiane.

Questo aspetto preliminare del problema mi sembra tanto più importante in quanto, sotto questo aspetto, la situazione tende a peggiorare piuttosto che a migliorare. Nei rapporti italo-americani, un po’ per colpa nostra, un po’ per certi atteggiamenti dell’Amministrazione repubblicana (non solo nei nostri riguardi) e un po’ per la poco assennata posizione assunta dalla Signora Luce ci troviamo di fronte a fenomeni che accentuano le perplessità dell’opposizione moderata e democratica contro la CED e ingigantiscono le possibilità propagandistiche dell’opposizione comunista, ed estremista in genere. Episodi come la pubblicazione del memorandum redatto dai giornalisti Americani dopo il famoso pranzo al Mayflower Hotel; le tribolazioni relative agli «off shore procurements»; la pretesa di inserire negli accordi italo-americani clausole poco dignitose, come quella menzionata nella lettera del Segretario Generale 4/152 del 23 marzo u.s.; le campagne della stampa americana sull’Italia, del genere di quella d’uno

o due mesi fa, cui per fortuna sta facendo seguito una certa reazione, ma non tale da riparare del tutto al danno fatto né da rassicurare pienamente per l’avvenire; le «trovate» del genere del progetto di viaggio del Vice-Presidente Nixon; le procedure sbrigative e spesso ingiuste in materia di distribuzione di armi e di studio dei piani strategici; il silenzio sulle intese militari balcaniche, che mal si concilia coi pielementari obblighi di lealtà fra alleati; ecc.: questi e altri simili fenomeni mettono a dura prova la pazienza e perfino la serietà di giudizio degli amici degli Stati Uniti e portano abbondantissima acqua al mulino dei loro nemici.

Certo la via migliore per riguadagnare prestigio qui consiste (come scrive l’Ambasciatore a Parigi) nell’imprimere uno spirito nuovo all’attività governativa in Italia, sia col rimettere in ordine quelle cose nostre che non lo sono, sia nel combattere pienergicamente il comunismo. D’altra parte mi sembra essenziale dire senza indugio agli americani che il Governo italiano potrà tanto più facilmente agire in tal senso quanto meno sarà intempestivamente e goffamente e pubblicamente incitato a farlo; e che comunque un’immediata ratifica della CED a fronte di una clamorosa capitolazione anglo-americana dinnanzi a Tito, al quale non si osa applicare quella «pressione» che sembra essere ritenuta legittima ed efficace soltanto se applicata alla democratica Italia, non rafforzerebbe il Governo.

Non ho mai proposto affrettatamente né con lieto animo di affrontare uno «showdown» con gli americani; ma mentre appoggerei con entusiasmo qualsiasi iniziativa intesa ad evitarlo, dubito ormai da tempo dell’opportunità di rimandarlo, perché mi pare si rischi di renderlo, ogni giorno che passa, pipericoloso. Ho già osservato, come rileva l’Ambasciatore a Parigi, che l’azione diplomatica del settembre scorso è la sola che abbia sortito un effetto positivo, quantunque non decisivo. Adesso arrivo a dire che l’atteggiamento estremamente conciliante da noi assunto nel novembre successivo dopo le minacce di Tito e i vacillamenti anglo-americani e il famoso progetto di Conferenza (atteggiamento da me stesso approvato e addirittura consigliato) mentre era dettato dalla necessità di non prestare il fianco ad accuse di intransigenza, neppure ingiustificate, ha avuto la conseguenza di farci trovare adesso, a quattro mesi di distanza, al punto di prima nella questione di Trieste e diversi passi indietro nell’insieme dei rapporti con gli Stati Uniti, tra l’altro a causa della sopravvenuta pubblicità degli attriti.

Per questi motivi l’iniziativa del Presidente del Consiglio mi sembra, ripeto, essere stata felice e tempestiva. Se gli americani, così richiamati alla realtà, sapranno tener fede alla decisione dell’8 ottobre o trovarne una alternativa sotto forma di soluzione definitiva accettabile, tanto meglio. Se no, dovranno constatare di non poter seguire simultaneamente, nei riguardi dell’Italia, due politiche contrastanti: l’una consistente nell’esigere una collaborazione piena e incondizionata; l’altra consistente nel subordinare ogni interesse italiano alle esigenze di una mal concepita operazione di inserzione della Jugoslavia nel blocco dei Paesi occidentali.

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio piprofondo ossequio.

[Alberto Tarchiani]

167 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 39, fasc. 2.

167 2 Trasmesso da Zoppi a Quaroni con L. riservata personale del 6 aprile.

167 3 Vedi D. 160.

167 4 Vedi D. 56, nota 3.

167 5 Vedi D. 171.

167 6 Vedi D. 140.

168

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. riservata 20/68(2). Parigi, 3 aprile 1954.

Caro Ministro,

come avrai visto dal mio telegramma di ieri, pare che finalmente il Governo francese sia sul punto di decidersi a fissare la data per il dibattito CED davanti a questo Parlamento.

Sembra probabile che la scelta cadrà, press’a poco, sul 25 maggio, cioè circa una settimana dopo il Congresso socialista e due giorni prima di quello del MRP.

Come andranno le cose e quale sarà per essere il verdetto finale è difficile oggi prevedere. Certo le incognite sono parecchie.

Lo stesso «machiavellico» piano di azione cui Laniel, Bidault e Pleven hanno dovuto ricorrere costituisce una nuova prova – se ce n’era bisogno – delle difficoltà in cui si trova il Governo in questa delicatissima materia.

La situazione parlamentare continua ad essere quella che si sa: la mancanza di coincidenza fra la maggioranza governativa e la maggioranza europeista e i dissensi che, in tema CED, dividono aspramente all’interno i singoli partiti pongono una serie di dilemmi successivi che contengono i germi di possibili capovolgimenti di alleanze e mettono in costante dubbio la vita stessa della compagine ministeriale. È stato acutamente osservato che il Parlamento francese dà oggi l’impressione di essere uno specchio rotto: anzi, in certi settori, addirittura frantumato.

Sembra insomma ormai chiaro che il Trattato non passerà col solo appoggio – in aggiunta, naturalmente, ai gruppi che lo voteranno comunque – di quei socialisti da cui Mollet riuscirà a farsi seguire (le notizie che si hanno da quel settore non sono estremamente confortanti in quanto sembra che ben 59 deputati si siano dichiarati, seguendo Moch e Daniel Mayer, contro la CED) né solo con quello dei suffragi recuperabili a destra.

È pertanto da ritenere che Laniel dovrà svolgere una doppia manovra per cercare aiuti da una parte e dall’altra, essendo così costretto a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, per soddisfare, da un lato, certe condizioni postegli e per calmare, dall’altro, certe apprensioni.

Pare che, per facilitare la posizione di Mollet al Congresso della SFIO, una qualche iniziativa sarà presa dai francesi in merito al controllo democratico: non è ancora prevedibile se essa sarà presentata come uno «stralcio» della CPE o come un impegno dei sei connesso esclusivamente al disposto dell’art. 38 del Trattato.

Anche al di fuori del piano strettamente connesso alla politica interna, le azioni della CED in Francia – e sopratutto in questa opinione parlamentare, che rappresenta l’elemento determinante della situazione – hanno subito, da quando il piano di integrazione militare venne lanciato, continue fluttuazioni: mi sembra di poter dire che uno dei punti pialti della marea favorevole sia stato toccato recentemente subito dopo Berlino, mentre ho l’impressione che da qualche tempo in qua si sia entrati in fase decrescente.

Le cause di questo orientamento verso il basso sono individuabili: l’andamento non soddisfacente delle relazioni franco-tedesche – che stanno sempre alla base di ogni possibilità di feconda integrazione europea in qualunque settore, dato che questa integrazione non puche fondarsi sulla riconciliazione di due grandi Paesi continentali

– di cui le difficoltà sarresi sono al tempo stesso un fattore ed un sintomo, così come lo sono le polemiche recenti circa le modifiche alla Legge Fondamentale e circa i Protocolli addizionali; le manovre russe in corso, che – anche se destinate a sgonfiarsi a contatto con la realtà – fanno pur sempre una certa presa su taluni settori marginali; la situazione assai grave della guerra in Indocina, ove si deve prevedere che la pressione continuerà violenta; l’attesa di quello che puaccadere a Ginevra, che si fa più viva man mano che la Conferenza si avvicina nel tempo.

L’episodio Juin(3)ha rappresentato un ulteriore elemento di confusione e, nonostante la favorevole ripercussione negli ambienti fautori della CED dell’energia dimostrata dal Governo, si presta ad essere sfruttato dagli oppositori della ratifica.

Naturalmente, anche scontato tutto ciò e anche se si convenga che la congiuntura più favorevole è passata, delle speranze sussistono e non mancano gli elementi positivi. Di buon auspicio appare il fatto che il Governo Laniel si impegni, come sembra voglia fare questa volta, veramente a fondo. La mancanza di alternative sensate è un’arma assai forte nelle mani dei difensori della CED. Il rischio, sentito dai più responsabili, di non porre in una crisi, forse irreparabile, il sistema atlantico e la necessità di non rinunciare all’amicizia americana giuocheranno pure in misura notevole.

Comunque sia, è da tener presente che, se tutto va liscio, cioè se l’Assemblea approva il Trattato e il Consiglio della Repubblica non lo respinge rendendo necessaria una forse irraggiungibile maggioranza, la procedura parlamentare non occuperà più ditre, o al massimo quattro, settimane: dimodoché la Francia potrebbe essere in grado di depositare i suoi strumenti di ratifica entro giugno.

È questo un elemento di estrema importanza di cui bisogna tener conto da noi e di cui occorre considerare le conseguenze. Non intendo con questo sottovalutare le difficoltà della nostra situazione parlamentare e politica di cui sono pienamente conscio, né piangere sul latte versato: desidero solo sottolineare che, nel quadro generale, occorre inserire anche questo elemento esterno.

Con affettuosi e devoti saluti, credimi sempre tuo

Giorgio Bombassei

168 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

168 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» e la sigla di Zoppi.

168 3 Il Maresciallo Juin fu convocato da Laniel per fornire spiegazioni sulle dichiarazioni rese pubblicamente il 27 marzo in merito alla necessità di una «soluzione di ricambio»; essendosi rifiutato di comparire, il 1° aprile fu destituito da tutte le funzioni nel Governo e nell’Esercito: vedi ISPI, Annuario di politica Internazionale, 1954, pp. 248-250.

169

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. 3754/59. Bad Godesberg, 7 aprile 1954.

Oggetto: Ratifica italiana CED.

Suo 2822/c(2).

Cancelliere Federale Adenauer che ho visto ieri sera ha tenuto esprimermi sua profonda soddisfazione per notizia presentazione alla Camera disegno legge ratifica CED effettuata da Governo italiano(3).

Ho potuto rilevare che anche negli ambienti politici di Bonn viene attribuito già al solo fatto della presentazione del disegno di legge valore positivo. Esso ha valso a dissipare talune delle incertezze sorte sull’atteggiamento italiano e a creare uno stato di attesa e di fiducia per l’ulteriore azione governativa.

169 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

169 2 Del 6 aprile, diretto da Zoppi alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington, alle Legazioni a L’Aja e Lussemburgo, alla Rappresentanza presso la NATO a Parigi: comunicazione della presentazione alla Camera del disegno di legge di ratifica degli accordi CED (ibidem).

169 3 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Discussioni, seduta del 6 aprile 1954, p. 6713.

170

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. 003228/383(2). Lussemburgo, 8 aprile 1954.

Oggetto: Ratifica CED.

Riferimento: Telegramma di questa Legazione n. 170(3).

La ratifica del Trattato CED da parte della Camera lussemburghese ‒avvenuta ieri ‒non ha dato luogo a sorprese. Il Governo, nel presentare il Trattato dopo il voto del Parlamento belga, sapeva che poteva contare sui voti della coalizione cristiano-sociale-socialista e che i liberali, pur essendo all’opposizione, avrebbero, questa volta, votato con il Governo. E così è stato. Soli voti contrari sono stati quelli dei quattro deputati comunisti, mentre due deputati della maggioranza si sono allontanati dall’aula al momento del voto.

La seduta, per il Lussemburgo, è stata relativamente storica, con grande affluenza di pubblico alle tribune e di tutto il corpo diplomatico. Come ci si attendeva, i quattro comunisti hanno continuamente vociferato e lanciato invettive contro il Governo durante il dibattito, ma hanno sorpreso certe violente interruzioni che a un certo momento sono partite inopinatamente dai banchi di destra. I funzionari degli esteri, presenti nella tribuna diplomatica, ci hanno subito tranquillizzato, dicendo trattarsi unicamente di un deputato che è sempre normalmente ubriaco. Difatti Bech, dal banco del Governo, di tanto in tanto, con la mano, bonariamente minacciava il deputato intemperante, appartenente al suo partito.

Il Trattato è stato introdotto con un dettagliato ma non interessante rapporto del cristiano sociale Margue; Bech ha fatto quindi un ottimo discorso, di cui invio il testo a parte, interrotto a un certo punto da un deputato liberale, che si è mostrato preoccupato dell’impossibilità di ristabilire a Lussemburgo il servizio militare volontario. Al che Bech ha risposto subito, evidentemente mentendo, che il Trattato non lo impediva affatto!

Ha seguito un oratore liberale che, pur sottolineando gli svantaggi del Trattato, ha affermato che il suo partito era pronto a ratificarlo. E infine si è presentato alla tribuna un comunista con un voluminosissimo pacco di cartelle, che ha seriamente preoccupato tutti i presenti, a cui il presidente aveva già promesso di esser messi in libertà alle 17,30. Tuttavia anche il comunista è stato relativamente sbrigativo e prima del tramonto il Trattato era felicemente votato.

Il voto del Lussemburgo vale quello che vale e cioè la partecipazione di un reggimento nell’esercito europeo, tuttavia politicamente ha un qualche peso. Da ieri si può dire che la maggioranza dei contraenti ha ratificato il Trattato. Esso dimostra inoltre la serietà e la compattezza del Benelux che, entrato con somma riluttanza nella Conferenza per l’esercito europeo, ha completato la ratifica con priorità.

Il Lussemburgo, pur non facendo grandi sacrifici col Trattato (Bech ha anzi detto di ritenere quasi esagerati i diritti che nella CED sono stati riconosciuti al Lussemburgo), ha dovuto superare, per ratificare, le naturali riluttanze di un piccolissimo paese, geloso della indipendenza e preoccupato di unirsi con associati di così superiore mole, fra cui uno, quello tedesco, ha lasciato qui così amari ricordi ed è guardato con risorgente apprensione.

170 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

170 2 Sottoscrizione autografa.

170 3 T. 3758/170 del 7 aprile, col quale Cavalletti informava dell’avvenuta ratifica del Trattato CED da parte della Camera lussemburghese (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109).

171

IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, DULLES, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

L.(2). Washington, 10 aprile 1954.

Mio caro Primo Ministro,

ho molto apprezzato la Sua lettera in data 27 marzo 1954(3), con la quale Ella mi conferma l’intenzione del Suo Governo di presentare al Parlamento, per la ratifica, il Trattato della CED e mi confida il punto di vista del Governo italiano sul rapporto fra la questione di Trieste e il processo di ratifica. La franchezza dei suoi commenti mi incoraggia a ricambiarla con pari franchezza ed io sono lieto dell’occasione che così mi viene data di stabilire una chiara comprensione dei rispettivi punti di vista.

Vorrei anzitutto confermarle le assicurazioni date al suo Ambasciatore che il mio Governo considera la soluzione della questione di Trieste non soltanto come di importanza fondamentale per l’Italia e per la Jugoslavia, ma come di alta importanza per il Governo americano. A motivo tanto della importanza che esso attribuisce alla sicurezza dell’Europa Meridionale quanto delle speciali responsabilità che su di esso incombono nel mondo libero, il mio Governo ha ogni interesse nella pirapida possibile elaborazione di un accordo soddisfacente per l’Italia e la Jugoslavia. I seri sforzi in corso a Londra da due mesi per la ricerca della base di una soluzione costituiscono una conferma in proposito. Nel quadro di tali sforzi dei Governi americano e britannico, il passo successivo e cioè l’inizio di scambi di vedute con rappresentanti del suo Governo avrà luogo, io spero, nel prossimo avvenire. Ritengo altresì che Ella concorderà nel considerare che la possibilità di successo per i negoziati saranno accresciute dalla continuata osservanza del segreto.

La sua lettera dimostra che il Suo Governo è convinto della necessità della ratifica del Trattato CED ai fini della permanente sicurezza e stabilità degli Stati membri della Comunità e dell’Europa Occidentale nel suo insieme. Così stando le cose, ci troviamo di fronte a due problemi separati, ciascuno di grande importanza per l’Italia, come per molti dei suoi amici. La inevitabile conclusione sembra essere che è per noi desiderabile cercare di raggiungere un esito positivo nei riguardi di ciascuno di questi problemi tanto rapidamente quanto sarà consentito dai nostri più decisi sforzi.

Mi rendo ben conto che le circostanze nelle quali avrà luogo il dibattito sulla ratifica della CED verrebbero migliorate se una soluzione del problema di Trieste fosse già raggiunta. Comunque serie difficoltà parlamentari hanno dovuto anche essere superate in Germania ed esistono oggi in Francia dove noi speriamo e prevediamo che il dibattito sulla CED verrà iniziato in maggio. Per quanto riguarda Trieste, Ella pucontare sul proseguimento dei più decisi sforzi degli Stati Uniti, e, ne sono certo, del Regno Unito, attraverso gli scambi di vedute ora in corso e quelli che seguiranno con i rappresentanti italiani per favorire il raggiungimento di una soluzione accettabile.

Dato anche il desiderio dei due Governi principalmente interessati di raggiungere una soluzione, io sono fiducioso che essa verrà trovata su basi di equità.

In ogni modo appare chiaro dalla Conferenza di Berlino e dai successivi avvenimenti che, più che mai, la creazione della Comunità Europea di Difesa segna la svolta decisiva nella lunga e faticosa battaglia condotta dalla Comunità Nord Atlantica per arrestare durevolmente l’avanzata dell’Imperialismo sovietico e per rafforzare la causa dell’Unità Europea.

Questo profondo convincimento mi induce a raccomandare che niente la distolga dal fare uso della maggioranza, per quanto modesta essa sia, che appoggia il Suo Governo allo scopo di consolidare il posto dell’Italia nella Comunità a Sei. Mi consenta di sottolineare il punto di vista del Governo degli Stati Uniti che la rapiù dità è il fattore essenziale.

La fiducia nel successo dei nostri comuni sforzi è accresciuta dalla consapevolezza nella comunanza di interessi esistente fra i nostri Governi ed i nostri popoli e dal sincero apprezzamento per la franchezza con la quale Ella ha voluto scrivermi.

Sinceramente Suo

[John Foster Dulles]

171 1 DGAP, Uff. I, 1947-1962 (II versamento), b. 180/1, fasc. Politica estera italiana dal 1954 al 1958. Appunti, verbali, corrispondenza di natura riservata.

171 2 Traduzione; originale non rinvenuto. Per la versione in lingua originale vedi FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 1, D. 501.

171 3 Vedi D. 160.

172

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 4051/366(2). Parigi, 13 aprile 1954, ore 22,15 (perv. ore 22,50).

Nella seduta straordinaria del Consiglio del Ministri francese, che ha avuto luogo ieri e nel corso della quale è stato approvato, non senza difficoltà, testo accordo Regno Unito CED, è stata altresì dibattuta, come predisposto, questione fissazione data discussione parlamentare trattato CED.

Teitgen ha assunto posizione di punta – sostenuto da Laniel, Bidault, Pleven e Reynaud – ma opposizione Ministri URAS e ARS che, oltre a sollevare obiezioni di fondo hanno violentemente protestato contro inconsueta procedura, ha impedito venisse raggiunta decisione.

Argomento sarà ripreso in nuova riunione indetta per giovedì 15.

Bidault con americani ed Alphand con noi dimostratisi convinti che data potrà essere allora fissata. Alphand ha accennato a seconda quindicina maggio, da altre fonti sembra confermato che scelta giorno si aggirerebbe intorno 25, in connessione, come ho già telegrafato, con congressi SFIO e MRP.

Rimane peraltro ferma condizione previa soluzione questione Saar (lo stesso Alphand lo ha sottolineato) e se negoziati continuassero trascinarsi sfavorevolmente non è da escludere ulteriore rinvio all’ultimo momento, perché il Governo non potrebbe affrontare giudizio Parlamento senza avere acquisito quell’accordo sul quale si era impegnato solennemente anche con discorso investitura Laniel.

Intanto hanno luogo continue riunioni dei Ministri delle diverse tendenze con dirigenti loro partiti e rispettivi gruppi parlamentari.

Continua a parlarsi eventuali dimissioni Ministri ex gollisti. Le ultime notizie dal campo radicale farebbero supporre che Ministri di quel partito non solleveranno difficoltà.

In molti ambienti – e particolarmente in quelli Comitato interinale – si considera sfortunata la coincidenza che discussione finale in Consiglio dei Ministri avvenga immediatamente dopo visita Dulles poiché avversari CED non mancheranno sfruttare nuovamente tema pressioni americane. Essi cercano infatti ogni occasione per dare impressione a pubblica opinione che CED viene creata sopratutto per far piacere a Washington e non – come è invece in realtà – per interesse fondamentale Paesi europei.

172 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 33, fasc. 116.

172 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

173

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. riservato 0518(2). Parigi, 13 aprile 1954.

Oggetto: CED. Ratifica francese.

Signor Ministro,

la CED, in Francia, è di nuovo malata assai. In queste ultime settimane, alcuni avvenimenti hanno modificata la situazione quale l’avevo tratteggiata a V.E. col mio rapporto riservato n. 381 del 19 febbraio(3).

L’affare Juin(4). Si tratta indiscutibilmente di un colpo montato da quella centrale che manovra, con indiscussa abilità, tutte le possibili pedine contro la CED. Se il colpo non ha raggiunto il suo scopo, far cadere il Gabinetto Laniel, è colpa del Maresciallo che, nel suo entusiasmo poco abile, si è messo dalla parte del torto. Già una volta Juin si era messo in conflitto con il suo Ministro per un discorso e si era difeso sostenendo che la disposizione, che proibisce ai militari di pronunciarsi su questioni politiche senza previa intesa con il Ministro, non si poteva applicare letteralmente ad un Maresciallo di Francia. Se fosse restato su questo terreno, la questione era politica: era lecito ad un Maresciallo di Francia pronunciarsi contro la CED? Ma non essendoci su questo argomento una unanimità nel Governo, non si poteva asserire che avesse parlato contro la politica del Governo. Pleven avrebbe insistito per la disciplina, molti Ministri sarebbero stati di parere contrario, e ne sarebbe derivata una crisi di Gabinetto. Juin, rifiutandosi di obbedire ad una convocazione del Presidente del Consiglio, ha messo nel più grande imbarazzo i suoi istigatori; nessuno ha osato sostenere la tesi della non subordinazione del potere militare al potere politico.

Non si è con questo abbandonata l’idea di provocare una crisi di Governo: gli stessi accenni che hanno preceduto il caso Juin farebbero supporre l’intenzione di riaprire per esempio il dossier dello scandalo delle piastre: il che sarebbe ai fini anti-CED particolarmente abile, perché coinvolgerebbe, in un grosso scandalo, soprattutto l’MRP, ossia il Partito di punta a favore della CED.

La questione Juin non è del resto chiusa: nel senso che non è affatto escluso che ce lo rivediamo Ministro della Difesa o anche qualcosa di più per cui, incidentalmente, e per ogni evenienza, mi permetterei di raccomandare, per quello che concerne il Governo almeno, di non prendercela tanto a caldo contro di lui. Ma a parte i possibili sviluppi politici, resta il fatto che la sua presa di posizione, di danno alla CED ne ha fatto, e molto. Juin si è dichiarato a favore del riarmo della Germania, ma ha attaccata la CED sul punto più delicato, il piano tecnico: e questo ha fatto molta impressione negli ambienti militari, nell’opinione pubblica – oggi, dopo la presa di posizione di Juin, un referendum sulla CED potrebbe avere dei risultati ben differenti da quelli che si potevano supporre un paio di mesi fa – ed infine sul largo settore dei parlamentari incerti o riluttanti.

Il rientro di Auriol. Auriol, rientrato più o meno discretamente nella politica attiva, ha gettato tutto il suo peso, e la sua abilità che non sono pochi, in seno alPartito Socialista, contro la CED. È di questi giorni il pronunciamento di 59 deputatisocialisti contro la CED e la disciplina di voto: 59 su 105 è già parecchio. È vero che, dal punto di vista CED, lo schieramento al congresso del Partito non sarebbe lo stesso che al Parlamento: ma questa presa di posizione del gruppo parlamentare non è indifferente. Per cui è tutt’altro sicuro che Guy Mollet riesca a far prevalere la sua tesi ed è ancora più dubbio che possa fare accettare la disciplina di voto: e senza disciplina di voto nel Partito Socialista non c’è maggioranza per la CED. È anche dubbio che Guy Mollet, se vede la situazione deteriorarsi ancora, quali che siano le sue idee personali, se la senta di affrontare una battaglia sulla CED, dal momento che perdendola sarebbe obbligato a dimettersi da Segretario Generale: c’è una frase contenuta in una sua dichiarazione di ieri che mi fa pensare che egli possa trovare la scappatoia che non sono realizzate le condizioni preliminari che egli aveva poste: sono condizioni abbastanza vaghe e si può quindi, a volontà, sostenere che sono state realizzate e che non sono state realizzate.

La verità è che, mentre il settore anti-CED manovra diretto da una centrale, di cui tutti sappiamo l’origine, con furberia e costanza, il settore pro è disorganizzato, fiacco, senza nessuno che ne coordini gli sforzi. Continua ad essere quello che è stato sempre, ossia un settore verboso e velleitario. Invece di cercare di convincere chi è contrario od esitante, si riuniscono fra correligionari e si eccitano a guisa di dervisci urlanti, con scarso risultato pratico. La CED doveva essere una politica, ne hanno fatta una frenesia: non sono capaci di imporsi, ma non ammettono di transigere.

La battaglia per la CED la si sarebbe potuta vincere abbastanza facilmente qualche anno addietro, se Robert Schuman avesse confidato un po’ pinell’azione parlamentare ed un po’ meno nella preghiera: forse la si potrebbe vincere ancora oggi con un’azione seria, serrata e ragionata: ma chi la possa fare veramente non lo vedo. Non si puancora dire niente di definitivo: ma la situazione è peggiorata, indiscutibilmente.

L’Indocina, da parte sua, non aiuta. Personalmente, per ragioni a cui ho già accennato, non credo affatto che russi, cinesi e Co. abbiano alcuna intenzione seria di mettere fine al conflitto d’Indocina con altri mezzi che la sconfitta o la capitolazione francese. Ma ammettendo che una chance ci sia, evidentemente, ha ragione Dulles quando sostiene che bisognerebbe, con un fronte unico, far ben chiaro ai cinesi i rischi gravi a cui vanno incontro con una continuazione della guerra d’Indocina. Ora, qui a Parigi, di far questo non se la sentono: pensano, il che è del resto anche vero, che se nelle minacce ci sono dei rischi per la Cina, ci sono dei rischi anche per noi tutti: e non se la sentono di dare una specie di carta bianca agli americani: pare che Londra sia un po’ dello stesso avviso. Ma se si mostra ai cinesi la divisione del mondo occidentale, ogni speranza di cessione è finita. Il risultato sarà probabilmente che Dulles se ne ritornerà a casa ancora piirritato con i francesi: ed i francesi saranno ancora piirritati con gli americani: il che a sua volta giuoca contro la CED.

E, come conseguenza di Ginevra, i francesi che sperano ancora in una soluzione onorevole, resteranno sempre dell’opinione che, se questo non è possibile, è stato per colpa degli americani.

La cosa più grave è che la Francia sembra presa dal miraggio di mettersi d’accordo con i russi, a qualsiasi costo. Non ha pivoglia di resistere, non ha pivoglia di combattere, è ossessionata dal pericolo tedesco, è ossessionata dalla presunta volontà di guerra dell’America. E quando si cerca di dimostrare anche a dei francesi che sono di estrema destra, che non hanno niente di comunista, i pericoli, interni per lo meno, che una simile politica porta, ci si sente rispondere, da persone che non sono poi gli ultimi cretini: «Ma perché poi non potremmo vivere come vive la Finlandia?».

Questa evoluzione non è né per oggi né per domani: c’è ancora chi resiste, debolmente ed inabilmente sulle vecchie posizioni che conosciamo: c’è ancora chi spera che si possa andare avanti non ratificando la CED, non riarmando la Germania, non facendo niente, in una parola. Ma è uno slittamento lento che procede ogni giorno un po’. I russi ed i loro amici all’interno agiscono con molta abilità, facendo giuocare tutte le corde, dalla guerra di Indocina alle accoglienze che Mosca fa alla Comédie Française. Gli americani sono in questo momento i migliori alleati dei russi; è vero che gli americani hanno tutto il mondo sulle spalle e che è difficile un’orchestrazione perfetta e di perfetta tonalità, ma essi sono in uno di quei periodi disgraziati in cui si commettono molti errori, di apparenza, di sfumatura o di sostanza.

Ma tutto questo costituisce certo un pericolo reale, serio, che bisogna prendere in considerazione per l’avvenire, e per noi tutti.

La prego di gradire, signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

173 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

173 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

173 3 Presumibilmente si riferisce al R. 0252 del 19 febbraio: vedi D. 118.

173 4 Vedi D. 168, nota 3.

174

L’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

L. 10750/113/54(2). Roma, 14 aprile 1954.

Eccellenza,

d’ordine del Governo di Sua Maestà Britannica ho l’onore di trasmettere all’Eccellenza Vostra l’accluso testo del discorso che il Ministro degli Affari Esteri terrà questo pomeriggio nei Comuni sull’argomento dell’accordo concluso fra il Governo Britannico ed i Governi della Comunità Europea di Difesa.

Il Signore Eden tiene particolarmente a ciò che Vostra Eccellenza sia messa personalmente al corrente di questo discorso prima che non sia pronunciato.

Confido che l’azione svolta dal Governo di Sua Maestà Britannica nel concludere il sopraccennato accordo e nel firmare la dichiarazione di cui la Vostra Eccellenza è già a conoscenza contribuirà materialmente alla causa che ci sta tanto a cuore(3).

Mi è assai gradita l’occasione per rinnovare all’Eccellenza Vostra i sensi della mia più alta considerazione.

Ashley Clarke

Allegato

We have agreed upon certain military arrangements. Our aim has been to confirm that British Forces will be present in strength on the continent before, and not after, any aggression begins. These arrangements will ensure the integration of British with EDC forces within NATO. In particular I would draw attention to the clause which provides for the inclusion of British Army and Air Force units in European formations under the Command of SACEUR, and vice versa.

I now desire to tell the House of the steps which HMG propose to take to fulfil the purpose of this clause. We are ready to place one of the British armoured divisions now in Germany within an EDC Corps. General Gruenther has been informed that we will do this as soon as the Corps in ready to receive it. As regards air co-cooperation, the Second Allied Tactical Air Force in Germany at present comprises UK, Belgian and Netherlands squadrons. When the European Air Forces have been formed, it is our intention that RAF units shall participate with European units in each Air Group controlled by a single HQ.

These arrangements are designed to last as long as they are desired by the Supreme Allied Commander. They re-inforce and fulfil the assurances and guarantees, which HMG have previously given to their European partners in the tripartite declaration and the UK-EDC Treaty of May 27, 1952.

The partnership, which we are building up between the UK and the EDC will lie within the wider NATO framework. So long as the threat to the western world remains, we and our partners must be prepared to keep in being over a period of years forces and weapons capable of deterring aggression and of providing effective security. HMG regard the Atlantic Alliance as fundamental to their policy. They can conceive of no circumstances in which they would wish to modify this policy or to denounce this Treaty. They regard NATO as of indefinite duration and are confident that it will develop as an enduring association for common action between the Member-States.

The arrangements made public today complete the policy followed by successive British Governments. They fulfil the pledges contained in the Washington communiqué of September 1951. Our intimate relations with our Western European neighbours, which found formal expression in the Treaty of Brussels, are extended and reinforced. To her old and new partners alike, the UK will be a loyal and resolute ally.

Per la risposta vedi D. 179.

174 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 33, fasc. 116.

174 2 Trasmessa da Prato alle Direzioni Generali degli Affari Politici e della Cooperazione Internazionale con Appunto 1/1182, pari data. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

174 3 Il 6 aprile, Piccioni e Clarke avevano avuto uno scambio di idee sul tema della CED il cui contenuto era stato così sintetizzato pochi giorni dopo da Zoppi a Quaroni: «Passando a parlare della Comunità Europea di Difesa l’Ambasciatore britannico si dichiara lieto che il Governo intenda presentare oggi al Parlamento il disegno di legge per la ratifica. Egli domanda se non sarebbe possibile adottare, per l’approvazione di tale provvedimento, la procedura d’urgenza. Il Ministro risponde che comunque la differenza di tempo sarebbe pressoché insignificante. L’On. Piccioni risponde affermativamente alla successiva domanda di Clarke se le ultime proposte britanniche di associazione alla CED possano avere un utile effetto anche in Italia per la ratifica del Trattato. L’Ambasciatore accenna quindi all’episodio Juin e alle sue eventuali conseguenze: egli dichiara che a Londra si è convinti della sincera volontà di Laniel, Bidault, Maurice Schumann e Pleven di ottenere l’approvazione parlamentare del Trattato; quella che appare ancora confusa è invece la situazione parlamentare, ed appunto in relazione a tale situazione Eden non ha ancora fatto le sue dichiarazioni ai Comuni sull’associazione britannica alla CED. Clarke si domanda se, nelle circostanze attuali, non sia possibile che l’Italia dia il buon esempio alla Francia in materia di ratifica. Il Ministro risponde che il Governo ha tutte le migliori intenzioni di accelerare la ratifica ma non ci si pud’altra parte nascondere che la nostra situazione è quella che è. L’Ambasciatore, che evidentemente ha sentito in questo un implicito riferimento al problema insoluto di Trieste, assicura nuovamente che il Ministro Eden sta personalmente ed incessantemente adoperandosi perché si addivenga ad una sollecita ed equa soluzione della questione. Il colloquio si chiude su un richiamo alla personale conoscenza fatta dal Ministro Piccioni e da S.E. Scelba con il Ministro Eden in occasione della visita che questi effettuin Italia poco prima del ritorno dei conservatori al potere» (L. Segr. Pol. 502 del 10 aprile 1954 in Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 39, fasc. 2).

175

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 010. Bonn, 15 aprile 1954.

Oggetto: Associazione della Gran Bretagna alla CED.

Ho riferito separatamente sull’accoglienza fatta a Bonn alla convenzione parafata a Parigi sui rapporti tra Inghilterra e CED. Alla Cancelleria federale, ove la portata della convenzione stessa è giudicata talmente vasta che avrebbe potuto essere considerata soddisfacente anche dai francesi, le reazioni negative di questi ultimi sono state fonte di rammarico ed hanno aumentato le perplessità esistenti sulla possibilità di veder ratificata la CED a Parigi in un ragionevole periodo di tempo.

Ho saputo confidenzialmente che il Vice Cancelliere Blher, attualmente a Londra, si è intrattenuto di cianche con Eden il quale è apparso amareggiato della accoglienza negativa che la proposta britannica ha trovato in molti ambienti francesi, anche non estranei allo stesso Governo. Egli avrebbe anzi aggiunto che, ove tali reazioni negative perdurassero, non si potrà sfuggire alla necessità di una nuova consultazione dei tre Governi alleati e di quello di Bonn per un riesame del problema tedesco. Non so quale portata abbiano queste reazioni inglesi; senza perche nessuno ne faccia ancora menzione, credo che debbano attribuirsi all’ipotesi pivolte ventilata, di una eventuale dissociazione dei trattati di Bonn e di Parigi nell’intento di restituire, in attesa che il problema del riarmo trovi una qualsiasi soluzione, la sovranità alla Repubblica federale.

175 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 33, fasc. 116.

176

L’AMBASCIATRICE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA, BOOTHE LUCE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

L.(2). Roma, 16 aprile 1954.

Signor Primo Ministro,

ho ricevuto istruzioni di inviarLe, da parte del Presidente degli Stati Uniti, il seguente messaggio(3):

«All’avvicinarsi del tempo in cui dovrà essere presa la storica decisione sulle misure che restano ancora da prender per fare entrare in vigore il Trattato della Comunità Europea di Difesa, ritengo conveniente stabilire in modo chiaro la posizione degli Stati Uniti nei confronti delle relazioni intercorrenti, da una parte, tra l’esercito europeo e la Comunità Europea, e dall’altra, tra l’organizzazione del Trattato del Nord Atlantico e la piampia Comunità Atlantica. Gli aspetti essenziali di tale posizione, che sono stati discussi con i dirigenti di entrambi i partiti politici del congresso, possono essere esposti in maniera molto semplice.

Gli Stati Uniti sono strettamente legati al Trattato del Nord Atlantico. Questo Trattato è in accordo con gli interessi fondamentali di sicurezza degli Stati Uniti e servirà costantemente gli interessi indipendentemente dalle fluttuazioni della situazione internazionale o dalle nostre relazioni con qualsivoglia Paese. Gli Stati Uniti terranno fede agli obblighi che si sono assunti in base al Trattato.

Il Trattato del Nord Atlantico ha un significato che va al di là degli obblighi reciproci che esso impone. Esso ha creato un attivo, pratico ed efficiente complesso di rapporti fra le Nazioni Atlantiche. Attraverso l’organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, gli Stati Uniti ed i loro alleati stanno lavorando alla costruzione di una forza concreta, necessaria per scoraggiare un’aggressione e, in caso tale aggressione avvenga, per fermarla senza che vi sia devastazione od occupazione di una qualsiasi delle Nazioni dell’organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Queste Nazioni stanno inoltre cercando di trasformare l’Alleanza Atlantica in una associazione duratura di popoli liberi, entro la quale tutti i membri possono unire i loro sforzi verso la pace, la prosperità e la libertà.

La Comunità Europea di Difesa formerà una parte integrante della Comunità Atlantica, e, entro tale quadro, assicurerà una cooperazione stretta e duratura tra le forze degli Stati Uniti e le forze della Comunità Europea di Difesa sul continente europeo. Sono convinto che l’entrata in vigore del Trattato della Comunità Europea di Difesa costituirà una base concreta per consolidare la difesa occidentale e condurrà, in Europa, ad una Comunità di Nazioni in continuo sviluppo.

Gli Stati Uniti confidano che, alla luce di tali principi, le Nazioni europee occidentali interessate procederanno rapidamente a sviluppare la Comunità Europea mediante la ratifica del Trattato per la Comunità Europea di Difesa. All’entrata in vigore di detto Trattato, gli Stati Uniti, agendo in conformità con i loro diritti ed obblighi scaturenti dal Trattato del Nord Atlantico, conformeranno il loro atteggiamento alle seguenti linee direttive di condotta e di azione:

1) Gli Stati Uniti continueranno a mantenere in Europa, inclusa la Germania, le unità delle proprie forze armate che siano necessarie ed adeguate per dare un equo contributo alle forze indispensabili alla Comune difesa dell’area del Nord Atlantico fino a quando esista una minaccia in tale zona, e continueranno a schierare tali forze secondo la strategia combinata Nord Atlantica mirante alla difesa di tale zona.

2) Gli Stati Uniti si consulteranno con i co-firmatari del Trattato del Nord Atlantico e con la Comunità Europea di Difesa su questioni di mutuo interesse, ivi compresa l’entità delle rispettive forze armate della CED, degli Stati Uniti e di ogni altra Nazione NATO che saranno poste a disposizione del Comandante Supremo in Europa.

3) Gli Stati Uniti incoraggeranno la pistretta collaborazione possibile fra le forze della Comunità Europea di Difesa da una parte e quelle degli Stati Uniti e NATO in genere dall’altra, in conformità con i piani approvati per quanto riguarda il loro comando, il loro addestramento, l’appoggio tattico e l’organizzazione logistica formata dagli organi militari e dai Comandanti Supremi della NATO.

4) Gli Stati Uniti continueranno, in conformità alle mie raccomandazioni al Congresso, a cercare di estendere alla Comunità Atlantica, un grado di maggiore sicurezza con fornire loro in piampia misura informazioni riguardanti l’impiego militare di nuove armi e di nuove tecniche per il miglioramento della difesa collettiva.

5) In accordo con tale politica di pieno e continuo aiuto per il mantenimento dell’integrità e dell’unità della Comunità Europea di Difesa, gli Stati Uniti considereranno ogni azione, da qualunque parte essa provenga, che minacci tale integrità od unità, come una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. In tal caso, gli Stati Uniti si consulteranno in conformità alle disposizioni dell’art. 4 del Trattato del Nord Atlantico.

6) In accordo con gli interessi fondamentali degli Stati Uniti al perdurare del Trattato del Nord Atlantico, e che furono manifestati al tempo della ratifica, il Trattato fu considerato di durata indefinita piuttosto che limitato ad un numero indefinito di anni. Gli Stati Uniti richiamano l’attenzione sul fatto che il cessare di essere parte del Trattato del Nord Atlantico apparirebbe completamente contrario ai nostri interessi di sicurezza quando è costituito sul continente europeo il solido elemento di unificazione rappresentato dalla Comunità Europea di Difesa»(4).

Cordialmente,

[Clare Boothe Luce]

176 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

176 2 Originale non rinvenuto; il documento edito è una copia in versione italiana su carta intestata della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale.

176 3 Il messaggio era stato inviato da Eisenhower ai Primi Ministri dei sei Stati firmatari della CED il 15 aprile e reso noto il giorno successivo (FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 1, D. 509 Editorial Note). Il testo del messaggio è edito in The Department of State Bulletin, 26 aprile 1954, pp. 619–620.

176 4 A commento del messaggio di Eisenhower, il Governo diramuna nota ufficiosa alla stampa italiana trasmessa con Telespr. 8/2868 del 17 aprile dall’Ufficio Stampa del Ministero degli AffariEsteri a tutte le Rappresentanze diplomatiche e consolari e p.c. alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Gabinetto, Ufficio Stampa, Segreteria On. Manzini, Servizio Informazioni, Ufficio Radiodiffusioni per l’Estero), ai Gabinetti del Ministero della Difesa e di quello dell’Interno, all’Ufficio I dellaDirezione Generale della Cooperazione Internazionale e all’Ufficio I degli Affari Politici. Il testo era del seguente tenore: «Il Governo Italiano, interessato come esso è alla ratifica del Trattato della CED ed al progressivo sviluppo di ogni azione intesa a facilitare l’integrazione politica ed economica dei paesi europei, ha apprezzato nel suo pieno valore il messaggio del Presidente degli Stati Uniti,riconoscendovi uno strumento valido a superare taluni tra i maggiori ostacoli esistenti alla ratifica del Trattato stesso. Nei circoli responsabili italiani si annette particolare importanza ai seguenti punti che si desumono dal messaggio: l) colla ratifica della CED da parte degli Stati che la compongono, gliStati Uniti assumono solennemente e pubblicamente l’impegno di partecipare direttamente alla difesa dell’Europa dal golfo di Trieste alle foci dell’Elba. Con questa decisione il Governo degli Stati Unitiparifica l’importanza della difesa dell’Europa libera a quella del suo stesso territorio nazionale e dissipa ogni dubbio sulla portata e sul significato della strategia periferica; 2) La decisione americana diassociarsi sempre pistrettamente all’Europa e di rendere sempre pipartecipi le Nazioni Europee a tutte le decisioni che possono coinvolgere la sicurezza comune e la libertà di ciascuno; 3) L’impegno di mantenere le truppe americane in Europa costituisce, insieme alla garanzia britannica annunciatadal Ministro Eden, un ulteriore e determinante contrappeso al pericolo di una rinascita del militarismo tedesco; 4) L’estensione della collaborazione americana alle Nazioni europee anche in campi militarisin qui tenuti gelosamente riservati. Da parte italiana non si possono non considerare favorevolmente le decisioni americane che seguono a breve distanza quelle già negoziate con il Governo britannico. Esse vengono giudicate altamente indicative di una concorde volontà delle due grandi democrazieanglo-sassoni di affiancare prima e dopo la ratifica del Trattato della CED le nazioni europee anche nella soluzione di loro problemi particolari» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 106).

177

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 5505/2005. Washington, 17 aprile 1954.

Oggetto: Comunità Europea di Difesa. Assicurazioni americane.

Riferimento: Telegramma di questa Ambasciata n. 152 del 25 marzo u.s. e telespresso di questa Ambasciata n. 4502/1702 del 1° aprile corrente(2).

Le prime reazioni pervenute al Dipartimento di Stato dalle sei capitali interessate circa il messaggio di Eisenhower(3)a proposito dei rapporti Stati Uniti-CED vengono giudicate dal Dipartimento stesso pienamente soddisfacenti. Quella che più interessa qui è naturalmente la reazione francese, la quale non è stata meno favorevole di quella degli altri cinque Governi; pertanto le prospettive sembrano buone per quanto concerne la fissazione da parte del Governo francese della data in cui il progetto di legge per l’approvazione del trattato stesso verrà presentato al Parlamento.

Minore ottimismo esiste per quanto concerne lo svolgimento e i risultati del dibattito parlamentare; nonostante ciqui si è decisi ad andare avanti, poiché si vuole uscire al più presto dalla attuale situazione di incertezza. Il Governo americano ritiene di aver fatto da parte sua tutto il possibile per superare le difficoltà francesi: la pubblicazione delle assicurazioni britanniche e di quelle americane prima ancora che a Parigi fosse fissata la data dell’inizio del dibattito parlamentare prova che qui si è ritenuto necessario fare delle ulteriori concessioni; d’altra parte il Dipartimento di Stato ha esercitato discretamente ogni opportuna influenza sul Cancelliere Adenauer per favorire il raggiungimento di un compromesso sul problema della Sarre.

Esaurita in tal modo ogni possibile azione per l’adempimento delle pre-condizioni poste dai francesi, gli americani lasceranno a questi ultimi la responsabilità delle definitive decisioni. ciò nonsignifica tuttavia che da parte americana non si cercherà di svolgere un’azione di fiancheggiamento per rafforzare la posizione del Governo Laniel di fronte al Parlamento, azione che potrà essere attuata sia nei confronti dei problemi asiatici (prossima Conferenza di Ginevra) sia nei confronti di quelli europei (Comunità politica europea).

L’analisi del testo del messaggio di Eisenhower dimostra, a giudizio del Dipartimento, che il Governo americano considera tuttora la CED come unico mezzo per risolvere effettivamente il problema dell’integrazione oltre che quello della difesa dell’Europa. Non vi è infatti alcun sintomo che possa interpretarsi come accenno alla possibilità di alternative.

Gli Stati Uniti si impegnano invece a fondo sulla strada finora percorsa. Tale atteggiamento non mancherà di riflettersi nella posizione che Dulles e la Delegazione americana assumeranno alla prossima sessione del Consiglio Atlantico.

Come si ricava dalla suddetta analisi, il Governo americano ha inteso rassicurare i sei Governi membri della CED su diversi punti, che sono stati in questi ultimi mesi oggetto di preoccupazioni e di vivace dibattito e cioè: l’America considera la NATO soprattutto un mezzo per prevenire l’aggressione sovietica e, se l’aggressione dovesse comunque aver luogo, fermare l’aggressore su una linea quanto piavanzata possibile in modo da impedire la devastazione o l’occupazione dei Paesi membri (preambolo); le truppe americane rimarranno in Europa finché esiste un pericolo di aggressione ed i loro effettivi non saranno ridotti senza previe intese fra i vari Paesi interessati (par. 1 e 2); vengono poi confermate le assicurazioni date al momento della firma del Trattato di Parigi circa l’intervento americano in caso di dissidi interni della CED, assicurazioni che equivalgono ad una garanzia data alla Francia nei confronti della Germania (par. 5); si ricorda infine che la durata del Patto Atlantico è sostanzialmente considerata indeterminata e si dà assicurazione che gli Stati uniti non intendono avvalersi del termine facoltativo dei venti anni, superando così il dislivello fra il termine ventennale previsto dal Trattato del Nord Atlantico e quello cinquantennale previsto dal Trattato CED (par. 6).

Il messaggio di Eisenhower non contiene, come si vede, nulla di nuovo rispetto agli impegni formalmente già assunti dagli Stati Uniti e dalla politica finora da essi seguita in pratica. L’importanza del documento risiede piuttosto nel fatto che con esso il Governo americano ha dissipato molti dubbi sorti in seguito all’annunziata «nuova strategia» e alle numerose dichiarazioni pubbliche fatte in questi ultimi mesi da esponenti del Governo americano, in primo luogo il Segretario di Stato. In tal modo il messaggio di Eisenhower può avere la funzione di armonizzare i nuovi concetti strategici con la tradizionale politica della Comunità Atlantica. Esso viene così ad inserirsi nelle direttive politico-militari caldeggiate anche dal Governo britannico e dimostrate sia dal recente accordo Gran Bretagna-CED sia dal Libro Bianco britannico del febbraio scorso.

Infine il messaggio di Eisenhower costituisce indirettamente una prima risposta alla recente nota sovietica circa i problemi della sicurezza europea(4), nota che mirava soprattutto a creare nuovi dissensi fra gli occidentali ed a intralciare ulteriormente la realizzazione della CED.

Le reazioni degli ambienti del Congresso sono state piuttosto sfavorevoli per quanto concerne la procedura seguita dal Presidente ma non, in via di massima, nei riguardi del problema di fondo. Parlamentari dei due partiti hanno espresso il loro disappunto per il fatto che il Congresso non era stato consultato prima della pubblicazione del messaggio ed hanno sottolineato la necessità di un dibattito sull’argomento, tenendo presente la risoluzione votata nell’aprile 1951 per autorizzare l’invio di truppe in Europa. Queste dichiarazioni potrebbero sembrare in contrasto con quanto affermato da esponenti dell’Amministrazione, secondo i quali il Presidente non avrebbe mancato di consultarsi con i rappresentanti del Congresso: la cosa si spiega col fatto che Eisenhower aveva in precedenza accennato al problema e alla sua intenzione di inviare il messaggio in via, per generica, sicché i Parlamentari si aspettavano che l’argomento fosse ulteriormente discusso e che il testo del messaggio fosse loro sottoposto prima di essere reso pubblico.

Il Presidente della Commissione degli Affari Esteri del Senato Wiley ha cercato di risolvere il contrasto rilevando che il messaggio di Eisenhower non costituisce alcuna sostanziale alterazione della politica americana ed ha sottolineato che l’azione del Governo americano ha lo scopo di facilitare l’adesione al Trattato CED da parte dei due Paesi, la Francia e l’Italia, che tuttora esitano.

177 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 9.

177 2 Riferendosi al precedente Telespr. 3741/1441 del 20 marzo (vedi D. 151) Tarchiani aveva così sintetizzato nel telegramma le iniziative del Governo statunitense: «Dipartimento di Stato [ha] interpretato ultimi sviluppi atteggiamento francese su CED in senso nettamente negativo, osservando tra l’altro che questione sta avvicinandosi al punto in cui ulteriori rinvii equivarrebbero a definitivo rifiuto. Dipartimento sente necessità sostenere posizione Adenauer. Esso pertanto è intervenuto energicamente su questione emendamento costituzione tedesca ed è ora soddisfatto compromesso raggiunto. Sta studiando ora possibilità aderire desideri francesi per quanto concerne precedenza pubblicazione testo accordo Gran Bretagna CED e assicurazioni americane rispetto a fissazione data inizio dibattito Parlamento francese. Dipartimento inoltre si sta adoperando per nuovo incontro Adenauer-Bidault che, superando divergenze esperti, riconduca problema Saar su basi progetto Van Naters e consenta stabilire intese di massima. Tutto ciò richiederà tempo e d’altra parte è noto socialisti francesi non si sentono affrontare dibattito prima tre o quattro settimane. Pertanto non potrannosi registrare concreti sviluppi prima Conferenza Ginevra. Dipartimento ha tuttavia avvertito Parigi che non crede possibilità effettive concessioni sovietiche per Indocina e che comunque non è disposto abbandonare sua nota posizione confronti Cina comunista» (T. segreto 3149/152, in DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 108). Nel Telespr. 4502/1702 Tarchiani sviluppava gli stessi argomenti in maniera piestesa (Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 28, fasc. 774).

177 3 Vedi D. 176.

177 4 Del 31 marzo: vedi FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 1, D. 252.

178

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 4363/398(2). Parigi, 20 aprile 1954, ore 20,45 (perv. ore 21).

Notizia apparsa su stampa odierna che Governo francese si propone ricercare con altri firmatari trattato CED mezzi per rafforzare controllo democratico su comunità difensiva mi è stata confermata da Ministro Seydoux.

Questi, sottolineando carattere confidenziale nostra conversazione ma dicendosi espressamente autorizzato a parlarmi da Segretario di Stato Maurice Schumann, mi ha sostanzialmente preannunciato che iniziativa in tal senso sarà effettivamente presa prossimamente.

Come noto e come stesso Seydoux ha ripetuto, si tratta essenzialmente di un problema di politica interna francese: quello di soddisfare l’ultima delle condizioni sospensive poste da socialisti per votare CED in modo che Mollet possa raccogliere intorno sua corrente maggior numero possibile suffragi al prossimo congresso SFIO, anche se programma massimo di imporre disciplina partito appare oggi difficilmente realizzabile. Governo avrà infatti bisogno dell’apporto di voti tanto da destra quanto da sinistra perché una impostazione a senso unico non potrebbe riuscire, date divisioni interne nei partiti in tema europeismo.

Non sembra che Quai d’Orsay abbia ancora definitivamente messo a punto forma e tenore suo passo: se cioè «controllo democratico» (per evitare tendenza temuta da socialisti che CED possa diventare troppo indipendente tecnocrazia) debba essere assicurato attraverso trattato CED ovvero nel quadro CPE. Prima ipotesi sembra perpiprobabile purché credo si consideri pericoloso, alla vigilia dibattito parlamentare, insistere troppo su CPE essendo proprio successivi sviluppi europeistici CED invisi a forti gruppi, mentre d’altro canto belgi e sopratutto olandesi potrebbero essere disposti a integrare trattato CED nel senso desiderato da socialisti ma quasi certamente si opporrebbero a dar vita a simili limitate misure (che dovrebbero concretarsi in Assemblea eletta a suffragio diretto) sotto etichetta comunità politica.

Ritengo perche, anche in tal caso, francesi proporrebbero che principi eventualmente adottati per Assemblea CED venissero applicati anche a quella CECA per evitare che due comunità fossero controllate da organi parlamentari di formazione diversa.

178 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

178 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

179

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, ALL’AMBASCIATORE DEL REGNO UNITO A ROMA, CLARKE(1)

L. 21/1025. Roma, 20 aprile 1954.

Eccellenza,

La prego di esprimere al Ministro degli Affari Esteri di Sua Maestà Britannica i miei ringraziamenti per avermi cortesemente comunicato in anticipo il testo delle Sue dichiarazioni del 14 corrente ai Comuni(2), relative all’accordo tra il Regno Unito e gli Stati firmatari del Trattato della Comunità Europea di Difesa.

Il Governo italiano ha preso atto con soddisfazione delle parole pronunciate dal Ministro Eden ai Comuni, che sottolineano quello spirito di aperta e sincera collaborazione che ispira l’accordo.

Il Governo italiano ha apprezzato in tutto il suo valore la decisione del Governo Britannico che pone le basi di una associazione stretta e permanente tra il Regno Unito e la futura Comunità e Le sargrato di farsi interprete presso il Suo Governo di tali sentimenti.

Mi è particolarmente gradita l’occasione per rinnovare a Vostra Eccellenza i sensi della mia più alta considerazione.

[Attilio Piccioni]

179 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 33, fasc. 116.

179 2 Vedi D. 174.

180

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. 523/419. Parigi, 24 aprile 1954, ore 9,25.

Mentre mi riservo di esporti in dettaglio risultati Conferenza e conversazioni, ne riassumo qui di seguito i punti essenziali(2).

1) Conferenza Atlantica. Nonostante la sua estrema brevità, è stato possibile procedere scambi di idee sulla situazione politica generale. Nostri interventi hanno messo in risalto la fedeltà atlantica dell’Italia, la sua nota posizione nei riguardi della ratifica CED, la necessità intensificazione consultazioni fra gli Alleati, specialmente per le decisioni più gravi. Inoltre vi è stata adesione al principio del non riconoscimento del Governo della Germania orientale.

Nel corso della Conferenza non è stato menzionato il progetto del Patto militare balcanico.

2) Colloqui bilaterali con Eden, Bidault, Dulles(3)e Ministro greco:

a) Patto Atlantico. Con il Ministro greco, come con gli altri, mi sono espresso nella maniera piesplicita per sottolineare che nessuna potenza atlantica può concludere una intesa militare con un Paese estraneo all’organizzazione NATO, e situato in area particolarmente interessante schieramento Paesi occidentali senza previo unanime consenso dei membri del NATO. Inoltre, per quanto riguarda Italia ho aggiunto che essa non darà il suo consenso prima che suoi rapporti con la Jugoslavia non siano normalizzati. I miei interlocutori hanno riconosciuto tutto il peso delle nostre argomentazioni.

b) Trieste. Con Dulles, Bidault ed Eden ho messo in rilievo ripercussioni questione su ratifica CED e su vigorosa azione anticomunista iniziata da tempo secondo linee tua lettera a Dulles(4). Tutti hanno detto rendersi conto della nostra posizione ed hanno confermato voler compiere ogni sforzo per raggiungere una soluzione accettabile. Prevedono poterci comunicare conclusione loro sondaggi con Belgrado entro due settimane e nutrono fiducia che tali conclusioni potranno costituire base per ulteriori conversazioni italo-anglo-americane a Londra. Ministro Eden ha aggiunto che considera in particolare eliminazione controversia per Trieste quale elemento importante per auspicata ripresa dei rapporti fra Roma e Londra.

In considerazione della delicatezza fase attuale circa problemi sopra specificati, mi permetto far presente la necessità di mantenere assoluto riserbo per evitare indiscrezioni giornalistiche al di là delle dichiarazioni oggi da me fatte ai giornalisti italiani.

180 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 39, fasc. 2.

180 2 Al riguardo si veda l’appunto di Magistrati al D. 181.

180 3 Sui colloqui con Dulles a margine del Consiglio Atlantico vedi anche vedi FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 187.

180 4 Vedi D. 160.

181

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto segreto 21/1064. Roma, 25 aprile 1954.

APPUNTO SULLA XIII RIUNIONE DEL CONSIGLIO ATLANTICO AL LIVELLO MINISTRI (Parigi, Palais de Chaillot, 23 aprile 1954)

La XIII Riunione del Consiglio dei Ministri dei Paesi dell’Alleanza Atlantica ha avuto luogo, secondo quanto era stato da tempo convenuto, il 23 aprile 1954 al Palais de Chaillot (è forse questa una delle ultime volte nelle quali si sarà fatto uso di questo padiglione destinato oramai alla demolizione ed in vista anche del fatto che il Governo francese, secondo quanto è stato ufficialmente annunciato dal suo Ministro degli Esteri, ha deciso di donare un terreno sito nella zona della Porte Dauphine e sul quale verrà costruito, in forma definitiva, il nuovo edificio per il Segretariato Generale dell’Organizzazione atlantica).

La riunione è stata presieduta dal Ministro degli Affari Esteri di Francia e presidente di turno, Signor Bidault, e vi hanno preso parte, questa volta, soltanto i Ministri degli Affari Esteri con esclusione, quindi, a differenza di quanto era avvenuto dalla Conferenza di Ottawa in poi, dei Ministri della Difesa e delle Finanze dei singoli Paesi: e ciò perché alla XIII Sessione – che è stata denominata, per la sua brevità, la «Conferenza lampo» – si è voluto dare un contenuto unicamente politico dovendo essa costituire, all’indomani della Conferenza di Berlino ed alla immediata vigilia di quella di Ginevra, la sede opportuna per uno scambio di idee ad alto livello tra i Rappresentanti dei Paesi alleati proprio mentre sono in corso discussioni politiche di grandissima importanza ai fini stessi dell’Alleanza.

L’Italia vi è stata rappresentata, per la prima volta, dal nuovo Ministro degli Affari Esteri On. Piccioni, mentre il Belgio ha avuto alla testa della sua Delegazione il suo nuovo Ministro degli Esteri, sig. Spaak. Assente il Ministro degli Affari Esteri di Turchia, trattenuto nel suo Paese per le imminenti elezioni politiche.

L’Ordine del Giorno della riunione, in precedenza fissato dal Segretario Generale Lord Ismay in accordo con i Rappresentanti Permanenti a Parigi, non conteneva – una volta escluse, si ripete, tutte le questioni specifiche di carattere militare ed economi-co-finanziario – che pochissime indicazioni, di cui la principale era costituita da un previsto «scambio di idee» sulle questioni politiche di comune interesse.

La abituale relazione del Segretario Generale che, come è noto, viene da lui fatta all’inizio di ogni Sessione, non è apparsa contenere alcun elemento veramente nuovo e capace di suscitare particolari reazioni e discussioni: l’Organizzazione, che ha celebrato, proprio in questi giorni, il suo quinto anniversario dalla stipulazione, avvenuta il 4 aprile 1949, del Patto, può dirsi oramai definitivamente costituita in tutti i suoi elementi ed in tutti i suoi Comitati e Gruppi di Lavoro e procede innanzi senza eccessive

scosse. Quanto all’azione prettamente politica, in buona parte costituita dalla raccolta

e dal vaglio delle notizie ed informazioni relative agli sviluppi dell’azione e degli intendimenti del Blocco sovietico, un nuovo rapporto, compilato a cura del Segretariato stesso ed approvato dai Paesi alleati, ha permesso di conoscere e seguire in dettaglio l’opera svolta dal Governo del Kremlino nell’anno succeduto alla morte del dittatore sovietico.

I 14 Ministri degli Affari Esteri, nel prendere buona nota dell’esposizione fatta da Lord Ismay, hanno, nel comunicato finale della riunione, affermato la sempre maggiore importanza dell’efficace cooperazione che si sviluppa in seno all’Alleanza, cooperazione che «sorpassa gli obblighi formalmente contratti dai Governi firmatari» e ciò perché l’Alleanza Atlantica costituisce oramai e sempre più«l’elemento fondamentale della politica dei rispettivi Governi».

Su tale principio essenziale, il Ministro On. Piccioni, nel suo intervento di approvazione e di commento al rapporto di Lord Ismay e di indicazione degli intendimenti generali, nelle attuali circostanze, del Governo di Roma, si è così espresso: «L’unione delle volontà e delle intenzioni che le 14 Nazioni qui rappresentate hanno opposto al pericolo che le minacciava, ha portato i suoi frutti: la pace è stata conservata in Europa: l’Occidente, forte del suo accresciuto potere difensivo, non è piobbligato a seguire l’iniziativa altrui e puesercitare la sua influenza con una efficacia sempre più grande sulla evoluzione degli eventi internazionali. Noi siamo dunque sulla buona strada e su di essa dobbiamo mantenerci. La volontà attiva che ispira tutta l’azione del mio Governo riguarda una pilarga, fattiva e coordinata integrazione di forze. Spesso è stato ripetuto che la pace – scopo supremo della nostra azione – è indivisibile: perché ciò possaverificarsi, è necessario che la preparazione per salvaguardare la pace stessa, sia anch’essa indivisibile».

E ha aggiunto: «La coscienza del pericolo che potrebbe mettere in causa la pace è chiara ed aperta. Il NATO costituisce lo strumento maggiormente adatto per fronteggiare un tale pericolo e la nostra comune volontà deve renderlo sempre piefficace. Ecco perché noi Italiani, tenendo sempre ben presente allo spirito l’articolo 2 del Patto, amiamo spesso parlare di “Comunità Atlantica” anziché di “Alleanza Atlantica”».

La questione della formazione della Comunità Europea di Difesa – oggetto attualmente di infinite discussioni e polemiche in seno alle opinioni pubbliche di importanti Paesi, tra i quali l’Italia – e lo specifico problema della ratifica del Trattato di Parigi del 1952 da parte della Francia e dell’Italia non hanno fatto oggetto, questa volta, di una vera e propria trattazione in seno alla riunione: e cia differenza di quanto avvenne nella Sessione dello scorso dicembre(2), allorché la polemica franco-americana ebbe ad assumere, anche per le sue immediate rifrazioni di stampa e di opinione pubblica, battute agro-dolci per non dire violente. Questa volta, il Segretario di Stato americano, Foster Dulles, evidentemente perché ammaestrato da quella esperienza e sopratutto per non mettere il Governo di Francia, alla vigilia della delicatissima Conferenza di Ginevra, in una posizione di estremo imbarazzo, ha rinunciato a porre domande e quesiti precisi.

ciò non di meno la questione, con tutte le sue rifrazioni nei confronti del rafforzamento degli apprestamenti militari della difesa, non poteva essere passato [sic] del tutto sotto silenzio. E quindi il Consiglio Atlantico, nel manifestare la propria soddisfazione per le recenti ratifiche del Trattato per la CED, intervenute in questi mesi in Olanda, nel Belgio e nel Lussemburgo, ha tenuto a porre in rilievo l’importanza delle recentissime decisioni prese, come è noto, dai Governi del Regno Unito e degli Stati Uniti(3), in merito alla loro cooperazione con quella Comunità allo scopo di porre chiare basi alla loro stretta e durevole associazione per la difesa del continente europeo.

Su questo argomento, il Ministro, On. Piccioni, nel confermare come il Governo di Roma abbia già provveduto a nuovamente presentare al Parlamento italiano, per la ratifica, il Trattato di Parigi, ha aggiunto: «Il Governo Italiano considera la Comunità Europea quale una realizzazione fondamentale della politica europeista che esso persegue da anni. Il Governo, quindi, intende fare tutto il possibile perché la procedura atta a permettere all’Italia di unirsi ai Paesi che hanno già ratificato gli Accordi, sia completata senza inutili ritardi. A tale proposito tutto quanto i Governi dei Paesi amici potranno, per parte loro, compiere per consentire che le difficoltà tuttora esistenti siano sormontate e perché, in particolare, l’opinione parlamentare e pubblica democratica italiana possa riunirsi sempre più intorno al Governo nella sua politica europeista, formerà una contribuzione oltremodo positiva alla nostra causa comune. Ecco perché il Governo Italiano ha salutato con soddisfazione le due recenti importantissime realizzazioni in questo senso, costituite dai nuovi accordi tra il Regno Unito e la CED e dal messaggio del Presidente degli Stati Uniti».

La questione della CED ha avuto, infine, una sua nuova battuta in seno alla XIII riunione (e specialmente nella breve seduta «segreta» pomeridiana alla quale hanno preso parte soltanto i Ministri degli Affari Esteri, i Rappresentanti Permanenti ed alcuni pochissimi loro collaboratori) allorché si è fatto cenno all’interessante discussione recentemente sorta in alcuni Paesi circa l’abbinamento nel tempo tra il Patto Atlantico e gli Accordi di Parigi del 1952: e ciò perché, mentre il Trattato CED esplicitamente prevede una sua durata di 50 anni, il Patto Atlantico prevede che allo scadere del ventesimo anno dalla sua firma ogni Paese contraente sarà libero di annunciare il suo ritiro dall’Organizzazione.

Ora, come è noto, il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno recentemente fatto conoscere come essi non siano alieni dal dare un certo affidamento – e su questo punto il Segretario di Stato Foster Dulles è stato alquanto esplicito – «sempre e qualora la CED venisse ratificata ed attuata», perché la loro partecipazione all’Alleanza Atlantica sia prolungata «a tempo indefinito» e cioè oltre il ventesimo anno. Con tale assicurazione verrebbe effettivamente placato il dubbio francese di vedere la CED ad un certo momento abbandonata a sé stessa e cioè ad una sempre crescente influenza tedesca nel suo seno.

La discussione in merito – ed in essa il Ministro On. Piccioni ha confermato come anche in Italia il Patto Atlantico sia considerato uno strumento diplomatico a tempo «indefinito», pur restando libera la volontà di ciascun Paese di ritirarsi allo scadere del ventesimo anno – non ha portato ad alcuna precisa risoluzione ma ha creato la sensazione che effettivamente quelle preoccupazioni francesi, utili comunque per la chiarificazione della questione, dovrebbero nel tempo dimostrarsi eccessive in quanto che l’Alleanza Atlantica appare destinata a lavorare e ad agire senza limitazioni di tempo e quindi in abbinamento permanente con la CED.

Un altro argomento interessante è stato quello relativo alla necessità – sempre, ed anche molto recentemente, propugnata dall’Italia – di una maggiore e regolare consultazione preventiva tra i Governi dei Paesi atlantici in merito ai problemi di comune interesse: argomento che, come è noto, ha costituito negli ultimi tempi oggetto – in merito anche alle polemiche sull’eventuale impiego delle armi atomiche – di discussioni in seno ai Parlamenti ed alla stampa dei singoli Paesi.

I doveri ed i rischi di ciascuno degli Alleati costituiscono infatti – come ha opportunamente fatto rilevare l’On. Piccioni – un’eguaglianza di posizioni e di situazioni che non va dimenticata. Ogni sforzo quindi deve essere compiuto per la realizzazione di un sistema di consultazioni sempre più intimo ed efficace: impostazione, questa, che ha finalmente trovato la sua eco in una speciale risoluzione, approvata nel corso della XIII Sessione, per cui il Consiglio Permanente di Parigi dovrà essere messo in grado dai singoli Governi di tempestivamente provocare una consultazione politica in modo che ciascun membro sia messo in condizione di esporre le proprie idee ed i propri intendimenti sull’azione che dovrà essere perseguita dall’Alleanza.

Prendendo, infine, in considerazione la necessità di un sempre maggiore coordinamento pratico nell’azione politica dei Paesi Atlantici, in merito al «colloquio» con il Governo sovietico, con particolare riguardo alla situazione della Germania, il Consiglio ha stimato opportuno porre in chiaro come esso non possa non approvare l’intenzione dei Governi membri di non riconoscere la sovranità della pretesa «Repubblica Democratica Tedesca» e di non trattare, di conseguenza, le autorità tedesche di quella zona orientale, quali formanti un Governo: in tale senso è stato dato incarico ai Rappresentanti Permanenti di redigere al più presto una vera e propria risoluzione in merito. Il Governo Italiano ha in proposito, per bocca dell’On. Piccioni, esplicitamente confermato il suo intendimento di negare ogni consistenza giuridica e politica al cosi-detto «Governo di Pankow».

Nel corso della riunione non è stata fatta parola né del patto balcanico e delle sue connessioni con il NATO (e ciprincipalmente per il fermo atteggiamento subito assunto dalla Delegazione italiana) né della questione di Trieste.

Prima di chiudere la sua breve Sessione e dopo aver ascoltato una esposizione accorata del Ministro Bidault in merito ai gravi sacrifici sostenuti dalla Francia nella campagna indocinese, il Consiglio ha tenuto a rendere omaggio al valore delle forze dell’Unione francese che negli attuali difficili momenti combattono in quelle terre lontane ed ha espresso la speranza che l’imminente Conferenza di Ginevra possa dare risultati positivi.

Questa volta la riunione dei Ministri Atlantici ha avuto un molto interessante corollario. Il Comandante in Capo delle Forze Atlantiche in Europa, generale Gruenther, ha, infatti, ritenuto opportuno invitare presso di sé, nella sede del suo Comando, i Ministri stessi per esporre loro, in una esauriente illustrazione, gli attuali aspetti militari della difesa atlantica. Egli, sulla scorta di carte geografiche e dati informativi, ha, con parola piana e convincente, messo in luce da una parte i risultati raggiunti dall’organizzazione militare esistente oggi alle sue dipendenze e dall’altra la necessità di perseverare nello sforzo difensivo in corso. In realtà allo schieramento totale sovietico già noto e formato sempre, nel complesso, da 175 Divisioni (molte delle quali in completa ed ottima efficienza) alle quali devono aggiungersi 80 Divisioni (alcune delle quali, e specialmente le bulgare, in buone condizioni) degli Stati satelliti, gli Alleati possono opporre attualmente una cinquantina di divisioni di prima linea ed un’altra cinquantina da apprestarsi nelle settimane susseguenti allo scoppio di una crisi. Il dislivello permane tuttora anche nel campo dell’aviazione in vista anche della progressiva e rapida trasformazione delle forze aeree sovietiche in aeronautica a reazione anziché a pistone. Da qui la assoluta necessità (ed identicamente del resto si era espresso, in precedenza, il Segretario di Stato Foster Dulles nel corso della riunione «segreta» alla quale si è sopra accennato) di riempire il «gap» esistente a mezzo di un impiego di armi nuove, nel cui campo gli Alleati, e cioè praticamente gli Stati Uniti, mantengono ancora una netta supremazia nei confronti del Blocco sovietico.

Foster Dulles ed il Generale Gruenther (ai quali è venuto ad aggiungersi anche il giovane Comandante in Capo delle Forze Aeree Alleate in Europa, Generale americano Nordstat) hanno molto insistito perché gli Stati Alleati comprendano come attualmente qualsiasi volontà aggressiva sovietica possa essere contenuta e neutralizzata soltanto dal timore dello scatenamento di una reazione atomica da parte alleata. In altre parole la pace, dato il dislivello esistente nel settore militare normale, può essereconservata soltanto con l’incutere ai dirigenti del Kremlino il rispetto dovuto alla superiorità atomica americana (e sull’argomento il Generale Gruenther non ha mancato di dare visione ai Ministri convenuti dell’impressionante pellicola cinematografica presa in occasione degli esperimenti di bombardamento atomico effettuati nel Pacifico del 1952). Situazione, questa, che deve essere considerata con molta attenzione da parte degli Stati Alleati e specialmente da quelli che appaiono nutrire tuttora gravi perplessità in merito al proseguimento degli studi intesi a migliorare la supremazia atomica dell’Alleanza Atlantica.

Il Generale Gruenther ha inoltre accennato all’altro elemento considerato del tutto necessario ai fini di un effettivo potenziamento del sistema difensivo alleato in Europa da spingersi, per quanto possibile, ad oriente e non limitato quindi alla linea, di difficile difesa, del Reno, e cioè ad un apporto di forze tedesche previsto nella cornice di una Comunità Europea di Difesa. La prolungata assenza di tale apporto porrebbe il Comando Atlantico in gravi difficoltà e non potrebbe, alla lunga, non indurlo a riconsiderare tutti i suoi piani difensivi.

In riassunto, quindi, il «gap» militare tuttora esistente non soltanto non può permettere una diminuzione dello sforzo organizzativo in corso da parte dei singoli Paesi alleati ma puessere, se non del tutto almeno in buona parte, riempito soltanto – dato che i bilanci finanziari dei Paesi europei non permettono attualmente di accrescere le loro spese militari – da: 1) il mantenimento della supremazia atomica e la persuasione di Mosca che ad una sua aggressione contro gli Alleati questi risponderebbero con una reazione senza esclusione di colpi, 2) un apporto effettivo tedesco, calcolabile, oggi, nella cornice CED in 12 Divisioni.

Quali note ottimistiche, il Generale Gruenther ha messo in rilievo come attualmente lo «scudo» protettivo militare alleato sia già abbastanza forte da rendere necessario, in caso di aggressione sovietica, un maggiore concentramento di forze da parte del Comando Supremo di Mosca, dato che le attuali sue 40 Divisioni in armi nelle zone e paesi ad oriente dell’Elba non sarebbero pisufficienti a perseguire un’azione di sfondamento: e ciò nonpasserebbe inosservato agli organi informativi atlantici con conseguente annullamento dell’elemento sorpresa. E ha aggiunto che anche in tema di protezione aerea, specialmente attiva, si vanno facendo progressi sia nella dislocazione delle reti di avvistamento, sia nel miglioramento della velocità di elevazione e di azione degli apparecchi da caccia e anche da bombardamento.

La XIV Sessione Atlantica è prevista per il tardo autunno: ed allora verranno presi in considerazione, secondo la normale prassi della «Revisione Annuale», i problemi specifici militari e relativi alle interferenze economico-finanziarie dello sforzo difensivo dei singoli Paesi.

Naturalmente, dati gli importantissimi sviluppi politici della situazione in corso, con particolare riguardo alla Conferenza di Ginevra, i Ministri Atlantici potranno riunirsi in sessione straordinaria, a qualsiasi momento, qualora cifosse ritenuto necessario, in modo da tempestivamente provvedere a quelle consultazioni di cui si è fatto chiaro cenno ed alle quali si è preso impegno nel corso della XIII Sessione.

181 1 Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 39, fasc. 2.

181 2 Vedi DD. 71-73.

181 3 Vedi DD. 172, 174-176.

182

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, AL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO(1)

T. urgente(2). Roma, 28 aprile 1954, ore 12.

Oggetto: Accordi CED. Controllo democratico su Comunità.

Suo 426(3).

Come Ella sa, la proposta relativa al rafforzamento del controllo democratico delle comunità, così come è stata presentata da parte francese(4), non manca di suscitare in noi alcune riserve. Nell’intento di venire ancora una volta incontro alle difficoltà del Governo francese accettiamo tuttavia di esaminare tale proposta. Per quanto concerne in particolare il testo in esame ci domandiamo se l’impiego della formula «assemblée élue» usata al posto di quella «assemblée élue suffrage universel direct» abbia nella mente del Governo francese particolare significato e quale; secondo noi non dovrebbe averne. Comunque lasciamo al Governo francese di valutare la piopportuna formula da impiegare in relazione alle sue particolari esigenze interne.

Quello che invece suscita i nostri dubbi e richiede opportuno chiarimento è la portata sostanziale del terzo capoverso. Noi lo interpretiamo nel senso che, ratificato il Trattato di Parigi, la CED entrerà immediatamente in funzione con l’Assemblea quale è attualmente (completata secondo l’articolo 33) e contemporaneamente i Governi procederanno alla messa a punto delle Convenzioni necessarie per dare esecuzione all’accordo di principio ora proposto. È questa l’interpretazione esatta? E, in caso positivo, si pensa che essa possa realmente soddisfare le esigenze parlamentari del Partito Socialista, cui l’Accordo in questione intende soddisfare?

Quanto all’eventuale soppressione delle parole «après la ratification du Traité», suggerita dall’Onorevole Lombardo, è da tener presente che essa lascia adito equivoco se elaborazione Convenzioni debba precedere aut seguire ratifica. Nel primo caso si avrebbe come conseguenza ulteriore rinvio ratifica stessa.

Ove dubbi suesposti siano convenientemente chiariti S.V. potrà dare sua adesione at accordo di principio. Chiediamo comunque, per chiarezza, che ultimo periodo dichiarazione leggasi: «Queste Convenzioni saranno sottoposte al voto dei Parlamenti degli Stati firmatari, in quanto ciò sia necessario secondo la legislazione costituzionale di ciascuno Stato»(5).

182 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

182 2 Minuta di telegramma con la seguente annotazione: «Telefonato da Malfatti a Pisa il 28/IV/54 ore 12. Plaja».

182 3 T. segreto 4669/426 del 26 aprile, col quale Bombassei comunicava quanto segue: «Comitato di Direzione CED è stato convocato pomeriggio mercoledì [il 28] per esaminare nota proposta francese di concludere fra sei Governi accordo di principio per rafforzare controllo democratico sulle Comunità europee. Progetto di comunicato, rimessomi riservatamente da Alphand e noto a codesto Ministero, formerà base discussioni. Può darsi che francesi chiedano decisione immediata, data urgenza soddisfare, almeno parzialmente, esigenze dei socialisti. Questa Delegazione si atterrà ad istruzioni di massima verbalmente impartite da S.E. Benvenuti dopo sua conversazione con Maurice Schumann. Ove fosse ritenuto utile che da parte nostra fossero fatte speciali osservazioni o venissero richieste modifiche a documento francese prego telegrafare tempestivamente. Onorevole Lombardo già avvertito» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109).

182 4 «Projet de communiqué des Six Gouvernements signataires du Traité de Paris. Un accord de principe a été réalisé entre les six Gouvernements signataires du Traité de Paris en vue de renforcer le contre démocratique sur les Communautés européennes existantes ou en voie de création. Il est entendu que cette disposition n’entraîne aucune modification aux Traités conclus et ratifiés par un certain nombre des États signataires. Elle exclut également toute extension des compétences telles qu’elles sont fixées par ces Traités. Elle ne préjuge en rien la suite des négociations entreprises en vue de l’institution d’une Communauté politique européenne. Les six Gouvernements se concerteront, après la ratification du Traité de Paris, afin de mettre au point les Conventions nécessaires pour appliquer l’accord de principe intervenu sur la substitution à l’Assemblée actuelle d’une Assemblée élue devant laquelle seront responsables la Haute Autorité de la Communauté Charbon Acier et le Commissariat de la Communauté européenne de Défense. Ces conventions seront soumises au vote des Parlements des États signataires» (copia del documento con l’annotazione «Testo consegnato da Bombassei all’On. Benvenuti e Min. Magistrati il 24/4/54»: ibidem).

182 5 Per il seguito vedi D. 184.

183

IL DIRETTORE GENERALE DELL’EMIGRAZIONE, GIUSTI, AD AMBASCIATE, RAPPRESENTANZE, LEGAZIONI E ALLA DELEGAZIONE CED(1)

Telespr. riservato 65/21316/c.(2). Roma, 28 aprile 1954.

Oggetto: Azione italiana in seno alla Comunità Politica Europea (CEP). Problema della mano d’opera.

Hanno avuto luogo di recente a Parigi, come è noto, i lavori del Comitato Economico della Commissione per la Comunità Politica Europea. Anche in tale sede è

stata cura dei nostri Rappresentanti includere fra gli argomenti posti in discussione quei problemi che derivano dalle eccedenze della nostra popolazione e che postulano una sempre maggiore libertà, internazionale e intereuropea di movimenti della mano d’opera, specie quando si tratti di integrazione economica o addirittura della creazione di mercati comuni.

Per opportuna riservatissima informazione delle Rappresentanze in indirizzo, si ritiene utile far conoscere, a complemento delle notizie fornite con il telespresso circolare riservato n. 21/0786 del 27 marzo u.s.(3), qualche maggiore dettaglio sullo svolgimento dei lavori relativi a tale particolare aspetto, nonché circa l’azione svolta dai nostri Rappresentanti.

Come è noto, a Baden Baden (agosto 1953)(4) i sei Ministri della CECA convennero per la prima volta sulla necessità di creare nei sei paesi un mercato comune.

Successivamente, a Roma (settembre-ottobre 1953)(5), le Delegazioni dei sei Paesi ribadirono il principio che, per ottenere l’espansione economica, l’incremento della produzione, la mobilità della mano d’opera e il miglioramento del tenore di vita, è condizione essenziale la realizzazione di un mercato comune, fondato sulla libera circolazione delle merci, dei capitali delle persone e dei servizi.

I punti, sui quali era stato possibile raggiungere un’intesa a Roma, furono, quindi, approvati dai Ministri degli Esteri dei sei Paesi, riunitisi a L’Aja nel novembre 1953(6). Il compito di riavvicinare le vedute ancora contrastanti fu rimesso invece all’apposita Commissione della CEP, che ha per sede dei suoi lavori Parigi.

Tale Commissione è, come noto, composta di tre Comitati: il Direttivo, l’Istituzionale e l’Economico.

Presso quest’ultimo, nel febbraio 1954(7), il Governo italiano s’adoperdecisamente a che fosse inserito anche il problema della libera circolazione delle persone come fattore fondamentale del mercato comune; iniziativa che, in un primo momento, non aveva trovato, nelle altre Delegazioni, e, in ispecie, nella francese, aperta ricezione.

Impostato [sic] in tal modo da parte italiana la necessità di affrontare il problema, il Comitato Direttivo, su suggerimento della Delegazione germanica, ha richiesto a quella italiana di presentare un documento, nel quale fosse formulata la nostra concezione sulla libera circolazione delle persone nel quadro del mercato, sia come definizione di obiettivi finali che come indicazione delle modalità per il raggiungimento degli obiettivi stessi.

Il Governo italiano, tramite il proprio delegato, ha quindi presentato a Parigi, nella riunione del 15 febbraio c.a. del Comitato Economico della Commissione per la CEP(8), il documento, che si unisce in copia (all. n. 1), contenente, in sintesi, le nostre considerazioni sulla libertà di movimento delle persone.

Immediatamente dopo tale riunione, allo scopo di facilitare il lavoro del nostro Delegato, si è fatto pervenire a Parigi un secondo documento italiano (all. n. 2), nel quale le considerazioni già espresse vengono presentate sotto forma pigenerica e schematizzata.

I documenti in parola sono stati quindi trasformati nei documenti CCP/CE/Doc. 29 e CCP/CE/Doc. 33, rispettivamente in data 26 febbraio e 1° marzo c.a., che pure si trasmettono in copia (all. nn. 3 e 4).

L’iniziativa di cui trattasi non ha mancato di incontrare le attese difficoltà e resistenze. È stato, tuttavia, possibile, grazie ai tempestivi ed efficaci interventi del nostro delegato, ottenere che i principi affermati da parte italiana nei succitati documenti – qui annessi – fossero di massima accettati dagli altri delegati e inclusi nel Rapporto presentato ai Ministri degli Affari Esteri della Commissione per la CEP (Parigi 12 dicembre 1953-8 marzo 1954)(9).

A proposito sempre dei documenti sopraindicati giova far rilevare che essi non impegnano in alcun modo il Governo italiano, data la necessità di lasciare, in questo delicatissimo settore, la piampia libertà di azione al Governo stesso, il quale si riserva, non solo ogni possibilità di discussione e di modifiche circa tali impostazioni, ma anche quella di presentare, se necessario, anche altre proposte di concezione sostanzialmente diversa.

D’altra parte l’esatto punto di vista del Governo italiano potrà essere precisato in un secondo tempo, allorché la trattazione del problema sarà entrata in una fase di maggiore stabilità.

Si gradirà intanto ricevere le osservazioni e i suggerimenti eventuali che le Rappresentanze in indirizzo ritenessero di fare a tale riguardo, nonché le eventuali notizie che potessero raccogliersi circa le reazioni suscitate dall’iniziativa italiana presso le competenti autorità e gli ambienti interessati nei rispettivi Paesi.

Allegato I

CONSIDERAZIONI SULLA LIBERALIZZAZIONE DELLE PERSONE NELL’AMBITO DELLA COMUNITÀ POLITICA EUROPEA

I lavori svolti finora per determinare il «contenuto economico» della futura Comunità permettono al Governo italiano di fissare come segue il proprio punto di vista, circa l’impostazione di principio, gli obbiettivi finali e la tecnica di applicazione da adottarsi per realizzare la liberalizzazione delle persone.

A tale fine e per consentire una piorganica esposizione della materia si ritiene utile esaminare il problema separatamente sotto i tre predetti aspetti.

I. A - Circa l’impostazione di principio, sarebbero da tener presenti i seguenti punti, che trovano già ampio riferimento nei lavori finora svolti dai Ministri e dai loro Sostituti.

1. Gli obbiettivi economici generali possono venir individuati nell’espansione economica, nell’accrescimento della produzione, nello sviluppo dell’occupazione, nel miglioramento del tenore di vita e nel progresso delle opere di pace.

2. Tali obiettivi potranno realizzarsi solo attraverso un equilibrato ed armonico sviluppo delle economie dei Paesi partecipanti.

3. È necessario pertanto porsi come scopo finale la creazione di un mercato comune, fondato sulla libera circolazione delle merci, dei servizi dei capitali e delle persone.

4. Il principio della libera circolazione delle persone deve comprendere il libero accesso dei cittadini degli Stati membri alle attività economiche, nell’ambito dell’intera Comunità.

5. La realizzazione del mercato comune dovrà essere necessariamente progressiva e dovrà venir sviluppata mantenendo un armonico coordinamento dell’azione liberatrice nei confronti di tutti e quattro gli elementi su cui il mercato comune si fonda.

B -Passando a considerare, alla luce di tali premesse, l’elemento «persone» in particolare, sembra che si possa precisare ulteriormente:

6. L’integrazione dell’Europa, l’espansione della sua produzione, il rafforzamento della sua difesa, non sono possibili, dal punto di vista politico e tecnico, se, di fianco alla libertà di movimento delle merci, dei pagamenti e dei servizi, non si ristabilisca anche in maniera progressiva la libertà di movimento delle persone, intese come forza di lavoro o elemento economico operativo, attraverso le frontiere nazionali.

7. Oggi questa libertà non esiste. Tutti gli Stati europei si riservano in modo assoluto il diritto di permettere o interdire ai cittadini degli altri Stati ‒anche di quelli ai quali essi sono uniti da vincoli ogni giorno più stretti ‒l’ingresso, la residenza, l’esercizio di un lavoro o di una attività economica.

8. Solo la libertà, d’altra parte, può permettere di utilizzare, o meglio dire, di soddisfare a fondo la capacità capillare di assorbimento di manodopera nelle economie così complesse come quelle dei paesi europei.

9. Occorre, peraltro, tener conto del duplice problema rappresentato dal carattere rigorosamente permissivo che assume attualmente ogni spostamento di persone e dall’eccesso di popolazione esistente in alcuni Paesi partecipanti; problema quest’ultimo, che pucostituire una grave remora all’azione unificatrice europea, non solo nello specifico settore di cui è parola, ma anche da un punto di vista generale a causa di quella imprescindibile necessità, alla quale si è già accennato, di procedere parallelamente in tutti e quattro i settori.

10. Appare, pertanto, quanto mai opportuno riconoscere al più presto al problema dellasovrapopolazione il carattere di elemento istituzionale della costituenda Comunità, onde promuovere ogni azione utile intesa a favorire il collocamento di persone anche al di fuori delterritorio dei sei Paesi partecipanti: nelle loro colonie, in altri Paesi d’Europa e oltremare in genere.

11. A tale fine potrebbe venir presa in considerazione una serie di iniziative:

- quale la determinazione di un trattamento doganale preferenziale da parte dei sei Paesi verso quegli altri Paesi che favoriscano concretamente il collocamento della loro manodopera;

- quale il farsi garanti di eventuali finanziamenti della BIRD ad aree arretrate, specie se legate ai Paesi della Comunità, a condizione che nei programmi di sviluppo così finanziati sia previsto l’ingresso di forze lavoratrici dei sei Paesi per opere di colonizzazione agricola o per lo stabilimento di imprese industriali;

- quale il favorire, con equa distribuzione dell’onere relativo, la preparazione professionale della manodopera disoccupata per aumentarne le possibilità emigratorie.

12. A fianco di tali iniziative e contemporaneamente dovrebbe, tuttavia, svolgersi anche la prevista azione intesa a realizzare progressivamente, ed in armonia con gli altri elementi del mercato comune, la libera circolazione delle persone nell’ambito della comunità.

II. A - In relazione a quanto precede si espongono, qui di seguito, alcune considerazioni circa la definizione degli obbiettivi finali da raggiungere in seno alla Comunità.

13. Per liberalizzazione delle persone nell’ambito geografico della Comunità PE si dovrebbe intendere la completa eliminazione dei sistemi permissivi attualmente adottati dai singoli Stati membri per ciò che concerne l’ingresso, il soggiorno, la ricerca di una occupazione, l’esercizio di una attività, lo stabilimento e l’inserimento in genere, nel processo economico dei singoli paesi, dei cittadini degli altri Stati membri.

14. Si dovrebbe cioè tendere ad ottenere la massima e la migliore utilizzazione delle forze lavorative intellettuali e manuali e il completo sfruttamento delle potenzialità produttive del mercato comune, mettendo a disposizione delle necessità produttive, senza remore di alcun genere, ogni elemento di lavoro, disponibile nell’interno della comunità.

15. Tale azione dovrebbe svolgersi tenendo conto:

a) delle situazioni reali esistenti in seno ai Paesi partecipanti;

b) di ogni loro prevedibile ed augurabile evoluzione favorevole;

c) della necessità di dare base strettamente economica ai progressivi sviluppi dell’azione stessa;

d) dell’imprescindibilità di svilupparsi in armonia con la analoga progressiva applicazione di misure liberatrici a favore degli altri tre elementi del mercato comune.

16. Il campo di tale azione dovrebbe comprendere tutti i settori interessanti l’elemento «persone» e cioè quello turistico, quello delle professioni liberali e dell’artigianato, quello

degli operatori economici indipendenti ‒nei vari settori commerciale, industriale o agricolo

‒ quello dei lavoratori dipendenti; compresi i nuclei familiari di tutte le predette categorie.

B - È ovvio, pertanto, che per realizzare integralmente tale obbiettivo finale occorrerà impostare e raggiungere tutta una serie di soluzioni particolari, attraverso le quali sia possibile superare gli ostacoli che, allo stato attuale, rendono difficile in ogni campo la libera ed organica circolazione delle persone entro l’ambito degli Stati partecipanti.

17. I settori entro i quali dovrebbero venir identificati questi obbiettivi complementari e propiziatori sono facilmente determinabili; se ne indicano alcuni a titolo esemplificativo:

-riconoscimento dei titoli di studio,

-equiparazione dei profili professionali,

- uniformità delle legislazioni di sicurezza sociale e coordinamento delle attività previdenziali,

-adozione di formule comuni in materia di stabilimento consolare e di estradizione,

-armonizzazione dei servizi nazionali dell’impiego,

-coordinamento degli standards sanitari,

-unificazione delle procedure di documentazione personale, di viaggio e professionale,

-comparabilità dei sistemi giudiziari, ecc. ecc.

18. A tali obbiettivi dovrebbe venir rivolta al più presto la massima attenzione con un duplice intento:

- porre collettivamente allo studio i singoli problemi, utilizzando quel materiale che già trovasi disponibile in varie sedi;

- stimolare le iniziative eventualmente già prese in questi settori ed accelerarne l’applicazione.

III

Quanto precede rappresenterebbe evidentemente lo sforzo più impegnativo teso al completo raggiungimento dell’obbiettivo massimo finale. Tale sforzo non dovrebbe, tuttavia, escludere o anche soltanto frenare l’azione più diretta anche se modesta, nel campo pratico, in favore di una sempre maggiore libertà di circolazione delle persone; azione che potrebbe svolgersi indipendentemente o contemporaneamente.

19. A questo proposito si ritiene utile esprimere qualche considerazione orientativa, prendendo in esame a titolo d’esempio una particolare categoria fra quelle succitate, e cioè quella dei lavoratori dipendenti: che per la sua importanza numerica e per la delicatezza degli aspetti d’ogni natura connessi al suo impiego, investe problemi di maggiore rilievo. D’altra parte, è questa la categoria che ha già formato oggetto di esame e di misure in sede internazionale, ad esempio all’OECE e presso la CECA.

20. Per iniziare un esame obbiettivo dell’applicazione del principio di liberalizzazione ai lavoratori dipendenti, occorre tener presente la situazione attuale che comprende:

1) l’esistenza di gruppi più o meno numerosi di lavoratori stranieri nei paesi membri;

2) il continuo afflusso (nel tempo) di lavoratori stranieri nei paesi membri.

21. A tale riguardo sarebbe evidente l’opportunità di concedere una priorità di trattazione alla situazione di coloro che sono già occupati come lavoratori stranieri, per, quindi, estendere tale situazione a coloro che entreranno in futuro nel circuito.

22. Sulla base di tale priorità sarebbe necessario in primo luogo fissare un termine di tempo entro il quale, tenuto conto della situazione dei singoli mercati nazionali del lavoro, dovrebbe venir realizzato il concetto di libertà massima, enunciato come fine da raggiungere al precedente punto.

23. Il periodo di attesa dovrebbe aver valore retroattivo in modo da sanare, all’atto in cui la comunità dovrà sorgere, le situazioni di fatto già esistenti da almeno quel numero di anni che si è deciso di adottare quale termine di tempo.

24. Per quanto riguarda le situazioni esistenti da tempo inferiore o quelle sopravenienti, il periodo d’attesa dovrebbe essere gradualmente ridotto, in modo che, trascorso il periodo di anni fissato, a partire dalla costituzione della comunità, venga a realizzarsi la completa libertà per tutti i lavoratori dipendenti dei 6 paesi membri ovunque essi siano occupati; i periodi trascorsi in differenti paesi da quello nazionale dovrebbero essere cumulati in un unico computo.

25. Trascorso il predetto periodo dalla conclusione dell’accordo, dovrebbe cessare l’applicazione di qualsiasi sistema permissivo (attualmente esistente) nei confronti dei lavoratori degli altri paesi membri.

26. Evidentemente, dopo la conclusione dell’accordo, i movimenti di lavoratori dipendenti fra i paesi membri continueranno a svolgersi, durante il citato periodo di anni, nel quadro degli attuali sistemi permissivi e dovranno avere, ad ogni modo, la necessaria base economica.

27. Oltre a tale gradualità di carattere generale e relativa al fattore tempo, potrebbero venir previste altre forma di gradualità, che tengano conto di particolari esigenze di settore produttivo

o regionale, le quali ‒in quanto limitative nell’applicazione del principio generale ‒dovrebbero

essere giustificate dai singoli paesi membri in relazione a loro concrete caratteristiche economiche di carattere contingente.

Allegato II

Premesso che:

a) la Comunità politica europea individuerà i suoi obiettivi economici generali nell’espansione economica, nell’accrescimento della produzione, nello sviluppo della occupazione, nel miglioramento del tenore di vita e nel progresso delle opere di pace;

b) tali obiettivi dovranno essere realizzati attraverso un equilibrato ed armonico sviluppo delle economie dei Paesi partecipanti, avente come meta finale la creazione di un mercato comune, fondato sulla libera circolazione delle merci, dei capitali, delle persone e dei servizi;

c) la realizzazione del mercato comune dovrà essere necessariamente progressiva e dovrà venir sviluppata mantenendo un armonico coordinamento dell’azione liberatrice nei confronti di tutti e quattro gli elementi su cui il mercato comune si fonda.

Considerato, altresì che:

d) la Comunità riconosce che l’eccesso di popolazione esistente in alcuni Paesi membripucostituire all’azione unificatrice europea remora così grave da render necessaria ogni utile iniziativa comune intesa a favorire il collocamento di persone anche al di fuori del territoriodei sei Paesi partecipanti, nelle loro colonie, in altri Paesi d’Europa e oltremare in genere.

Si trascrive qui di seguito il progetto di alcuni articoli che potrebbero formare la prima base per la preparazione della sezione economica del Trattato, che dovrà fissare il libero movimento delle persone:

1. Nell’ambito della Comunità sarà realizzata la libera circolazione delle persone. Essa sarà costituita dal libero accesso dei cittadini degli Stati Membri alle attività economiche esistenti nel territorio della Comunità.

La libera circolazione interesserà tutte le categorie di persone; dal turista al libero professionista e all’artigiano, dagli operatori economici indipendenti ai lavoratori dipendenti, nonché ai familiari delle categorie predette.

2. L’azione liberalizzatrice dovrà comprendere l’ingresso, il soggiorno, l’esercizio di un’attività o la ricerca di una occupazione, lo stabilimento; l’inserimento in genere nel processo economico dei singoli paesi dei cittadini degli altri Stati membri.

3. Il principio della libera circolazione delle persone, di cui al precedente art. 1 sarà realizzato, attraverso un’azione liberalizzatrice graduata nel tempo, con priorità a favore dei cittadini di uno dei paesi membri, che, all’atto dell’entrata in vigore del trattato, si trovino sul territorio di un altro paese membro.

Ai fini dell’applicazione del predetto concetto di gradualità, l’Autorità dovrà stabilire un periodo di tempo, decorso il quale, la persona sarà considerata ammessa alla libera circolazione ai sensi dell’art. 1.

Tale periodo di tempo avrà valore retroattivo per le persone, alle quali è stata riconosciuta la priorità dell’applicazione dell’azione liberalizzatrice.

4. Il principio del predetto periodo di tempo condizionerà anche la libera circolazione delle persone che si muoveranno nell’ambito della Comunità dopo l’entrata in vigore del trattato.

5. L’«Autorità» sottoporrà detto periodo di tempo a limiti progressivamente ridotti per giungere a un certo momento alla completa liberalizzazione dei movimenti delle persone nell’ambito della Comunità.

6. Nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore del trattato e il momento in cui si realizzerà la completa liberalizzazione dei movimenti delle persone nell’ambito della Comunità, i movimenti di persone si svolgeranno nel quadro degli attuali sistemi in vigore nei singoli Stati membri.

Durante tale periodo l’«Autorità» promuoverà ogni possibile alleggerimento ai sistemi predetti, su piano bilaterale o multilaterale.A tal fine l’«Autorità» promuoverà l’esame delle legislazioni e regolamentazioni nazionali che interessano il movimento di persone, allo scopo di ottenere nel pibreve tempo una disciplina uniforme.

7. I movimenti di persone, che si verificheranno entro il periodo precedentemente previsto, avranno per base una valutazione economica, rappresentata dall’incontro della domanda e dell’offerta. Tale incontro dovrà essere facilitato con l’adozione di sistemi atti a rimuovere ogni eventuale difficoltà o remora al movimento.

8. Il requisito del periodo di tempo di cui all’Art. 3, non sarà richiesto per quelle categorie di persone le quali, in quanto in possesso di particolari requisiti da determinarsi per ciascuna di esse, dovranno essere ammesse al libero movimento senza periodi di attesa.

9. Oltre al principio di gradualità nel tempo potranno essere determinate, ove se ne riconosca la assoluta necessità, altre forme di gradualità che tengano conto di particolari esigenze di settore, produttivo o regionale.

Allegato III

COMMISSION POUR LA

COMMUNAUTÉ POLITIQUE EUROPÉENNE

Secrétariat

[CCP/CE/Doc. 29]. [Paris, le 26 février 1954].

COMITÉ ÉCONOMIQUE

NOTE SUR LA LIBRE CIRCULATION DES PERSONNES (présentée par la délégation italienne)

A. Considérations générales (qui pourraient être incluses comme principes généraux dans la partie introductive du traité)

Vu que:

a) la Communauté politique européenne aura comme objectifs économiques généraux l’expansion économique, l’accroissement de la production, le développement de l’emploi, l’amélioration du niveau de vie et le progrès des œuvres de paix;

b) ces objectifs devront être réalisés par un développement équilibré et harmonieux des économies des Pays participants, ayant come but final la création d’un marché commun, basé sur la libre circulation des marchandises, des capitaux, des personnes et des services;

c) la réalisation du marché commun devra être nécessairement progressive et devra être développée en assurant une coordination harmonieuse de l’action de libération par rapport à tous les quatre éléments sur lesquels le marché commun se base.

Considérant aussi que:

a) la Communauté reconnaît que l’excès de population existant dans quelques Pays membres peut constituer une entrave si grave à l’action d’unification européenne qu’il paraît nécessaire d’adopter toute initiative commune visant à favoriser le placement de personnes même en dehors du territoire des six Pays participants.

B. Projets de formules

On indique ci-dessous quelques formules synthétiques qui pourraient constituer la première base pour l’élaboration de la partie économique du Traité, en ce qui concerne le libre mouvement des personnes:

1. La libre circulation des personnes sera réalisée dans le cadre de la Communauté. Elle consistera dans le libre accès des ressortissants des États membres aux activités économiques existant dans le territoire de la Communauté.

La libre circulation intéressera toutes les catégories de personnes; du touriste au professionnel libre et à l’artisan, des entreprises aux travailleurs dépendants, y compris les familles des catégories susdites.

2. L’action de libération devra comprendre l’accès, le séjour, l’exercice d’une activité ou la recherche d’un emploi, l’établissement, en un sens général, l’insertion dans le processus économique des divers Pays, de la part des ressortissants et les entreprises des autres États membres, sans discrimination de sorte.

3. Le principe de la libre circulation des personnes, énoncé à l’art. 1, sera réalisé par une action de libération progressive dans le temps, avec priorité en faveur des ressortissants d’un Pays membre qui, au moment de la mise en vigueur du Traité, se trouvent déjà dans le territoire d’un autre Pays membre.

Aux fins de l’application de la susdite conception de progressivité, l’Autorité devra établir une période de temps, après expiration de laquelle la personne sera considérée admise à la libre circulation, en conformité de l’art. 1.

Cette période de temps aura une valeur rétroactive pour les personnes auxquelles a été reconnue la priorité de l’application de l’action de libération.

4. Le principe de la période susdite de temps s’appliquera aussi à la libre circulation des personnes qui se déplaceront dans le cadre de la Communauté après la mise en vigueur du Traité.

5. L’Autorité établira des limites progressivement réduites pour cette période de temps, afin d’arriver, à un moment donné, à la libération complète des mouvements des personnes dans le cadre de la Communauté.

6. Dans la période transitoire ‒depuis la mise en vigueur du Traité jusqu’au moment où se

réalisera la libération complète des mouvements des personnes dans le cadre de la Communau

té ‒les mouvements des personnes auront lieu suivant systèmes actuellement en vigueur dans

chaque État membre.

Durant cette période, toutefois, l’Autorité favorisera toute possibilité d’allègement des systèmes susdits, sur un plan bilatéral ou multilatéral.

À cette fin l’Autorité devra promouvoir l’examen des législations et des règlementations nationales concernant le mouvement de personnes, afin d’obtenir une règlementation uniforme dans un délai de temps aussi bref que possible.

7. Les mouvements de personnes qui auront lieu dans la période transitoire se baseront sur une évaluation économique, représentée par la loi de l’offre et de la demande. Cela devra être facilité par l’adoption de systèmes aptes à éliminer toute difficulté ou entrave éventuelle aux mouvements.

8. La période de temps requise à l’art. 3 ne sera pas exigée pour les catégories de personnes possédant certaines qualifications particulières (à établir pour chacune d’entre elles): ces catégories pourront être admises au libre mouvement sans périodes d’attente.

9. En plus du principe de progressivité dans le temps, d’autre formes de progressivité pourront être établies ‒lorsque la nécessité absolue en soit reconnue ‒pour tenir compte d’exigences particulières de quelques secteurs, productifs ou régionaux.

Allegato IV

COMMISSION POUR LA

COMMUNAUTÉ POLITIQUE EUROPÉENNE

Secrétariat CCP/CE/Doc. 33. Paris, le ler mars 1954.

COMITÉ ÉCONOMIQUE

Avant-Projet de Formules de Synthèse

Article 1

Les objectifs économiques généraux de la Communauté politique européenne sont l’accroissement de la production, la continuité et le développement de l’emploi, le relèvement du niveau devie et l’expansion économique dans la Communauté et dans chacun des États membres.

Article 2

Les États membres s’assignent come but l’établissement d’un marché commun général, permettant d’attendre les objectifs mentionnés à l’article 1.

Ils se proposent d’établir ce marché progressivement.

Article 3 Définition du marché commun

-proposition française:

Le marché commun général sera fondé, en règle générale, sur la libre circulation des marchandises, services, capitaux et personnes.

-proposition néerlandaise:

Le marché commun général comportera la libre circulation des marchandises, services, capitaux et personnes dans un régime de concurrence normale. Ce principe général et les exemptions sur ce principe seront précisés dans les articles suivants.

183 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

183 2 Diretto alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Parigi, e Washington; alle Rappresentanze presso la NATO, l’OECE a Parigi, presso le Nazioni Unite a New York, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo; alla Delegazione presso la CED; alla Legazione a Lussemburgo e al Consolato Generale a Ginevra; per conoscenza, alle Direzioni Generali degli Affari Politici, della Cooperazione Internazionale e degli Affari Economici.

183 3 Vedi D. 161.

183 4 Vedi D. 34.

183 5 Vedi D. 55.

183 6 Vedi D. 64.

183 7 Vedi D. 121.

183 8 Agli atti della Commission pour la Communauté Politique Européenne, in versione francese, con la data del 13 febbraio ed il n. CCP/CE/Doc. 21 (ASUE, CM1/CPE, 23.3).

183 9 Vedi D. 136, nota 3.

184

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 4805/433-434(2). Parigi, 29 aprile 1954, ore 16,03 (perv. ore 16,18).

Telegramma questa Delegazione 426(3).

In seduta ristretta Comitato Direzione è stata esaminata e discussa ieri questione controllo democratico su Comunità CECA o CED.

Belgi, per far cosa gradita a francesi, si sono prestati a prendere ufficialmente iniziativa e – richiamandosi ad intese di massima raggiunte fra Ministri Esteri sei Paesi in occasione Consiglio Atlantico – hanno presentato progetto comunicato che ricalcava sostanzialmente quello già predisposto da Quai d’Orsay.

Rimetterpersonalmente domani a codesto Ministero il testo con le modifiche concordate nel corso della seduta.

Da parte mia mi sono attenuto a istruzioni ricevute ed ho fatto dichiarazioni prescrittemi.

Si è manifestata seria divergenza vedute fra tedeschi e francesi (fiancheggiati da noi) da un lato e olandesi dall’altro circa interpretazione affermazione contenuta in comunicato che attuale decisione sei Governi non comporta modificazione Trattati né estensione competenza. Infatti gli uni considerano tale dichiarazione come elastica (è stata, fra l’altro, menzionata probabile opportunità aumentare numero deputati europei una volta che essi siano eletti dai popoli) mentre gli altri la intendono assolutamente rigida. Olandesi hanno percicategoricamente rifiutato tanto una proposta tedesca secondo la quale si sarebbe detto che accordo non alterava «principi» sanciti dai Trattati quanto una nostra intesa ad esprimere stesso concetto in forma positiva anziché negativa (dicendo che Alta Autorità e Commissariato sarebbero stati responsabili verso una nuova Assemblea secondo norme già previste dai Trattati).

Si è dovuta pertanto adottare formula di compromesso, rimanendo perogni Delegazione ferma su propria posizione interpretativa. Problema peraltro si ripresenterà momento redazione convenzione. È stata riconosciuta esatta nostra concezione che CED non appena ratificata, entrerà in vigore con Assemblea attuale. Nel comunicato è detto infatti che convenzione applicativa dell’accordo di principio raggiunto verrà elaborata «immediatamente dopo il deposito dell’ultimo istrumento di ratifica».

Nel nuovo testo è affermato esplicitamente che Assemblea sarà eletta «a suffragio universale diretto».

Circa frase relativa ad approvazione parlamentare della futura Convenzione abbiamo incontrato difficoltà a fare accogliere da francesi aggiunta suggerita da codesto Ministero perché, essendo certo che parlamento francese esigerà che questione elezioni europee gli venga sottoposta, Governo teme urtare qua suscettibilità e far sorgere dubbi al riguardo se desse anche vaga impressione volersi lasciare aperta strada a manovra in senso contrario. Peraltro siamo riusciti a fare inserire, dopo lunghe discussioni, seguenti parole: «tenuto conto delle norme costituzionali nazionali» alle quali è stata data interpretazione autentica che, ove tali norme non lo esigano, approvazione parlamentare non sarà necessaria.

Ho comunque accettato solo con riserva tale formulazione, pur rendendomi conto francesi non possono andare più oltre.

Tutte le Delegazioni si sono impegnate raccomandare approvazione testo comunicato a rispettivi Governi e si sono riservate fornire al più presto risposta definitiva. Francesi hanno insistito che tale comunicazione non avvenga oltre lunedì 3 maggio, invocando note loro esigenze di politica interna.

Nuova riunione ristretta è stata pertanto convocata per quel giorno alle ore sedici.

Prego telegrafare tempestivamente(4).

184 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

184 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

184 3 Vedi D. 182, nota 3.

184 4 Con T. s.n.d. 3716/191 del 2 maggio, Benvenuti comunicalla Delegazione quanto segue: «Considerato che interpretazioni date at portata terzo capoverso e at ultima frase capoverso stesso corrispondono nostra concezione approviamo testo comunicato» (Telegrammi segreti originali 1954, partenza, vol. I). Per il seguito vedi D. 186.

185

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 6183/2183. Washington, 29 aprile 1954.

Oggetto: Comunità Europea di Difesa. Ratifica francese.

Riferimento: Rapporto n. 5210 del 9 aprile corrente; telespresso n. 5505/2005 del 17 aprile corrente(2).

Il Dipartimento di Stato continua a seguire con la massima attenzione gli orientamenti della opinione pubblica francese e di quegli ambienti parlamentari nei confronti della ratifica della CED.

Come previsto, nulla di «drammatico» è avvenuto quest’anno alla sessione del Consiglio Atlantico sull’argomento, ma, a quanto abbiamo appreso qui, Dulles ed i suoi collaboratori sono tornati da Parigi con impressioni nettamente negative per quanto concerne le prospettive di una prossima ratifica, anche se hanno potuto meglio apprezzare i buoni propositi di Laniel e di Bidault e le difficoltà fra cui essi si dibattono. In questo momento prevalgono quindi valutazioni assai pessimistiche, specie per quanto concerne il «timing» (intorno al mese di giugno) che si riteneva qui conveniente.

Pertanto il Dipartimento di Stato non si sente autorizzato a fondare molte speranze sulla riunione del 18 maggio prossimo del «Bureau de l’Assemblée» composto dei presidenti delle Commissioni Parlamentari. Infatti a Parigi si sostiene già da varie parti la tesi che molto probabilmente il «Bureau» dovrà constatare che le tre pre-condizioni poste a suo tempo dal Governo francese, in seguito ai noti impegni da esso presi col Parlamento, non sono state ancora adempiute.

Le trattative per la Sarre non hanno compiuto ancora alcun sostanziale progresso. I due punti su cui si registra una insuperabile divergenza fra le due parti interessate sono, come è noto, i seguenti: unione del mercato sarrese a quello tedesco, oltre che a quello francese; carattere permanente o transitorio del futuro status del Territorio della Sarre. Sul primo punto i Francesi hanno fatto osservare anche qui che, stabilendo una comunità economica fra il territorio sarrese e quello germanico, si viene non solo ad aprire alla penetrazione economica tedesca la Sarre, ma ad ottenere lo stesso risultato nei confronti della Francia medesima, dato che, appunto, è stata già decisa l’unione economica Sarre-Francia. Sul secondo punto una intesa di massima era stata raggiunta fra Bidault e Dulles, ma nei successivi negoziati da parte tedesca si è sempre cercato di inserire qualche nuovo elemento atto a infirmare il carattere definitivo dell’eventuale accordo. Sembra pertanto difficile che la situazione attuale possa evolvere radicalmente prima del 18 maggio, sicché per lo meno una delle tre pre-condizioni sarà a quella data ancora lontana dal suo soddisfacimento.

Per quanto concerne le altre due pre-condizioni (collegamento Gran Breta-gna-CED ed assicurazioni americane) il Dipartimento di Stato ha constatato che una parte dell’opinione pubblica e dei partiti politici francesi ha già mostrato di nutrire molti dubbi sulla reale efficacia dei recenti accordi di Parigi(3)e del messaggio di Eisenhower ai sei Capi di Governo interessati(4). Se questa valutazione negativa dovesse diffondersi, le prospettive di ratifica diventerebbero ancora piscarse, poiché né Inglesi né Americani sono disposti a fare più diquanto hanno finora fatto.

Naturalmente il problema viene ulteriormente compromesso dall’attuale fase del problema dell’Indocina a causa sia dello svolgimento delle operazioni militari sia delle incertezze e delle disarmonie con cui gli Occidentali si sono presentati a Ginevra. Tra l’altro, non si esclude qui che, ove le operazioni militari dovessero volgere al peggio e ove altresì Bidault non riuscisse a concludere molto di positivo a Ginevra si possa arrivare ad una nuova crisi ministeriale, che rimetterebbe di nuovo tutto in discussione.

Dopo aver fatto in via confidenziale questo quadro pessimistico, ufficialmente gli Americani si limitano a ripetere che sperano, comunque, in un miglioramento della situazione per quanto concerne l’eventualità della presentazione del Trattato CED al Parlamento francese e insistono sulla necessità di chiarire ad ogni modo, in senso positivo o negativo, il destino della CED. Ripetono inoltre che non è conveniente prendere in esame fin d’ora, neppure in via esplorativa, il problema delle alternative.

L’impressione che si raccoglie da queste considerazioni è che il Dipartimento si ripromette di agire con molta cautela specie finché non si siano chiarite maggiormente le rispettive posizioni circa i problemi asiatici e sopratutto circa quello dell’Indocina. Inoltre si desidera qui evitare pressioni che possono provocare reazioni sfavorevoli a Parigi ed essere sfruttate dalla propaganda sovietica. Questa cautela si riflette, fra l’altro, nell’atteggiamento che l’Amministrazione ha preso in materia di aiuti in vista del futuro dibattito al Congresso. Naturalmente, resta da vedere quali tendenze prevarranno in quest’ultimo, specie se in maggio e giugno non si verificherà alcun fatto nuovo.

185 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 9.

185 2 Vedi D. 177.

185 3 Vedi D. 174.

185 4 Vedi D. 176.

186

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. urgente 4964/445-446(2). Parigi, 3 maggio 1954, ore 21 (perv. ore 23).

Mio 334(3) e telegramma ministeriale 191(4).

In riunione odierna Comitato Direzione, mentre Delegazioni francese, tedesca, italiana, belga e lussemburghese hanno fatto conoscere approvazione rispettivi Governi testo noto comunicato, quella olandese ha detto che suo Governo non riteneva potervisi associare ed era soltanto disposto diramare un suo comunicato indipendente parallelamente a quello dei cinque.

Rappresentante olandese ha dato lettura schema di tale comunicato unilaterale, nella redazione inviatagli dall’Aja, che nella sostanza non si differenziava sensibilmente da quello comune ma soltanto sottolineava maggiormente tre punti: necessità decisione parlamentare; assicurazione trattati non vengano modificati; dichiarazione che nuova decisione circa controllo democratico su comunità CECA e CED non pregiudica in nulla impostazione lavori CPE.

Inatteso atteggiamento olandese ha prodotto pessima impressione e stesso Starkenborgh, visibilmente imbarazzato, si è dimostrato addolorato aver ricevuto simili istruzioni, invero alquanto strane data mancanza fondamentali punti dissenso.

Tutte le Delegazioni hanno rilevato che procedere come indicato dagli olandesi sarebbe stato un rimedio peggiore del male, in quanto avrebbe sottolineato un disaccordo proprio nel momento in cui era necessario manifestare invece piena intesa sei Governi.

Da parte mia ho ricordato come anche da noi iniziativa avesse suscitato certe perplessità ma che ci eravamo decisi per accettazione comunicato proposto, considerandone importanza ai fini del varo della CED, vista come pietra angolare di tutta la costruzione europea.

Alphand non ha nascosto sua irritazione; ha affermato che presa di posizione olandese gli riusciva incomprensibile dato che tutti i punti che stanno a cuore al Governo Paesi Bassi sono già contenuti in progetto comune; ha infine spiegato che data di oggi (o al massimo di domani) per pubblicazione comunicato era ultima possibile per permettere a socialisti indire loro congresso per 30 corr., considerata necessità almeno un mese preparazione; e che quindi conseguenze eventuale fallimento attuali trattative potevano essere di estrema gravità. Stessa questione fissazione data dibattito parlamentare sarebbe tornata in alto mare con imprevedibili effetti su piano politico generale. È apparsa evidente sua intenzione profittare occasione per attribuire fin d’ora ad altri responsabilità futuri nuovi ritardi.

In realtà sarebbe molto inopportuno ed inabile fornire oggi a francesi un alibi per rinviare ulteriormente loro decisioni. In mancanza accordo su controllo democratico ‒ormai che problema è stato sollevato ‒avversari CED avrebbero insperata briscola nel loro gioco.

Americani, presenti come osservatori, si sono dimostrati tanto adirati quanto preoccupati, e, confidenzialmente, hanno espresso intenzione far intervenire subito loro Rappresentanza diplomatica all’Aia (aggiungendo anzi che tempestivo passo a pialto livello sarebbe già stato fatto se loro Ambasciatore non fosse stato assente dalla sede negli ultimi giorni).

Starkenborgh, cui è stato tenuto analogo linguaggio, li ha sconsigliati allegando che pressioni potrebbero rivelarsi controproducenti. Non so se sia riuscito persuaderli: comunque Dulles verrà subito informato e probabilmente egli stesso deciderà.

Finalmente, dopo non breve discussione che ha assunto anche toni polemici, è stata accolta proposta belga, sostenuta dagli altri quattro, di rinviare seduta; pregando Starkenborgh far presente con ogni urgenza a suo Governo reazioni unanimi delle cinque Delegazioni e argomentazioni emerse nel corso riunione affinché posizione assunta venga riconsiderata. Rappresentante olandese si è impegnato usare tutta sua influenza in tal senso. Dubita ottenere modifica istruzioni dal solo Beyen, che sarà qua domani, e si propone pertanto recarsi all’Aja per discutere argomento personalmente.

Riservomi riferire, appena possibile, successivi sviluppi questione, che ‒ove Governo olandese persistesse in suo atteggiamento ‒potrebbe complicare tutta la situazione in campo CED(5).

186 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

186 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

186 3 Il documento reca la seguente nota: «Nota della Cifra: Riferimento errato, trattasi del 433-434»: vedi D. 184.

186 4 Ivi, nota 4.

186 5 Vedi D. 188.

187

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, E DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, CON IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, DULLES (Gallarate, Villa Carminati, 3 maggio 1954, pomeriggio)(1)

Appunto segreto.

Presenti da parte italiana: Il Presidente del Consiglio, il Ministro degli Affari Esteri, il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, Conte Vittorio Zoppi, il Dottor Paolo Canali.

Da parte americana: il Segretario di Stato, Signor Foster Dulles, l’Ambasciatrice degli Stati Uniti a Roma, Signora Clare Boothe Luce, il Signor Merchant, il Consigliere dell’Ambasciata a Roma, Sig. Durbrow, il Signor Engels.

Durante il tragitto in macchina dall’aeroporto della Malpensa alla Villa Carmina-ti, il Segretario di Stato ha intrattenuto brevemente l’On. Scelba sulla Conferenza di Ginevra, fornendogli impressioni e pronostici. I lavori di Ginevra, in particolare quelli per l’Indocina, si sono svolti, egli dice, in un clima assai meno favorevole delle condizioni metereologiche imperanti sul Lemano: alle fugaci apparizioni del sole sul lago si contrapponeva, nell’aula della Conferenza, il buio persistente e senza parlume di sorta. Impenetrabilità dei Russi e impossibilità di individuare quali fini perseguissero, imbarazzo dei francesi, difficoltà di definire una formula. Non reggerebbe la formula dell’armistizio, perché di carattere provvisorio e perché presuppone una linea militare

o politica malagevole a tracciarsi. Non idonea la soluzione della spartizione, che in Germania e in Corea fu applicabile in quanto era stata imposta alla fine della guerra dai vincitori alle popolazioni senza voce in capitolo: mentre nel caso dell’Indocina sono i rappresentanti delle stesse popolazioni che siedono al tavolo della Conferenza: come potrebbero essi, senza screditarsi di fronte ai rispettivi mandanti, suggerire o approvare una spartizione di terre che ciascuna parte rivendica intere? Quanto ai Russi, il Segretario di Stato, in ben due colloqui a solo con Molotov, ha scandagliato le mire sovietiche, ma senza risultato. A giudicare da quel che ne dice Dulles, nel comportamento dei Russi vi è stato sinora ben poco di distensivo. L’On. Scelba interroga Dulles sulle circostanze della sua partenza e della eventualità di un suo ritorno. Dulles chiarisce che la sua partenza da Ginevra era già scontata. Sin dall’epoca di Berlino infatti egli aveva suggerito la opportunità che quella di Ginevra dovesse considerarsi come riunione di Sostituti. Era evidente che la complessità della materia ed il conseguente prevedibile protrarsi dei lavori non avrebbero consentito la partecipazione prolungata e personale dei Ministri.

Alla Villa Carminati, data la ristrettezza del tempo, si entra subito in argomento dopo brevissimi convenevoli.

Il Presidente Scelba ringrazia il Segretario di Stato per aver voluto accettare l’invito ad incontrarsi con lui in Italia e per avere voluto aderire ad avere coi Ministri italiani uno scambio di vedute sui problemi generali di politica internazionale e sui problemi piparticolari di comune interesse. Prosegue, avvertendo il Segretario di Stato che egli parlerà con tutta franchezza, considerando che la franchezza è uno degli elementi dell’amicizia e che, nel quadro appunto di questa amicizia italo-americana, egli intende parlare al Signor Foster Dulles di taluni problemi italiani.

Il Presidente Scelba prosegue sottolineando con energia che l’attuale Governo italiano ispira la propria azione politica a quella linea atlantica che ha caratterizzato la condotta dei precedenti governi italiani, non solo, ma che ha della politica atlantica la stessa concezione che ne hanno gli americani. Tutti i governi italiani hanno dato a questa politica atlantica il massimo contributo nel campo politico e nel campo della preparazione militare, e anche il Presidente Scelba è fermamente convinto della necessità di procedere su questa via così come su quella dell’integrazione europea. Una delle tappe più importanti della integrazione europea è la creazione della CED. Nessuna divergenza esiste in merito a queste direttive in seno al Governo italiano, il quale è quindi per parte sua pronto a dare alla loro applicazione il massimo possibile di contributo. Tuttavia, per permettere al Governo stesso di proseguire efficacemente su questa strada, è necessario che i Paesi destinati a riunirsi in comunità si mostrino pisolidali nella difesa degli interessi di tutti e di ognuno, e che gli alleati ci aiutino concretamente a superare alcuni problemi ai quali l’opinione pubblica e parlamentare italiana sono particolarmente sensibili. Il primo di questi problemi è quello di Trieste. Il Presidente Scelba ricorda a questo proposito la lettera da lui scritta il mese scorso al Segretario di Stato(2). Ripete che il Governo italiano, come egli stesso ebbe a dire in un suo recente discorso pubblico, mantiene distinte la questione di Trieste da quella della ratifica della CED. Egli manterrà formalmente questo atteggiamento che risponde del resto ad un convincimento del Governo. Deve perrilevare, come ha scritto al Signor Foster Dulles, che il Governo dispone in Parlamento di una piccola maggioranza e che taluni partiti e talune personalità del suo stesso partito, non sono disposti a votare la ratifica della CED, se non verrà prima sistemata la questione delle nostre frontiere orienta

li. In queste condizioni e in sede riservata, egli ha quindi il dovere di far presente in tutta franchezza come, in linea di fatto, le due questioni siano collegate e come un voto parlamentare sulla CED, prima che sia risolta soddisfacentemente la questione di Trieste, sia quanto mai rischioso. Non solo, ma, data l’urgenza riconosciuta dal Governo italiano di fare entrare in vigore la Comunità di Difesa al più presto possibile, diventa urgente anche la soluzione del problema di Trieste. A proposito di questo problema il Presidente Scelba ripete che, ove non si potesse addivenire attualmente a una soluzione definitiva, il punto di vista del Governo italiano è che si dia pratica applicazione alla Decisione dell’8 ottobre(3), applicazione che rientra nelle possibilità degli anglo-americani, e per la quale non occorre il consenso del Governo jugoslavo, come viceversa sarebbe il caso per una soluzione definitiva che interessasse anche la Zona B attualmente amministrata da Tito.

Il Presidente Scelba sottolinea ancora a questo proposito che l’attuale Governo italiano non potrebbe accettare, come soluzione provvisoria, una soluzione meno favorevole di quella offerta l’8 ottobre al Governo precedente in quanto, in caso diverso, di fronte al Parlamento e all’opinione pubblica, il Governo subirebbe una sconfitta in campo internazionale e, di conseguenza, una grave perdita di prestigio. E senza prestigio non si pugovernare e tanto meno condurre una efficace resistenza al comunismo. Il Presidente prega quindi il Segretario di Stato di prendere atto che come soluzione provvisoria gli italiani non accetterebbero una soluzione meno favorevole di quella dell’8 ottobre e che una soluzione definitiva deve tener conto anche della zona B.

Siamo disposti a far tutto il necessario per facilitare la soluzione: garantendo i diritti delle minoranze, impegnandoci a non modificare con la forza le nuove situazioni concordate, assumendo persino un solenne impegno davanti alle Nazioni Unite.

Sono questi i termini invalicabili, al di là dei quali nessun Governo italiano potrebbe mai passare; e l’On. Scelba raccomanda vivamente che le potenze responsabili si guardino dal proporre soluzioni che risulterebbero inaccettabili, in quanto non appagassero queste esigenze. «Sarebbe meglio ‒egli dice ‒non proporre alcuna soluzione piuttosto che proporne di inaccettabili». Ricorda come da sette mesi si attenda l’applicazione della Decisione dell’8 ottobre mentre nel frattempo, proprio per la mancata attuazione di quella Decisione, la situazione è venuta appesantendosi: gli jugoslavi hanno infatti chiuso la frontiera fra Zona A e Zona B e tale chiusura si ripercuote sulle condizioni economiche di Trieste e della sua zona e provoca l’esodo continuo di italiani (4.000 alla data odierna) dalla Zona B. Chiede che gli Alleati intervengano perché la frontiera fra le due zone venga riaperta.

Il Presidente Scelba prosegue rilevando la perfetta organizzazione della propaganda di Mosca e dell’azione che tale propaganda conduce con successo nei Paesi occidentali sfruttando tutte le occasioni che le si presentano, mentre gli occidentali non sanno fare altrettanto. Cita ad esempio il fatto che, mentre gli occidentali, dopo di aver fatto leva sulla ottima carta rappresentata dal principio delle libere elezioni in Germania, l’hanno lasciata ad un certo punto cadere, i Russi continuano a martellare le menti delle folle occidentali coi noti motivi dei partigiani della pace, della campagna anti-atomica, anti-CED, ecc. Essi sfruttano in Italia la questione di Trieste per dare ai comunisti italiani un argomento nazionalista che ha presa facile in tutti gli strati della pubblica opinione. Occorre dunque che il mondo occidentale si mostri piunito, picomprensivo degli interessi dei Paesi che lo compongono e sappia compiere gli sforzi necessari per risolvere questi problemi vitali per ognuno di tali Paesi, in modo da offrire il minimo di occasioni sfruttabili dalla propaganda comunista.

Per quanto riguarda l’Italia, uno di questi problemi, il piurgente da risolvere, è appunto quello di Trieste di cui ha or ora esposto l’esigenza della soluzione. Ma il Presidente Scelba desidera anche evocare la situazione economica dell’Italia. Si tratta di un Paese con scarsezza di materie prime e di capitali e con una popolazione crescente. Gli sforzi compiuti dai Governi italiani negli anni passati sono riusciti a riparare gli immensi danni causati dalla guerra e ad assicurare l’assorbimento delle leve che ogni anno si presentano sul mercato del lavoro (circa 300 mila lavoratori all’anno). Ciè provato tra l’altro dal fatto che in questi ultimi anni i dati relativi alla disoccupazione sono rimasti costanti e non sono aumentati nonostante l’afflusso di tali nuove leve. I dati relativi alla disoccupazione danno ancora un totale di 2 milioni di disoccupati e di un milione e mezzo di sotto occupati. È questa la ragione per cui il comunismo ha avuto in Italia pifacile presa che in altri Paesi europei. I disoccupati e coloro che temono di divenirlo da un giorno all’altro non essendo sicuri della continuità del lavoro loro offerto, si lasciano facilmente organizzare da coloro che, sfruttando questa situazione, fanno loro sperare una vita migliore. Anche qui, dunque, occorre che la Comunità Atlantica dia prova di comprensione e di solidarietà. Il caso italiano è un caso del tutto speciale e anche il recente rapporto dell’OECE constata che il problema delle aree depresse in Italia è un «problema europeo». L’Italia prospetta quindi la necessità e l’urgenza di un aiuto straordinario. E poiché un accenno in questo senso era già stato fatto, con l’autorizzazione del Segretario di Stato, dalla Signora Luce, al suo ritorno dall’America nel gennaio scorso, il Presidente Scelba richiama questo punto importante. Egli propone anzi che esperti americani di alto livello, siano inviati in Italia a studiare con esperti italiani, pure di alto livello, i problemi dell’economia italiana e i piani che il Governo ha già approntato e sta approntando per raggiungere un concreto miglioramento economico e sociale del Paese.

Il Presidente Scelba ringrazia il Segretario di Stato americano per quanto egli ha comunicato a Ginevra alla riunione del CIME in tema di emigrazione, ma esprime la propria perplessità di fronte alle notizie pervenutegli secondo le quali per il prossimo anno 1954-1955 non sarebbero previsti aiuti economici all’Italia. A tale riguardo attira l’attenzione del Segretario di Stato sulla incongruenza di certe preoccupazioni manifestate dagli americani nei riguardi dell’Italia: mentre cioè si riducono o non prevedono aiuti per una nazione amica e democratica per tema che possa divenire comunista, si danno o si aumentano gli aiuti ad una nazione che è già comunista come la Jugoslavia. Non è a questo modo che si combatte il comunismo.

Il Presidente Scelba conclude la propria esposizione con un nuovo richiamo alla necessità che il mondo occidentale compia uno sforzo unitario, non solo nel campo militare, come si è fatto e si sta facendo, ma anche in quello pivasto, della cooperazione politica ed economica. Informa il Signor Foster Dulles che nei prossimi giorni dovrà rispondere al Parlamento italiano ad interpellanze relative all’uso delle armi nucleari. La sua convinzione al riguardo è che tali armi sono le uniche che assicurano la difesa della pace di fronte ad una possibile aggressione sovietica stante lo squilibrio esistente negli apprestamenti militari convenzionali fra i due blocchi. È percifavorevole alla proposta avanzata dal Presidente Eisenhower per un controllo generale dell’energia atomica e per un contemporaneo disarmo che comprenda non solo le armi termo-nucleari, ma tutti i mezzi bellici oggi esistenti.

Ultimo argomento, toccato appena dal Presidente, è l’alleanza militare balcanica; e non vi si dilunga, data l’ora tarda, anche perché l’On. Piccioni a Parigi(4)ha esposto esaurientemente il punto di vista italiano.

Prende la parola il Segretario di Stato. Ringrazia il Presidente per la sua «vigorosa e realistica» franchezza.

È stato lieto di fare la conoscenza personale dell’On. Scelba. La sua esposizione conferma le qualità, che già erano palesi nella sua azione politica e di governo.

Assicura il Presidente che il Governo italiano, tanto pidopo la sua recente presa di posizione nei confronti del comunismo, ha suscitato in America ottima impressione e che tale ottima impressione viene in lui rafforzata dal colloquio odierno. Constata che, nei confronti del comunismo, il Governo italiano e quello americano hanno una coincidenza di vedute in particolare per quanto si riferisce alle necessità di combatterlo vigorosamente. Il comunismo ha creato in Europa orientale e in gran parte dell’Asia un blocco monolitico. Ci troviamo di fronte a un sistema che disciplina una massa di 600 milioni di uomini, ai quali si vanno aggiungendo, con il procedere degli eventi nell’Asia Sud Orientale, altri cento milioni. L’Occidente non pua tale forza opporre che una unità accettata liberamente e volontariamente. Questo sforzo unitario, che non puvenire imposto come avviene oltre cortina, richiede che ciascuno compia qualche sacrificio. Le alternative a questi sacrifici volontari potrebbero essere, in caso di vittoria comunista, sacrifici ben più graviimposti da Mosca. Gli Stati Uniti hanno già fatto molto per favorire questa unità in Europa ed hanno assunto grandi responsabilità e compiuto col piano Marshall e con altri aiutigrandi sacrifici per favorirne la soluzione. È convincimento dell’opinione pubblica americana che se l’Europa non riuscirà ad unirsi, essa finirà per soccombere. Ora l’opinione pubblica americana è alquanto scoraggiata nel constatare che gli europei non riescono a superare le loro diffidenze e ad unirsi. Taluno pensa che sia stato un errore di dare all’Europa così ingenti aiuti economici che hanno permesso ai singoli Paesi di superare, ciascuno per proprio conto, la crisi del dopoguerra evitando di compiere un concreto sforzo unitario. Costoro pensano che occorrerebbe quindi cessare ogni aiuto per mettere gli europei nella necessità di appoggiarsi l’uno all’altro e di unirsi tra di loro. Una delle più gravidelusioni americane è rappresentata dalla lentezza con cui procede la Comunità Europea di Difesa.

Il Segretario di Stato esprime il timore che la lunga attesa rischi di far tramontare in Germania i partigiani della CED e dell’unità europea e di rafforzare le correnti nazionaliste. Andrebbe così perduta l’occasione, che potrebbe non presentarsi mai più di unificare l’Europa. In qualche Paese è stato detto che la CED verrebbe creata solo per far piacere agli Stati Uniti, il che evidentemente non è vero. Per quanto riguarda l’Italia egli capisce l’appello sentimentale che esercita la questione di Trieste e l’influenza che tale questione necessariamente esercita anche sulla condotta del governo. Sarebbe pererrato, a suo parere, pretendere di far leva sulla CED per risolvere il problema di Trieste. Ritardare la ratifica della CED per risolvere meglio il problema di Trieste significherebbe mettere a repentaglio le sorti dell’Europa intera e nella disastrosa situazione che ne potrebbe risultare Trieste perderebbe davvero ogni importanza.

Il Presidente del Consiglio interviene per chiarire di nuovo che noi non subordiniamo la ratifica della CED ad una soluzione triestina; si tratta di una constatazione di fatto. Il Segretario di Stato conferma d’aver compreso quale sia l’atteggiamento italiano in proposito, e sottolinea di non aver voluto nella sua argomentazione riferirsi alle parole del Presidente.

Il Ministro Piccioni osserva che l’Italia ha sempre fatto e continuerà a fare una politica di integrazione europea. Rileva perche questa unità europea non pufarsi lasciando insoluti i problemi fondamentali dei Paesi chiamati a comporre l’unità del continente, ma risolvendo contemporaneamente tali problemi. Ricorda e questo proposito che la Francia ha messo come condizione per la ratifica della CED la previa soluzione della questione della Sarre.

Foster Dulles riconosce esatta l’osservazione del Ministro Piccioni. Per parte sua però non può non rilevare che se ogni Paese mette innanzi i propri interessi, non si arriverà mai a una unione europea sino a quando questa non verrà imposta da qualcuno.È vero che la Francia si ostina a voler risolvere, previamente alla ratifica della CED, la questione della Sarre, ma ‒continua Foster Dulles ‒questa non sembra una posizione saggia e non dovrebbe quindi essere seguita dall’Italia la quale si è acquistata molte benemerenze per la sua politica europeistica e acquisterebbe grande prestigio se potesse ratificare la CED prima della Francia, ciò che favorirebbe anche la soluzione di molti suoi problemi.

Aggiunge che la questione della Sarre è una questione tra due Paesi destinati ad unirsi nella Comunità Europea mentre quella di Trieste è una questione con un Paese al di fuori di tale Comunità.

Il Presidente Scelba replica che l’Italia ha fatto ogni sforzo per l’unità europea e in questo campo ha certo acquistato benemerenze e prestigio, ma che gli alleati non hanno per questo mantenuto nei suoi confronti gli impegni che avevano preso.

Il Ministro Piccioni a sua volta fa presente che se in Francia si dà importanza al problema tra due Stati della Comunità di Difesa, è tanto più giustificata l’importanza che la opinione pubblica italiana dà alla questione di Trieste che, come ha detto il Segretario di Stato, è una questione aperta nei confronti di un Paese che non fa parte della Comunità Europea e che conserva quindi l’indipendenza delle proprie forze armate e la propria libertà di iniziativa e di azione.

Foster Dulles assicura che del problema di Trieste, Stati Uniti e Gran Bretagna si stanno occupando assiduamente riconoscendo l’importanza che esso ha per l’Italia e per la collaborazione europea. Non è vero, aggiunge, che questo problema sia considerato dal Governo americano come un problema secondario. Esso è invece considerato come un problema importante. E ne è prova il fatto che ogni volta che va a rapporto dal Presidente Eisenhower, questi gli chiede di essere ragguagliato sugli sviluppi della questione triestina, e che ogni volta che si incontra con Eden, com’è accaduto anche di recente, questa questione ha formato oggetto di conversazioni. Se questa questione ‒continua Foster Dulles ‒non occupa la sua mente come occupa quella del Signor Scelba, deve perdire che gli è costantemente presente. America ed Inghilterra non sono state ancora capaci di applicare la Decisione dell’8 ottobre perché alcune previsioni allora fatte risultarono errate, ma esse stanno lavorando in questa direzione. La Decisione dell’8 ottobre non era del resto che una base di soluzione (skeleton proposal) che andava integrata da intese collaterali relative alla situazione portuale, economica e delle minoranze.

Precisamente questi punti sono stati approfonditi; ed egli si augura che la soluzione che potrà seguire alle attuali conversazioni possa rappresentare, tra le soluzioni pacifiche, la piadeguata ad esser onorevolmente accettata dal Governo e considerata soddisfacente dal popolo italiano. Si intende, egli aggiunge, che qualsiasi soluzione non potrà essere di pieno soddisfacimento di entrambe le parti.

Il Signor Foster Dulles assicura che il Governo americano sta usando tutta l’influenza di cui dispone per risolvere questo problema. E dopo aver interpellato il Signor Merchant, dice di ritenere che qualche comunicazione potrà essere fatta tra una decina di giorni al Governo Italiano.

A proposito della distinzione tra soluzione provvisoria e soluzione definitiva, il Segretario di Stato osserva che in qualsiasi caso ogni Nazione, in base al diritto di sovranità, può adoperarsi, con mezzi legittimi, perché determinate soluzioni anche definitive possano essere migliorate e perfezionate. Ma sarebbe sempre auspicabile qualsiasi soluzione che, pur definendosi provvisoria, servisse ad allentare tensioni, sciogliere difficoltà e garantire la stabilità.

Passando alle questioni economiche, il Signor Foster Dulles ringrazia il Presidente per l’apprezzamento fatto della sua azione nel campo emigratorio. Premette poi che non è ben al corrente dei programmi economici del suo Governo, ma puassicurare esplicitamente sin d’ora che non vi è alcuna intenzione di favorire altri paesi a scapito dell’Italia. I nostri vincoli d’amicizia ed il gran numero di americani d’origine italiana sono tra gli elementi che assicurano all’Italia, da parte degli Stati Uniti, il trattamento della nazione pifavorita. Vi sono perGoverni che non riescono a far fronte agli impegni assunti nell’interesse della difesa comune, e se ulteriori aiuti verranno dati ad altri sarà esclusivamente per impellenti motivi d’ordine militare. In proposito esprime il suo apprezzamento sull’atteggiamento del Governo italiano in materia di armi termo-nucleari.

Quanto alle facilities, il Segretario di Stato auspica la sollecita conclusione di un accordo che attende d’esser perfezionato da quindici mesi: e ricorda che le facilities rappresentano dai cinquanta ai cento milioni di dollari di entrate per l’Italia. Non è questo, egli si affretta a precisare, il motivo determinante dell’accordo, che trova la sua ragion d’essere in ben altre considerazioni. Anche la legge sullo status delle truppe atlantiche non è stata ancora ratificata. Il Senato americano l’ha ratificata nonostante le notevoli preoccupazioni di ordine costituzionale per l’eventuale incidenza di legislazioni straniere. Auspica quindi che l’Italia possa anche essa superare gli indugi e procedere al perfezionamento degli accordi.

Il Presidente del Consiglio prende di nuovo la parola. Riprendendo l’argomento di Trieste, egli ricorda come esso domini attualmente tutta la vita italiana. Esorta il Segretario di Stato a ricordare come alla fine della prima guerra mondiale i nostri interessi e le nostre attese deluse nella questione di Fiume, finirono per condurre alla dittatura. Oggi, Trieste ha un interesse assai maggiore che non Fiume allora, Trieste rappresenta e compendia i sacrifici sostenuti dall’Italia in due guerre mondiali e, dopo la seconda, l’abbandono di città e di zone italiane come Zara, Fiume, Pola, l’Istria, l’abbandono della linea Wilson e di altre linee sempre meno avanzate, e tutto ciò senza alcuna garanzia di libertà alle minoranze di italiani che l’Italia via via andava perdendo. Evitiamo dunque, egli dice, che il problema insoluto di Trieste abbia nella storia ripercussioni ben più gravi. Urge la soluzione e l’attuazione della Decisione dell’8 ottobre migliorerà tutta la situazione, e apporterà benefici di distensione perché, con le reciproche garanzie alle minoranze, contribuirà ad alleviare questo angoscioso problema.

Il Segretario di Stato ribadisce il suo voto che le nuove proposte siano accettabili.

Riferendosi alle osservazioni e alle recriminazioni di cui si è fatto eco il Segretario di Stato sulla politica degli aiuti dell’America all’Europa, l’On. Scelba esclude che possano essere stati un errore. Noi siamo grati agli Stati Uniti per il Piano Marshall; fu quello lo strumento della nostra ripresa e uno dei motivi fondamentali della campagna elettorale del 1948. Le elezioni del 1948 furono condotte sotto gli auspici di quell’aiuto che veniva alla nostra economia; per contro nelle elezioni del 1953, non avevamo da esibire che una Dichiarazione Tripartita(5)inadempiuta.

Tornando all’argomento della propaganda comunista, l’On. Scelba ricorda i miliardi erogati dalle centrali moscovite per una propaganda unitaria o attivissima. A questa offensiva noi dobbiamo opporci, utilizzando tutti i mezzi a nostra disposizione e tutta la nostra capacità inventiva.

Il Presidente Scelba sottolinea a questo proposito nuovamente l’importanza che hanno per il risanamento sociale dell’Italia gli aiuti economici. Ritorna ad esporre la necessità che anche in questo campo il mondo occidentale si mostri solidale di fronte al comunismo che ha creato una macchina perfetta di penetrazione nell’Occidente sfruttando le singolarità di ogni Paese.

Il Presidente Scelba nota che, come negli Stati Uniti e in Inghilterra, dove non vi è miseria, il comunismo ha operato in altri campi, giungendo a scoprire i segreti delle armi atomiche, in Italia e in Francia il comunismo fa leva sulle difficoltà economiche di questi due Paesi per lavorare in profondità tra le masse.

Il Signor Foster Dulles annuisce a queste osservazioni e assicura che intratterrà Stassen su questo argomento e anche sulla proposta del Presidente di un incontro fra esperti italiani e americani ad alto livello.

Quanto agli accordi sullo status delle truppe e sulle facilities, e riferendosi in particolare a quest’ultimo, il Presidente dichiara che non vi è nessuna divergenza di vedute sulla sostanza dell’accordo; è soltanto questione di stabilire la forma piidonea tenuto conto del nostro ordinamento giuridico. Si avvia tra il Presidente e il Segretario di Stato una breve discussione cui prendono parte l’Ambasciatore Zoppi e l’Ambasciatrice Luce. Da parte americana si desidererebbe conoscere quali sono i punti ancora in sospeso e quale sarà la data approssimativa a cui il Governo italiano prevede di poter perfezionare l’accordo: notizia che gli americani attendono onde poter predisporre i loro programmi anche per lo stanziamento delle somme relative.

Il Presidente del Consiglio spiega che il tempo trascorso è stato necessario per determinare le formule migliori. Occorrono infatti formule che esigano una modifica della legislazione vigente tanto più in quanto si tratta di intese esecutive di accordi già ratificati e in vigore. Il Presidente non è in grado di indicare date, non essendo al corrente dei dettagli. Dichiara perdi voler personalmente seguire con i ministri competenti l’elaborazione finale dell’accordo.

Prima che la riunione si sciolga il Segretario di Stato dichiara d’esser assai lieto dell’incontro; che è stato molto più utile di molte conferenze internazionali e di tante note redatte da Ambasciatori per quanto intelligenti.

Durante il tragitto di ritorno all’aeroporto il Presidente ha sollevato ancora una volta l’argomento della propaganda. Noi ne sottovalutiamo il valore: meglio varrebbe

‒egli dice ‒fare a meno di una divisione ed erogare il costo a scopi di propaganda.

Dulles concorda: purtroppo i vigenti ordinamenti democratici non consentono spese del genere, se non in capitoli molto ridotti, in tempo di pace; né contemplano stati che non siano né di pace né di guerra, come quello in cui viviamo; accenna alla proposta già avanzata in seno alla NATO dalla delegazione italiana, ed ora sostenuta dal Presidente del Consiglio, per la costituzione di un fondo comune per la propaganda(6).

187 1 DGAP, Uff. I, 1947-1962 (II versamento), b. 180/1, fasc. S. Politica estera italiana dal 1954 al 1958. Appunti, verbali, corrispondenza di natura riservata. A proposito di tale colloquio si veda anche la sintesi nel telegramma in FRUS, 1952-1954, Eastern Europe; Soviet Union; Eastern Mediterranean, vol. VIII, D. 189.

187 2 Vedi D. 160.

187 3 Vedi D. 56, nota 3.

187 4 In particolar modo nei colloqui a margine del Consiglio Atlantico: vedi D. 180.

187 5 Vedi D. 66, nota 3.

187 6 Per il seguito vedi D. 189.

188

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto urgente 5009/453(2). Parigi, 4 maggio 1954, ore 22,15 (perv. ore 22,45).

Oggetto: Riunione Comitato Direzione.

Miei 445 e 446(3).

In Comitato Direzione riunitosi ore 20 Delegato olandese ha fatto conoscere accordo suo Governo su testo comunicato a sei già predisposto, chiedendo solo inserzione in terzo paragrafo richiamo articolo 21 Trattato CECA e sostituzione espressione «disposizioni» a quella di «convenzione».

Tutte le Delegazioni hanno concordato. Alphand ha pregato esprimere a Governi riconoscenza francese per sforzi fatti «nell’interesse comune e per venire incontro difficoltà francesi», sottolineando importanza accordo a fine CED.

Comunicato è stato diffuso alla stampa ore 21 con autorizzazione pubblicazione ore 22 di oggi(4).

188 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

188 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

188 3 Vedi D. 186.

188 4 Il testo del comunicato definitivo è ed. in Annales de l’Assembée Nationale, Documents Parlementaires, 2e legislature, vol. XI, session de 1954, p. 1077.

189

IL CAPO DEL SERVIZIO DI COORDINAMENTO DELLA SEGRETERIA GENERALE, CASARDI(1)

Appunto. Roma 18 maggio 1954.

INCONTRO SCELBA-DULLES DEL 3 MAGGIO 1954(2)

Aiuto speciale per l’Italia

Con il pretesto di una offerta di raffrontare, a fine di reciproco controllo, i verbali del colloquio di Gallarate tra il Presidente Scelba e il Segretario di Stato Dulles, Durbrow ha tenuto a rappresentare la sua impressione che forse un punto della conversazione non fosse risultato chiaro. Egli intendeva alludere alla questione della eventualità di un aiuto speciale all’Italia per il 1954-1955, argomento che aveva a suo tempo fatto oggetto di una lettera di Dulles all’Ambasciatore Luce e, sulla base di tale lettera, di un colloquio tra la Signora Luce e il Presidente Scelba. Riferendosi a tale lettera, il Presidente Scelba a Gallarate, aveva manifestato a Dulles la desiderabilità della concessione di tale aiuto speciale da parte americana, proponendo tra l’altro l’invio di tecnici americani per un esame dei problemi economici italiani. A tale riguardo Durbrow doveva chiarire (evidentemente per incarico ricevuto dalla Signora Luce) che mentre Dulles aveva preso nota della proposta fattagli dal Presidente Scelba, egli aveva tuttavia ricordato come, nel pensiero del Presidente Eisenhower, una iniziativa per chiedere al Congresso la concessione di un aiuto speciale all’Italia fosse collegata ad alcune precise condizioni tra cui in primo luogo: la ratifica della CED, una effettiva compressione del fenomeno comunista attraverso gli «esistenti strumenti di Governo», un impegno a non ridurre le attuali spese militari. Tali condizioni rimangono tuttora valide, e questo, sia pure in maniera sfumata, aveva inteso di precisare Dulles nella sua risposta al Presidente Scelba(3).

189 1 DGCI, Uff. II, 1951-1954, b. 36, fasc. Scelba-Dulles.

189 2 Vedi D. 187.

189 3 In calce al documento è presente la seguente annotazione di Zoppi: «In realtà Dulles non ne parlnel colloquio “attorno al tavolo” (e per questo non figura nel verbale), ma lo disse a me, presente il Presidente, dopo che ci eravamo alzati e mentre si attendevano le signore».

190

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 0744/507(2). Parigi, 26 maggio 1954.

Oggetto: Rinvio decisione sulla ratifica della CED Commissione Affari Esteri Camera.

Riferimento: Telespresso questa Ambasciata n. 0730/502(3).

Contrariamente alla decisione, già presa la settimana scorsa, di pronunciarsi entro il 26 c.m. sulla ratifica del Trattato per la CED, la Commissione degli Affari Esteri della Camera ha di nuovo rinviato il voto definitivo sulla questione. Tale decisione è stata presa con una maggioranza di 28 membri favorevoli, 8 contrari (di cui 7 comunisti), 7 astenuti.

L’aspetto paradossale di tale rinvio è costituito dal fatto che esso è stato ottenuto sulla base di una proposta formulata da due avversari della CED e in considerazione della pregiudiziale sarrese che era stata invece respinta, come tale, la settimana scorsa con 28 voti contro 1.

Al momento infatti di decidere sulla questione, all’ordine del giorno, del voto sul rapporto presentato da Jules Moch, la Commissione si è trovata innanzi a due proposte di aggiornamento, presentate rispettivamente dai deputati Isorni e Generale Billotte, da un canto, e dai deputati René Mayer e Yvon Delbos, dall’altro. Entrambe le proposte facevano rilevare la necessità di aggiornare il voto sulla CED in attesa di poter disporre di informazioni governative circa la questione sarrese.

Isorni e Billotte, che è l’autore del progetto «di ricambio» già segnalato, hanno inoltre dichiarato che il risultato delle conversazioni sulla Sarre avrebbe fornito loro, pitardi, delle ragioni supplementari a sostegno dell’opposizione da essi manifestata alla Comunità.

I membri socialisti della Commissione si sono mostrati favorevoli al rinvio, in attesa di consultare il Ministro degli Esteri sulla questione sarrese.

Si ritiene anche che gli sviluppi dei negoziati sulla Indocina abbiano convinto parte degli avversari della CED a non aumentare, in questo momento, le difficoltà del Ministro degli Esteri.

Il relatore Jules Moch, da parte sua, ha anch’esso dichiarato di accettare l’aggiornamento, purché venisse fissato un termine non troppo lontano.

In conclusione è stato deciso di accogliere la proposta Isorni-Billotte, rinviando, al massimo per quindici giorni, il voto, in modo da poter ottenere le informazioni governative sulle conversazioni predette, pur precisando che non occorre attendere la soluzione della questione sarrese.

190 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

190 2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Visto dal Segretario Generale», quest’ultimo con la sigla di Zoppi.

190 3 Del 25 maggio. In esso Quaroni dava conto dei lavori parlamentari e dell’attività politica sul tema della ratifica della CED (Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 39, fasc. 2).

191

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 7446/2646(2). Washington, 26 maggio 1954.

Oggetto: Comunità Europea di Difesa. Ratifica francese e problema della Sarre.

Riferimento: Telespressi di questa Ambasciata n. 7016/2516 e 7027/2527 rispettivamente in data 19 e 20 maggio corrente(3).

Nei giorni scorsi si è svolto fra Washington e Parigi un serrato dibattito che ha avuto come oggetto immediato la riunione odierna del Comitato degli Affari Esteri dell’Assemblea degli Affari Esteri [sic] francese. Il Dipartimento di Stato, sorpreso dalla notizia della convocazione di questa riunione, ne ha fatto presente l’inopportunità e la pericolosità, essendo evidente che dalla riunione stessa non poteva che uscire una indicazione negativa nei confronti della ratifica del Trattato CED. Questa volta pertanto gli Americani si sono battuti per un rinvio o almeno per impedire una votazione. Dalle prime notizie stampa si deduce che essi sono riusciti nel loro intento.

Questo piccolo successo tattico ha impedito un improvviso collasso del grande ammalato, il che significa soltanto, se non si verificano fatti nuovi, che l’agonia sarà prolungata. In questi termini si sono espressi oggi funzionari del Dipartimento di Stato, i quali hanno tratteggiato un quadro assai pessimistico della situazione ed hanno confessato che nonostante gli approfonditi studi che si vanno compiendo non si riesce a trovare il mezzo di avviare il delicato problema verso una soluzione razionale.

Il Dipartimento si trova dinanzi a due situazioni «deboli», quella di Laniel e quella di Adenauer. Esso teme che esercitando aperte pressioni sul primo favorisca il gioco dei suoi avversari determinando una nuova crisi; vede peral tempo stesso che lasciando correre le cose sulla china attuale, si finisce per dimostrare l’insuccesso della politica di Adenauer e favorire il gioco degli avversari di questo ultimo.

L’evoluzione dello stato d’animo dei Tedeschi va creando qui preoccupazioni sempre maggiori. La mancata integrazione della Germania nell’Europa Occidentale appariva fino a poco tempo fa ai circoli dirigenti americani come un «lucro cessante» a danno dell’organizzazione difensiva europea; oggi comincia ad apparire anche il «danno emergente» e cioè la tendenza di alcuni settori tedeschi a riesaminare il problema dei rapporti fra Bonn e Mosca con criteri pirealistici e allo scopo di avviare rapporti economici e formali come primo passo verso qualche nuovo tentativo per risolvere il problema fondamentale della Germania di oggi che è quello della riunificazione.

In tali condizioni si spiega l’attaccamento del Governo americano alla soluzione CED, anche se essa appaia di sempre più difficile realizzazione. Ogni elemento favorevole, anche se di modesta portata, viene accolto e valorizzato con molto interesse. La posizione assunta nei giorni scorsi dal Consiglio d’Europa è stata qui sottolineata con vivaci consensi e si è tenuto in particolar modo a porre in rilievo l’energia con cui da parte britannica si va sostenendo la necessità di non lasciar cadere il progetto CED.

Altro elemento di soddisfazione si è registrato nelle recenti conversazioni franco-tedesche di Strasburgo a proposito della Sarre. Il Dipartimento ci ha confermato che si è giunti ad una intesa di massima dei principali problemi rimasti finora aperti nel quadro del noto progetto Van Nater per la europeizzazione del Territorio. La ridda di smentite francesi e contro-smentite tedesche di cui si è fatta eco questa stampa non ha avuto molto peso presso gli uffici americani, in quanto essi hanno ripetuto che, secondo le informazioni loro pervenute, i due negoziatori hanno effettivamente raggiunto un accordo: la contradittorietà delle notizie diffuse al riguardo puprobabilmente spiegarsi col fatto che si tratta di un accordo ad referendum (né poteva essere altrimenti) e non di un’intesa definitiva. Anche questa Ambasciata di Germania ha confermato i risultati positivi delle ultime conversazioni.

Il problema della CED continua a far sentire la sua influenza nei contatti in corso fra Amministrazione e Congresso a proposito degli aiuti. Secondo gli ultimi elementi raccolti al riguardo, e sui quali riferisco piampiamente a parte, si va delineando la tendenza a rettificare l’emendamento Richards nel senso di autorizzare gli aiuti ai singoli Paesi membri della CED, con eccezione tuttavia dei Paesi che non hanno ancora ratificato il Trattato.

Date le circostanze, il problema delle cosidette alternative diventa sempre più diattualità. Si parla oggi con molta maggiore libertà che in passato delle varie ipotesi possibili: sganciamento del Trattato CED dagli Accordi Contrattuali di Bonn, accordo diretto Stati Uniti-Germania, creazione di una «forza di polizia» tedesca, associazione della Germania con la NATO o addirittura adesione della Germania stessa al Patto Atlantico. Non appena affacciate, queste ipotesi mostrano perla loro debolezza, in quanto sono tutte subordinate in una misura maggiore o minore al consenso francese. Ora, per considerazioni geografiche, politiche, psicologiche e per il fatto stesso che la Francia è una delle tre Potenze occupanti, qualsiasi soluzione a cui non sia assicurato il consenso francese appare di assai difficile realizzazione e non v’è dubbio che la Francia abbia sostanzialmente piragioni di opporsi alle alternative accennate che non al progetto CED. Resta l’ipotesi di una revisione radicale di quest’ultimo, ma a ciò si oppongono proprio gli Americani i quali temono le infinite complicazioni che potrebbero derivarne.

In conseguenza di tale situazione, l’atteggiamento americano resta formalmente fermo nella linea finora seguita, ma con molte cautele imposte dalla complessa situazione europea, e tuttora incerto ed esitante sulla via da seguire nell’ipotesi che le previsioni pessimistiche abbiano a realizzarsi in un futuro più o meno prossimo.

191 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 9.

191 2 Il documento reca il timbro: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

191 3 Con il primo telespresso, Tarchiani riferiva le reazioni statunitensi alla notizia del rinvio della procedura parlamentare di ratifica della CED in Francia. Con il secondo, l’Ambasciatore riportava le notiziestampa sul tema della ratifica francese e della Saar (Ambasciata a Washington, 1940-1973, b. 27, fasc. 767).

192

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 7739(2). Washington, 27 maggio 1954.

Oggetto: Rapporti fra Italia e Stati Uniti.

Signor Ministro,

appena la Conferenza di Ginevra si è aperta, è apparso chiaro che il primo effetto pratico di essa sarebbe consistito nel mettere in rilievo i dissensi dei Paesi occidentali sulla politica asiatica. Le infelici, o per lo meno intempestive, iniziative americane immediatamente precedenti la conferenza avevano reso quell’effetto piclamorosamente evidente di quanto sarebbe stato se si fosse verificata una più discreta preparazione diplomatica interalleata.

Nel rilevare ci(col mio rapporto 4787 del 7 aprile u.s.) facevo presente che la più grave conseguenza di questi dissensi è forse costituita dal fatto ch’essi accentuano nell’opinione pubblica americana e nell’amministrazione repubblicana un certo senso di irritazione, non soltanto verso i Paesi europei direttamente interessati alle questioni asiatiche, ma anche verso l’Europa in generale. Se si tiene presente che i dissensi in materia di politica asiatica si aggiungono a molti altri, possiamo dire che si profila (se non vogliamo dire che è già in pieno sviluppo) una crisi di rapporti fra gli Stati Uniti e gli Stati europei. È una crisi che non va sopravvalutata, perché, come tante volte si è osservato, non vi è qui alcuna possibilità di ritorno all’«isolazionismo» prebellico; ma essa non deve essere neppure sottovalutata, perché puostacolare notevolmente gli sviluppi pratici della collaborazione America-Europa, da cui, in definitiva, dipende la difesa della pace.

In queste condizioni, è opportuno cercare di stabilire quale aspetto assumano i rapporti Stati Uniti-Italia nel pivasto quadro dei rapporti Stati Uniti-Europa.

Si dice, credo, una cosa ormai ovvia se si dice che anche nei rapporti italo-americani c’è una crisi, in parte latente e in parte in atto.

In sostanza, da parte nostra si rimprovera sempre pichiaramente agli americani di non aver assicurato un’efficace tutela degli interessi italiani nell’ambito della collaborazione fra i Paesi occidentali, o, in altre parole, di avere preteso dall’Italia un’adesione incondizionata a tutte le forme di quella collaborazione, senza prestarle adeguata assistenza quando era in gioco un suo interesse nazionale. Se questo rimprovero facesse dimenticare i vantaggi di carattere generale, non soltanto economici, che l’Italia ha tratto dall’amicizia degli Stati Uniti, sarebbe profondamente ingiusto. Se, invece, è limitato a problemi specifici, quantunque importanti, ha un indiscutibile fondamento. C’è stata, da parte americana, una sottovalutazione del potenziale umano, morale, industriale e militare dell’Italia, in via relativa più ancora che in via assoluta (ad esempio rispetto alla Francia) per cui è accaduto pivolte che l’aspetto italiano di certi problemi della cooperazione politica o economica o militare non abbia ricevuto la dovuta considerazione. C’è stata, soprattutto, una radicalmente errata impostazione della politica verso la Jugoslavia, a causa della quale il problema di Trieste si è aggravato, raggiungendo talvolta «punte» di asprezza molto pericolose.

Il rimprovero è ormai avvertito dagli americani, i quali però non ne intendono il fondamento perché ritengono che l’appoggio concesso dagli Stati Uniti all’Europa deve essere concepito in relazione ai suoi scopi generali, cioè alla difesa dell’Occidente contro la minaccia sovietica e non può invece, essere invocato a detrimento di tali scopi e a sostegno di interessi particolari di questo o quel Paese (Trieste per l’Italia, i possedimenti coloniali per la Gran Bretagna e la Francia, e simili).

Probabilmente questo contrasto di vedute era inevitabile e costituisce, appunto, l’angolo italiano della crisi dei rapporti Stati Uniti-Europa, cui accennavo più sopra. Aggiungo che la situazione, per quanto ci riguarda, potrà aggravarsi. Nel problema di Trieste potremo trovarci di fronte a proposte inaccettabili perché obbiettivamente ingiuste o perché tali che, indipendentemente dal loro merito, qualora fossero accettate provocherebbero una insostenibile reazione nel Territorio Libero e in Italia. In tal caso, se la situazione parlamentare non ci consentisse di ratificare la CED né di compiere altri passi sulla via della collaborazione «atlantica», sarebbe nostro dovere, oltre che nostro interesse, dirlo francamente agli americani. Di qui il temuto aggravamento della crisi.

Detto ci debbo aggiungere che la possibilità di un aggravamento della crisi, prodotto da una istanza specifica e chiaramente posto sul tappeto, non deve far dimenticare un’altra possibilità: quella di un aggravamento lento, confuso, a base di diffidenze reciproche e tale da danneggiare seriamente il prestigio dell’Italia in questo Paese. Di questo fenomeno ci sono già alcuni sintomi.

Dalla conversazione Dulles-Scelba-Piccioni alla Villa Carminati(3), dal colloquio Dulles-Piccioni a Parigi(4), dal mio ultimo colloquio con Murphy(5), dagli atteggiamenti della Signora Luce e della FOA (Stassen, Tasca ecc.) si trae l’impressione che le relazioni tra il Governo italiano e quello americano non sono quali dovrebbero essere e furono nel passato. Non che Eisenhower e Dulles, messi di fronte a molti sconcerta[n] ti e minacciosi problemi mondiali, vogliano trascurare o umiliare l’Italia accrescendo così le loro difficoltà; ma c’è una mancanza di simpatia attiva, che è la molla principale della fruttifera cooperazione ideale e materiale tra due Paesi.

Questa atmosfera non è prodotta soltanto dal nostro atteggiamento nella questione di Trieste e neppure dalla connessione che noi stabiliamo, più o meno esplicitamente, fra quella questione e altre, cui gli americani tengono molto, e principalmente la ratifica della CED. È prodotta anche dalla situazione generale italiana, la quale, a torto

o a ragione, fa pensare qui che dietro la questione di Trieste vi sia qualcos’altro, di indefinibile ma anche di inguaribile o difficilmente guaribile, che ostacola il completo allineamento italiano nella politica occidentale.

Nel mio rapporto 15955 del 10 dicembre 1953 segnalavo che il governo americano, pur riconoscendo che quello italiano si trovava di fronte a un grave problema di politica estera, riteneva che vi fosse in Italia anche un problema di politica interna e che il secondo fosse largamente indipendente dal primo. Segnalavo anche che, nella valutazione del problema di politica interna, gli americani ne individuavano concordemente il nocciolo nella scarsa fermezza del governo verso il comunismo. Un mese dopo, il Governo italiano entrava in crisi e i timori americani sulla situazione italiana assumevano, in gran parte a causa dell’atteggiamento della Signora Luce, un carattere drammatico, che li portava del tutto fuori della realtà. La formazione dell’attuale Governo ha reso possibile, qui, un apprezzamento picalmo ed ha anche suscitato speranze di miglioramento. Tuttavia non ha mutato sostanzialmente la valutazione della situazione.

L’impressione provocata dall’aumentato numero di voti comunisti rimane, con tutto il suo strascico di considerazioni, in parte semplicistiche, ad esempio sul preteso fallimento del piano Marshall, che sembra avere accresciuto anziché sbaragliato le forze sovversive italiane, e sul pericolo di affidare fabbricazioni di guerra a maestranze infide. Rimane, soprattutto, l’impressione che il Governo italiano sia incerto e impacciato nella lotta contro il comunismo e che non abbia sensibilità per le gravissime apprensioni americane circa la condotta sempre più difficile di questa titanica guerra, almeno con le armi in opera oggi e con i metodi che si subiscono, non si scelgono.

Sulla base di queste impressioni, non può non accadere che si attribuisca ingiustamente un significato notevole a certi episodi o incidenti e a certi nostri difetti o anomalie o resistenze, del passato e del presente. Alludo, per esempio, alle famose lentezze nell’applicazione dell’art. 78 del Trattato di Pace; alla nostra freddezza in materia di controllo del commercio est-ovest e ai noti episodi di violazione degli impegni presi al riguardo; agli spesso inconcludenti ma sempre prontissimi contatti di affaristi italiani con Paesi in lite con l’Occidente (si pensi agli affari di petrolio in Iran e alle lontane e recenti forniture di armi al Guatemala); alla ritardatissima ratifica della CECA; al peso apparentemente scarso, dato alle ripercussioni sull’opinione pubblica americana del trattamento fatto a certe sette protestanti in Italia. Tutte cose diversissime, che scelgo quasi a caso, ma che tutte confermano e aggravano, in parte a torto ma ineluttabilmente, la nostra vecchia fama di machiavellismo, di estrema e intricatissima furberia in politica internazionale, di tendenza ai «giri di valzer», di scetticismo.

Consegue da ciò che la nostra riluttanza o incapacità di compiere rapidamente certi passi importanti sulla via della collaborazione «atlantica» e «europeista» (in primo luogo, ratifica della CED; ma anche, ad esempio, conclusione dell’accordo per le «facilities», cioè per le basi militari, non ancora stipulato dopo quindici mesi di tira e molla) rischia di essere attribuita meno alla mancata soluzione del problema di Trieste che a una generale fiacchezza e mancanza di intima convinzione delle imperiose esigenze della difesa occidentale. La connessione fra la questione di Trieste e la ratifica della CED finisce per apparire, malgrado le nostre ripetute spiegazioni, creata da noi artificiosamente e subdolamente. La questione di Trieste, per noi vitale, diventa per Eisenhower, per Dulles e per molti altri elementi dirigenti americani un insopportabile fastidio, complicato dall’impedimento dell’alleanza balcanica.

Questo quadro, come appare alle personalità decisive degli Stati Uniti, informate ed orientate in tal senso dalla signora Luce e da altri, non può non avere una forte ripercussione sulla nostra influenza qui, e sulla considerazione che Eisenhower e Dulles, e quindi tutta l’Amministrazione, hanno in concreto di noi. Anche se continuano ad essere assai cordiali, e talvolta comprensivi nella forma e nelle cose di minor rilievo, sono spinti inconsciamente a punirci con lievi, successivi, insistenti giri di vite per farci intendere che sono insoddisfatti e aspettano che cambiamo strada. Col far ci naturalmente, contribuiscono ad aggravare, anziché a correggere, il fenomeno.

I rapporti con l’Inghilterra e la Francia sono anche peggiori; ma è noto che l’America, nella sua centrale linea politica, è sempre disposta a sopportare con pazienza e a comprare con compensi l’opposizione o semi-opposizione o anche il semplice malumore di quelle due Nazioni, che stima indispensabili al suo gioco morale-psicologico ed eventualmente ad una sua azione militare nel mondo. Per contro noi, nonostante ogni nostro sforzo (ed anche per la diversità della nostra posizione storica e geografica), non siamo riusciti, e probabilmente non possiamo riuscire, a farci considerare altrettanto preziosi; quindi dobbiamo cercare altra via per uscire da questa crisi.

Uno sforzo in tal senso è urgente anche perché la questione di Trieste, col costringerci ad assumere un atteggiamento fermo e perfino ad affrontare all’occorrenza, come ho scritto pivolte, una crisi acuta dei nostri rapporti con gli Stati Uniti, rende ancor più indispensabile per noi sgombrare il terreno da ogni altro contrasto o motivo di diffidenza. A tal fine, la riaffermazione verbale dei nostri ideali «atlantici» ed «europeisti» non basta o, almeno, non basta più Quantunque la fedeltà dell’Italia (o, piesattamente, di alcuni eminenti esponenti della politica italiana) a quegli ideali sia stata dimostrata concretamente in passato, oggi è messa in dubbio, almeno per quanto riguarda la sua possibilità di tradursi in atti pratici e tempestivi. Ormai occorre un’azione concreta; e, visto che le perplessità americane hanno prevalentemente per oggetto la lotta anti-comunista, occorre dimostrare che il Governo italiano intende agire con energia in tutti gli aspetti di questa lotta. Ecco che il problema, per noi, diventa quasi più dipolitica interna che di politica estera.

L’affermazione che nei rapporti italo-americani la politica interna italiana ha un peso preponderante è confermata dalla storia recente di tali rapporti. In pratica l’Italia ha acquistato qui una posizione buona, e in qualche momento addirittura eccellente, pressoché esclusivamente sulla base delle sue realizzazioni interne. Il ristabilimento dell’ordine pubblico, la conseguita stabilità della moneta, il risultato delle elezioni del 18 aprile 1948, per citare soltanto i fatti pisalienti, hanno reso possibile l’afflusso di generosi aiuti economici, l’inclusione nel Patto Atlantico, lo sviluppo della collaborazione militare ecc. La posizione dell’Italia è cominciata a peggiorare con la mancata o troppo lenta

o confusa realizzazione di altri obbiettivi, che agli americani sembravano costituire il logico sviluppo dei precedenti (Nel citato rapporto del 10 dicembre ricordavo, a titolo di esempio, le pressioni americane per la riforma agraria e per una piaudace politica di investimenti e ricordavo anche che, mentre alcune delle cose che secondo gli americani si sarebbero dovute fare, non potevano forse esser fatte, non davamo perl’impressione di farne, in luogo di quelle, altre né di fare abbastanza sollecitamente quelle fattibili). Adesso la situazione è ulteriormente peggiorata perché il risultato delle elezioni del 7 giugno dell’anno scorso appare semplicisticamente agli americani come una prova dell’insufficiente azione del Governo italiano fra il 1948 e il 1953.

In queste condizioni l’attività del Governo italiano nel futuro (e intendo dire nel futuro prossimo) riveste grande importanza. Se la lotta anticomunista dovesse languire, dopo gli espliciti annunci di misure precise, fra l’altro per quanto riguarda il controllo del commercio con l’URSS e i suoi satelliti e la estromissione delle organizzazioni comuniste dagli edifici di proprietà demaniale; se venisse ad essere delusa l’aspettazione di un piorganico funzionamento del potere esecutivo; se non si ricorresse tempestivamente ad iniziative e provvedimenti intesi a soddisfare certe aspirazioni dell’opinione pubblica, ad esempio in materia di lotta contro la disoccupazione e di moralizzazione della vita pubblica; allora la nostra posizione qui continuerebbe ad appesantirsi, con conseguenze sfavorevoli su tutta la gamma dei nostri problemi.

La grande influenza che la politica interna dei Paesi europei ha sui loro rapporti con gli Stati Uniti è confermata anche dalla posizione invidiabile di cui oggi gode qui la Germania. La Germania ha «preso quota» a Washington per ragioni sostanzialmente identiche a quelle per le quali aveva «preso quota» l’Italia qualche anno fa: stabilità governativa, risanamento economico, produzione industriale intensa e di eccellente qualità, sistemi commerciali estremamente attivi e seri, graduale eliminazione del pericolo comunista, politica estera nettamente orientata verso l’Occidente, accettazione coraggiosa delle perdite inevitabilmente imposte dalla sconfitta. Essa sta ora sfruttando la sua posizione con una coerenza e con un’abilità che non possono non essere ammirate. I suoi agenti sfruttano, con larghezza di mezzi, il valore propagandistico delle sue realizzazioni (trecentomila dollari per un intero numero di «Life» sono una grossa somma, ma costituiscono, ciononostante un buon affare). I suoi uffici commerciali lavorano in profondità, con risultati promettenti. La sua azione diplomatica, con molta discrezione e direi quasi con umiltà, come i tedeschi sanno fare dopo le sconfitte, è tutta volta a coltivare nel Governo e nell’opinione pubblica degli Stati Uniti il convincimento che la Germania sia, sul continente europeo, l’unico pilastro solido della difesa occidentale. Vi è in gran parte riuscita. La crisi generale dei rapporti Stati Uniti-Europa, cui accennavo al principio del presente rapporto, l’ha aiutata ad apparire come una felice eccezione.

Possiamo quindi dire che la situazione generale dei rapporti italo-americani, anche indipendentemente da un’eventuale crisi che abbia specificamente per oggetto Trieste, subisce due contraccolpi sfavorevoli: uno è costituito dalla crisi generale dei rapporti fra gli Stati Uniti e la maggior parte dei Paesi europei, la quale induce gli americani a vedere nelle difficoltà che sorgono fra loro e noi un’ulteriore prova della debolezza dell’Europa; l’altro è costituito dalla «eccezione» tedesca, che rende pivivo il contrasto con noi e con gli altri Paesi europei.

Mi rendo conto delle difficoltà in cui si trova il Governo italiano, anche perché la politica americana, salvo la battaglia anti-comunista e anti-russa nelle sue grandi linee, è inafferrabile e indefinibile perfino per molti autori di essa; pure dobbiamo sforzarci a mettere in pratica qualcosa del fattibile, e ve n’è, se vogliamo riprendere quota qui e approfittare largamente dei benefici che l’amicizia fiduciosa degli Stati Uniti ci puassicurare.

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio più devoto ossequio.

Tarchiani

192 1 DGAP, Uff. I, 1945-1960 (I versamento), b. 8, fasc. 3.

192 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

192 3 Vedi D. 187.

192 4 Si fa verosimilmente riferimento al colloquio del 24 aprile a margine della XVIII sessione del Consiglio Atlantico tenutosi a Parigi il 23 ed il 24 aprile: vedi D. 180 e nota 3.

192 5 Non sono stati rinvenuti colloqui più recenti di quelli svoltisi l’11 e il 14 gennaio e che riguardarono la crisi di governo italiana (rapporti segreti 288 e 443, in DGAP, Uff. I, 1945-1960, I versamento, b. 8, fasc. 3).

193

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, CON L’AMBASCIATRICE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA, BOOTHE LUCE (Roma, 29 maggio 1954, ore 19)(1)

Appunto segreto(2).

L’Ambasciatore inizia dicendo che è stata incaricata dal proprio Governo di fare a S.E. il Ministro la seguente comunicazione di carattere strettamente confidenziale e segreto, relativa alla questione dell’Alleanza balcanica.

Il 22 maggio gli Ambasciatori degli Stati Uniti a Belgrado e ad Atene, su istruzioni del Dipartimento di Stato, hanno compiuto passi di uguale tenore presso i Governi jugoslavo ed ellenico. Essi hanno fatto presente che gli Stati Uniti sono favorevoli ad una continuazione della collaborazione greco-turco-jugoslava in ogni settore, purché essa non pregiudichi in alcun modo gli obblighi della Grecia e della Turchia verso il NATO. Secondo l’avviso degli Stati Uniti, occorre in questo momento «considerare con ogni cura» qualsiasi pubblico annuncio e dichiarazione si intenda fare sull’alleanza balcanica, in funzione delle ripercussioni che può avere in Italia, dato anche lo stato attuale del problema triestino. Con riferimento alla imminente visita di Tito ad Atene, i due Ambasciatori hanno attirato tutta l’attenzione dei loro interlocutori sulla necessità che tengano ben presente, nelle loro dichiarazioni e comunicati, l’effetto che potrebbero avere ‒ove in essi non venisse tenuto conto del punto di vista italiano ‒sui difficili negoziati attualmente in corso sulla questione di Trieste. Civaleva anche, hanno insistito i due Ambasciatori, per il modo di presentare al pubblico i «tempi» della trasformazione del Patto Balcanico in alleanza militare.

È ovvio, ha aggiunto Mrs. Luce, che la visita di Tito ad Atene dovrà concludersi con un comunicato. Ma ora tanto i greci quanto gli jugoslavi sono perfettamente al corrente del pensiero americano a tale riguardo; e sanno benissimo che gli Stati Uniti contano che le pubbliche manifestazioni greco-jugoslave non abbiano minimamente ad interferire con le speranze ed aspettative degli Alleati occidentali per una soluzione della questione di Trieste.

Bebler, ha sottolineato l’Ambasciatore americano, ha tenuto ad insistere in modo tutto particolare che non vi era da parte di Belgrado la benché minima intenzione di avvalersi degli sviluppi militari dell’alleanza balcanica per migliorare la posizione jugoslava nelle trattative su Trieste.

Il Governo americano, ha concluso Mrs. Luce, spera di poter fare assegnamento su molta moderazione nelle manifestazioni del Governo italiano durante la visita di Tito; e citanto più che «ormai mancano pochi giorni all’incontro a Londra con l’Ambasciatore Brosio per iniziare il lato italiano dei sondaggi per Trieste».

Il Ministro Piccioni risponde ringraziando l’Ambasciatore, e pregandola di trasmettere i suoi ringraziamenti al Governo americano, per la comunicazione fattagli e per lo spirito amichevole e comprensivo a cui erano ispirati i passi effettuati dai Rappresentanti americani a Belgrado e Atene. Noi vogliamo confidare, egli ha aggiunto, che la efficacia di tali passi sia stata [tale] da indurre entrambi i Governi a dar prova di altrettanta moderazione quanta ne ha saputa sinora dimostrare il Governo italiano. Non siamo certo noi che possiamo venir accusati di aver turbato l’atmosfera con le nostre manifestazioni. E ci auguriamo vivamente che dal convegno di Atene non emergano gesti o dichiarazioni che ci costringano, nostro malgrado, a pubbliche prese di posizione o messe a punto.

Comunque, sul problema considerato dal punto di vista politico e giuridico, la posizione del Governo italiano è stata ampiamente chiarita e quindi è nota anche ai Governi interessati. Debbo dichiarare che tuttora essa è per noi valida.

Mrs. Luce dice che vuole approfittare della occasione per attirare l’attenzione del Ministro su due questioni che gli sono certamente assai note. L’una è quella relativa all’accordo per le «facilities» e l’altra è quella della CED.

Per quanto riguarda le «facilities», Mrs. Luce fa presente che fra il 15 ed il 30 giugno vengono a scadere le somme precedentemente stanziate per tale programma e che ammontano ‒per l’Italia ‒ad un 135-150 milioni di dollari. Se non firmiamo subito l’accordo, rischiamo seriamente di perdere completamente tale somma.

Il Presidente Scelba, nell’incontro di Milano(3), aveva chiesto al Segretario di Stato americano che gli Stati Uniti iniziassero un nuovo programma di aiuti economici per l’Italia.

Se non firmiamo l’accordo per le «facilities» sarebbe per lo meno assai difficile (anzi, secondo me, afferma l’Ambasciatore, sarebbe impossibile) persuadere l’opinione pubblica americana a concedere aiuti economici ad un Paese che si sia lasciato sfuggire le forti somme che avrebbe potuto avere nel programma «facilities». Il Ministro Piccioni, che segue tutta la situazione internazionale, sa assai bene come nell’opinione pubblica si stia sempre piaffermando la tendenza a cessare gli aiuti ai Governi che dimostrano di non volerli.

Quanto alla CED, il Governo americano si rende perfettamente conto di tutte le molteplici difficoltà che il Governo italiano deve affrontare per riuscire a far passare il Trattato nel Parlamento e nel Paese. Gli Stati Uniti, per parte loro, fanno tutto quello che possono per Trieste, anche allo scopo di rimuovere questo ostacolo alla ratifica italiana della CED. Ma occorre che questa ratifica abbia luogo il più presto possibile.

Il programma delle commesse off-shore era stato ideato per creare in Europa basi di produzione per fabbricare materiale destinato alla costituenda Comunità Europea di Difesa. È evidente che se viene a mancare la possibilità di destinare utilmente il materiale prodotto, cade anche ogni ragione di effettuare nuove ordinazioni. E civale altrettanto, ed anche più per gli «end-item». Già in tutta Europa, per il suaccennato motivo, le ordinazioni off-shore sono state ridotte quasi alla metà. Senza ratifica, che crea le possibilità di utilizzo per il materiale, molti dei nostri «follow-on-orders» ‒che alla fine di giugno di ogni anno venivano rinnovati ‒non saranno rinnovati; e se lo saranno, ciavverrà solo verso ottobre. Specialmente nel settore aeronautico, è inutile ordinare degli apparecchi se si sa che i piloti mancano.

Concludendo Mrs. Luce afferma che la mancata ratifica rappresenterebbe per noi una perdita automatica di altri 150 milioni di dollari annui, fra commesse off-shore ed end-items: e la perdita sarebbe automatica in quanto un emendamento alla legislazione su questi programmi (emendamento sul quale lo stesso Dipartimento di Stato concorda) ora discusso dal Congresso fa appunto divieto di piazzare commesse o dare end-items ai Paesi firmatari della CED che non ratifichino il trattato.

Il Ministro Piccioni risponde, prendendo atto di quanto fattogli presente dall’Ambasciatore. Per quanto riguarda l’accordo sulle «facilities» il Ministro dichiara che esso viene attivamente esaminato sotto l’aspetto giuridico-costituzionale poiché ‒come già disse il Presidente Scelba a Milano ‒alcune parti di tale accordo richiedono attento studio sotto tale aspetto. Alla domanda di Mrs. Luce se il Ministro sia in grado di dire in che data l’accordo potrà essere firmato (data che S.E. Scelba nel colloquio di Milano si era riservato di comunicare successivamente), l’On. Piccioni risponde di non poter indicare una data precisa; ma assicura che grandi passi avanti si sono compiuti e che si intende accelerare ancor più l’esame dell’accordo in modo da poter giungere al più presto possibile ad una conclusione.

Quanto alla CED, il Ministro non può non sottolineare che qui non si tratta di maggiore o minore buona volontà da parte del Governo. La lentezza dipende dalla particolare situazione politica del Paese, che è stata ampiamente e ripetutamente illustrata al Governo americano, e dalle norme che regolano la nostra procedura parlamentare, il Governo non puimpedire che tali norme vengano applicate, così come il governo americano non potrebbe impedire che il Congresso applichi il proprio regolamento.

Il Ministro conclude sottolineando la necessità che il Governo americano guardi alla questione con la necessaria comprensione e non stia a condizionare la concessione di aiuti economici alla ratifica del trattato CED, ratifica che certamente verrà ma che non può essere precipitata.

L’Ambasciatore risponde che purtroppo la questione non dipende dal Governo americano. Non si tratta di cosa in cui Governo e Dipartimento di Stato possano agire a loro grado, bensì di tassative disposizioni di legge fissate dal Congresso ed alle quali il potere esecutivo non può non attenersi.

Ritornando poi alla questione che aveva formato oggetto della sua comunicazione, l’Ambasciatore Luce ne ha nuovamente sottolineato il carattere strettamente confidenziale; ed ha aggiunto essere ovvio che, ove Atene o Belgrado sapessero che siamo stati informati del passo americano e dell’analogo passo effettuato dagli Ambasciatori di Gran Bretagna, la questione si inasprirebbe ancor più

193 1 DGAP, Uff. I, 1945-1960 (I versamento), b. 8, fasc. 3.

193 2 Trasmesso con Appunto 1/1674, pari data, da Prato alla Segreteria Generale, alle Direzioni Generali degli Affari Politici e della Cooperazione Internazionale.

193 3 Vedi DD. 187 e 189.

194

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

L. 4394(2). Lussemburgo, 1° giugno 1954.

Caro Ludovico,

termina, in questi giorni, l’ulteriore ciclo di lavori per la CPE e risorge quindi la questione di una riunione dei capi di delegazione nonché, eventualmente, di una riunione dei sei Ministri degli Esteri.

Non mi sembra che siano sorti, in queste ultime settimane, elementi nuovi – dopo il rinvio che fu deciso in marzo – che militino in favore di una convocazione dei sei Ministri. Le stesse difficoltà che sollevarono in marzo i francesi, si ripresenterebbero fatalmente anche ora. È oramai chiaro che il Governo francese non vuole – e forse effettivamente non può– spingersi piavanti sulla via della creazione di una Comunità politica, prima della ratifica della CED. Adesso meno che mai, perché quelle soddisfazioni che esigevano i socialisti francesi nel campo del controllo democratico della Comunità, sono state ottenute nel quadro della CED, sia pure in forma ridottissima, ma, a quanto pare, sufficiente per ottenere il voto del congresso socialista in favore della ratifica della CED.

Una richiesta di riunione di Ministri sarebbe quindi certamente bloccata dai francesi e comunque una simile riunione, anche se fosse possibile, non servirebbe, allo stato attuale delle cose, che a mettere in imbarazzo il Governo francese, a ripetere, da una parte e dall’altra, argomenti e tesi, noti e ripetuti fino alla noia, e far maggiormente constatare l’impossibilità attuale di andare avanti. Rimane da vedere se convenga far constatare questa situazione da una riunione dei capi di delegazione o se sia invece preferibile addivenire a un rinvio di fatto puro e semplice(3).

Io propenderei per la seconda alternativa. Una riunione anche al livello capi delegazione crea sempre qualche aspettativa, che, in questo caso, sarebbe certo delusa. A mio avviso la formula migliore sarebbe quella di far sapere, a mezzo di un breve comunicato alla stampa, che gli esperti, avendo proceduto a nuovi utili studi su determinati problemi relativi alla CPE hanno trasmesso le loro conclusioni ai capi delegazione e che questi si riservano di esaminarli.

Con ciò si documenterebbe che la CPE non è definitivamente accantonata e d’altra parte non ci si troverebbe obbligati a affermare, in termini espliciti, che, per il momento, nessun ulteriore progresso può essererealizzato negli accordi fra i sei Governi. Sarebbe una formula che non dovrebbe nuocere alla impostazione europeista dei problemi, quale è stata data molto opportunamente, dal nostro Governo nella sua relazione al Parlamento per la ratifica della CED(4).

Credimi devotamente e cordialmente.

F. Cavalletti


Per il seguito vedi D. 199.

194 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

194 2 Trasmessa a Magistrati con L. 4392, pari data.

194 3 Asterisco al termine del paragrafo che rinvia alla seguente annotazione in calce al documento: «A questo punto, sull’originale della lettera il Sottosegretario Benvenuti ha annotato “sì”».

194 4 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Documenti- Disegni di legge e relazioni, seduta del 6 aprile 1954; pp. 1-299: pp. 1-24. Annotazione in calce al documento: «Alla fine della lettera l’On. Benvenuti ha apposto la seguente annotazione: “Dopo la CED, se ratificata, tutto riprenderà il suo corso (indirizzato alle elezioni come tappa essenziale)”».
195

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 20/115. Parigi, 2 giugno 1954.

Caro Ministro,

con un mio recente telegramma ho cercato di tracciare, schematicamente, il panorama attuale della CED in Francia. Come avrai visto, pur senza sottovalutare le molteplici difficoltà, ho ritenuto di potervi inserire anche qualche pennellata moderatamente ottimista.

Ora, altrettanto brevemente, vorrei aggiornare, per tua informazione, quelle impressioni dopo il successo riportato dalla fazione europeista della SFIO, guidata da Guy Mollet, al Congresso di Puteaux e dopo lo scontato deciso atteggiamento assunto dal Congresso del MRP.

Questi avvenimenti hanno dato agli europeisti francesi una notevole iniezione di coraggio e costituiscono indubbiamente una spinta in avanti.

Gli esponenti delle correnti cediste in Parlamento, tanto di quelle rappresentate nel Governo tanto di quelle che ne sono fuori, stanno in effetti agitandosi assai per forzare la mano a Laniel onde venga fissata la data del dibattito finale in modo che questo possa aver luogo entro giugno, sganciando cioè la CED dall’Indocina. Essi lasciano anche intendere che, se Laniel mostrerà di voler fare il pesce in barile, occorrerà provocare una crisi e forse, eventualmente, arrivare anche a nuove elezioni.

I risultati delle ultime consultazioni parziali dell’opinione pubblica starebbero a dimostrare che da una simile eventualità sono gli avversari della CED, sopratutto a destra, che avrebbero tutto da perdere.

Anche fra gli osservatori estranei agli ambienti politici c’è chi pensa che forse, per giungere all’approvazione della CED, bisognerà per forza passare sul corpo di Laniel e attraverso la coincidenza della maggioranza europeista (che oggi, sulla carta, esiste di certo, tenendo anche conto delle ripercussioni delle recenti decisioni socialiste sull’ala sinistra dei radicali) con quella governativa.

Intanto a giorni avrà luogo il voto finale nella Commissione per gli Affari Esteri e si potrà avere una prova di come funzionerà la disciplina di partito nei confronti dei membri socialisti della Commissione stessa. Se la direzione del Partito dovrà fare un atto di forza ammonitore, le sarà pifacile farlo verso un numero ristretto di deputati che non in sede di votazione alla Camera.

Bruce mi ha detto oggi che tanto Teitgen e Pleven quanto René Mayer e Guy Mollet gli hanno detto, separatamente ma concordemente, che o con questo Governo o con un altro essi contano di portare a termine la loro battaglia prima delle vacanze parlamentari. Sembra che anche Pinay gli abbia mostrato buone disposizioni in tal senso.

Tutti questi signori hanno pregato gli americani di non intervenire in questa fase perché pensano di poter riuscire da soli e che anzi pressioni esterne potrebbero essere controproducenti (anche in relazione alla delicata situazione psicologica creatasi qui dopo Dien Bien Phu), facendo peraltro riserva di chiedere il soccorso di una loro azione ove se ne ravvisasse l’opportunità. Bruce è stato in grado di assicurarli che non sarebbero state fatte mosse improvvise e comunque non senza consultarli prima(2).

Coi più devoti affettuosi saluti, credimi

tuo

Giorgio Bombassei

195 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

195 2 Per la risposta vedi D. 197.

196

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 8066/2766. Washington, 3 giugno 1954.

Oggetto: Comunità Europea di Difesa. Ratifica francese.

Riferimento: Telespresso questa Ambasciata n. 7446/2646 del 26 maggio u.s.(2).

Pur rimanendo sempre in un quadro di valutazioni nettamente negative (che ho ripetutamente segnalato in questi ultimi tempi) il Dipartimento di Stato continua a raccogliere ed a sottolineare quei pochi elementi favorevoli che man mano si possono registrare circa gli sviluppi del problema della ratifica del Trattato CED. Le conclusioni del Congresso del Partito Socialista francese sono state naturalmente accolte qui col più favorevole compiacimento per quanto sia chiaro che si tratta di un successo piformale che sostanziale dato che sono da prevedere molti dissensi da parte degli elementi rimasti in minoranza. Si comprende fra l’altro qui che la posizione del Governo Laniel è tale da non permettere a quest’ultimo di aggravarla con iniziative che potrebbero determinare un improvviso collasso. Pertanto, nonostante gli innegabili risultati ottenuti da Guy Mollet, sembra problematico al Dipartimento di Stato che l’attuale Governo francese si decida ad affrontare il dibattito parlamentare in un prossimo periodo di tempo e sembra altresì loro che, se al dibattito si dovesse arrivare ora, l’esito ne sarebbe estremamente incerto.

In conclusione, gli americani si vanno convincendo che prima dell’estate difficilmente si potrà giungere a qualcosa di concreto; essi non sarebbero in fondo alieni dall’attendere fino all’autunno prossimo, ma vorrebbero che in quell’epoca vi fossero delle definitive realizzazioni e non che l’intera questione ne rimanesse aperta fino allora. Il traguardo dovrebbe comunque essere raggiunto prima della sessione autunnale del Consiglio Atlantico in modo da mettere in grado quest’ultimo di prendere le decisioni del caso.

Il problema della CED continua intanto ad essere strettamente connesso con quello dell’assistenza ai Paesi Europei attualmente dibattuto in via confidenziale tra l’Amministrazione e il Congresso. Non risulta ancora quali conclusioni si vadano esattamente profilando ma in alcuni Uffici del Dipartimento ci è stata confermata la possibilità che si vari qualche nuova disposizione a seguito dell’Emendamento Richards. Il meccanismo di tale nuova disposizione che potrebbe avere, come ho già riferito, anche carattere retroattivo, dovrebbe permettere la continuazione dell’assistenza militare ai singoli paesi che hanno già ratificato il Trattato CED.

Altra fonte di compiacimento per il Dipartimento di Stato è derivata dallo svolgimento e dai risultati del Congresso democratico-cristiano tedesco i cui lavori hanno permesso di constatare che il Cancelliere Adenauer conserva solidamente la sua posizione in seno al partito stesso.

Per quanto concerne gli altri partiti governativi e in particolare il partito democratico libero è impressione del Dipartimento che eventuali «slittamenti» sono stati per ora evitati specie per quanto concerne la tendenza all’avviamento di maggiori contatti con l’Unione sovietica.

Il problema di fondo che il Dipartimento ritiene dovrà essere affrontato ad un certo momento è quello di dimostrare alla Germania che la politica di integrazione europea perseguita dal Cancelliere Adenauer conserva il suo valore reale ed è garanzia di ulteriori sviluppi favorevoli per la Germania stessa. Il primo passo che dovrà essere compiuto sarà quello di conferire piena sovranità anche formale alla Repubblica Federale tedesca. Cipotrà richiedere, se non vi sono progressi nel problema CED, lo studio di un eventuale sganciamento degli accordi contrattuali di Bonn del Trattato CED. Il Dipartimento di Stato vi è in via di massima favorevole e ritiene che la procedura parlamentare necessaria per metterlo in atto non susciterebbe alcuna particolare difficoltà.

Per quanto concerne la nostra ratifica, il Dipartimento di Stato continua a mantenere un atteggiamento di realistica valutazione delle difficoltà esistenti. Naturalmente da parte nostra ci sforziamo di far intendere che tali difficoltà sono insite nella situazione politica e parlamentare italiana e non risalgono in alcun modo all’atteggiamento del Governo. Abbiamo pure ripetuto, per un’ennesima volta, che il problema è politico e non procedurale e che molto dipende dall’atteggiamento degli Alleati sul problema di Trieste.

Infine il Dipartimento ha preso atto con compiacimento della posizione attivamente favorevole assunta dal Partito Repubblicano Italiano e delle disposizioni costruttive dimostrate da alcuni esponenti dell’ala monarchica moderata. Sono state altresì rilevate con soddisfazione le attività che il Ministro della Difesa va svolgendo a favore della CED.

196 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

196 2 Vedi D. 191.

197

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI(1)

L. riservata 20/1469. Roma, 7 giugno 1954.

Caro Giorgio,

grazie per la tua n. 115 del 2 giugno(2)contenente alcune notizie molto «attuali» nei riguardi del noto problema della ratifica della CED.

Continuiamo a vivere, anche qui, gli alti e bassi inquantoché oramai tutti questi problemi internazionali e talvolta nazionali sono tra loro connessi in forma che si rivela, nella pratica quotidiana, quasi inestricabile.

Le nostre Commissioni parlamentari hanno, come conosci, affrontato il Trattato, ma per adesso si va un poco di rinvio in rinvio. Ritengo perla crisi del Partito Monarchico elemento, in certo modo, favorevole alla ratifica. Viceversa non vorrei che le nuove polemiche e discussioni, anche sulla stampa, del problema triestino potessero rappresentare – e i motivi non mancherebbero – causa di nuova perplessità.

Molto interessante mi è sembrata l’ultima parte della tua lettera stessa.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

197 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 30, fasc. 105.

197 2 Vedi D. 195.

198

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 20/118. Parigi, 11 giugno 1954.

Caro Ministro,

il recente voto della Commissione per gli Affari Esteri, con cui è stato approvato, con 24 suffragi contro 18 e 2 astensioni, il rapporto del relatore Moch contrario alla ratifica del Trattato di Parigi non rappresenta un elemento suscettibile di modificare di per sé stesso la situazione, in quanto da un lato erano già note le opinioni personali di ogni singolo membro della Commissione stessa in tema di integrazione militare europea e dall’altro non vengono pregiudicate né la possibilità che sia fissata la data del dibattito plenario in qualunque momento né quella che l’Assemblea nazionale si pronunci sul fondo del Trattato in senso contrario alle conclusioni adottate dalla maggioranza della Commissione.

Anzi, dal punto di vista della tabella di marcia, l’approvazione del rapporto Moch potrebbe aver evitato una perdita di tempo poiché, se tale rapporto fosse stato respinto, sarebbe stato necessario nominare un nuovo relatore e procedere ad una nuova discussione. Ciò detto, bisogna peranche rilevare che esiste effettivamente un aspetto della votazione che non può non suscitare notevoli preoccupazioni nei fautori di una rapida approvazione della CED: esso è costituito dal voto contrario espresso da quei sei, dei nove socialisti presenti in Commissione, che sono passati oltre alle decisioni del Congresso di Puteaux.

Ciò può infatti, seriamente minare quella disciplina di partito senza la quale, in sede di Assemblea, non sarebbe possibile, con tutta probabilità, di raggiungere la maggioranza intorno alla CED (non bisogna infatti dimenticare che ben 58 dei 105 deputati socialisti si sono – sia pure a titolo personale – pronunciati contro il Trattato).

Molto dipenderà dall’atteggiamento che sarà tenuto nei confronti dei «ribelli» dal Comitato Direttivo della SFIO e dalle sanzioni che verranno loro inflitte. È da prevedere che lo stesso Comitato Direttivo, sotto la spinta di Guy Mollet, vorrà mostrarsi energico: una indicazione in tal senso si è già avuta con la condanna a tre anni di sospensione di quel Rosenfeld che ha votato contro la CED, insieme a cinque colleghi, all’Assemblea dell’Unione Francese; ora persi tratta di personalità di ben altro calibro e non sarà certo facile castigare come bambini colti in fallo grossi cannoni quali Moch, Daniel Mayer e Naegelen.

La direzione socialista si trova quindi nei guai perché, per ragioni sostanziali oltreché di faccia, qualcosa dovrà fare; ma un eccesso di rigidità potrebbe condurre ad una scissione, mentre, se si desse l’impressione di debolezza, addio disciplina di partito nel momento decisivo.

Gli osservatori più informati ritengono che si sia voluto con le misure adottate contro il Rosenfeld, personalità di rilievo relativamente modesto, dare un primo avviso a tutto il gruppo socialista che siede al Palais Bourbon e far riflettere coloro che hanno velleità di indipendenza sulle eventuali conseguenze di un loro gesto avventato, mentre per gli altri si tenderebbe, sia pure dando corso alla procedura decisa a Puteaux, a trascinare le cose per le lunghe, giuocando sui prevedibili e tutt’altro che sgraditi ritardi da parte delle federazioni cui ognuno degli indisciplinati appartiene, che, a norma dello statuto del partito, debbono esprimere il loro parere prima del giudizio finale.

Per giudicare se tale supposto piano potrà funzionare, senza danni né in un senso né nell’altro, bisogna stare a vedere come si comporteranno intanto i socialisti nella prossima votazione del rapporto Koenig (come noto, pure vivacemente contrario alla CED) alla Commissione per la difesa.

Le considerazioni che precedono, naturalmente, non si riferiscono che ad un elemento – e non il più importante – della complessa e fluidissima situazione francese di politica estera e di politica interna. In altre parole, una scheggia del famoso «specchio rotto».

Ormai infatti la ratifica o il rigetto del Trattato di Parigi dipendono non soltanto dalla soluzione che potranno trovare i problemi di alchimia parlamentare, che pure hanno la loro importanza, ma sopratutto dalla piega che prenderanno gli eventi in Indocina e a Ginevra e da quella che sarà per essere la sorte del governo Laniel, che è da qualche tempo entrato in una specie di stato preagonico e che affronta nuovamente domani un voto sulla fiducia, il cui esito non può davvero essere pronosticato come favorevole.

Con devoti affettuosi saluti, credimi sempre

tuo dev.

Giorgio Bombassei

P.S. Ricevo in questo momento la tua interessante risposta(2)alla mia precedente lettera e ti ringrazio vivamente.

198 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 31, fasc. 109.

198 2 Vedi D. 197.

199

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI(1)

L. riservata 21/1545. Roma, 16 giugno 1954.

Caro Franz,

rispondo alla tua lettera 004479 dell’8 corrente(2). Concordo perfettamente con la tua valutazione del momento politico in relazione alle scarse possibilità di imprimere un ritmo diverso ai negoziati per le CPE. È esatto che una ripresa dei lavori a ritmo più intenso e decisivo potrà riaversi solo dopo che si siano verificate novità nel campo delle ratifiche della CED.

Non credo infatti che nell’estate i nostri vicini d’oltralpe saranno in grado di prendere la decisione definitiva in materia di ratifica.

Quanto a noi, come forse sai, solo il 23 corrente l’esame del Trattato, in sede referente, passerà alla Commissione degli Esteri della Camera e percifino alla ripresa autunnale mi pare da escludere la possibilità che il Trattato passi in aula a Montecitorio.

Non abbiamo avuto finora alcuna indicazione delle intenzioni, in materia di CPE, dei tedeschi e del Benelux. Ma credo di non essere lontano dal vero se ritengo che anche in quelle capitali in complesso si pensi che sarebbe inutile cercare di accelerare il negoziato sulla Comunità Politica finché non sia definito il problema delle ratifiche francese e italiana del Trattato CED. L’annunziato viaggio di Adenauer negli Stati Uniti sembra inoltre mostrare che Bonn, dopo le ripetute prove di «diligenza politica» offerte agli americani in materia europeistica, non intenda escludere la possibilità di cercare quelle altre vie che, finora almeno, aveva affermato ufficialmente di non poter percorrere.

Quanto agli americani è chiaro che insisteranno – e forse in maniera sempre piesplicita – per una ratifica del trattato CED, ma evidentemente dovrà arrivare il momento in cui decideranno di trarre le loro conclusioni.

Se tali considerazioni sono esatte, e poiché non mi sento di escludere che alla ratifica della CED si finisca per arrivare entro la fine dell’anno, credo che sia nell’interesse generale e nostro di continuare il negoziato per la CPE su di un ritmo «al rallentatore» quale quello seguito dal mese di marzo in poi.

Perciè anche mia opinione che si tratti ora semplicemente di trovare una formula tecnica per l’aggiornamento dei lavori all’autunno. Quello che tu suggerisci mi pare pienamente soddisfacente. È infatti per ora da escludere l’utilità di un incontro dei Ministri, non perché manchi la materia per un esame del lavoro fatto in sede di Commissione a Parigi, ma perché, volere o no, in un incontro a così alto livello governativo dovrebbero necessariamente affiorare problemi che nessuno, data la situazione generale, desidererebbe discutere.

La fase attuale dei lavori parigini si potrebbe perciconcludere con un comunicato alla stampa nel senso da te suggerito o con la fissazione della data d’incontro dei capi di Delegazione in autunno.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

199 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

199 2 Cavalletti scriveva che, in vista di nuove riunioni dal 28 giugno al 2 luglio, «si presenterà la necessità di trovare una opportuna formula di aggiornamento dei lavori a autunno. Penserei quindi che le considerazioni che sono state oggetto della mia lettera 4394 del 1° corrente [vedi D. 194] potrebbero valere anche per quella occasione» (ibidem).

200

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 10493/1389(2). Bad Godesberg, 17 giugno 1954.

Oggetto: Ripercussioni della crisi francese a Bonn. Maggiore attualità delle alternative alla CED.

Signor Ministro,

la crisi governativa francese, se pur giunta non inaspettata, non ha mancato di creare a Bonn un profondo senso di malessere per la sensazione che le probabilità di ratifica della CED a Parigi siano diventate ancora pitenui. La caduta di Laniel, ad ogni modo, sembra aver avuto l’effetto di catalizzare quello stato di insofferenza che da tempo sono venuto segnalando e che si manifesta oggi ormai senza alcun ritegno anche nelle pubbliche conversazioni.

In altri termini la crisi francese sembra avere affrettato la precipitazione non solo nel sentimento pubblico tedesco, ma anche negli ambienti responsabili, della esigenza di trovare un’alternativa alla CED.

Per ora l’atteggiamento del Governo federale, parlo di quello ufficiale, non è mutato, e il Cancelliere federale ha infatti anche ultimamente dichiarato dinanzi alla Commissione degli Affari Esteri del Bundestag che la Repubblica federale può attendere con calma gli sviluppi della situazione giacché essa ha fatto tutto ciò che era in suo potere in favore della unificazione europea e della realizzazione della CED: la presentazione delle proposte di alternative non riguarderebbe la Germania.

La posizione del Governo federale è indubbiamente ineccepibile e tale con ogni verosimiglianza rimarrà se non fosse altro per non dare motivo a nuovi risentimenti francesi. Basterà, d’altra parte, affidarsi all’iniziativa degli anglo-americani che perseguono ormai un duplice interesse: da un lato assicurare l’apporto militare tedesco alla difesa dell’Occidente e dall’altro difendere il prestigio di Adenauer con qualche misura atta ad arrestare un processo di opinione pubblica che, rimanendo senza conclusioni la politica dell’integrazione europea, minaccia di danneggiare seriamente il Cancelliere federale. Si riparla già come di cosa più o meno imminente, della soppressione dell’Alta Commissione americana e della sua trasformazione in Ambasciata. Immagino perche si tratti di questioni rinviate ad un’epoca successiva alla scadenza da me indicata precedentemente, quella cioè – senza conclusioni sulla CED – dell’inizio delle vacanze parlamentari francesi.

Le stesse impressioni ho ricevuto ieri in una conversazione avuta con l’Alto Commissario americano Conant. Egli mi ha detto che considera ancora probabile la ratifica francese, esprimendosi però abbastanza esplicitamente sulla necessità di una alternativa in caso diverso. Conant non sembra per ora sopravalutare il presente stato di insofferenza dell’opinione pubblica tedesca, ma mi è apparso molto preoccupato per la situazione che potrebbe crearsi in Germania nella prossima estate. Egli ritiene infatti che l’attesa per una ancora possibile favorevole evoluzione in Francia, tiene momentaneamente a freno le personalità più responsabili tedesche ma, a Parlamento chiuso, le lingue si scioglieranno e potremo avere in Germania rivolgimenti di opinione pubblica, non escluso il rafforzarsi delle correnti favorevoli ad un diretto inserimento della Germania nelle relazioni dell’Occidente con l’Unione Sovietica.

Questo stato d’animo americano potrebbe interessare indirettamente anche l’Italia nel caso che nella corsa alle alternative alla CED, prevalessero le tendenze piradicali.

Ho riferito con precedente rapporto che, a mio giudizio, Adenauer difficilmente consentirà ad una soluzione alternativa che non si inquadri in qualche modo nella costruzione della Comunità di difesa. Continuo ad essere di questo parere ma l’Alto Commissario americano non mi è parso condividere tale mio convincimento. Egli mi ha anzi aggiunto, ed è forse questo l’elemento più interessante emerso dalla conversazione avuta con lui, che se il Parlamento francese dovesse veramente chiudere la presente sessione senza una decisione sulla CED occorrerebbe concluderne che la Francia sia caduta oggi in una vera e propria condizione di impotenza a prendere qualsiasi decisione e che altri quindi, nel suo interesse, debbano sostituirsi o agire per essa. L’Alto Commissario americano non mi ha specificato di pima una così radicale concezione del presente stato di cose potrebbe portare molto lontano. Il timore di nuovi interminabili negoziati potrebbe indurre gli Stati Uniti ad abbandonare del tutto la concezione della CED per rivolgersi verso altre soluzioni; quella ad esempio della diretta ammissione della Germania al NATO che ci troverebbe naturalmente favorevoli, ma che ci priverebbe di quel maggiore peso politico a noi proveniente dalla CED. Ho obiettato a Conant che secondo le mie informazioni Adenauer non avrebbe considerato favorevolmente un’alternativa fuori della cornice CED, ma egli mi ha detto che la crisi francese aveva ormai spazientito il Cancelliere federale, il quale avrebbe ormai accettato, è sempre Conant che parla, anche una diversa soluzione.

Se Conant avesse ragione sullo stato d’animo che la crisi francese avrebbe determinato in Adenauer, potrebbe derivarne per noi una situazione assai delicata perché, almeno a mio giudizio, nelle attuali congiunture internazionali la Comunità di difesa,

o quanto meno una sua forma revisionata, sembra ancora, ripeto, il modo migliore per conservare all’Italia pivoce in capitolo nella nuova situazione politica e strategica che potrebbe delinearsi in un prossimo avvenire; né potremmo picontare come in passato su un parallelismo di interessi con la Germania che, premuta dalle sue esigenze nazionali e, diciamolo francamente, ormai sfiduciata sul sostegno che alla sua piena riabilitazione ed alla sua politica europeistica ha sperato un tempo venisse dall’Italia, potrebbe essere indotta a seguire sotto la spinta anglo-americana vie diverse dalla Comunità di difesa e forse contrastanti con i nostri interessi. Ove la Comunità di difesa fosse abbandonata, facilmente potrebbero riaffiorare vecchie idee quali quella di un accordo a quattro fra Alleati e Germania cui lo stesso François-Poncet ebbe tempo fa ad accennarmi, o quella per noi ancora pisfavorevole di un collegamento della Germania col Patto balcanico.

Molte di queste osservazioni provengono, come V.E. avrà notato, da fonte americana e quindi riflettono la corrente piradicale per il riarmo tedesco a breve scadenza e in qualunque forma. Non è possibile quindi prevedere se anche questa volta le scadenze annunziate per la ricerca di soluzioni alternative alla CED verranno mantenute.

Mi sono permesso tuttavia di riferire estesamente su quanto mi è risultato qui perché, ove si dovesse veramente arrivare a parlare di alternative alla Comunità di difesa, mi sembra ovvia la nostra convenienza di influire in qualche modo, affinché una soluzione alternativa alla CED venga ricercata senza abbandonare il quadro della CED stessa e non rischiare così di essere tagliati fuori nello studio di nuove sistemazioni strategiche e politiche.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

Babuscio Rizzo

200 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 84.

200 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

201

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO PER GLI AFFARI POLITICI PRESSO LA NATO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

L. personale riservata. Parigi, 18 giugno 1954.

Signor Ministro,

mi accadde di dire all’On. Presidente del Consiglio alcune settimane or sono che quel che mi preoccupa non sono le pressioni americane su di noi per la CED, ma la possibilità che queste pressioni abbiano un giorno a cessare. Il viaggio di Churchill a Washington aumenta queste preoccupazioni. Non credo di sbagliare dicendo che gli Inglesi non hanno mai amato la CED, che considerano in cuor loro questo organismo come macchinoso e innaturale, che la politica di integrazione europea suscita in loro, per antica tradizione, sospetti e timori, che le iniziative degli anni passati in questo senso, italiane e non italiane, non li hanno mai riempiti di giubilo, che a un possibile ponte politico e militare Washington-CED preferirebbero un sistema passante in qualche modo per Londra. È possibile che credano venuto il momento di persuadere gli Americani che continuare a puntare sulla CED e in generale sull’integrazione europea sia tempo perduto.

Ora, si pudare della CED e del trattato che la istituisce il giudizio che si vuole. Personalmente, mi è sempre parso che nella via della sopranazionalità gli autori del trattato andassero più in là di quanto lo spirito pubblico sia maturo per accettare (e diffido del sottinteso antiatlantico che mi parve serpeggiare in taluni – ripeto taluni

– filoni del pensiero europeista). Ma la realtà è quella che è e non quella che avrebbe potuto essere: e se si poteva essere più cauti in certe impostazioni, il fatto oggi è che il fallimento della politica di integrazione europea avrebbe, o avrà, conseguenze tremendamente gravi. Si può non fare una battaglia, ma quando la si è cominciata è pericoloso perderla. E quanto alla CED, il trattato avrà mille imperfezioni: ma deve dirsi in tutta giustizia per i suoi autori che se i comunisti lo osteggiano con tanto accanimento vuol dire che in esso del buono per l’Occidente c’è.

È dunque con spirito scevro da passione che mi permetto sottoporre a V.E. alcune considerazioni.

1) La politica di integrazione europea è una politica che i repubblicani negli Stati Uniti hanno ereditato dai loro predecessori; è una politica che implica una presenza americana in Europa, economica e militare, a sostegno dello sforzo di integrazione; è una politica di appoggio all’Europa come un tutto; ma è, ripeto, una politica che i repubblicani hanno ereditato e non una che scaturisca dalla loro propria filosofia. Un mutamento, quando essi si convincano che questa politica non rende, è quindi sempre possibile: il favore di altre formule più«realistiche», di minore impegno e che consentano anche, agli Stati Uniti, una maggiore scelta fra paese e paese europeo. Si può anche dire, dallo stesso punto di vista, che l’appoggio dell’amministrazione repubblicana a forze di centro o centro-sinistra in taluni paesi d’Europa ha luogo in funzione della politica di integrazione europea, e se e finché l’amministrazione repubblicana continua a credere all’integrazione europea e alla CED. I democratici appoggiavano le forze di centro e di centro-sinistra per naturale affinità, e di riflesso la politica di integrazione europea; i repubblicani continuano ad appoggiare la politica di integrazione europea, ed in funzione di questa le forze di centro e centro-sinistra che in Europa la sostengono. Ma quando essi fossero definitivamente disincantati sulla integrazione europea e sulla CED, allora la loro scelta potrebbe cambiare. In altre parole, e lo dissi all’On. Presidente del Consiglio, il governo Scelba-Saragat con il suo ritardo sulla CED rischia di contribuire ad un possibile mutamento della politica americana, di cui il governo Scelba-Saragat e la formula politica che esso rappresenta farebbero le spese.

2) Non sono affatto convinto che seppellita la CED si riesca davvero ad ottenere per altra via il contributo tedesco alla difesa occidentale. Il giudizio che in Francia non vi è, forse, maggioranza per la CED ma vi sarebbe una maggioranza per il riarmo tedesco mi sembra pecchi di ottimismo. Oggi, contro la CED, i comunisti in Francia trovano i loro alleati a destra: domani, contro una formula alternativa di riarmo tedesco, essi troverebbero i loro alleati al centro e al centro-sinistra, alleanza pipericolosa perché è la base del fronte popolare. Essi non avrebbero, del resto, sferrata la loro offensiva contro la CED se non avessero la convinzione che, fallita la CED, ad essi riuscirà far fallire qualsiasi altro progetto di riarmo tedesco nel quadro della difesa occidentale; la cui elaborazione e discussione di per sé potrebbe richiedere anni, durante i quali la situazione in Germania potrebbe mutare e tutto esser rimesso in discussione, come l’Unione Sovietica vuole.

3) Il fallimento della CED, e con esso una svolta della politica degli Stati Uniti determinata dalla delusione loro data dalla Francia e dall’Italia, consacrerebbe – lo si ammetta o no – il fallimento della politica europeistica nel suo complesso. Una conseguenza di questo fallimento sarebbe, credo, un indebolimento del prestigio e dell’influenza delle forze democratiche di inspirazione cattolica nell’Europa continentale. È un aspetto della situazione di grande momento: se è vero, come tutto fa credere, che un indebolimento delle forze democratiche di inspirazione cattolica segnerebbe in Germania l’avventura e aprirebbe in Italia la via a sviluppi la cui portata non sto a sottolineare.

4) Dicevo prima che, sepolta o rimandata alle calende greche la CED, non è detto poi che si trovino in Germania le forze su cui contare per una politica ferma di associazione con l’Occidente. V.E. è certamente informata che la situazione interna tedesca è in movimento, che la posizione di Adenauer è indebolita, e non credo di sbagliare ritenendo che si abbiano a Washington preoccupazioni assai vive a questo riguardo. Non voglio esagerare l’importanza dell’elemento italiano in quel che sta avvenendo: ma è un fatto che fino al 7 giugno la politica di Adenauer trovava in quella dell’On. De Gasperi una eco e un sostegno, che non ha trovato dopo; e non rivelo certo a V.E. cosa nuova accennando all’impressione di disappunto profondo che il Cancelliere trasse dai suoi recenti colloqui romani(2).

5) Qualunque soluzione alternativa si raggiunga sul problema del riarmo tedesco (nell’ipotesi, che io considero ottimistica, che a una soluzione alternativa positiva si arrivi) essa lascerebbe assai probabilmente l’Italia fuori: in un ruolo mediterraneo-balcanico e non più in un ruolo politico determinante sui problemi centro-europei.

Che fare? CED, politica europeistica, posizione di Adenauer, saldatura della Germania con l’Occidente e suo riarmo, appoggio americano all’integrazione europea, sono ormai elementi che si tengono l’un l’altro: mi par difficile che uno di questi possa cadere e gli altri rimanere in piedi. Credo che i Russi da parte loro se ne rendano benissimo conto, e confidino che la fine dell’integrazione segni l’inizio della disintegrazione.

La crisi francese, e l’investitura di Mendès France che si annuncia mentre scrivo queste righe, rende i miei timori più che mai attuali. E non soltanto per quella che è stata la esplicita posizione di ambiguità da lui assunta nei riguardi della CED, ma per una ragione piprofonda: ed è che la logica della sua politica – di pace a data fissa in Indocina, non controbilanciata da una posizione di fermezza e di impegno sul riarmo tedesco – lo porti ad accettare in fatto (certi mercanteggiamenti si possono fare anche senza dire di volerli fare) quel «marchandage planétaire» alla cui tentazione Bidault dichiardi resistere ma che seduce parecchi nelle file golliste e radicali, e che sarebbe – occorre appena dirlo – comodissimo ai comunisti: che si serva cioè del siluramento della CED e della rimessa in alto mare del riarmo tedesco per avere dalla buona grazia di Molotov condizioni meno dure in Indocina.

Mi rendo ben conto che quel che sta avvenendo possa incoraggiare da noi quelli che, a proposito della CED, dicono: aspettiamo la Francia. Ma mi domando se la linea migliore per il Paese sia quella dettata soltanto dalla prudenza. All’infuori di ogni discussione sulla misura in cui il ritardo italiano ha influito, e una decisione italiana potrebbe influire, sulla Francia, resta il fatto che o la Francia in definitiva, malgrado tutto, ratifica e in tal caso tutto il peso e l’urto della pressione sovietica del ricatto sovietico della propaganda sovietica per impedire la CED sarà sopportato dal debole corpo politico dell’Italia; o la Francia non ratifica, e i paesi che avranno ratificato si troveranno – come belgi e olandesi han capito – in una posizione assai più forteper negoziare qualunque soluzione di ricambio e parteciparvi. Mi domando cioè se questo non sia il momento del coraggio e della decisione e se non si debba, proprio perché questo può esserel’ultimo momento utile, procedere con estremo impegno e con la più grande urgenza alla ratifica; chiedendo agli Stati Uniti due sole cose: l’assicurazione che gli Stati Uniti continuano a considerare la ratifica italiana come elemento utile ed importante, abbastanza importante per giustificare la battaglia parlamentare da noi, e che la loro politica di appoggio alla CED e all’integrazione europea non muterà almeno fino a che la battaglia parlamentare italiana è in corso; l’assicurazione che, ove il problema di Trieste non fosse risolto quando la CED fosse ratificata, le truppe americane rimarranno nella zona A fin quando non sia raggiunto un accordo fra l’Italia e la Jugoslavia sulla sorte del Territorio libero. Ma aggiungo che anche se non si riuscisse ad avere queste assicurazioni consiglierei la ratifica: perché i rischi della ratifica sarebbero per il nostro Paese pur sempre minori dei rischi della mancata ratifica.

La subordinazione della ratifica alla soluzione del problema di Trieste si fonda, debbo credere, sulla convinzione che la CED e l’interesse americano alla sua realizzazione ci diano un’arma per ottenere qualcosa. Non è certo che questa arma debba conservare a lungo la sua efficacia.

Voglia accogliere, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Fenoaltea

201 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 85.

201 2 Vedi DD. 159 e 162.

202

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. 10482. Bad Godesberg, 18 giugno 1954.

Caro Massimo,

desidero ringraziarti della tua lettera del 7 corrente(2)come pure delle lucidissime relazioni inviatemi sulle riunioni di Strasburgo.

Per quanto riguarda l’atmosfera di Bonn in relazione alla CED, ho creduto opportuno di fare un seguito al mio precedente rapporto per segnalare le reazioni locali alla crisi francese, che sembra aver servito da catalizzatore degli elementi descritti precedentemente. Nel rapporto che parte con questo stesso corriere(3), basandomi anche su dirette impressioni ricevute dall’Alto Commissario americano Conant, ho creduto utile segnalare al Ministero la convenienza che noi avremmo di vedere mantenuta nello stesso quadro CED ogni eventuale soluzione alternativa ad essa. In questi strani tempi infatti, in cui sembra potersi concretare un patto militare balcanico all’infuori dell’Italia, mantenere il quadro della Comunità europea di difesa per una soluzione alternativa sembra forse la via migliore per lasciare all’Italia una voce in capitolo nei nuovi piani. Naturalmente io giudico solo con gli elementi che possiedo a Bonn, e le mie segnalazioni valgono come contributo ad una completa disamina della situazione per il centro.

Credimi sempre con cari saluti

tuo aff.

Franco

202 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 85.

202 2 L. 20/1468, non pubblicata.

202 3 Vedi D. 200.

203

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 7338/596-597(2). Parigi, 21 giugno 1954, ore 22,45 (perv. ore 23,10).

Avvento Mendès France al potere e sue dichiarazioni circa CED nonché scelta alcuni Ministri notoriamente contrari Trattato Parigi, segnatamente Koenig alla Difesa, hanno naturalmente suscitato gravi perplessità in ambienti Comitato Interinale. Delegazione francese non nasconde suo imbarazzo.

Particolarmente preoccupa esplicito accenno a ricerca soluzione ricambio ed eventuale presentazione nuovi testi: è infatti considerato estremamente difficile trovar modo conciliare contradittorie esigenze fautori ed avversari integrazione europea ed escogitare piano accettabile anche da altri cinque Paesi.

C’è peranche chi rileva che netta ammissione da parte Mendès France necessità riarmo tedesco e stessa intenzione ricercare aggiustamento a presente trattato potrebbero essere interpretati come posizione di partenza, almeno sul piano tattico, meno intransigente di quella dello scorso anno, quando Mendès France presentsemplicemente fredda alternativa fra voto parlamentare favorevole o negativo (scontando, a quanto sembrava allora, che maggioranza necessaria non sarebbe stata quasi certamente raggiunta).

Certo è che problema CED è ormai subordinato nel tempo a risultato negoziati su Indocina, da cui dipende stessa esistenza attuale Governo; è quindi impossibile far previsioni precise prima che sia tolta tale ipoteca.

Successo Mendès France ha (non senza fondamento) ravvivato speranze oppositori CED che, attraverso confrontazione tesi opposte, ricerca difficilissima soluzione compromesso ed eventuale apertura nuovi complicati negoziati internazionali possa giungersi a definitivo insabbiamento trattato Parigi.

Impressioni provenienti da corrente europeista sono di varia natura. Risultami in modo sicuro che alcuni importanti leaders (indicatimi nominativamente in René Mayer, Teitgen, Delbos e Mollet) hanno assicurato americani avere intese con Mendès France che procedura preannunciata dovrà servire ad imporre chiara scelta da parte Assemblea fra CED e ingresso Germania in NATO. Stesse personalità persuase che risultato sarà favorevole a CED, sembrano augurarsi che discussioni al riguardo avvengano al più presto. Questa Delegazione tedesca ha ricevuto analoghe notizie e sembra puntare, sebbene con prudenza, su tale tesi.

Altre personalità pro CED affermano invece che Mendès France sarebbe prigioniero dei Ministri URAS del suo Governo, coi quali avrebbe stipulato patto segreto strangolare CED, e che quindi non bisogna credere che egli pensi seriamente tener fede impegni di cui sopra che avrebbero avuto solo scopo facilitare votazione investitura. Questo ultimo gruppo tenderebbe, partendo da tali premesse, ad accantonare problema CED fino al 20 luglio, data fatidica per rapporto Presidente Consiglio su Indocina, per poi (qualunque sia stato esito in tale settore) forzare caduta Governo con obiettivo costituire nuova compagine ministeriale impegnata a fondo su CED ovvero, ove ciò si rivelasse impossibile, precipitare dissoluzione e giungere a nuove elezioni.

Queste divergenti idee che sono espresse nello stesso campo confermano che reali intenzioni Mendès France e successivi sviluppi sua politica circa CED rappresentano oggi assoluta incognita. Non è escluso che egli, preoccupato da altri due grossi problemi sul tappeto (Indocina e programma economico), giuochi su posizione equivoca per non precludersi alcuna strada.

Da confidenze fattemi da parte americana dovrei dedurre che in prossimo incontro Eisenhower-Churchill diplomazia statunitense insisterà con inglesi affinché essi riaffermino nettamente che unica alternativa a CED sembrerebbe loro ammissione Germania in NATO, tagliando corto a voci recentemente corse che Londra non vedrebbe in fondo di malocchio soluzioni intermedie che vengono da più parti ventilate. Amministrazione americana non potrebbe prendere lei oggi iniziativa tale impostazione essendo legata a decisioni Congresso ma troverebbe modo lasciare intendere che questa sarebbe, semmai, unica accettabile.

203 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 4.

203 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

204

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 9344. Washington, 22 giugno 1954.

Oggetto: Visita di Churchill e Eden: ratifica della CED.

Signor Ministro,

per esplicite dichiarazioni confidenziali del Dipartimento di Stato, la questione della ratifica della CED nelle imminenti conversazioni anglo-americane non sarà considerata seconda in importanza neppure a quella dell’Asia sudorientale.

Gli americani e gli inglesi sono entrambi convinti che, se la CED non sarà ratificata al più presto e comunque non oltre il principio dell’autunno, la posizione di Adenauer diventerà insostenibile; ed entrambi considerano gravissime le conseguenze di una eventuale crisi politica in Germania.

In queste condizioni, sorge spontanea la domanda se nell’incontro anglo-americano si esaminerà anche la possibilità di trovare un’alternativa alla CED. A questa domanda, anche se posta velatamente o indirettamente, gli americani rispondono in modo nettamente negativo, osservando che qualunque ammissione della possibilità di un’alternativa darebbe un colpo, forse mortale, alla CED. Affermano quindi recisamente che, con gli inglesi, non discuteranno affatto su quel che si dovrà fare se la ratifica verrà a mancare, ma esclusivamente su quel che si deve fare affinché la ratifica non venga a mancare.

Questa, naturalmente, è la posizione ufficiale.

È evidente perche nelle conversazioni con Churchill e con Eden non potrà non farsi cenno anche all’eventualità pisfavorevole. Tuttavia, molto probabilmente, non si andrà in questo campo, al di là di una generica constatazione del fatto che la restituzione della piena sovranità alla Germania non potrà essere ritardata indefinitamente. Del resto questa constatazione, su pressione tedesca, ma, a mio avviso, con poca opportunità, è stata già fatta pubblicamente ieri da Dulles.

Aggiungo che la discussione, secondo quanto si prevede qui, avrà per oggetto assai pila posizione francese che quella italiana. Infatti, si giudica che in Italia la difficoltà costituita dalla questione di Trieste sarà rimossa presto e che la ratifica della CED non incontrerà altri ostacoli. Per contro, si è assai perplessi sulla posizione francese. Le prime dichiarazioni di Mendès France sono apparse subito ambigue. Nulla di quanto è accaduto successivamente le ha chiarite. Ci si rende conto che l’attenzione del nuovo Governo francese è, per ora, concentrata quasi esclusivamente sull’Indocina; ma si spera che si rivolga presto al problema della CED, con risultati favorevoli e decisivi. Non ci si accontenterebbe, infatti, di approvazioni di massima, destinate a guadagnare tempo o addirittura a restare lettera morta.

L’insistenza americana sul problema della CED è anche dovuta alla crescente pressione del Congresso sul Dipartimento di Stato, descrittami ancora una volta oggi da Merchant in occasione della visita che gli ho fatto per accompagnare da lui l’onorevole Treves(2).

Voglia gradire, Signor Ministro, l’espressione del mio devoto ossequio.

Tarchiani

204 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 84.

204 2 Per il seguito vedi D. 209.

205

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 7438/114. Bruxelles, 23 giugno 1954, ore 20,38 (perv. ore 7 del 24).

Spaak mi ha convocato per dirmi quanto segue:

1) Egli ed i colleghi lussemburghese ed olandese sono estremamente preoccupati dell’atteggiamento del nuovo Governo francese;

2) questi, dimenticando che alcuni partners hanno già approvato il trattato, ha tendenza a considerare la CED come questione puramente francese e, attraverso mercanteggiamento con diversi partiti, cerca una soluzione di ricambio;

3) l’eventuale soluzione di ricambio potrebbe non essere accettata dai Paesi del Benelux in quanto questi tengono essenzialmente ad organi direttivi supernazionali che invece i francesi potrebbero voler scartare;

4) la CED, in tali condizioni, sarebbe morta con la conseguenza di indebolire in modo pericoloso il Governo Adenauer, di indurre gli inglesi a proporre l’entrata della Germania nel NATO (che il Belgio accetterebbe soltanto come ultima ratio) o gli americani a suggerire una alleanza continentale (che Belgio non accetterebbe).

Percii tre Ministri del Benelux sono d’accordo nel proporre la riunione dei sei firmatari della CED al rango governativo urgentemente per illustrare tale pericolosa situazione al rappresentante francese, rappresentandogli che il suo atteggiamento rischia di far cadere l’unificazione europea definitivamente. Spaak propone che la riunione, con probabile durata di 24 ore, abbia luogo in data da scegliere fra il 30 giugno ed il 3 luglio a Brusselle.

Si resta in attesa della risposta per telegrafo(2).

205 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

205 2 Per la risposta vedi D. 207.

206

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto riservato urgente 20/1619(2). Roma, 24 giugno 1954.

Il nostro Ambasciatore a Bruxelles ha fatto conoscere ieri sera(3)che il Ministro degli Affari Esteri del Belgio, Spaak, lo ha convocato per fargli la seguente comunicazione:

«II Governo belga è assai preoccupato della politica intrapresa nei riguardi della CED dal nuovo Governo francese. Pertanto il Governo belga – a nome dei Paesi del Benelux che condividono le sue preoccupazioni – rivolge invito ai Ministri degli Esteri dei Paesi firmatari del Trattato CED di recarsi a Bruxelles per ventiquattro ore, tra i giorni 30 giugno e 3 luglio, al fine di udire da Mendès France (che si suppone accetterà l’invito) chiarimenti circa la sua politica e per illustrargli il punto di vista degli altri Paesi CED in argomento.

La comunicazione ha carattere di urgenza ed il Governo belga spera di ottenere una pronta risposta di adesione».

L’iniziativa non è del tutto nuova inquantoché da qualche tempo si aveva la sensazione che Spaak, che da poco ha ripreso la direzione del Ministero degli Esteri belga, volesse promuovere, nella non facile situazione attuale francese, qualche opportuna presa di contatto.

Occorre inoltre ricordare che anche il suo predecessore van Zeeland aveva a suo tempo convocato una riunione a Bruxelles dei sei Ministri della Comunità Politica Europea, riunione che venne poi rinviata.

Per molti motivi di carattere internazionale ed anche interno (proprio nel corso della discussione del Bilancio al nostro Senato molti sono stati gli interrogativi circa la continuazione dell’attività della Comunità Politica Europea) apparirebbe opportuno aderire all’iniziativa Spaak, sempre, naturalmente, che tutti gli altri cinque Paesi – e principalmente la Francia – diano il loro assenso. Si potrebbe inoltre proporre a Bruxelles che la data per la riunione fosse quella di venerdì 2 o sabato 3 luglio.

Questa Direzione Generale resta in attesa di conoscere le decisioni dell’Eccellenza Vostra, allo scopo anche di provvedere alla composizione della Delegazione destinata ad accompagnarla, Delegazione che, in vista anche della brevità dei lavori previsti e della unicità dell’argomento che vi verrà trattato, ossia la CED, potrebbe essere per quanto possibile limitata nel numero dei suoi componenti(4).

206 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

206 2 Diretto per conoscenza a Benvenuti, Zoppi e Del Balzo. Il documento reca i seguenti timbri: «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi. Sottoscrizione autografa.

206 3 Vedi D. 205.

206 4 Per la risposta di Piccioni all’invito vedi D. 207.

207

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, ALL’AMBASCIATA A BRUXELLES(1)

T. segreto urgente 5655/79. Roma, 24 giugno 1954, ore 22.

Siamo favorevoli per parte nostra aderire all’invito del Benelux. Poiché Congresso Democristiano avrà luogo a Napoli tra sabato 26 e martedì 29 corrente, date preferibili per noi sarebbero giorni 2 oppure 3 luglio o anche successivi. Il presente telegramma si riferisce al suo 114(2).

207 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

207 2 Vedi D. 205.

208

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto 20/1622(2). Roma, 24 giugno 1954.

In merito all’iniziativa del Ministro degli Affari Esteri belga, Spaak – oggetto del precedente appunto n. 20/1619(3) – il nostro Ambasciatore a Parigi ha telefonicamente fatto conoscere alcune impressioni del Quai d’Orsay (Segretario Generale Parodi) il quale peraltro non è stato ancora ufficialmente interpellato dal Governo belga.

L’iniziativa, per la quale il nuovo Presidente francese Mendès France sarebbe invitato ad esporre i suoi intendimenti circa il futuro della CED, viene ritenuta «inopportuna ed intempestiva». E ciò perché proprio in questi giorni il Presidente ha dato incarico a due suoi Ministri, di diversa tendenza, di trovare una formula conciliativa in materia. Un suo intervento, tra pochi giorni, in sede internazionale darebbe indubbiamente luogo alle più varie interpretazioni e comprometterebbe la delicata azione dei due Ministri.

Il Presidente Mendès France non si è ancora espresso in argomento, ma il Quai d’Orsay pensa probabile una sua risposta intesa ad almeno dilazionare l’epoca della riunione di Bruxelles.

Il nostro Ambasciatore si è riservato di ulteriormente riferire in merito.

208 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

208 2 Diretto per conoscenza a Benvenuti, Zoppi, e Del Balzo. Il documento reca il timbro: «Visto dal Ministro». Sottoscrizione autografa.

208 3 Vedi D. 206.

209

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 9386(2). Washington, 24 giugno 1954.

Oggetto: Colloquio Sottosegretario Treves. Ratifica della CED.

Signor Ministro,

mentre mi riservo di riferire con rapporto separato in merito ai colloqui di carattere economico avuti a Washington dal Sottosegretario Treves, ritengo opportuno segnalare il contenuto della prima conversazione che egli ha avuto qui, e che si è svolta con l’Assistente Segretario di Stato per gli Affari Europei, Livingston Merchant.

Nel corso del colloquio, al quale ho partecipato(3)il tema trattato più diffusamente è stato quello della ratifica della CED. Merchant ha tenuto ad esprimere nel modo pivigoroso la preoccupazione del Governo americano per il ritardo delle ratifiche italiana e francese. Egli ci ha dichiarato che, nell’ambito degli ambienti del Congresso, si andava manifestando una notevole irrequietezza, ormai non disgiunta da irritazione per i ritardi predetti. Di ciegli aveva potuto rendersi personalmente conto negli «hearings» a cui aveva partecipato in occasione delle discussioni di Comitato sulla nuova legge per gli aiuti. Sopratutto nel Comitato Affari Esteri del Senato, egli aveva constatato un notevolissimo peggioramento di «umori» in gran parte dei Senatori, i quali recentemente erano andati marcando accenni critici e senso di disappunto, a differenza dell’atteggiamento più accomodante che essi avevano tenuto all’inizio dei lavori.

Merchant si è poi riferito anche alla grande preoccupazione del Dipartimento per gli sviluppi di politica interna in Germania, e al pericolo che il ritardo nella conclusione della CED può comportare per la posizione personale di Adenauer. È questo un rischio – egli ci ha detto – che si va facendo sempre piminaccioso e nei confronti del quale il Governo americano non può certo rimanere indifferente.

Merchant ha quindi chiesto se si poteva prevedere una ratifica da parte dell’Italia prima dell’aggiornamento dei lavori parlamentari. L’Onorevole Treves gli ha risposto puntualizzando due circostanze: una prima relativa alla situazione che si era venuta a determinare l’anno scorso in seno al Parlamento italiano con la discussione della legge elettorale che aveva bloccato dibattiti su altri importanti provvedimenti legislativi; una seconda concernente la impossibilità, all’attuale stato delle cose, di accelerare la procedura parlamentare. In tale secondo quadro l’Onorevole Treves ha accortamente inserito un ampio riferimento all’importanza del problema di Trieste, facendo presente che, malgrado il Governo italiano non intenda collegare tale problema con quello della ratifica della CED, come esso ha d’altra parte dimostrato al momento della presentazione della legge per la ratifica predetta, non vi è dubbio che una sistemazione onesta e soddisfacente del problema di Trieste potrebbe avere un’enorme importanza anche agli effetti dell’acceleramento dei tempi per la ratifica in questione. L’Onorevole Treves ha perlasciato intendere che, sulla base di un calcolo obiettivo dei vari tempi tecnici della procedura parlamentare e tenendo conto dell’aggiornamento estivo, non si potrà avere una ratifica prima del prossimo autunno. Merchant è sembrato abbastanza persuaso delle difficoltà prospettategli. ciò non toglie che dall’enfasi con la quale egli ha sottolineato le aspettative americane nei confronti della nostra azione parlamentare su tale problema, si pufacilmente dedurre che il problema della nostra ratifica è ora costantemente agitato negli ambienti del Congresso e dell’Amministrazione americana, e con riflessi alquanto negativi nei nostri confronti.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

Tarchiani

209 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 85.

209 2 Il documento reca la sigla di Zoppi.

209 3 Depennato: «Anche io».

210

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 7529/609. Parigi, 25 giugno 1954, ore 9,15 (perv. ore 19,25).

Mio 607(2).

La Tournelle mi ha informato che a insistenza Spaak Mendès France gli ha ripetuto che egli è attualmente occupato questione Indocina e che in attesa esplorazione Bourgès-Maunoury e Koenig non sarebbe in grado dire niente di preciso. Non vede quindi utilità riunione. Appena Governo francese sarà in grado dire qualche cosa di concreto, accederà volentieri ad invito: spera rinvio non sia per molto tempo.

La Tournelle mi ha aggiunto che questa risposta Mendès France non deve essere interpretata come cambiamento politica: attuale Governo francese resta fermo suo desiderio trovare formula che permetta maggioranza soddisfacente al Parlamento. Ritiene soltanto che si è abusato in tema europeo di riunioni in cui si sapeva prima che non c’era niente da dire né decisioni da prendere e che bisogna comunque economizzare tedio Ministri Esteri.

Mi ha lasciato intendere inoltre che iniziativa Spaak aveva sopratutto per scopo creare difficoltà interne Mendès France e che egli non (ripeto non) intende prestarsi a speculazioni di questo genere sia che vengano da partito socialista che da altri partiti o ramificazioni internazionali.

210 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

210 2 T. segreto 7513/607, pari data, col quale Quaroni riferiva che la risposta francese all’invito di Spaak era stata evasiva.

211

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 10923/1443. Bad Godesberg, 25 giugno 1954.

Oggetto: Iniziativa del Benelux ed atteggiamento delle Alte Commissioni alleate sul ripristino della sovranità tedesca.

Alla Cancelleria federale, come ho già telegrafato(2), l’iniziativa del Benelux per una conferenza a breve scadenza sulla CED è stata accolta favorevolmente. Mi è stato anche detto che la necessità di una tale conferenza è stata sentita da Spaak al momento stesso della nuova crisi politica francese.

L’iniziativa di Spaak è molto verosimilmente dovuta anche alla richiesta tedesca di vedere ormai ripristinata senza altri indugi la sua propria sovranità. Si sta studiando se cipotrebbe avvenire con una semplice dichiarazione dei tre alleati, ma non si vede bene come vi si possa pervenire senza effettuare una dissociazione degli accordi di Bonn e di Parigi; la richiesta tedesca e quindi l’iniziativa del Benelux potrebbero essere dirette anche a provocare un chiarimento delle intenzioni francesi sulla CED nel corso stesso della presente sessione parlamentare.

Se la posizione tedesca, come è ovvio, appare chiara nelle sue premesse e nei suoi possibili più elastici sviluppi, non altrettanto può dirsi della situazione esistente presso le tre Alte Commissioni alleate, e credo utile riferire sullo stato d’animo in esse prevalente, quale risultatomi dai frequenti contatti avuti ad alto livello in questi ultimi giorni.

Tutti sono concordi nell’ammettere pregiudizialmente, come improrogabile, la necessità di fare delle concessioni alla Germania ed il problema è attualmente oggetto di quotidiane conversazioni. L’atteggiamento dei tre alleati appare però diversamente graduato: improntato ad uno spirito di grande decisione quello degli americani; titubante ed irretito in un groviglio di argomentazioni giuridiche quello dei francesi.

Premesso che la questione tedesca formerà certamente oggetto di conversazione a Washington durante il viaggio di Churchill, presso l’Alta Commissione francese mi è stato espresso il timore che il conferimento alla Germania della sua sovranità, rompendo la dipendenza dell’Accordo di Bonn da quello di Parigi, potrebbe definitivamente annullare le probabilità che ancora esistono di ratifiche in Francia. Presso la stessa Alta Commissione francese è stato studiato il problema, ma tutte le formule sembrano cattive, per le difficoltà giuridiche che si oppongono al conferimento della sovranità al Governo tedesco senza che il Trattato di Bonn entri in vigore; tale dissociazione comporterebbe poi molto verosimilmente, secondo l’interpretazione francese, l’approvazione del Congresso americano, anche se non difficile ad ottenersi, ed una nuova votazione al Bundestag. Vi sarebbe connessa tutta la revisione dei protocolli finanziari con l’eventualità che il partito socialista presenti un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale di Karlsruhe. Evidentemente molte di queste obiezioni potrebbero essere girate. La tattica francese di sottolineare, moltiplicare e anche drammatizzare certe difficoltà, che senza dubbio esistono, si spiega evidentemente coll’obiettivo dei francesi di impedire che l’America si induca a compiere dei gesti prima che il Parlamento francese si sia pronunziato o, quanto mai prima che esso sia andato in vacanza senza essersi pronunziato. Ad ogni modo le formule studiate contemplerebbero la subordinazione del riarmo tedesco al consenso alleato.

Per quanto riguarda gli inglesi mi è risultato un atteggiamento dell’Alta Commissione decisamente favorevole alla restituzione della sovranità tedesca accantonando per il momento una soluzione di ricambio per quanto riguarda il riarmo. A giudizio degli inglesi gli stessi tedeschi non insisterebbero per ottenere subito, insieme al ripristino della propria sovranità, il diritto a riarmarsi. Rimane poi l’atteggiamento americano. Esso è rimasto quello da me già descritto in precedente rapporto(3), orientato cioè verso l’ottimismo sulla conclusione di questa battaglia diplomatica in corso coi francesi per le ratifiche; la sola differenza è forse quella di un accentuarsi dello spirito di decisione verso drastici cambiamenti di condotta in caso diverso.

Come ho già accennato, nessuno mi ha posto in dubbio, negli ambienti delle varie Commissioni alleate, l’esigenza di compiere senza ritardo un gesto di una certa risonanza che valga a rafforzare la posizione del Cancelliere federale non solo di fronte all’opinione pubblica – e cianche in considerazione delle varie elezioni regionali che si susseguiranno fino all’autunno – ma anche per acquietare quel certo vento di fronda che comincia ad agitarsi in alcuni ambienti parlamentari. È difficile prevedere quale sarà la posizione ultima della Germania in materia di revisione. Nulla mi è risultato oltre quanto già segnalato e cioè da un lato la posizione ufficiale assunta nel senso che le modificazioni dovrebbero, anche se prima ufficiosamente concordate, seguire le ratifiche, dall’altro l’ammissione di una gradualità nella piena costituzione di un esercito integrato europeo, tale perche faccia salvi i principi della CED.

211 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

211 2 Con T. segreto 7519/88, pari data.

211 3 Vedi D. 200.

212

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 2661/1306(2). Bruxelles, 25 giugno 1954.

Signor Ministro,

nel mio telegramma n. 114 del 23 corrente(3)ho cercato di riassumere i motivi per cui il signor Spaak, il quale aveva partecipato a Lussemburgo ad una apposita riunione con i colleghi olandese e lussemburghese, era venuto nella determinazione, a nome anche dei Ministri del Benelux, di lanciare l’invito per l’incontro a Bruxelles dei sei Ministri della CED.

Tali motivi possono sintetizzarsi principalmente nella preoccupazione, esposta del resto diffusamente dallo stesso signor Spaak nell’ultima riunione della Commissione parlamentare degli Esteri, circa i nuovi orientamenti del Gabinetto francese. Al fondo del pensiero belga sta il timore che per raggiungere la pace in Indocina il signor Mendès France sia addirittura indotto a rinunciare alla CED, almeno nella sua forma attuale. Le trattative che egli ha detto di voler condurre con «gli uomini di buona volontà» dichiarantisi in Francia contro o a favore della CED, potrebbero quindi, ad avviso di questo Ministro degli Esteri, essere addirittura un paravento destinato a mascherare obbiettivi superiori. Sopratutto persi teme che nel pensiero del signor Mendès France esista il proposito di raggiungere con i rappresentanti delle varie tendenze una forma di «soluzione di ricambio» tale da contentare la maggioranza dei parlamentari.

Nel primo caso (scambio della CED contro l’Indocina), il signor Spaak ritiene che tutta la cooperazione europea sia destinata ad un rapido naufragio. Nel secondo caso (mercanteggiamento di una soluzione di ricambio), il signor Spaak teme che la modificazione principale potrebbe essere quella di rinunciare al carattere supernazionale degli organi direttivi della CED stessa.

In ambedue le ipotesi il rimprovero che questo Ministro degli Esteri eleva ad ogni modo contro il Presidente del Consiglio francese è quello di considerare una questione di primaria importanza, – la quale tocca così da vicino gli interessi dei sei paesi, – principalmente, se non soltanto, alla luce degli interessi francesi ed al di fuori di quelli degli altri firmatari del Trattato, quattro dei quali lo hanno oramai sottoposto, così come esso era, all’approvazione parlamentare e sono anzi pronti a depositare le ratifiche relative.

Il signor Spaak, a seguito di talune mie domande, ha precisato che egli riterrebbe libero il Governo francese di negoziare con i «partners» una qualsiasi altra forma di difesa collettiva, solo se il Parlamento di quella nazione si fosse chiaramente dimostrato contro il Trattato così come sta, oppure se il Gabinetto, rinunciando pubblicamente ad iniziare la discussione parlamentare e dandone comunicazione agli altri «partners», desse luogo attraverso un’interpellanza ad un voto del Parlamento medesimo. Ma non è disposto a considerare validi né i motivi né i metodi diretti a cercare soluzioni di ricambio, quali quelli che è ora dato di supporre, se essi danno luogo ad una situazione confusa come quella attuale e si svolgono dietro le spalle degli altri firmatari.

Il pensiero del Governo belga è che l’Organizzazione supernazionale sia indispensabile, allo scopo tra l’altro di evitare che un esercito di coalizione possa eventualmente essere posto sotto il comando di un Generale tedesco; ed è per ciò che il Parlamento belga, il quale ha votato la CED a seguito della garanzia fornita dalla previsione di un Comando supernazionale, sarebbe determinato a non ammettere modificazioni a tale stato di cose.

Di più secondo informazioni in mano del signor Spaak, il Governo britannico sarebbe deciso questa volta, per evitare la lunghezza di ulteriori negoziati su eventuali soluzioni di ricambio, a proporre senz’altro il riarmo tedesco e l’inclusione della Germania nella NATO. Il Governo belga non esclude in fondo la possibilità anche di una tale soluzione, ma ritiene di dover fare il possibile per evitare che vi si pervenga. Ritengo che questa eventualità sia stata concordata tra i tre Ministri del Benelux nella loro recentissima riunione. Per contro, ad una eventuale proposta americana di sostituire alla CED un’alleanza continentale tra i paesi del Benelux e la Germania, ed eventualmente la Francia e l’Italia, il Governo belga è e sarà decisamente contrario, per quanto non si nasconda le difficoltà di resistere ad eventuali pressioni americane le quali potrebbero essere magari appoggiate dal Governo di Londra.

Questi sono i motivi per cui i tre Ministri del Benelux ritengono doveroso di esporre con chiarezza, se possibile d’accordo con i colleghi italiano e tedesco, le loro apprensioni, i loro timori e loro insistenze al Governo francese prima che questo si inoltri su di una via dalla quale sarebbe impossibile farlo recedere e che ad ogni modo costituirebbe la fine della integrazione politica, e quindi anche economica, dell’Europa.

Come corollario, il signor Spaak teme che gli americani si decidano a ridare alla Germania la piena ed intiera sovranità, seguiti in cidagli inglesi e non dai francesi, il che condurrebbe (sono le sue parole) ad una rinnovata forma dell’occupazione della Ruhr; e che indebolendo il Governo Adenauer, la Germania possa essere spinta a dei colpi di testa o quanto meno a deviazioni di rotta, tra le quali inevitabilmente l’abbandono definitivo di ogni accordo sulla Sarre.

Ho chiesto al signor Spaak se prima di lanciare l’invito egli avesse fatto presentire il Gabinetto francese, il quale potrebbe aver serie difficoltà ad accettare di comparire, per così dire, sul banco degli accusati; ma il Ministro mi ha detto che a parte una conversazione avuta giorni or sono con l’Ambasciatore di Francia sulla perplessità suscitata dalle dichiarazioni del signor Mendès France, non aveva fatto a Parigi altro passo se non quello che stava ora compiendo con gli altri firmatari della Convenzione di difesa.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

212 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

212 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

212 3 Vedi D. 205.

213

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 9487(2). Washington, 25 giugno 1954.

Oggetto: Ratifica della CED, problema tedesco.

Riferimento: Mio rapporto 9344 del 22 corrente(3).

Signor Ministro,

ho raccolto, da fonte confidenziale sicura, le seguenti ulteriori informazioni sulla questione della ratifica della CED in connessione col problema tedesco.

Nel colloquio del 21 corrente fra l’Ambasciatore tedesco e il Segretario di Stato questi, oltre a disporre per la pubblicazione del comunicato di cui al mio telegramma 346(4), avrebbe promesso che, se il Parlamento francese non adotterà una decisione positiva sulla CED prima delle vacanze estive, i Governi americano e britannico faranno, entro un lasso di tempo che può esserecalcolato approssimativamente in sei settimane dalla data del colloquio, una dichiarazione solenne della loro intenzione di restituire la sovranità alla Germania anche indipendentemente dalla entrata in vigore della CED.

Questa dichiarazione consentirebbe ad Adenauer di consolidare la sua posizione per qualche mese, anche in vista delle elezioni regionali che avranno luogo in estate ed al principio dell’autunno.

Se, prima del «traguardo» dell’autunno, generalmente indicato come il punto critico della situazione tedesca, la questione della CED non sarà decisa favorevolmente, il Governo americano prenderà una nuova e piconcreta iniziativa.

Sulla natura di tale iniziativa, naturalmente, non vi è ancora un’opinione definita. I tedeschi, come è ovvio, aspirerebbero alla pura e semplice entrata in vigore degli«accordi contrattuali». È probabile che i francesi avanzerebbero la pretesa di inserire negli «accordi contrattuali» una serie di clausole di garanzia contro il riarmo nazionale tedesco, equivalenti alle garanzie previste dalla CED. I tedeschi considererebbero insoddisfacente una soluzione del genere, perché, pur confermando di non volere in linea di fatto un esercito nazionale, affermano che la loro sovranità resterebbe monca se ne fosse escluso il diritto a riarmarsi.

Lo sforzo americano e britannico consisterà nel cercare di conciliare questi opposti punti di vista. Se e come vi riuscirà è dubbio. Certo è, per che fra le principali conseguenze dell’insoddisfazione americana per la ritardata ratifica della CED si pufin da ora annoverare la ferma determinazione degli Stati Uniti di non lasciare che le incertezze della politica francese mettano a repentaglio la saldezza di quella tedesca.

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio devoto ossequio.

Tarchiani

213 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 286, fasc. USA I, Politica estera Americana.

213 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Visto dal Ministro» e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

213 3 Vedi D. 204.

213 4 T. 7430/346 del 23 giugno: «Dipartimento diramato comunicato informante Dulles aver detto ad Ambasciatore tedesco che Stati Uniti mentre sperano prossima ratifica CED ritengono, se essa mancasse, necessario considerare prontamente altra forma restituzione sovranità Germania Occidentale» (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 9). Il colloquio tra Dulles e Krekeler in realtà ebbe luogo il 23 giugno: vedi FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, Vol. VII, Part 1, D. 243.

214

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L riservata 20/124(2). Parigi, 25 giugno 1954.

Signor Ministro,

dopo le prime previsioni catastrofiche circa la sorte della CED, seguite alla investitura di Mendès France, sta facendosi strada negli ambienti del Comitato Interinale una visione meno pessimistica, per quanto sempre circondata di se e di ma.

Vengono in particolare citate le dichiarazioni fatte alla stampa dall’ex Ministro Frenay (Presidente del Comitato Esecutivo dell’Unione Francese dei Federalisti) secondo le quali Mendès France gli avrebbe detto che, anche lui, considerava il fallimento della CED come una «catastrofe internazionale con conseguenze imprevedibili» e che quindi lo scopo della «confrontazione» proposta sarebbe effettivamente quello di cercare il modo per raccogliere una pilarga maggioranza intorno al Trattato di Parigi, che non dovrebbe essere modificato ma, semmai, accompagnato, al momento della ratifica francese, da una specie di dichiarazione di intenzioni – o qualcosa di simile – circa l’applicazione graduale della integrazione militare. Si sottolinea che appare indicativo che l’intervista non sia stata in alcun modo smentita da parte ufficiale.

Anche la Delegazione francese, apparsa perplessa ed imbarazzata in un primo tempo, si mostra ora piottimista. Alphand mi ha detto ieri, pregandomi anzi di farlo sapere costà, che, anche in seguito a contatti avuti con il nuovo Sottosegretario, Guérin de Beaumont, egli ha l’impressione che non sia affatto detto che prima delle vacanze parlamentari il Trattato non venga approvato nella sua forma attuale. È vero che lo stesso Alphand ha sempre piuttosto peccato di «wishful thinking» e che quindi le sue affermazioni vanno doverosamente accolte con largo beneficio di inventario, ma è anche da tenere presente che egli è uomo da saper mettere le vele al vento propizio quando vi siano indicazioni sicure circa l’orientamento di esso: sembrerebbe quindi lecito pensare che forse si sarebbe astenuto dal fare ancora previsioni favorevoli se in realtà avesse egli stesso perduto ogni speranza.

Da ultimo il discorso di Conant a Kiel, pronunciato dopo il colloquio tra Mendès France e Bedell Smith e cui hanno fatto eco analoghe previsioni ufficiali a Washington, ha lasciato pensare che il nuovo Presidente del Consiglio abbia fatto agli americani dichiarazioni rassicuranti. Che ciò sia avvenuto mi è stato confermato anche da fonti statunitensi di qui, le quali peraltro esprimono giudizi riservati circa l’assoluta sincerità di tali promesse. Infatti, qualunque sia veramente il suo pensiero recondito, che cosa di diverso avrebbe potuto dire, in questo momento, il nuovo Presidente del Consiglio ai suoi interlocutori di oltre Atlantico?

Riferisco queste sensazioni, che hanno carattere esclusivamente tendenziale, per debito di cronaca. A mio avviso, esse confermano soltanto una cosa: che, oggi come oggi, non si può dire nulla di sicuro su quello che sarà per essere il destino della CED in Francia in una situazione che si presenta oscura assai in relazione sopratutto al futuro svolgimento della complessa «operazione Indocina» intrapresa da Mendès France; né quanto questi ha detto circa la CED nella Conferenza stampa tenuta al Quai d’Orsay, nel corso della quale ha annunciato la nomina del duunvirato Koenig-Bourgès-Maunoury, ha fornito indicazioni che possano essere interpretate in modo univoco. Continuo a credere, come ho già accennato in un telegramma, che lo stesso protagonista dell’attuale vicenda francese non possa dire adesso quale sarà il suo futuro atteggiamento perché è costretto a lasciarsi aperte tutte le strade, non sapendo ancora il prezzo che dovrà pagare – né a chi dovrà pagarlo – per portare a termine, in brevissimo volgere di tempo, la prima parte del suo programma, oggetto di un preciso contratto da lui stipulato col Parlamento e col Paese.

Il pericolo che, a rigor di logica, si puintravedere – pericolo grave, anzi gravissimo, perché verrebbe messa a repentaglio non solo la CED ma tutta la impostazione atlantica – è quello insito nell’impegno preso da Mendès France di giungere ad una soluzione dell’imbroglio indocinese soddisfacente per la maggioranza (e quindi anche per quelle correnti, largamente rappresentate nel suo Governo, che non potrebbero consentire una resa a discrezione) a scadenza fissa; cioè nell’essersi egli posto – almeno apparentemente – nella posizione pidebole per negoziare. Se infatti egli non trovasse abbastanza malleabili i suoi interlocutori estremo orientali – forti di una situazione militare sempre più disastrosa per le forze dell’Unione Francese – e la Russia dovesse assumere la posizione dell’intermediario, che cosa potrebbe egli offrire in cambio di questi indispensabili buoni uffici?

Ci sono già state intese in questa direzione? Non manca chi lo sospetta, nonostante la netta assicurazione data dal Presidente del Consiglio che egli non intende assolutamente addivenire ad un «marchandage planétaire» – ma non si sa per ora neppure nulla che lo confermi.

Può darsi che Mendès France conti di riuscire a trattare su basi diverse. Ma come? Qual è la sua arma segreta? Nessuno qui sembra riuscire ad indovinarlo.

Spera egli che lo spettro dell’intervento americano, che potrebbe essere presentato come inevitabile in caso di fallimento dell’attuale negoziato, basti da solo a condurre i cinesi a miti consigli? Ma, vien fatto di domandarsi, non sanno bene coloro che stanno dall’altra parte del tavolo che una tale eventualità, che potrebbe essere gravida di tante conseguenze, è oggi temuta dalla Francia quasi tanto quanto da loro stessi?

C’è chi pensa – riconoscendo a Mendès France una indubbia abilità manovriera – che egli conti di non vendere alla Russia la CED contro la pace in Indocina ma piuttosto di rovesciare la posizione dicendo al Kremlino: se voi non mi aiutate, anziché la CED, avrete la Germania nella NATO, il che sarà ancor peggio per voi. Appare perassai dubbio che una tale tattica sia suscettibile di dare buoni frutti perché la diplomazia sovietica, che ha dimostrato finora di aver saputo molto sottilmente prevedere gli sviluppi della situazione francese, non può non rendersi conto che un riarmo indipendente della Germania troverebbe qui anche piopposizioni che non la stessa CED; che anzi una simile alternativa potrebbe approfondire i dissidi nell’alleanza occidentale; che, insomma, la minaccia sarebbe fatta con un fucile scarico. Infatti si sarebbero i sovietici impegnati così a fondo contro l’esercito europeo se avessero temuto che, sabotandolo, avrebbero rischiato di ottenere l’ingresso puro e semplice della Germania nel Patto Atlantico? Certo no. E mi sembra che il calcolo loro non sia sbagliato.

Altri sostengono che la moneta di scambio che Mendès France potrebbe offrire sarebbe la sua stessa permanenza al potere; ma anche tale tesi appare debole perché, se è vero che i russi possono essere soddisfatti del governo attuale e possono forse anche scorgere nel suo Presidente una specie di Kerensky della quarta Repubblica (e i voti comunisti dati a Mendès France starebbero a dimostrarlo; egli li ha sì rifiutati ma loro glieli hanno offerti lo stesso, il che significa, come è stato argutamente osservato, che, se i comunisti non convengono a lui, egli per converso conviene a costoro), non sembra che ciò sia abbastanza per barattarlo contro la chiusura, sia pure a condizioni intermedie, della piaga indocinese che avvelena non solo il corpo della Francia ma rappresenta altresì una spada profondamente confitta nel fianco di tutto il sistema occidentale.

Lo stesso rifiuto dei francesi di aderire all’invito di Spaak per una conferenza a sei sembrerebbe – al di là delle giustificazioni, pure plausibili, che sono state date – confermare la fluidità della situazione caratterizzata dal desiderio di Mendès France di mantenersi le mani il pilibere possibile.

Intanto si fa un gran parlare di possibili soluzioni di ricambio: i pisaggi persi rendono conto delle molteplici difficoltà di rimettere in discussione il testo del Trattato. Il massimo cui eventualmente potrebbe ragionevolmente giungersi sarebbe di trovar modo di scalare nel tempo la realizzazione della sovranazionalità, come proposto dallo stesso Guérin de Beaumont qualche mese fa. La creazione di qualcosa di veramente nuovo – come suggerito, per esempio, con le note proposte Maroger-Weygand o, da ultimo, da Barrachin, ispirato, a quanto si dice, dal Maresciallo Juin – appare veramente inattuabile in quanto si tratterebbe non già di soluzioni di ricambio in senso stretto ma di vere e proprie alternative: e, se si entrasse in questo ordine di idee, il mutamento di rotta non potrebbe essere, allora, che assai piradicale e portare molto lontano sulla via di un non controllato, o controllato per burla, riarmo della Germania.

Comunque la confusione di idee e di lingue regna sovrana in questo campo. Troppi – fra l’altro – discutono del problema della CED come se si trattasse di una questione esclusivamente di politica interna francese.

Una ultima considerazione di indole generale: con l’avvento di Mendès France la CED è vista in funzione quasi esclusiva della necessità del contributo tedesco alla difesa dell’Europa e non picome indispensabile e necessaria colonna di un sistema di pivasta integrazione europea. Cievidentemente non corrisponde alle nostre idee ma, d’altra parte, bisogna sempre considerare che la CED rimarrebbe pure, anche se votata qui per motivi diversi da quelli per i quali noi vi abbiamo aderito, una tappa fondamentale nel cammino verso l’Europa unita anche politicamente ed economicamente e postulerebbe ineluttabilmente – a più o meno vicina scadenza – quei successivi sviluppi che noi auspichiamo(3).

Devotamente e affettuosamente, credimi

tuo

Giorgio Bombassei

214 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 84.

214 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario generale» e la sigla di Zoppi.

214 3 Per la risposta vedi D. 229.

215

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 7606/117-118. Bruxelles, 26 giugno 1954, ore 20,45 (perv. ore 23,40).

Il presente telegramma fa riferimento al mio telegramma n. 116(2).

Spaak mi aveva descritto la situazione come «allarmante» un’ora prima di telefonarmi la notizia di cui al telegramma sopra citato. Mendès France infatti gli aveva fatto dire ieri che anteponeva le trattative per l’Indocina alla riunione per la CED e che avrebbe preferito piuttosto allacciare conversazioni bilaterali con altri 5 firmatari.

Spaak aveva fatto subito comunicare a Mendès France che egli non avrebbe dato atto di tale risposta anche se gli fosse pervenuta ufficialmente: che avrebbe dichiarato per iscritto che il Benelux non ammetterebbe che il Parlamento francese venisse chiamato a pronunciarsi su un Trattato diverso da quello che era stato approvato dai quattro: che insisteva che la riunione doveva aver luogo magari a Parigi, ritardando di una settimana al massimo. Si proponeva, in caso di rifiuto, di indire una riunione a cinque e magari a quattro sulla base dell’articolo 132 del Trattato. Avrebbe infine pubblicato un comunicato, stigmatizzando l’atteggiamento della Francia. A seguito di ciMendès France ha invitato Spaak a recarsi a Parigi mercoledì [il 30] al fine di discutere le modalità e la data della riunione. Mi era stato chiesto da Spaak se ritenevo che l’Italia avrebbe partecipato alla riunione a cinque. Gli avevo risposto che, dati i nostri legami particolari con la Francia, credevo di doverlo escludere e che subito avrei chiesto all’E.V.

Intanto, prima di essersi consultati a fondo anche con noi, mi permettevo di sconsigliare di dare pubblicità a tale intendimento(3).

215 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

215 2 T. segreto 7597/116, pari data (ore 16,15), col quale Grazzi comunicava che Spaak aveva accettato l’invito di Mendès France ad incontrarlo il 30 del mese.

215 3 Per la risposta vedi D. 219.

216

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. 004808(2). Lussemburgo, 26 giugno 1954.

Caro Zoppi,

ho riferito per telegramma le principali mie informazioni sulla progettata Conferenza di Bruxelles che ha avuto origine in un colloquio a Lussemburgo fra i tre ministri degli Esteri del Benelux. Permettimi di aggiungere le seguenti precisazioni:

L’iniziativa è partita da Spaak. Da tempo Spaak – di simili iniziative si era già parlato a Strasburgo durante le sessioni delle assemblee europee – era sollecitato dagli europeisti (compreso il nostro Spinelli) a una maggiore dinamicità e egli stesso, ridivenuto Ministro degli Esteri, desiderava riaffermare il suo leadership nel campo della integrazione europea. L’atteggiamento del nuovo Governo francese nei riguardi della CED gli ha fornito l’occasione, e gli ha fatto trovare Beyen e Bech disposti ad associarsi alla sua azione.

Da tempo anche il Benelux era assai irritato con la Francia; quello che ha fatto traboccare il vaso è stata la disinvoltura con la quale il Governo di Mendès France ha fatto sapere che avrebbe cercato di conciliare fautori e avversari del Trattato CED, che avrebbe cioè proposto un nuovo trattato. I Governi del Benelux non solo si rendono conto che modificare, sia pure in misura minima, il trattato CED costruzione delicatissima di compromessi in cui ogni virgola conta, è mandarlo completamente all’aria, ma sanno che la proposta di un nuovo trattato li metterebbe in una situazione insostenibile. La ottenuta ratifica dell’attuale testo di trattato non è stato, per essi, cosa facile; nemmeno per il piccolo Lussemburgo che ha dovuto, per ratificare, sciogliere la Camera, indire nuove elezioni e accingersi a rivedere la costituzione. Bech mi diceva – e penso che i ragionamenti di Spaak e di Beyen non siano molto differenti –: come posso presentarmi alla Camera e, dopo aver perorato per fare approvare un trattato, perorare per mandarlo all’aria e farne approvare un altro. Se la Francia non vuole più il trattato ce lo dica francamente, ma non ci venga a parlare di nuovi testi, sopratutto dopo l’esperienza inutile dei cosidetti protocolli interpretativi.

A queste preoccupazioni di politica interna si sono aggiunte poi nel provocare l’iniziativa del Benelux, ancora piserie preoccupazioni di politica generale. Vi sono certo qui – parlo del Lussemburgo ma credo che il ragionamento valga anche per il Benelux – forti sentimenti antitedeschi, ma si preferisce, se la CED dovesse fallire, un regolare e legale ingresso della Germania nella NATO a incontrollate manifestazioni nazionalistiche di impazienza e di insoddisfazioni, che rimetterebbero la Germania su sentieri di infausta memoria. Bech, che teme seriamente che Adenauer non riesca ancora per molto tempo a frenare le insofferenze del suo stesso partito, è angosciato dei funesti sviluppi che le due impazienze, tedesca e americana, sommate insieme, potrebbero portare.

Questi i sentimenti che hanno originato il passo del Benelux. Resta a vedere se questo passo è stato tempestivo e se non sarebbe stato piopportuno attendere un paio di settimane, lasciando al Governo Mendès France il tempo di chiarire le sue idee sulla CED. Mi ha detto Bech che secondo Spaak (e anche secondo gli americani) la mossa sarebbe stata invece tempestiva, perché darebbe forza e argomento agli elementi del Governo Mendès France che sono favorevoli al trattato. In realtà credo perche la ragione di questa precipitazione sia stata un’altra. Quello che il Benelux vuole evitare è di trovarsi di fronte a nuove proposte francesi, a un nuovo trattato e a nuove pressioni americane per accettarlo; e per parare a tale pericolo, occorreva agire subito.

Non è dubbio perche la Conferenza, per la maniera in cui è stata proposta, ha un aspetto alquanto sgradevole e imbarazzante per la Francia, chiamata al redde rationem (tanto è vero che le ultime notizie stampa fanno dubitare che essa l’accetti e per lo meno che l’accetti nei termini proposti). Ci si pudomandare se anche per noi la Conferenza avrebbe lo stesso aspetto. Bech me lo ha escluso, riferendomi le idee che si sono scambiati i tre ministri nel colloquio di Lussemburgo. I tre ministri si sono mostrati convinti che a noi non manca la ferma volontà di ratificare e che, una volta risolta la questione di Trieste oramai a loro avviso ben avviata, si procederebbe subito alla ratifica.

ciò non toglie che nella riunione di Bruxelles ci verranno certamente domandate chiarificazioni, ed è probabile che, se non ci vogliamo trovare, anche noi, in una situazione delicata, dovremmo fornire qualche impegno, in termini alquanto più precisi di quello che sarebbe forse ora nei nostri desideri. Comunque sia la nostra immediata accettazione dell’invito a Bruxelles ha fatto già (Bech e americani) ottima impressione.

D’altra parte mi domando se la Conferenza di Bruxelles non potrebbe avere per noi una specifica utilità, darci cioè occasione per fare discretamente accenno alla nota difficoltà di cui ho ancora parlato a Roma con Magistrati, relativa alla applicabilità del trattato CED alla zona A. Io seguito a ritenere, anche dopo i contatti che ho avuto a Roma con alcuni deputati di destra, che la cosa ha effettivamente una certa importanza e che dovremmo preparare una chiara risposta alla domanda che ci sarà certamente fatta in sede di ratifica: quali truppe, ai termini del trattato CED potranno essere stazionate nella zona A?

Mi sembra che senza esporci troppo, si potrebbe forse dire a Bruxelles che, fra le varie nostre difficoltà, esiste anche questa, sia pure di carattere minore. Potremmo affermare che non ci sembra dubbio che, da un punto di vista politico, tutti saranno d’accordo a che nella zona A stazionino truppe europee di nazionalità italiana (il che mi pare assai pivantaggioso dello stazionamento di truppe restate nazionali), ma che vi possono essere difficoltà di carattere strettamente giuridico da superare. Potremmo far presente che se i ministri dessero un assenso di massima, cifaciliterebbe la nostra discussione per la ratifica e la questione potrebbe essere poi studiata, in dettaglio e con comodo, dal Comitato interinale, per trovare la formula giuridica consona al trattato.

Giuridicamente la cosa è abbastanza delicata, anche e sopratutto per il problema della estensione alla zona A dei trattati CED di garanzia con gli S.U. e la Gran Bretagna, ma una volta che vi fosse una decisione politica di principio, la soluzione giuridica dovrebbe essere relativamente facile.

Credimi molto devotamente.

F. Cavalletti

216 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

216 2 Trasmessa a Magistrati con L. 4808, pari data.

217

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI(1)

Appunto 21/1634. Roma, 27 giugno 1954.

LAVORI DELLA COMMISSIONE PER LA CPE (Maggio-Giugno 1954)

Com’è noto a V.E., allo scopo di favorire i desideri francesi in relazione alla CED, alla vigilia della riunione dei sei Ministri degli Esteri della Comunità, prevista per il 30 marzo scorso a Bruxelles, i Capi delle Delegazioni partecipanti alla Commissione per la CPE si accordarono sul rinvio di tale conferenza, dando mandato ai Comitati di proseguire i lavori riprendendo alcuni punti del Rapporto ai Ministri(2)che non erano stati abbordati o sufficientemente approfonditi.

Dopo essersi suddivisi in gruppi di lavoro i Comitati Istituzionale ed Economico della Commissione per la Comunità Politica hanno ripreso i lavori l’11 maggio scorso in Parigi.

Il Comitato Istituzionale nella sua prima riunione decise di accantonare per il momento i problemi relativi al potere legislativo del Parlamento, quelli sulla competenza dell’organo esecutivo sopranazionale e quello dell’associazione con i terzi Stati; esso ritenne inoltre che sarebbe stato prematuro di formulare fin d’ora i testi degli articoli del futuro Trattato.

I punti presi finora in esame sono stati:

A) Questioni istituzionali.

1) Parlamento

a) Immunità. Il Gruppo di lavoro del Comitato Istituzionale ha discusso il problema dell’immunità dei membri del Parlamento. Partendo da un documento presentato dalla Delegazione italiana si è deciso di raccomandare sostanzialmente l’adozione dell’articolo 25 del progetto dell’Assemblea ad hoc, che coincide praticamente con i principi contenuti nell’articolo 68 della Costituzione italiana. In tal modo verrebbero sancite l’irresponsabilità dei membri del Parlamento e la loro inviolabilità per tutta la durata del mandato.

b) Poteri del Parlamento in materia di bilancio: il gruppo di lavoro si è ispirato largamente ai principi del progetto dell’Assemblea ad hoc. In linea di massima è stato previsto che alcune disposizioni fondamentali dovrebbero essere inserite nel Trattato, mentre le disposizioni di attuazione potrebbero essere adottate successivamente dagli organi della Comunità in eventuale collaborazione con le competenti Autorità dei vari Stati membri. Tale sistema in particolare dovrebbe valere per fissare l’organizzazione del bilancio (legge sulla contabilità) e per fissare le entrate proprie della Comunità (imposte).

2) Corte di Giustizia. Il Comitato si è limitato finora ad esaminare una proposta olandese relativa all’opportunità di stabilire una procedura speciale per le controversie di carattere istituzionale. Essa in sostanza tende a prevedere, intaccando il principio dell’unità della Corte, la creazione di una sezione speciale. Le varie Delegazioni si sono sostanzialmente avvicinate alla proposta olandese, ad eccezione della Delegazione italiana ed, in misura minore, della tedesca.

3) Collegamenti tra la CPE ed il Consiglio d’Europa. La discussione del problema è continuata sulla base del progetto francese. È stato raggiunto un accordo sulla partecipazione di diritto di un rappresentante dell’esecutivo sopranazionale in tutti i casi di consultazione fra il Consiglio dei Ministri della CPE ed il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Circa la portata e l’oggetto delle consultazioni da parte francese si è continuato nella linea tendente a cercare di porre dei limiti alla possibilità di azione autonoma della Comunità ed a porre nuovi freni ad ogni iniziativa mirante ad ampliarne le attribuzioni.

B) Questioni economiche.

I lavori del Comitato economico hanno avuto per oggetto le misure necessarie alla realizzazione del mercato comune. La Delegazione tedesca ha prospettato l’opportunità di prevedere, nell’ambito del periodo di transizione fra la firma del Trattato e lo stabilimento del mercato comune, un periodo iniziale durante il quale dovrebbe procedersi alla messa in atto di una serie di misure preparatorie. Tale proposta però non ha raccolto i favori delle altre Delegazioni. Da parte francese si è ribadita la tesi secondo cui l’istituzione del mercato comune dovrebbe essere oggetto di trattati da concludersi successivamente all’entrata in vigore del Trattato istituente la Comunità Politica Europea.

Altri problemi esaminati dal Comitato sono stati quelli relativi alle misure da prendere per l’abolizione dei dazi doganali fra gli Stati membri e per l’istituzione di una tariffa comune verso i terzi Paesi.

Non sono stati ancora esaminati i seguenti punti: sistema di salvaguardia e coordinamento della politica economica finanziaria e sociale.

Il 28 corrente il Comitato Istituzionale riprenderà i lavori per proseguire l’esame dei problemi relativi alla Corte di Giustizia e ai poteri del Parlamento in materia di bilancio e per discutere circa la questione del Consiglio economico e sociale.

Il Comitato economico si riunirà il 3 luglio.

Circa la questione del proseguimento dei lavori della Commissione sono state inviate istruzioni al Ministro Cavalletti perché favorisca un aggiornamento dei lavori all’autunno(3).

217 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

217 2 Vedi D. 136, nota 3.

217 3 Vedi D. 199.

218

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 2699/1324. Bruxelles, 27 giugno 1954.

Signor Ministro,

dal telegramma n. 116(2) (anteriore alla risposta definitiva del signor Mendès France, risposta così diversa da quella da lui data la sera precedente all’Ambasciatore del Belgio a Parigi) Vostra Eccellenza avrà veduto la spiacevole situazione che era venuta a crearsi oltreché nel campo dei rapporti del Benelux con la Francia, in quello dell’alleanza europea.

La mossa del Benelux, concomitante alla dichiarazione fatta pervenire al Governo britannico prima della partenza per Washington del signor Churchill, cioè che esso Benelux non avrebbe dato il proprio consenso a veruna soluzione di ricambio della CED, mossa tendente ad indire la riunione dei Sei quasi di sorpresa, corrispondeva da un lato al giusto desiderio di evitare decisioni francesi forse non riparabili, e dall’altro al temperamento insieme ambizioso e passionale di Spaak.

Il primo errore è stato di non presentire i francesi, ed il secondo di non tenere il segreto neppure per ventiquattr’ore, talché la suscettibilità francese è stata subito presa di punta.

Non è improbabile (visto che la prima indiscrezione è venuta da Bonn) che ci sia stata una mossa tedesca diretta o a mettere la Francia con le spalle al muro o ad addossarle ogni responsabilità, in vista delle concessioni richieste dal Cancelliere agli Alleati relativamente alla piena sovranità della Germania.

Comunque, la situazione così creatasi era preoccupante, oltreché per la divergenza di fondo fra le idee del Benelux e quelle che con maggior o minor verità si prestano al Gabinetto francese, a causa della grave discrepanza che si stava manifestando in piena luce fra gli Alleati europei: e non di rado l’aspetto esterno delle cose purecare conseguenze eguali se non più graviche non il contenuto interno stesso.

Sta di fatto che al mattino di ieri ho trovato Spaak estremamente montato contro i francesi: egli ha parlato di risposta «impolie», di atteggiamento sabotatore, di fine dell’idea europea, e simili. Dove mi pareva egli avesse ragione era allorché definiva inammissibile l’intendimento di Mendès France di cercare in casa propria una soluzione di compromesso e di concordarla più o meno con i gruppi parlamentari, senza preoccuparsi che gli altri «partners» avevano già approvato un trattato diverso. Dove mi pareva ne avesse meno, era nel proponimento di indire una Conferenza a cinque (che avrebbe costituito un vero ultimatum alla Francia e che – almeno a quanto appare dai dispacci d’agenzia da Bonn – il Cancelliere avrebbe accettata volentieri) o a quattro, spezzando l’Europa nei due campi, quello dei puri e quello dei reprobi. Ho cercato di calmarlo come meglio potevo, ma non nascondo che sono uscito dal colloquio preoccupato, e che sono stato lieto che la telefonata da lui datami un’ora più tardi mi abbia permesso di non gettare l’allarme a Roma.

Per dare un’idea dell’animus antifrancese che da qualche giorno si sta affermando in Belgio, anzi nel Benelux, riferirche ieri il Barone Snoy (il migliore tra i funzionari di questo paese, e Presidente del Comitato Scambi dell’OECE) mi ha intrattenuto con tutta serietà di un suo piano che egli avrebbe già presentato al Gabinetto: nel caso, per lui ormai evidente, di rientro della Francia sotto la tenda del nazionalismo, unione doganale progressiva fra Benelux, Germania ed Italia; qualche cosa quindi come una pipiccola Europa al posto di quella già così striminzita dei sei.

Sta di fatto – a parte idee come queste – che qui si ritiene davvero più che vacillante l’idea europea, con tutte le conseguenze estremamente poco liete che ne derivano; e che non si è disposti a nessun’altra soluzione di ricambio della CED se non, come «ratio ultima» e molto «obtorto collo», ad ammettere la Germania nel NATO; in quale maniera, poi, con la certezza del veto francese, nessuno lo sa. Tanto per dire qual è la confusione che regna nel campo europeo oggi, a più grande soddisfazione dei suoi e dei nostri nemici.

Quale sarà il risultato del colloquio fra Spaak e Mendès France? Probabilmente, come in tutte le cose di questo mondo, una soluzione di compromesso: forse riunione dei Cinque a Parigi, ritardata alla fine del mese, o forse anche riunione della CPE, di cui ho avanzato un suggerimento, a titolo personale, a Spaak ma circa la quale credo poco. Ma sul fondo della questione, quale sarà il contenuto del colloquio? Il Benelux è determinato a tener duro e sa di contare sugli Stati Uniti e, forse un po’ meno, sulla Gran Bretagna sul cui vero atteggiamento in materia di CED qui non si hanno idee molto sicure; e non è qui da escludere che invece di accomodarsi, le cose potrebbero fra Benelux e Francia anche andare peggio. In tal caso, noi verremmo a trovarci in una ben penosa situazione, che si sarebbe evitata se la votazione della CED avesse potuto essere fatta con la passata legislatura o quanto meno iniziata ed avanzata con l’attuale.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

218 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

218 2 Vedi D. 215, nota 2.

219

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI(1)

T. segreto 5787/83. Roma, 28 giugno 1954, ore 13,15.

Con riferimento al suo telegramma n. 118,(2) si approva il linguaggio tenuto da V.E. con particolare riguardo all’ultima parte del suo telegramma, nel mentre si prende buona nota di quanto comunicato e si resta in attesa di conoscere i risultati dell’incontro Spaak-Mendès France di mercoledì prossimo [il 30].

219 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

219 2 Vedi D. 215.

220

COLLOQUIO DEL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, MARTINO, CON IL CANCELLIERE E MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, ADENAUER(1)

Appunto(2). Colonia, 29 giugno 1954.

Non rispondono a verità le notizie secondo le quali il Governo Federale avrebbe chiesto il rinvio della Conferenza proposta da Spaak.

Uno degli articoli del Trattato della Comunità prevede la possibilità che uno dei Ministri degli Esteri chieda una riunione con i colleghi. Ciè ora avvenuto per la prima volta ed è assai grave che vi sia, come sembra finora, un rifiuto francese. Il Governo Francese ha proposto la visita a Bonn del Sottosegretario de Beaumont e di Parodi. Adenauer ha chiesto venisse rinviata il 2 luglio, dopo cioè il colloquio di Mendès France con Spaak del 30 giugno. Mendès France ha chiesto tempo fino al 20 luglio per una soluzione della questione in Indocina. Molti sono convinti che egli ha già buoni affidamenti dalla controparte, il suo atteggiamento sarebbe altrimenti incomprensibile. La situazione militare è per i francesi disperata ed insostenibile.

Dopo il 20 luglio ed in caso di successo, Mendès France è convinto di ottenere un tale aumento di prestigio e di forza da permettergli di far passare la ratifica CED.

***

Il Governo Federale desidera chiarire alcuni punti:

-La Francia ha sottoscritto con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Germania gli accordi di Bonn che sono ormai ratificati dagli ultimi tre.

- La Francia ha sottoscritto gli accordi per la Comunità di Difesa che sono stati ratificati da quattro Paesi meno gli ultimi due Italia e Francia stessa.

- La Francia stessa ha chiesto garanzie, emendamenti e modifiche che sono all’esame, e comunque più che ammesse in principio, dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna.

Il Governo Federale si preoccupa e desidera avere assicurazione che il nuovo od altro futuro Governo francese terrà fede all’impegno assunto con l’accordo di Parigi.

Il popolo tedesco è impaziente; ulteriori rinvii richiamerebbero inevitabilmente alla memoria precedenti tentativi di accordi franco-federali (Stresemann-Briand ultimo Adenauer-Schuman) e se il popolo tedesco incomincia a pensare meno europeo esso si riavvicinerà al nazionalismo, di cui esistono correnti che insieme con ex «poco ragionevoli» generali che fanno parte di numerose organizzazioni di ex militari, diverrebbero facile preda di un’azione di un annessionismo ideologico che l’est non mancherebbe di esercitare con successo sfruttando il nazionalismo.

***

Qualsiasi futura soluzione deve partire dal presupposto dell’avvenuta ratifica CED. Prima ratifica e poi eventuali e utili discussioni.

Evitare assolutamente di rimettere in moto la macchina del riesame parlamentare di nuove proposte.

Adenauer ha tenuto a sottolineare:

-impazienza degli Stati Uniti

- serietà della situazione attuale e naturalmente destino comune di tutti i popoli

europei. Adenauer è convinto che la ratifica italiana spronerebbe la Francia.

***

Adenauer ha pregato far presenti le sue vive preoccupazioni al Presidente Scelba et sua preghiera che Italia accetti l’invito alla Conferenza e che intervenga Scelba personalmente.

***

Adenauer ha dichiarato di avere assicurazioni dagli Stati Uniti per la concessione della sovranità alla Repubblica Federale comunque al più tardi alla fine della estate.

220 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 85.

220 2 Trasmesso da Magistrati alle Ambasciate a L’Aja, Bonn, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington, alla Legazione a Lussemburgo, alle Rappresentanze presso la NATO e la CED a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, e per conoscenza alla Direzione Generali degli Affari Politici con Telespr. segreto 21/1782 del 9 luglio. Il documento reca il timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

221

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. 004844(2). Lussemburgo, 29 giugno 1954.

Caro Zoppi,

l’iniziativa presa dal Benelux per la riunione dei sei Ministri degli Esteri e la reazione del Governo francese che, dopo aver chiesto un rinvio, ha spedito Guérin de Beaumont a Bonn sono fatti, mi sembra, che danno materia a riflessione.

L’immediato contatto preso dal Governo francese con Bonn, subito dopo l’appello belgo-olandese, fa pensare che si stia per riprodurre, su vasta scala, quel gioco al quale così spesso abbiamo assistito nella Comunità a sei (Conferenza CED e CECA): la Francia e la Germania, nei momenti più difficili, tendono a mettersi d’accordo fra di esse, ignorando il Benelux e noi.

In questa azione – Benelux da un lato, franco-tedeschi dall’altro – l’Italia ha, ora, una posizione particolarmente difficile. Non avendo essa ratificato, il Benelux non l’ha associata alla sua azione; ma, d’altra parte, non essendovi, a torto o a ragione, seri timori che essa non ratifichi, essa è al margine dell’azione in corso. Prova ne sia che l’invito del Benelux ai sei è partito – mi risulta in maniera certa – dopo aver consultato Bonn e non Roma, che molta stampa non ha nemmeno menzionato la nostra accettazione e che nessuno si è particolarmente affannato a farci sapere che ci avrebbe tenuti informati delle proprie intenzioni.

Quali sono effettivamente queste intenzioni? Per quanto riguarda la Francia non si conoscono con precisione, ma vi sono elementi per ritenere che Mendès France vorrebbe impastare insieme le idee di Koenig e di Bourges-Maunoury e fare un Trattato nuovo di stile composito.

La posizione del Benelux è invece molto chiara e te l’ho descritta nella mia precedente lettera(3): il Benelux che ha ratificato non intende accettare un nuovo Trattato.

Non so quali siano le idee costà su un eventuale nuovo trattato, ma io ho sempre ritenuto che una revisione dell’attuale testo, a parte le difficoltà ben note, non ci può essereconveniente. Il «pasticcio» Koenig-Bourges Manoury avrebbe fatalmente un carattere supernazionale o nullo o molto attenuato e cioè smentirebbe nettamente la nostra impostazione (CED = avviamento alla Federazione); esso conterrebbe probabilmente qualche maggior sacrificio per la Germania, sacrificio che si applicherebbe automaticamente a noi e non alla Francia, protetta dai protocolli speciali. Inoltre la nostra procedura per la ratifica, ormai abbastanza avanzata, è basata sul testo attuale e un nuovo testo comporterebbe nuove difficoltà e nuovi ritardi.

Ma se i francesi, superando l’opposizione di Bonn (vedi viaggio di Guérin de Beaumont) riescono a cavar fuori una nuova formula che consenta, bene o male, la creazione delle 12 divisioni tedesche, è molto probabile che il Governo americano, a cui le 12 divisioni sono l’unica cosa che veramente interessi, si adopererebbe, con le massime pressioni per farla accettare da tutti.

In queste circostanze mi sembrerebbe assai importante per noi, di conoscere con esattezza fino a che punto e in quale maniera il Benelux è disposto a resistere alle nuove proposte francesi e di concertare una collaborazione che, di fronte al delinearsi di possibili accordi diretti a Parigi e Bonn, possa avere particolare peso e ci possa riinserire nell’iniziativa e nell’azione europeistica.

Se si credesse costà che una tale azione meritasse di essere sviluppata, essa dovrebbe, a mio avviso, manifestarsi in maniera visibile. Non basterebbero quindi i normali contatti delle cancellerie, ma occorrerebbe una consultazione personale, a un livello elevato, con un viaggio di una nostra alta personalità nelle capitali del Benelux, viaggio che dovrebbe effettuarsi al più presto, approfittando del rinvio della Conferenza di Bruxelles.

Quanto alla persona mi sembrerebbe che l’esempio del Governo francese, che ha inviato a Roma il Sottosegretario, potrebbe utilmente essere seguito. S.E. Benvenuti è, d’altra parte, la persona piadatta; stimatissimo negli ambienti europeisti è in rapporti di grande amicizia con Spaak e conosce molto bene Beyen e Bech. La sua perfetta conoscenza dei problemi gli permetterebbero [sic] di tracciare facilmente una linea di collaborazione.

Le prime notizie stampa riportavano che a Bonn sarebbe andato anche Parodi. La tua presenza nel viaggio avrebbe, evidentemente, grandissima importanza e utilità e se l’idea da me messa avanti potesse realizzarsi, vorrei permettermi di pregarti vivamente di esaminare favorevolmente tale possibilità.

Tieni infine presente che una consultazione del genere di quella sopraindicata, oltre ai risultati accennati, potrebbe essere anche un utile ammonimento alla Francia, indicandole che altre collaborazioni, oltre quella francese, sono per noi sempre possibili e che non va sottovalutato il disinteressato appoggio da noi datole finora nel campo CED(4).

Credimi molto devotamente.

F. Cavalletti

221 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

221 2 Trasmessa a Magistrati con L. 004846, pari data.

221 3 Vedi D. 216.

221 4 Per la risposta vedi D. 235.

222

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI ESTERI, BENVENUTI, ALLA LEGAZIONE A LUSSEMBURGO E ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA CED A PARIGI(1)

T segreto 5837/107-292. Roma, 30 giugno 1954, ore 23,30.

Oggetto: Lavori CPE.

Solo per Parigi:Per Delegazione CED. Trascrivesi seguente telegramma inviato legazione Lussemburgo:

«Suo 321(2). Anche noi, nell’attuale situazione, riteniamo preferibile che dopo riunioni Comitati previste per prossimi giorni lavori Commissione CPE si aggiornino senza pubblicità et senza convocazione Capi Delegazioni».

Solo per Lussemburgo: Comunicato Lussemburgo et Delegazione CED.

222 1 DGAP, Uff. I (ex OA e ex DGCI, Uff. I), 1952-1954, b. 12, pos. 14.

222 2 T. 7470/321 del 24 giugno, con cui Cavalletti richiamandosi alla sua lettera 4394 del 1° giugno (vedi D. 194) aveva comunicato: «Mi risulta che da parte tedesca si condivide idea che lavori CPE aggiornino massima prudenza e senza rumore. Tedeschi anzi sarebbero opinione che dopo riunione Comitato prevista per fine mese, studi si rinviino ad autunno evitando qualsiasi pubblicità, cioè senza convocazione capi delegazioni e senza comunicare nulla alla stampa» (ibidem).

223

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 7826/618-619. Parigi, 1° luglio 1954, ore 20,35 (perv. ore 20,45).

Mendès-France ha tenuto in primo luogo ringraziare Governo italiano per atteggiamento comprensivo assunto in occasione proposta Spaak e che lo ha aiutato uscire da situazione difficile: è stato molto sensibile a questo gesto amichevole e spera essere in grado mostrarci sua gratitudine altro che con parole.

Circa CED mi ha ripetuto suo calendario.

Personalmente fino al 20 luglio intende occuparsi solo questione Indocina; intanto perCommissione Koenig-Bourgès-Maunoury studierà possibilità soluzione CED suscettibile raccogliere maggiori consensi parlamentari. Se per 20 luglio non si ha cessazione ostilità Indocina allora lui si dimette e sarà nuovo Governo che dovrà affrontare questione: se riesce sua posizione sarà molto rafforzata.

Si rende perfettamente conto che problema CED non è solo problema interno francese: che bisogna che soluzione accettabile Parlamento francese sia accettabile anche altri Governi e altri Parlamenti: per cui, se Commissione francese troverà formula conciliazione, seconda fase sarà sua presentazione ad altri Governi interessati in apposita Conferenza; questo potrebbe secondo lui avvenire tra 1° e 10 agosto. Se si potrà raggiungere accordo a sei, si entrerà terza fase, delle ratifiche parlamentari, cosa che, per quello che concerne la Francia, potrebbe, ritiene, avvenire entro mese agosto.

Gli ho fatto osservare, dal punto di vista pratico, che, a meno che si tratti di modifiche insignificanti, non mi sembra possibile mettere cinque Ministri degli Esteri di fronte nuovi progetti francesi e domandare decisione sul posto. Proposte francesi avrebbero dovute essere prima comunicate vari Governi tramite diplomatico (gli ho ricordato che esiste qui Commissione specialmente incaricata CED) in modo che i Ministri possano discutere sulla base proposte già studiate. Mendès-France mi ha risposto che questo era anche suo pensiero: intendeva anzi ‒dietro impegno riservatezza

‒tenerci al corrente sviluppo lavori Commissione francese pur avvertendomi che ci

sarebbe voluto qualche tempo prima che ci si potessero fare comunicazioni importanti.

Circa sostanza gli ho detto che non potevo dirgli assolutamente nulla a nome Governo italiano, salvo che nella misura del possibile, esso avrebbe, come sempre, cercato di tener conto necessità Governo francese. Tenevo pera ricordargli che, come posizione iniziale, l’Italia era stata contraria ad esercito europeo: opinione pubblica italiana non ha stessa reazione francese di fronte a riarmo tedesco. L’Italia ha finito per accettare CED solo in quanto primo passo importante verso integrazione europea: gli era probabilmente noto che articolo 38 trattato era stato voluto essenzialmente da Delegazione italiana e che noi lo consideravamo come elemento fondamentale nostra politica. Pur sottolineando ancora che parlavo a titolo strettamente personale, ritenevo mio dovere fargli presente che, se modifiche eventualmente proposte da Francia concernessero aspetti tecnici CED, si poteva contare su maggiore comprensione da parte italiana, ma a condizione che speranza e volontà integrazione europea venissero mantenute e confermate. Mendès-France mi ha risposto che questo era anche il suo pensiero, che la cosa più importante era l’integrazione europea e che bisognava appunto evitare che polemiche personali scatenatesi intorno CED finissero per compromettere idea europea.

Ho ripetuto che, su questo punto, non avrebbe trovato Governo italiano disposto transigere. Gli ho aggiunto per ultimo che, da parte nostra, si contava molto di essere tenuti al corrente tempestivamente della situazione francese, dato che eravamo oggi tutti e due sul banco d’accusa ci sembrava naturale che ci tenessimo in pistretto contatto. Nel passato Governo francese aveva spesso avuto abitudine metterci davanti fatti compiuti: non era certo questo il miglior metodo per vederci considerare con comprensione eventuali necessità francesi. Mendès-France ha tenuto a ripetermi sue assicurazioni anche su questo punto.

223 1 Telegrammi segreti originali 1954, arrivo, vol. I.

224

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 9753(2). Washington, 1° luglio 1954.

Oggetto: ratifica della CED.

Riferimento: Miei rapporti 9344 del 22 giugno e 9487 del 25 giugno u.s. e mio telegramma del 30 giugno(3).

Signor Ministro,

Conformemente alle previsioni, i problemi europei (cioè, in pratica, quelli della Germania e della CED) hanno avuto nei colloqui anglo-americani dei giorni scorsi un posto non inferiore a quello dei problemi asiatici. Inoltre, nei primi si è raggiunta quella concordia di valutazione e di propositi, che è mancata nei secondi.

Non mi pare vi sia più dubbio, in base a quel che mi ha detto Merchant e che mi è stato confermato da altre fonti numerose e sicure, che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna intendono risolvere il problema tedesco, cioè restituire alla Germania la sua sovranità e riarmarla, con o senza la CED.

«Riarmare la Germania con o senza la CED» è un’alternativa di fronte a cui i Paesi che hanno ratificato la CED possono rimanere, entro certi limiti, indifferenti. Non così quelli che non l’hanno ratificata. Infatti la vera alternativa non è fra la CED e il riarmo nazionale tedesco, bensì fra la collaborazione degli Stati Uniti col complesso dell’Europa occidentale e la loro collaborazione soltanto con quei Paesi che mostrino di sentire la esigenza della solidarietà democratica. In questa questione, a differenza di altre, c’è una completa concordanza di vedute fra il Dipartimento e il Congresso. Quest’ultimo è pronto a sostenere al cento per cento e, all’occorrenza, a imporre una politica che faccia una netta discriminazione fra i Paesi che hanno ratificato la CED e i Paesi che non l’hanno ratificata.

Cicrea per l’Italia un problema grave.

Fino a un mese fa, mancando ogni indicazione per una possibile soluzione del problema di Trieste, la nostra posizione poteva dirsi simile a quella della Francia in questo: che entrambi i Governi, quale che fosse il sentimento dei loro membri, non avevano la certezza di ottenere in Parlamento la maggioranza occorrente per la ratifica. Dovevano quindi contemplare coraggiosamente, quantunque con dolore, e preoccupazione, l’eventualità di una crisi profonda dei loro rapporti con gli Stati Uniti, la quale nel caso italiano sarebbe stata giustificata dal disconoscimento di una legittima e fondamentale esigenza nazionale.

Oggi (se le impressioni che mi vengono manifestate da parte americana sui contatti di Londra non sono totalmente errate) mi pare certo che ci stiamo avviando verso la soluzione del problema di Trieste. Per di più la situazione parlamentare mi sembra indicare che, quello scoglio essendo in procinto d’essere rimosso, il Governo pucontare su una larga maggioranza a favore della CED. Diventa quindi di fondamentale importanza per noi non perdere i vantaggi che possono derivare da questa svolta importante della nostra politica estera.

La determinazione (o, almeno, la promessa) francese di sottoporre la CED a una prova decisiva prima delle vacanze estive, e, soprattutto, le intese anglo-americane di Washington creano per noi una situazione nuova e difficile, per quanto riguarda il fattore tempo. Con ciò nonintendo dire che il Parlamento francese effettivamente ratificherà o respingerà la CED prima delle vacanze estive, né che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna muteranno lo status giuridico della Germania prima dell’autunno. Sul primo punto mi pare di intendere che Mendès-France si propone di ottenere dal Parlamento soltanto una specie di approvazione di massima, condizionata da emendamenti che esigerebbero nuove trattative fra i sei Paesi interessati. Sul secondo punto, malgrado la fermezza delle decisioni anglo-americane, è lecito pensare che nulla di concreto potrà essere fatto rapidamente. Probabilmente si comincerà con la solenne dichiarazione di cui al mio rapporto 9487 del 25 giugno e poi si procederà almeno a un inizio di trattative con la Francia per lo «sganciamento» degli accordi contrattuali dalla CED. Tuttavia, prima dell’autunno, anche se non ci saranno state decisioni giuridicamente perfette, sarà accaduto abbastanza da collocare l’Italia fra i collaboratori degli Stati Uniti o fra i sabotatori della loro politica; e, una volta ch’essa fosse collocata nella seconda categoria, a poco le gioverebbero la manifestazione di una generica volontà di ratificare la CED o anche un’effettiva ratifica, che fosse resa inoperante da un precedente rigetto francese del trattato nella sua forma attuale.

L’autunno prossimo la crisi dei rapporti Europa-America sarà al suo colmo. È probabile che alle Nazioni Unite si aprirà la battaglia per l’ammissione della Cina comunista, patrocinata dalla Gran Bretagna e, se vi sarà stato un accordo per l’Indocina, anche dalla Francia. Il contrasto anglo-americano sul modo migliore per organizzare la difesa dell’Asia sudorientale potrà essere entrato in una fase acuta. (In questo campo, come riferisco con rapporto a parte, nulla di concreto è uscito dalla visita di Churchill e Eden a Washington). Vi saranno, con o senza la conferenza di cui ha parlato Merchant, consultazioni fra gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania e i paesi che avranno ratificato la CED, per discutere il riarmo tedesco. Gli Stati Uniti saranno alla vigilia di elezioni politiche, dalle quali l’attuale Amministrazione giudicherà la propria attitudine a conservare il potere oltre il 1956. Anche nel campo finanziario potranno esservi novità importanti, ad esempio per quanto riguarda il problema della convertibilità e le relative ripercussioni sui rapporti economici fra i Paesi europei. In breve si può dire (e non credo di esagerare) che l’intero sistema del NATO attraverserà una prova senza precedenti nella sua ormai non più brevissima storia.

La posizione che l’Italia occuperà in quel momento, a seconda che il problema di Trieste sia risolto, la collaborazione coi Paesi balcanici bene avviata, oppure che tutto ciò sia ancora nel campo delle speranze, potrà avere un’importanza fondamentale. È quindi essenziale non compromettere, per una questione di tempo, il successo dell’azione diplomatica che intendiamo fondare sulla soluzione del problema di Trieste e sulla ratifica della CED e che, per descriverla in poche parole, dovrebbe consistere nel restituire all’Italia una posizione internazionale adeguata al suo potenziale umano, economico e militare.

Ho quindi il dovere di consigliare (a conferma di quanto scrivevo al Segretario Generale con lettera 8935 del 17 giugno u.s.) che il Governo italiano faccia ogni sforzo per ratificare la CED prima delle vacanze estive, anche a costo di un prolungamento dei lavori parlamentari, che non sarebbe senza esempio né negli Stati Uniti né in Italia.

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio devoto ossequio.

Tarchiani

224 1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 286, fasc. USA I, Politica estera Americana.

224 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

224 3 Vedi DD. 204 e 213. Con il T. s.n.d. 7775/367 del 30 giugno, Tarchiani riferiva le notizie ricevute da Merchant sulla visita di Churchill (DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 286, fasc. USA I, Politica estera Americana).

225

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 7910/624(2). Parigi, 2 luglio 1954, ore 24 (perv. ore 24).

De Staercke, essendo stato presente a colloquio Spaak-Mendès France, mi ha dato oggi alcuni ragguagli su quanto i due Ministri degli Esteri si sono detti circa la CED. Mendès France ha ammesso di essere stato in passato avversario del trattato ma ha assicurato che, avendone ora approfondita la conoscenza, ne è divenuto sostenitore.

Egli ha detto perche non sarebbe possibile oggi come oggi raggiungere la maggioranza necessaria per l’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale (è da notare che il Presidente del Consiglio non ha sostenuto con Spaak il criterio della larga maggioranza, sempre ricorrente nei suoi pubblici discorsi, ma solo quello della maggioranza «tout court»); è per questo che ritiene indispensabile «confrontazione» da lui proposta e dalla quale si aspetta un favorevole risultato. Circa le previsioni sulle attuali possibilità di un voto favorevole al Trattato, Spaak ha avuto invece notizie contrarie da Mollet che, sulla base di precisi calcoli, gli avrebbe dimostrato che la maggioranza potrebbe invece essere raggiunta purché l’esecutivo si impegnasse a fondo.

Mendès France ha promesso di non trarre conseguenze definitive neppure sul piano interno dallo studio in corso prima che ne sia stato discusso e deciso in sede di conferenza dei sei Ministri.

Nonostante queste dichiarazioni, di cui pure Spaak ha preso favorevolmente atto, l’impressione che egli avrebbe riportato dai contatti con Mendès France sarebbe stata

– a quanto dettomi testualmente da De Staercke – alquanto sconcertante perché si sarebbe trovato di fronte ad un interlocutore indubbiamente assai intelligente ma che gli avrebbe dato la sensazione di non sapere ancora chiaramente cosa egli stesso voglia.

Spaak, da parte sua, dopo aver ribadito che non considerava ammissibile che la CED fosse vista soltanto come questione politica interna francese, ha sostenuto l’impossibilità di soluzioni di ricambio. Il Trattato è il risultato di un difficile compromesso, attraverso il quale soltanto è stato possibile acquisire tutti i necessari elementi di equilibrio.

Non si puora operare compromesso sul compromesso.

Il Ministro belga ha affermato che le prerogative di sopranazionalità attribuite a una Comunità, in fondo abbastanza limitate, rappresentano l’unica possibile garanzia seria contro quelle evoluzioni ed involuzioni che proprio gli avversari del Trattato indicano come temibili.

Egli ha inoltre sottolineato la situazione paradossale e difficilissima in cui verrebbero a trovarsi i Paesi che hanno già ratificato se fossero messi di fronte a proposte che rimettessero in causa i termini vitali ed essenziali del Trattato.

Sul piano generale, Spaak ha infine affermato che possono sì essere concepite «politiche di ricambio» (che perfarebbero correre rischi mortali all’Europa e percia tutto il mondo occidentale) ma non «soluzioni di ricambio» alla CED.

De Staercke mi ha detto che Spaak è molto grato a V.E. per la pronta accettazione italiana del suo invito a Brusselle e che assicurando essere pure pensiero del suo collega olandese considererebbe particolarmente opportuna e gradita una dichiarazione italiana intesa ad affermare che neppure il nostro Governo vede possibile una soluzione di ricambio al Trattato della CED.

225 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

225 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

226

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO LA CONFERENZA CED, LOMBARDO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 7911/625(2). Parigi, 2 luglio 1954, ore 23,35 (perv. ore 24).

Risultami che Monnet, di solito bene informato e attento osservatore, è d’opinione che la posizione personale di Mendès France verso la CED evolva favorevolmente. Egli ritiene che il contatto con la realtà e l’approfondimento dello studio del problema che la maggior parte dei parlamentari ha finora discusso senza esatta cognizione di causa, in stato di passionalità dimostreranno l’impossibilità vera e propria delle cosidette soluzioni di ricambio e indirizzeranno il nuovo Presidente del Consiglio verso decisioni e cioè presentazione per ratifica trattato in sua forma attuale. Preoccupazione di Mendès France sarebbe quella di «salvare la faccia» a suoi collaboratori appartenenti a gruppi avversari CED affinché si possano convincere ad assumere un atteggiamento favorevole all’approvazione. Nonostante perquesta visione ottimistica delle intenzioni di Mendès France, Monnet non si nasconde la delicatezza della situazione e, egli dice, è necessario che ciascuno faccia tutto il possibile per evitare che essa possa precipitare sfavorevolmente con tutte le gravissime ma logiche conseguenze che «a carambola» ne deriverebbero.

226 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

226 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

227

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 2896/1375. Bruxelles, 2 luglio 1954.

Signor Ministro,

non ho molto da aggiungere circa il mio colloquio con Spaak, dopo quanto ho telegrafato col mio n. 123(2). Se il Ministro Spaak è rientrato da Parigi relativamente soddisfatto quanto alla procedura, dato che Mendès-France ha finito con l’accettare di partecipare ad una riunione dei Sei, non altrettanto egli lo era quanto al fondo della questione.

Ci dato che il problema resta ormai focalizzato in pieno: quali modificazioni (in più naturalmente, dei Protocolli aggiuntivi) saranno tali da far luogo all’eventuale accordo dei gruppi francesi? Il signor Mendès-France non ha ancora (secondo quanto mi ha detto Spaak) un piano preciso; ma è ovvio, o per lo meno molto probabile, che una soluzione di ricambio, per essere accettabile in Francia, dovrebbe incidere proprio su quegli elementi che formano il nocciolo della CED, ossia non già la messa in comune degli eserciti bensì la loro internazionalizzazione. Dal che conseguirebbe, tra l’altro, la necessità di rinegoziare il tutto (o collegialmente o bilateralmente, poco importa) per presentarsi ex-novo di fronte ai Parlamenti nazionali.

In tali condizioni, più in realtà dirsi che la CED sussiste ancora? Spaak ne dubitava, e purtroppo non vedeva altre soluzioni che quella che gli anglo-americani finiranno con l’imporre e cioè, riarmo unilaterale della Germania attraverso la restituzione a quest’ultima della sua piena sovranità, la quale ovviamente comporta tra tutti gli altri anche il diritto primordiale di ogni Stato sovrano, e cioè quello di riarmarsi. Donde, opposizioni francesi, crisi nel NATO e nei rapporti fra Alleati, nonché accentuata pressione da parte del mondo comunista, su tutti i settori, inevitabile dopo una vittoria così cospicua quale quella cui i soviets hanno tutto subordinato, compresa la Conferenza di Berlino, ossia il siluramento della CED.

Ma ‒e non so dar torto a Spaak il quale, benché di temperamento ottimista, ieri sera «broyait du noir» ‒quale sarà la reazione sovietica di fronte ad uno scacco che per essi sarà ancora più sensibile o più gravido di conseguenze, dato che il riarmo tedesco incontrollato non potrà essere che maggiormente minaccioso della macchinosa creazione di un esercito internazionale?

Senza contare che la CED rappresentava una unificazione militare dell’Europa, è vero, ma anche un lato di una unificazione pitotale e picompleta che non una semplice alleanza militare; essa era lo scalino, o meglio la porta dell’edificio da costruire che si sarebbe chiamato Europa; ed è quindi la stessa costruzione dell’edificio che viene ora rimessa in questione.

Tali sono o possono verosimilmente essere le conseguenze dell’atteggiamento francese; e contro di esso, ben poche sono le armi che hanno ormai in mano gli altri partners. Gli americani hanno già sparato quelle della cessazione degli aiuti nonché della minaccia del riarmo tedesco unilaterale; gli altri, già impiegata mediante l’iniziativa del Benelux, quella di addossare alla Francia ogni responsabilità. Tanto più che il dilemma che il Gabinetto francese si trova di fronte è di riuscire o di non riuscire a risolvere la questione dell’Indocina. Se non vi riesce, è evidente che le possibilità per esso di far approvare la CED, o quel tanto che della CED sarà per rimanere, saranno viep più inconsistenti; e se vi riesce, dato che si tratterà di una soluzione di compromesso la quale, si voglia o non, consacrerà una disfatta francese, è da ritenere che il signor Mendès-France sarà così indebolito da aver «chances» ancora minori di quanto non ne avrebbe adesso.

Poiché i primi a tirargli addosso a palle infuocate saranno proprio i parlamentari piconvinti della necessità di liquidare l’avventura indocinese: ottenuta la grazia, rovesciato il Santo.

In tali condizioni, quale può essereil nostro atteggiamento? Insistere, evidentemente, nelle manifestazioni di volontà di votare la CED così come essa è; insistere anche nelle manifestazioni a favore della integralità della soluzione europea. Tornare indietro, sia pure per allinearsi alla Francia o mostrar di troppo comprendere le sue esitazioni, equivarrebbe a disdirsi. Abbiamo ormai perduto l’autobus, non approvando la CED quando era il momento migliore; vacillare e mostrare oggi delle incertezze (delle quali neppure i francesi ci sarebbero grati) sarebbe perderlo due volte.

Ho sentito parlare di un suggerimento concernente una specie di «missione di buona volontà» da affidare nelle varie capitali ad un autorevole membro del Governo. Ci sono evidentemente anche lati vantaggiosi in una tale iniziativa; peraltro è da tener conto anche che, se si tratta di una missione di esplorazione, essa appare poco meno che superflua: oltre la considerazione che le Rappresentanze all’estero, dato che ci sono, bisogna pure che vengano in qualche modo impiegate, un’esplorazione nelle condizioni attuali urterebbe un po’ tutti: i francesi per un verso e i ratificatari per un altro; potrebbe dar luogo a malintesi e farci passare, di fronte all’opinione dei terzi, se non proprio come pescatori nel torbido, per lo meno come elemento di confusione.

Se si trattasse invece di riaffermare solennemente la nostra volontà di approvare la CED, ci si potrebbe obiettare che, se tale volontà c’era e c’è, sarebbe stato meglio, invece di manifestarla in siffatta guisa, di darle corso iniziando la discussione parlamentare al più presto. Quello che pibisogna evitare, in conclusione, è sopratutto di fare in qualche modo la figura di quei «clowns» che fanno mostra, con grande zelo e dispiego di sforzi, di aiutare gli inservienti indifferenti a distendere il tappeto del circo.

Ma è ovvio che per giudicare a fondo l’opportunità di iniziative del genere, occorrerebbe la conoscenza di un insieme di elementi, di natura estera ed interna, che a me invece mancano.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

227 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

227 2 T. segreto 7885/122-123, pari data, il cui contenuto era il seguente: «Mio 121. Colloquio con Mendès France ha lasciato Spaak insoddisfatto e preoccupato. Infatti programma francese è seguente: 1) Indocina; 2) Questioni economiche; 3) CED: il che significa rinviare conferenza addirittura verso 20 agosto. Di piPresidente francese ha dichiarato di non avere ancora idea precisa se eventuali intese fra parlamentari potranno basarsi su norme interpretative e d’attuazione trattato attuale oppure su modificazione alcuni articoli oppure addirittura su revisione principio supernazionale. Spaak è rimasto fermo sue obbiezioni e cioè che Governo francese non ha diritto modificare radicalmente trattato già approvato da 4 partners e che Benelux non accetterebbe eliminazione autorità supernazionale. Mendès France ha suo malgrado fatto presente necessità assoluta trovare un compromesso (del quale come detto non ha nessuna idea precisa) promettendo perdiscutere in conferenza altri 5 Paesi prima di presentarlo Parlamento. Neppure argomentazione che anglo-americani sono pronti a concedere piena sovranità alla Germania col conseguente diritto riarmarsi autonomamente (il che condurrebbe a risolvere questione tedesca al di fuori degli altri alleati Francia compresa) è valso a smuovere determinazione Presidente del Consiglio francese. Interlocutori sono rimasti d’accordo che in attesa della Conferenza nessuna ulteriore mossa sarà fatta da veruna delle parti interessate, Germania compresa. Spaak mi ha chiesto quale fondamento avessero notizie stampa circa preoccupazioni italiane nei riguardi sue iniziative: gli ho risposto che tali preoccupazioni dovevano riferirsi principalmente a quanto io stesso gli avevo fatto osservare tre giorni or sono (mio 118)» (ibidem).

228

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 2905/1515. Londra, 2 luglio 1954.

Oggetto: CED e Germania. Colloquio col Sottosegretario Parlamentare agli Affari Esteri Nutting.

Il Foreign Office non ha ancora notizie sullo sviluppo delle conversazioni avviate a Parigi fra sostenitori e oppositori della CED. Né sembra dimostrare particolare interesse a quello che potrà esserne il risultato, dopo la presa di posizione delle Potenze che hanno già ratificato il Trattato di Parigi e il fermo avvertimento implicito nel comunicato di Washington. Non si esclude tuttavia che, dopo tali sondaggi, eventuali modifiche non di sostanza all’attuale trattato possano rendersi necessarie; nel qual caso queste potrebbero essere contenute in un protocollo addizionale, che perdovrebbe in ogni caso essere discusso con tutti gli altri Paesi partecipi alla CED. Non si esclude nemmeno che alla fine Mendès France possa riprendere la questione CED e spingerla a fondo in Parlamento nella sua forma attuale. Infatti Nutting mi ha detto a questo proposito che a Washington si è rimasti d’accordo sulla volontà e sulla speranza che la CED possa essere varata e si è riconosciuto ‒pur non essendosi presi impegni a fondo ‒che veramente non vi è alternativa possibile alla CED se non in qualche cosa di molto più grande: in altre parole l’ammissione pura e semplice della Germania nella NATO.

Il problema perche ora maggiormente preoccupa gli anglo-americani è quello di ridare la sovranità alla Germania, e ‒come ho già segnalato col mio telespresso n. 2846/1483 del 29 giugno u.s. ‒il comunicato e le dichiarazioni di Churchill hanno posto l’accento su questa necessità con tono particolarmente esplicito.

Si è qui seriamente preoccupati del pericolo che in Germania si determinino cambiamenti non favorevoli: non si crede che il pericolo sia imminente, ma si è convinti che il giorno in cui un nuovo orientamento dell’opinione pubblica e degli ambienti politici dovesse prendere piede la situazione evolverebbe molto rapidamente. Di qui la necessità di fare qualche cosa per la Germania, indipendentemente dalla CED, ossia di dare corso agli accordi di Bonn anche prima che questa sia ratificata ed anche se non lo sarà.

Nutting mi ha confermato che su questo punto l’accordo fra Londra e Washington è preciso. Se la Francia non ratificherà prima delle vacanze (15 agosto) si farà un passo avanti dando corso agli accordi di Bonn, o, quanto meno, annunciando pubblicamente la intenzione di farlo dopo trascorso un ulteriore termine fisso.

228 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 26, fasc. 1.

229

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI(1)

L. 20/1713. Roma, 3 luglio 1954.

Caro Giorgio,

accuso ricevuta della tua del 25 giugno(2)con la quale ci hai fornito altri interessanti elementi sulla situazione francese nei confronti della CED e te ne ringrazio.

Ora è venuta l’importante conversazione Quaroni-Mendès France(3)sulla quale il nostro Ambasciatore ti avrà dato tutti i ragguagli. In essa sono stati messi in chiaro taluni punti anche nei confronti della nostra posizione in quantoché in tutto ciò esiste anche un «caso italiano» che occorre tener presente specialmente nel delicato momento delle nostre discussioni parlamentari in corso, in seno alle Commissioni. L’Ambasciatore Quaroni è stato sull’argomento molto chiaro nella conversazione stessa.

Tutto fa prevedere una ultima decade di luglio particolarmente interessante e vorrei quasi definirla «decisiva» se l’esperienza non ci avesse da tempo insegnato quanto sia pericolosa una simile definizione.

Attenderemo con interesse i risultati dell’imminente incontro franco-tedesco di Bonn(4).

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

229 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 84.

229 2 Vedi D. 214.

229 3 Vedi D. 223.

229 4 Sul rinvio dell’incontro vedi D. 232. In calce al documento è presente la seguente aggiunta: «Richiamo [scil.: ricevo] ora l’interessante telegramma Lombardo 624 [vedi D. 225]».

230

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. riservata personale 20/1728(2). Roma, 5 luglio 1954.

Caro Ambasciatore,

ti scrivo per incarico del nostro Segretario Generale che, sull’argomento, ha avuto norma di linguaggio «in alto loco».

Quanto tu hai fatto presente al Presidente Mendès France(3)nel corso della nostra [sic] conversazione ci è apparso molto bene intonato alla situazione e al pensiero italiani.

Come ebbi infatti occasione di farti telefonicamente presente, esiste, in tema di CED, anche un «caso italiano» in quanto che l’adesione del nostro Paese al concetto della difesa comune europea, ha sempre avuto quale movente e quale scopo la possibilità dell’avviamento e dell’attuazione di un processo integrativo politico in Europa. Il problema del riarmo tedesco è sempre stato considerato in secondo piano.

Ora, nell’imperversare delle polemiche e delle informazioni, comincia anche qui a farsi strada l’idea che, in definitiva, quello che la Francia desidera raggiungere per ottenere la conciliazione interna sulla CED, è il progressivo indebolimento di ogni mezzo inteso a dare avvio, attraverso l’affermazione graduale della supernazionalità, a quel processo integrativo politico al quale ho sopra accennato. Ed i nostri ambienti parlamentari governativi non possono non crearsi interrogativi in proposito.

A Napoli, al Congresso democristiano, l’On. De Gasperi ha sentito il pericolo di questi siluri potenziali contro il significato ed il valore dell’art. 38 del Trattato e contro la dichiarazione di Lussemburgo del 1952. Ed ha reagito ripetendo il pensiero italiano sugli scopi della CED e facendolo poi ripetere, alcuni giorni dopo, (dato che la maggioranza della stampa aveva passato sotto silenzio questa parte delle sue dichiarazioni) sul «Popolo».

In altre parole, il partito di maggioranza, promotore, insieme con i suoi alleati, del varo del Trattato CED, si troverebbe veramente in difficoltà se, da tutte queste discussioni e contatti, sopratutto franco-tedeschi, dovessero uscire una menomazione ed una mutilazione dei principii che hanno costituito, ripeto, la base iniziale dell’adesione italiana al Trattato stesso.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

230 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

230 2 Trasmessa a Grazzi, Cavalletti e Babuscio Rizzo rispettivamente con Lettere 20/1734, 1735 e 1736, pari data. Nella lettera indirizzata a Grazzi, Magistrati così commentava: «I tuoi telegrammi ed i tuoi rapporti sulla controversia franco-belga e su tutto il complesso delle gravi discussioni in tema di CED e di Europa a sei, ci hanno fornito elementi molto chiari per valutare la situazione. Stimo utile inviarti, qui unito, per tua opportuna e riservata conoscenza, copia di una lettera che invio a Quaroni, su istruzioni del nostro Segretario Generale, e che pone in rilievo come, in questa polemica, esista anche “un caso italiano” di cui occorre tener conto proprio nel momento tanto delicato quale quello della nostra discussione parlamentare per la ratifica del Trattato CED»; pibrevemente, Magistrati sintetizzava a beneficio di Babuscio Rizzo e Cavalletti: «Essa [scilicet: la lettera diretta a Quaroni] è stata scritta per porre in rilievo e per ripetere quale sia la vera posizione italiana in tutto il problema dell’integrazione europea» (ibidem).

230 3 Vedi D. 223.

231

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 2987/1566. Londra, 6 luglio 1954.

Oggetto: CED e Germania. Conversazioni anglo-americane.

Ha avuto luogo ieri al Foreign Office la prima riunione del «Working Group» anglo-americano istituito, dopo l’incontro di Churchill e Eisenhower, per studiare l’applicazione delle decisioni prese a Washington nei riguardi della Germania(2).

Vi partecipano da parte britannica il Sottosegretario di Stato, Sir Frank Roberts, assistito dal Consigliere giuridico presso l’Alto Commissario in Germania, M. Bathurst; da parte americana il Capo della sezione tedesca al Dipartimento di Stato, Cecil Lyon, e il Primo segretario di questa Ambasciata degli Stati Uniti, N. Chipman.

Compito del Comitato è quello di riesaminare le clausole non militari degli accordi contrattuali di Bonn, in base alle quali lo «status» attuale della Germania occidentale, quale paese occupato, dovrebbe cessare: compito quindi nettamente limitato all’esame del modo e della misura in cui le convenzioni di Bonn potranno essere applicate prima che sia posto in atto il trattato della CED, al quale esse sono condizionate. Il Comitato non deve elaborare nuovi progetti da sostituire alla CED né discutere la questione del riarmo della Germania; esso infine non ha potere deliberante.

L’inizio delle discussioni anglo-americane sulla Germania ha fatto oggetto di una nota dell’ufficioso corrispondente diplomatico del «Times» odierno, il quale ha sottolineato come la sollecitudine posta dai due Governi nel procedere all’esame della questione tedesca, a pochi giorni dall’incontro di Washington, stia a confermare la decisione che, ratificata o meno la CED, la restituzione degli attributi della piena sovranità alla Repubblica Federale tedesca, nei limiti che saranno legalmente e praticamente possibili secondo gli accordi contrattuali di Bonn, non deve essere pia lungo ritardata.

Oggi Sir Frank Roberts in una conversazione con il Consigliere dell’Ambasciata, nel confermare quanto sopra, ha insistito sopratutto nel precisare che nessun progetto di alternativa o anche solo di modifica alla CED è stato posto allo studio. Si ritiene effettivamente ‒egli ha detto ‒che non vi sia alcuna pratica possibilità di modificare quanto già fatto o di sostituirvi qualche cosa di nuovo che conservi o abbia quel complesso di garanzie previste nell’attuale struttura.

Egli ha anche tenuto ad aggiungere che il fatto di aver iniziato ad esaminare gli aspetti giuridici di una separazione fra gli accordi convenzionali di Bonn e il Trattato di Parigi non significa che gli anglo-americani abbiano ormai rinunciato a vedere la CED posta in atto. In realtà la subordinazione degli accordi alla ratifica del trattato, voluta a suo tempo dai francesi come ulteriore salvaguardia, si è rivelata ora una complicazione e un danno poiché, di fronte alla giustificata e crescente impazienza tedesca di riacquistare lo «status» di nazione sovrana, stanno i dubbi e le incertezze del Parlamento francese, sul quale le promesse e gli impegni degli accordi di Bonn agiscono come pungoli che lo fanno recalcitrare.

Americani e inglesi, come il comunicato di Washington(3)ha chiaramente dichiarato, sono perconvinti della necessità di dare una soddisfazione di prestigio alla Germania, se non altro per toglierle ogni motivo di risentimento; e citanto piche, come lo stesso Adenauer ha dichiarato nel suo ultimo discorso, non è per il riarmo che essa dimostra di aver fretta e di essere maggiormente interessata. A questo proposito, anzi, Sir Frank Roberts aveva qualche parola di critica per la reazione di Parigi al discorso di Adenauer, che non aveva alcunché di offensivo, confermando che lo stesso Cancelliere se ne è dimostrato meravigliato e dispiaciuto.

L’urgenza poi di arrivare alla separazione dei due strumenti internazionali è data dal fatto che il Congresso americano il 1° agosto chiuderà i suoi lavori che saranno ripresi solamente a gennaio; è quindi necessario che in tale periodo di vacanza parlamentare il Presidente Eisenhower sia in grado di poter prendere qualche decisione tanto nel caso che la CED sia ratificata o quanto se verrà solo nuovamente rimandata.

Il Governo francese è stato ufficialmente informato dell’istituzione del «Working Group» e del compito affidatogli. Si prevede che i suoi lavori dureranno pochi giorni e che in ogni caso saranno completati prima che venga a scadenza il limite che Mendès-France si è posto per annunciare la sua linea di condotta nei riguardi della CED.

Il risultato dei lavori sarà naturalmente comunicato al Governo francese che secondo nuove assicurazioni date recentemente dallo stesso Mendès-France, dopo la questione indocinese, affronterà subito quella della CED, dato che ‒secondo quanto qui risulta ‒il Parlamento francese sarà in sessione anche durante il mese di agosto. Ove però il Parlamento si pronunciasse in senso contrario alla CED, inglesi e americani sono decisi ad applicare quelle formule che dallo studio ora iniziato saranno suggerite.

231 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 5.

231 2 I lavori dell’Anglo-American Study Group on Germany si svolsero a Londra dal 5 al 12 luglio: vedi FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 1, D. 551. Vedi anche D. 236.

231 3 Si fa riferimento al comunicato congiunto anglo-americano del 29 giugno 1954 al termine della visita di Churchill a Washington: FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 1, D. 545.

232

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 13633/1513. Bad Godesberg, 8 luglio 1954.

Oggetto: Alternative alla CED. Relazioni franco-tedesche.

Riferimento: Mio telegramma 97 del 5 corrente(2).

Ho avuto ieri con Hallstein una lunga conversazione nella quale egli mi ha esposto il punto di vista del Governo Federale sul problema della CED e mi ha messo al corrente dello stato dei rapporti tra la Francia e la Germania dopo la nota dichiarazione di Adenauer sull’esercito nazionale come sola alternativa alla CED e la replica francese costituita dal rinvio del viaggio di Beaumont a Bonn.

Hallstein mi ha detto che la settimana scorsa si era improvvisamente creata nel Quai d’Orsay la impressione ‒su notizie venute da Bonn ‒che la nota posizione tedesca ‒prima ratifiche e poi discussione di eventuali minori emendamenti ‒fosse soltanto una facciata, ma che Adenauer fosse in verità disposto ad iniziare anche ora conversazioni per le modifiche alla CED. Notizie di questo genere, del tutto errate, mi ha detto Hallstein, hanno messo in allarme americani, inglesi e Benelux che si sono precipitati alla Cancelleria Federale a chiedere spiegazioni. Adenauer ha tagliato corto percicon la nota dichiarazione ed ha anzi, a darvi maggior peso, scelto la via di una intervista a «Friedländer», notoriamente suo portavoce per le dichiarazioni politiche di pinotevole rilievo.

In questi ambienti francesi, se non si è dato, come ho telegrafato, completamente ragione a Parigi quando si è ricorso alla ritorsione, non si giustifica nemmeno pienamente l’atteggiamento di Adenauer, in quanto l’affermazione del Cancelliere Federale di essere disposto a discutere eventuali emendamenti dopo le ratifiche, poteva anche essere interpretata a Parigi come buona disposizione ad esaminare fin d’ora che cosa potrebbe a suo tempo essere discusso.

Viene così anche interpretato da molti che possa essere intervenuto qualcosa di nuovo, o con un incoraggiamento anglo-americano dopo il Congresso di Washington verso l’intransigenza, oppure, e l’una cosa non esclude l’altra, siano giunte a Bonn notizie di progetti francesi fin dall’inizio inaccettabili.

François-Poncet ad ogni modo si sta dando molto da fare per rasserenare l’atmosfera turbata da questo episodio e sembra che egli vi sia riuscito in gran parte; si ritiene infatti che rientrando domani egli possa portare ufficialmente la notizia che la visita di Beaumont avverrà ugualmente, forse la settimana entrante.

Hallstein non si è troppo sbilanciato a fare profezie né sulla CED né sulla durata dell’attuale Governo francese. Ciò cui egli mi è apparso sicuro è invece il ripristino della sovranità tedesca prima della fine dell’estate, secondo le promesse anglo-americane. Egli mi ha detto che il Comitato di Londra terminerà i suoi lavori in pochi giorni(3)e che verosimilmente non sarà emesso alcun comunicato: basterà, egli mi ha detto, che i francesi sappiano che a una certa data, che potrebbe essere all’incirca metà agosto, verrà proceduto ad iniziativa anglo-francese [scilicet: anglo-americana] alla dissociazione del trattato di Bonn da quello di Parigi. Tuttavia, mi ha detto Hallstein, noi speriamo ancora che la CED possa essere ratificata e ci mi ha aggiunto ad un certo punto, potrebbe anche dipendere dall’Italia, se riuscisse a ratificare prima delle vacanze parlamentari. Essendo egli entrato in questo argomento, ho ripetuto a lui il discorso che ho fatto ier l’altro al Vice Alto Commissario americano Dowling in partenza appunto per Londra, e che cioè allo stato delle cose mi sembrava che la responsabilità del ritardo nelle ratifiche italiane dipendesse ormai pidagli alleati che dal Governo italiano, in quanto i primi, secondo le informazioni che io avevo, stavano ormai da due mesi posponendo di giorno in giorno l’attesa comunicazione sul problema di Trieste. Ho anche nuovamente illustrato ad Hallstein, come avevo fatto con Dowling ‒il quale anzi mi ha detto ne avrebbe parlato a Thomson ‒la difficile situazione del Governo italiano in conseguenza della

esigua maggioranza parlamentare, e la possibilità dell’apporto dei voti monarchici, una volta risolto il problema triestino.

Hallstein si è reso conto di quanto gli dicevo, ma naturalmente occorre sempre tener presente il punto di vista tedesco, sulla preminenza della Comunità europea su ogni altra questione.

Sulla successione dei tempi in caso di mancata ratifica della CED, a giudicare non solo dalla mia conversazione con Hallstein, ma anche da quelle avute con Dowling e con l’Alto Commissario inglese, non credo vi siano cambiamenti; nessun passo definitivo verrebbe cioè compiuto dagli anglo-americani in tema di sovranità tedesca, prima dell’inizio delle vacanze parlamentari francesi. Circa la diversità di atteggiamento fra inglesi e americani sulla questione del riarmo, su cui ho già riferito con precedente rapporto(4), l’opinione di Hallstein è che, una volta riconferita alla Repubblica Federale la propria sovranità, il riarmo diverrebbe inevitabile. Gli ho allora osservato che l’ultima dichiarazione di Adenauer sembrava così drastica da far pensare ad un totale abbandono della CED e gli ho aggiunto che a mio giudizio sarebbe stato opportuno anche in questa ultima, e non desiderata ipotesi, fare in modo che la CED rimanga ancora in qualche modo in piedi. Egli non solo si è mostrato d’accordo con me, ma mi ha dichiarato che nel caso di un riarmo unilaterale tedesco, conseguente alla riconquista della sovranità, verrebbe posta come premessa che si tratti di provvedimento provvisorio, in attesa che le circostanze permettano l’integrazione secondo gli schemi della Comunità di Difesa.

232 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 84.

232 2 T. 7994/97: dichiarazioni di Adenauer sull’esercito nazionale tedesco come sola alternativa alla CED.

232 3 Vedi D. 231, nota 2.

232 4 Vedi D. 211.

233

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. segreta personale 13631. Bad Godesberg, 8 luglio 1954.

Carissimo Massimo,

ti sono molto grato di avermi inviato copia della lettera diretta a Quaroni sulla CED e l’integrazione europea(2).

Sono davvero lieto di constatare ancora una volta una perfetta coincidenza di pensiero con la visione che io ho della situazione vista da Bonn ed a cui ho sempre informato la mia azione qui, come potrai ricavare dai precedenti rapporti ed anche dall’ultimo telespresso in data odierna con il quale riferisco su una conversazione con Hallstein(3).

Dalle conversazioni avute ad alto livello presso questo Alto Commissariato francese, posso confermarti che le modificazioni contemplate a Parigi vertono proprio sul principio della supernazionalità ed a cui ritengo mirava la redazione del cosidetto piano di applicazione della CED.

Siamo in tutto questo d’accordo con i tedeschi tanto che, come riferisco coll’ultimo rapporto, Hallstein mi ha dichiarato, su mia sollecitazione, che, anche se si arrivasse nella peggiore delle ipotesi ad un riarmo unilaterale della Germania, esso verrebbe ugualmente dichiarato provvedimento provvisorio in attesa che le circostanze permettano di arrivare all’integrazione secondo gli schemi della CED.

Cari saluti dal tuo sempre aff.

Franco

233 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

233 2 Vedi D. 230.

233 3 Vedi D. 232.

234

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 1009(2). Parigi, 9 luglio 1954.

Signor Ministro,

a poco più diuna settimana, ormai, dal venti luglio, il «mistero» Mendès-France resta piimpenetrabile che mai. Mistero che è poi il processo alle intenzioni di Mendès-France.

Prendiamo, per esempio, la sua dichiarazione del 7 corrente al Parlamento francese. Spera che si arriverà al «cessez le feu», non è disposto piad accettarlo che a condizioni onorevoli. Siccome, se non si arriverà alla sospensione delle ostilità, sarà necessario inviare in Indocina le truppe di leva, si prepara tutto in modo che, appena intervenuto il voto del Parlamento, si possano immediatamente iniziare le partenze. Se non si ottiene la cessazione delle ostilità, lui si dimette, ma farà votare prima dal Parlamento l’invio del «contingente».

Dunque, in sé, un grande francese che tiene il linguaggio dell’onore e della dignità: e ‒cosa ancora più rara ‒un uomo politico disinteressato che prende sulle sue

spalle, prima di dimettersi, il peso di un voto poco popolare.

Per… Mendès-France, inizialmente, voleva far votare lui, subito, l’invio delle truppe di leva: un sondaggio, effettuato in consultazione con il Presidente del Parlamento, ha permesso di constatare che non c’erano che 42 deputati disposti a votare l’invio delle truppe di leva. Allora questo tono patriottico, questo supremo disinteresse potrebbe essere una manovra abile per mettere Parlamento e Paese davanti all’alternativa: capitolazione o invio delle truppe di leva e preparare quindi gli uni e gli altri, qualora ce ne fosse bisogno, ad una interpretazione molto elastica del concetto di pace

o di armistizio con onore.

In realtà il mistero Mendès-France è il suo Gabinetto alla Presidenza del Consiglio, che desta le pigrandi preoccupazioni: esso è composto da Boris, ex-Segretario di Léon Blum, Stéphane, l’ispiratore, fra l’altro, della rivista «La Nef», e Nora, un Ispettore delle Finanze. Manco a dirlo sono tutti e tre israeliti: che sia o non sia esatto che sono cripto-comunisti, non lo potrei dire: certo sono fautori in politica interna di grandi riforme di struttura, e convinti che per realizzarli, la Francia ha bisogno, almeno, di una politica di neutralità alla Nehru.

È questo gruppo di persone che, con un’abilità veramente degna di nota, ha diretto, da due anni a questa parte, tutta la manovra neutralista contro la CED, il Patto Atlantico, l’America, che ha puntato per questo su Mendès-France, che ha creato il mito e la propaganda di Mendès-France: rende perplessi il fatto che, arrivato al potere, Mendès-France abbia loro affidato dei posti, in Francia, di grande influenza. La politica delle sue parole, non è la politica, fin troppo nota, di questo gruppo: per fare la politica delle sue parole bisognerà che ad un certo momento egli butti a mare questo gruppo: avrà la forza, il coraggio di farlo? Questa è l’incognita.

Le stesse riserve valgono per la CED.

In sé non c’è niente di male a tentare la conciliazione: altri l’ha tentato prima di lui: il problema è quello di riuscire. I fautori della CED sono a favore, tutti, con appena leggere sfumature, per le stesse ragioni: gli avversari della CED lo sono per ragioni differenti. Evidentemente non c’è possibilità di compromesso con i comunisti, e con tutti quelli che non sono disposti ad ammettere, sotto nessun pretesto, il riarmo della Germania. Una discussione utile ci potrebbe essere solo con gli oppositori, che, per semplicità, chiamerei del gruppo Juin, ossia quelli che si oppongono alla CED, quale essa è, per ragioni tecniche. Ora se questa gente si opponesse alla CED realmente per ragioni tecniche, un accordo non sarebbe difficile. Il piano tecnico è senza dubbio perfetto, ma è anche una costruzione dello spirito: e sarei molto curioso di vedere, alla finedel periodo provvisorio, e di fronte all’esperienza pratica, cosa ne resterà. È quindi un settore in cui si potrebbe aggiungere, togliere o cambiare tutto quello che si vuole, senza provocare catastrofi. Ma la realtà è che, dietro alle obiezioni tecniche, si vuole attaccare la sopranazionalità: e al di là della sopranazionalità, si vuole attaccare ‒poiché si tratta qui della sola opposizione di destra ‒l’art. 107 che dà al Commissario dei poteri assoluti su tutta l’industria connessa cogli armamenti. È stato un grave eccesso di zelo da parte dei negoziatori del Patto il volerci introdurre questo articolo che ha scatenato contro la CED tutti i grossi interessi francesi: l’articolo, in sé, era più che giustificato se si pensa ai dentini delicati dei mercanti di cannoni: ma è pericoloso annunciare dei principi quando non si ha poi la capacità politica di metterli in esecuzione.

Ma, arrivati a questo punto ‒anche se non si vuol tener conto delle difficoltà estere‒il conto non torna più in Francia, perché per qualche voto che si può guadagnare a destra, abbandonando la sopranazionalità, se ne perdono altrettanti, se non di più nei settori oggi favorevoli. Per cui la soluzione di conciliazione in realtà è più che problematica. E ci si pone la domanda cosa intenda fare Mendès-France se non ci si arrivi.

A me e ad altri Mendès-France ha detto che, se non si arriva a mettersi d’accordo su di una soluzione di conciliazione, o se questa soluzione non è accettata dagli altri partners europei, la sua intenzione è di portare in discussione al Parlamento la CED così come essa è.

Di nuovo, in sé, non c’è niente da obbiettare: in sé è un linguaggio assai pionesto e preciso di quello tenutoci per più didue anni, dai vari Robert Schuman, che ci hanno sempre promesso di farlo ratificare e che non hanno poi mosso un dito per farlo.

Ma può essere anche una manovra subdola: all’interno, perché più in un certo senso isolare, di fronte ad un’opinione pubblica disorientata e seccata, i «sopranazionali» intransigenti, rendendoli responsabili di un fallimento; all’estero, perché permetterebbe, in caso di rifiuto degli altri cinque, di presentare all’opinione pubblica francese lo straniero, e sopratutto l’America e la Germania, come se volessero imporre la loro volontà alla Francia. E se l’estero procede poi al riarmo unilaterale della Germania, sarebbe pifacile ad un Governo francese di fare l’onest’uomo offeso, e pifacile sarebbe una sterzata brusca verso il «renversement des alliances».

Nella misura in cui si puparlare di impressioni personali, sarei piuttosto portato a dire che Mendès-France non sa, nemmeno lui, che cosa fare. Non è escluso che il suo sia un caso, del resto non eccezionale, di una politica estera concepita all’opposizione, sulla base di quello che sarebbe desiderabile e non di quello che è possibile: e che, una volta sedutosi sulla poltrona di Bidault, si stia accorgendo che le cose non stanno proprio come se le immaginava lui. Come si sia svolta la conversazione fra lui e Spaak, non lo si saprà mai: ne ho intese tre versioni: quella di Spaak ‒indiretta ‒quella di Mendès-France e quella dell’Ambasciatore del Belgio a Parigi, presente alla conversazione: tutte e tre considerevolmente differenti: sarei perportato a ritenere che, prima di questa conversazione con Spaak, Mendès-France non avesse pensato molto al fatto che un’eventuale soluzione di compromesso non era solo un affare interno francese, ma, in ultima analisi, doveva essere accettata anche da altre cinque Potenze.

La situazione parlamentare francese, per quello che concerne la CED, è tuttora molto incerta: non bisogna sottovalutare il fatto che Mendès-France, presentatosi per lo meno, come non entusiasta della CED, ha avuti 417 voti a favore: la votazione era piuttosto sulla pace in Indocina che sulla CED, d’accordo: ma la si giri come si vuole, essa sta a dimostrare che ci sono 417 deputati, su poco più di600, che preferiscono la pace in Indocina alla CED: sono cifre che non bisogna dimenticare. Premesso questo, si deve osservare che il voto socialista, nonostante la decisione del Congresso, resta un’incognita; che nonostante le sanzioni prese e mantenute contro i disubbidienti, si ritiene generalmente che dei 58 deputati SFIO che si sono pronunciati contro, solo pochi si sottometteranno alla disciplina di voto. D’altra parte, al centro e sulla destra non gaullista, l’isolamento che si sta facendo intorno alla Francia per il suo atteggiamento sulla CED e per il Governo Mendès-France, impressiona: si sono registrate in questi giorni un certo numero di conversioni di personalità incerte, se non addirittura ostili: è difficile stabilirne il numero; dovrei ritenere che esse possono comunque, più o meno, bilanciare le perdite che ci sono da temere da parte socialista.

La ratifica sarebbe quindi possibile: dipende dal Presidente del Consiglio che conduce il dibattito. René Mayer o Bidault, Presidenti del Consiglio, ce la farebbero. Ma che succede, se Mendès-France affronta lui stesso il dibattito essendo incerto, indifferente, se non addirittura ostile? Un Mendès-France convertito all’idea europea, sarebbe la persona che meglio potrebbe far passare la ratifica: ma, anche se convinto di essersi sbagliato, avrà Mendès-France il coraggio di rompere con la sinistra congrega dei suoi «amici»?

Tutti gli altri numerosi ministeri che ho visti in Francia, hanno, parlamentarmente parlando, avuto un certo periodo di luna di miele: questo Ministero, no: si è d’accordo per non attaccarlo fino al 20 luglio, ma già si sentono affilare i lunghi coltelli. Sarà una lotta senza esclusione di colpi bassi, e in materia di lavaggio di panni sporchi per il passato, ne sentiremo di belle, e su molta gente. A rigor di logica, Mendès-France, accada quello che accada in Indocina, dovrebbe cadere, dovrebbe succedergli uno qualsiasi della vecchia maggioranza, e questo X qualsiasi, dovrebbe e potrebbe riuscire a far votare, sia pure di giustezza, la CED. Per cui, tutto sommato, le prospettive dovrebbero essere, per la CED, migliori che non un mese fa.

Se non che bisogna fare i conti coll’infinita incapacità combattiva di cui hanno dato prova i partigiani della CED; fare i conti colla molto maggiore abilità della centrale avversa; e, infine, con gli imprevedibili che, fin qui almeno, non sono stati favorevoli.

Voglia gradire, signor Ministro, i sensi del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

234 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 87.

234 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

235

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CAVALLETTI(1)

L. 20/1799. Roma, 10 luglio 1954.

Caro Cavalletti,

la tua lettera n. 4844 del 29 giugno(2)è stata presa in attenta considerazione dal Sottosegretario Benvenuti e da me in vista delle interessanti notizie in essa contenute e delle tue proposte.

In queste ultime settimane la situazione relativa alla CED, ed in generale ai rapporti franco-tedeschi, ha presentato nuove evoluzioni. Particolarmente, per le ragioni a te ben note, la mancata partenza per Bonn del Sottosegretario De Beaumont non ha reso possibile quel diretto dialogo franco-tedesco che poteva anche provocare situazioni ed iniziative non del tutto consone alle nostre direttive, ai nostri programmi ed ai nostri interessi.

Un nostro viaggio, quindi, assumerebbe, ora, un significato tanto particolare da suscitare interrogativi che evidentemente conviene evitare.

Ciò detto, devo aggiungere che la posizione del nostro Governo nei confronti della CED va facendosi sempre pichiara e decisa, come avrai potuto anche rilevare dalle dichiarazioni ieri fatte dal nostro Ministro in seno alla Commissione per gli Affari Esteri della Camera, che sta appunto discutendo il Trattato CED.

Naturalmente intendiamo mantenere con i Governi del Benelux i più stretti e seguiti contatti. Del resto quanto è avvenuto a Bruxelles, al momento dell’invito di Spaak per la Conferenza, ha dimostrato la linearità del nostro atteggiamento e lo stesso Spaak, nelle sue conversazioni con Grazzi, ha mostrato di apprezzarlo al suo giusto valore.

Con viva cordialità

[Vittorio Zoppi]

235 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

235 2 Vedi D. 221. Magistrati a sua volta indirizzava a Cavalletti il seguente commento: «Ti ringrazio per le tue ultime e per le copie inviatemi. Riceverai ora una lettera del nostro Segretario Generale in risposta alla tua con la quale proponevi un viaggio di S.E. Benvenuti e suo per prendere diretti contatti nelle capitali del Benelux. Aggiungo che, effettivamente, per un insieme di circostanze ed anche per gli sviluppi, fino ad oggi favorevoli della questione triestina, l’atteggiamento del nostro Governo si va facendo pipreciso. Tutto ciò nonpunon avere buone ripercussioni negli ambienti politici e parlamentari. Naturalmente le nostre due tesi principali in tema CED restano il motivo europeista praticamente tradotto nell’art. 38 e la non esistenza, oggi, di favorevoli alternative alla Comunità di Difesa» (L. 20/1800, pari data: ibidem).

236

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. riservato 10628(2). Washington, 15 luglio 1954.

Oggetto: Germania e CED.

Signor Ministro,

faccio seguito al mio telegramma di ieri l’altro per fornire qualche ulteriore dettaglio a V.E. in merito alla comunicazione fattaci dal Dipartimento di Stato circa l’accordo raggiunto tra Stati Uniti e Gran Bretagna sul ripristino di sovranità alla Germania, indipendentemente dalla ratifica della CED. Da quanto dettoci al Dipartimento e da altre notizie colte in questi ambienti diplomatici, l’accordo di Londra, raggiunto nei giorni scorsi sul piano tecnico(3), è derivato dall’intesa di massima stipulata tra il Presidente Eisenhower e Churchill nei colloqui di Washington, come d’altra parte apertamente dettomi da Merchant nel mio recente colloquio. Il Dipartimento ci ha dichiarato che si sono dovuti affrettare i tempi dei lavori di Londra al livello tecnico per l’esigenza che si è posta alquanto drammaticamente negli ultimi giorni sia a questa Amministrazione, sia a quella britannica di corrispondere in qualche modo alle pressanti richieste di chiarimenti da parte degli organi parlamentari competenti nei due Paesi. Secondo lo stesso Dipartimento, Churchill non avrebbe potuto rinviare oltre le sue dichiarazioni ai Comuni, mentre per loro conto i Senatori del Comitato Affari Esteri americano da vario tempo andavano premendo per una presa di posizione nei confronti della Germania, e cianche nel quadro delle manifestazioni critiche ben note a V.E. per i ritardi da parte della Francia e dell’Italia nella ratifica della CED.

L’accordo è stato annunciato dal Segretario di Stato ai Presidenti dei due Comitati degli Affari Esteri con una lettera in data 12 luglio (data della comunicazione a noi), nella quale, tra l’altro, viene detto che gli Stati Uniti devono essere «preparati alla sgradita possibilità» che l’Assemblea francese o ripudi il Trattato della CED o aggiorni i propri lavori senza aver proceduto al voto ad esso relativo. Nella lettera Dulles ripete gli argomenti che già da tempo mi sono stati espressi ai pialti livelli di questa Amministrazione circa le «serie conseguenze» di ulteriori ritardi nella realizzazione della Comunità di Difesa. «Un continuo diniego di sovranità alla Germania potrebbe portare a sviluppi politici in quel Paese tali da causare apprensioni anche in altri Paesi …».

Nel mio telegramma ho segnalato in qual modo l’accordo dovrebbe articolarsi tecnicamente: con una dissociazione degli accordi contrattuali dal Trattato per la CED, pur mantenendo in sospeso «for the time being» il problema del riarmo tedesco.

Siccome il Dipartimento, nel farci la comunicazione di cui sopra, si è spesso riferito all’entrata in vigore dell’intesa raggiunta nel corso dell’estate, abbiamo chiesto precisazioni sulle relative intenzioni dei Governi britannico e americano. In pratica, la decisione da loro adottata verrà fatta dipendere, per la sua esecuzione, dalla situazione che prevarrà al momento dell’aggiornamento dei Parlamenti francese e italiano per le vacanze estive, con particolare riguardo all’avvenuta o mancataratifica della CED. È superfluo che ripeta a codesto Ministero come da parte del Dipartimento ancora una volta si sia manifestato il massimo interessamento all’adozione di una procedura in Italia che consenta una ratifica prima delle vacanzeestive. È chiaro che i Governi americano e inglese vorrebbero evitare il dilemma dell’adozione di alternative che potrebbero suonare particolarmente sgradite e sconcertanti nei confronti della Francia. L’accordo raggiunto a Londra, mentre, secondo quanto dettoci molto enfaticamente dal Dipartimento, non vuol rappresentare alcuna alternativa alla CED, ma semplicemente una via di soluzione temporanea atta a soddisfare l’aspettativa tedesca, pone dei problemi a breve scadenza che ovviamente sarebbero risolti in modo automatico da una ratifica francese e italiana prima delle vacanze parlamentari per l’estate.

Segnalo infine che l’attuale soluzione temporanea sembra aver qui per il momento soddisfatto i Senatori anche pipressanti. Una notevole perplessità abbiamo ovviamente invece riscontrato in questa Ambasciata di Francia che ci è sembrata colta alquanto di sorpresa dal raggiungimento dell’accordo a Londra.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.

Tarchiani

236 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 5.

236 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

236 3 Vedi D. 231, nota 2.

237

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI(1)

L. riservata 10693(2). Washington, 20 luglio 1954.

Caro Zoppi,

ti ringrazio delle notizie da te telegrafatemi sulla procedura per la ratifica della CED(3).

Restano, in proposito, due punti oscuri, che ti pregherei possibilmente di chiarirmi.

Primo: si prevede che la discussione in aula si apra all’inizio della ripresa dei lavori parlamentari oppure vi è ragione di temere che altri e laboriosi argomenti avranno la precedenza sulla CED?

Secondo: cosa si prevede per la discussione al Senato?

Gli sviluppi della situazione francese e del problema tedesco fanno sì che ratificare un mese prima o un mese dopo può avere conseguenze pratiche di primaria importanza. È questo che mi induce a porti i due quesiti di cui sopra(4).

Molto cordialmente

[Alberto Tarchiani]

237 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 85.

237 2 Il documento reca il timbro: «Visto dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

237 3 T. segreto 6446/153 del 16 luglio: «In risposta suo telegramma 400, si comunicano, per sua norma di linguaggio, i seguenti elementi relativi alle fasi procedurali della ratifica del Trattato CED: la Commissione Finanze e Tesoro, in data 14 corrente, ha emesso, con 26 voti contro 16, parere favorevole. Le Commissioni della Difesa e della Giustizia, secondo quanto si prevede, faranno altrettanto entro corrente mese e prima delle ferie estive la Commissione degli Esteri potrà pronunciarsi positivamente. Alla ripresa dei lavori parlamentari avrà luogo il dibattito in aula. Circa la restituzione della sovranità alla Germania V.E. potrà fare rilevare che Italia rimane estranea alla questione di cui all’art. 11 B degli Accordi di Bonn, non essendo firmataria di tali accordi e non potrà che vedere con favore il riacquisto della sovranità da parte della Repubblica Federale anche prima dell’entrata in vigore della CED, se dovesse intervenire una decisione in tal senso» (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 2).

237 4 Per la risposta vedi D. 242.

238

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 8930/671. Parigi, 22 luglio 1954, ore 22 (perv. ore 22,30).

L’armistizio in Indocina è stato accolto dall’opinione pubblica con soddisfazione appena celata: si prevede quindi generalmente che il dibattito al Parlamento non porterà sorprese. Secondo l’orario previsto si deve passare adesso alla presentazione al Parlamento del programma economico e della relativa richiesta dei pieni poteri. Il dibattito avrà luogo nella prossima settimana ed il Consiglio di Gabinetto stamane ha autorizzato il Presidente del Consiglio a porre la questione di fiducia. È a questo punto che gli attacchi contro Mendès France saranno piviolenti e la sorte del Gabinetto più incerta. Si deve però tener conto che il successo di Ginevra ha dato molta popolarità a Mendès France e che la decisione del voto di fiducia implica la minaccia dello scioglimento del Parlamento.

È soltanto se sarà superata questa seconda tappa che dovrebbe iniziarsi da parte del Presidente del Consiglio l’esame della questione della CED.

Su questo argomento permane la massima incertezza circa le intenzioni di Mendès France. Si sa soltanto che i colloqui con Bourgès-Maunoury e Koenig non hanno portato alcun risultato e si suppone che in fin dei conti sarà il Presidente del Consiglio che dovrà trovare la formula (se è possibile trovarla) suscettibile di riavvicinare le differenti tesi e calmare un po’ l’agitazione pro e contro. In alcuni ambienti si nutre speranza che, nel frattempo, Mosca proponga una nuova Conferenza per la questione europea che potrebbe servire di pretesto per rimandare ancora le decisioni.

238 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 84.

239

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI, STRANEO, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, DEL BALZO(1)

Appunto segreto(2). Roma, 24 luglio 1954.

Oggetto: Relazioni tra Stati Uniti e Italia.

Durbrow, che ho veduto iersera, mi ha detto di aver ricevuto una lettera della Signora Luce, nella quale si compiace delle buone disposizioni trovate a Washington nei riguardi del nostro Paese. Dai colloqui avuti non soltanto con Eisenhower, Foster Dulles, Bedell-Smith ed altri membri dell’amministrazione repubblicana, ma anche con numerosi Congressmen e giornalisti, la Signora Luce avrebbe tratto l’impressione generale che la valutazione tendenzialmente negativa sulle possibilità dell’attuale Governo italiano è ora decisamente in via di essere rovesciata. Al che ha certamente contribuito il favorevole svolgimento dei lavori delle Commissioni parlamentari per la CED, nonché la nostra realistica valutazione della controversia per Trieste e pel Patto Balcanico.

La Signora Luce ha naturalmente cercato di incoraggiare tali ottimistiche aspettazioni e, poiché conviene ora di non deluderle, si augura che sarà possibile, una volta conclusa la questione di Trieste, di passare immediatamente alle «facilities» e alla CED, nonché alla ratifica della Convenzione sullo status delle Forze del NATO.

Nell’assicurare il Signor Durbrow che avrei riferito queste sue informazioni, ho creduto bene di aggiungere che ci rendevamo conto che buona parte di questo felice «revirement» della pubblica opinione americana nei nostri confronti era dovuto alla intelligente e meticolosa esposizione sulle cose italiane fatta in America dalla Signora Luce. Certe impressioni negative di affrettati visitatori del Continente europeo andavano corrette da chi conosceva sul posto tutte le difficoltà e ogni sfumatura di determinate situazioni.

Credo che il Signor Durbrow chiederà di vedere il Segretario Generale per fargli un’analoga comunicazione.

239 1 DGAP, Uff. I, 1945-1960 (I versamento), b. 8, fasc. 3.

239 2 Il documento reca la seguente annotazione di Del Balzo: «Straneo. Zoppi vedrà volentieri Dubrow. Diglielo. M. Del Balzo».

240

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 1073/702(2). Parigi, 24 luglio 1954.

Oggetto: Ratifica CED da parte francese.

A quindici giorni dalla Conferenza dei Ministri degli Esteri per la CED, è ancora difficile dire quale finirà di essere l’atteggiamento francese su tale complesso problema. È evidente che la Francia ha accettato di andare a Bruxelles il 10 agosto per precedere la scadenza del 15 agosto, scadenza di cui è cenno nelle recenti dichiarazioni di Dulles e Churchill. Ma con quali idee e con quali criteri possa presentarsi alla Conferenza Mendès-France non è dato per ora di sapere ed è molto probabile che nemmeno egli stesso lo sappia.

Secondo quanto ci viene detto da persona molta vicina al Presidente, sopratutto per gli affari CED, Mendès-France, assumendo il potere, si sarebbe ispirato a due considerazioni principali:

1) che non convenga che la CED sia approvata in Francia se non con una larga maggioranza (almeno 400 voti favorevoli);

2) che il Trattato, come esso è attualmente, è talmente complesso e macchinoso che la sua applicazione non può portare che a difficoltà interne a meno che esso non sia snellito e a meno che esso non sia appoggiato da una fortissima aliquota del Parlamento.

Partendo da queste idee, egli ha proposto quel confronto fra cedisti e anticedisti di cui ha poi incaricato Bourgès-Maunoury, favorevole alla CED, ed il Generale Koenig, ad essa contrario. Questi, a loro volta, hanno costituito due piccole «équipes», formate ciascuna di 4 funzionari (ufficiali, consiglieri di Stato e funzionari degli Esteri).

Per dare un’idea del modo alquanto scolastico con cui il «confronto» è stato iniziato, basterà dire che le due «équipes» hanno cominciato a leggere il testo dell’accordo di Parigi articolo per articolo e che ciascuna di esse ha raccolto dalla stampa, dai discorsi parlamentari, da pubblicazioni giuridiche, tutte le argomentazioni favorevoli

o sfavorevoli ai singoli articoli che sono state presentate sinora. Questo lavoro è ormai terminato e costituisce naturalmente un volume di notevole mole.

La Commissione ha poi proceduto ad un confronto delle idee delle due «équipes» sopra i vari articoli riassumendo più o meno brevemente le conclusioni raggiunte. Tale seconda fase del lavoro è già giunta fino all’articolo 101 del Trattato e sarà conclusa, secondo quanto si afferma, entro il 31 del corrente mese.

Le conclusioni raggiunte, che naturalmente non sono perfettamente univoche e rimangono piene di alternative, costituiscono anche esse, per la parte esaminata, un grosso volume. A titolo di esempio basterà dire che le considerazioni sopra l’articolo 13 comprendono 5 o 6 pagine fittamente dattilografate, e che l’articolo 33 ugualmente fa oggetto di una lunga e complessa serie di argomentazioni.

Mendès-France, tutto preso dai suoi negoziati per l’Indocina prima, e dai suoi piani economici, ora, non si è pioccupato della cosa, riservandosi di affrontarla dopo che la Camera avrà approvato i progetti di riforme economiche. Quindi, gli stessi membri della Commissione non hanno piavuto contatto con lui né sanno quale possa essere in definitiva il suo pensiero. La sola persona del Gabinetto del Presidente che finora abbia seguito i lavori delle due «équipes», sia pure superficialmente, è il signor Nora, uno dei giovani ebrei della «intellighentsia» presidenziale.

Secondo le previsioni, il «volume» comprendente le conclusioni delle due «équipes» di Bourgès-Maunoury e di Koenig sopra il trattato, dovrebbe essere presentato al Presidente nei primi giorni di agosto ed il Presidente sarebbe poi libero di trarne come crede le sue conclusioni.

Secondo quanto ci è stato detto da fonte che dovrebbe essere bene informata, vi sarebbe un accordo generale sopra la necessità di permettere un riarmo tedesco e sull’opportunità di una qualche forma di organizzazione europea, ma l’«équipe» avversaria alla CED ‒che è stata installata nel palazzo di Rue Saint Dominique, nelle stanze vicine a quella in cui Clémenceau sedeva durante la guerra mondiale – sarebbe riuscita a far accettare anche all’«équipe» avversa l’idea che il trattato deve essere modificato in modo da permettere la sopravvivenza dell’Unione Francese ed in modo che l’Inghilterra vi possa intervenire in piena parità di impegni con gli altri membri. A questo riguardo uno dei relatori avrebbe fatto un lungo rapporto sulle conseguenze che la ratifica del Trattato di Parigi potrebbe avere sopra la situazione politica e giuridica dei vari territori dell’Unione Francese. Le considerazioni svolte avrebbero fatto effetto ed avrebbero portato anche i cedisti ad ammettere la necessità di una certa revisione del testo del Trattato.

Ci è stato fatto rilevare, al riguardo, come la politica francese nella CED non possa andare disgiunta da quelle che saranno le decisioni di Mendès-France sulla politica nel Nord Africa. Qui si dice di temere che un eccesso di europeismo da parte della Madrepatria potrebbe aumentare le tendenze centrifughe dei popoli arabi con perdita totale dell’influenza europea nel mondo africano. Si insiste in particolare sulla necessità di un’associazione pilarga della Gran Bretagna alla futura comunità europea, associazione che potrebbe consentire alla futura organizzazione europea un maggior coordinamento politico nei settori extra-europei.

Tutto questo si svolge, come ho detto, per ora, al livello dei tecnici e gli accordi, anch’essi, sono raggiunti, soltanto a tal livello. Quanto agli stessi Ministri più direttamente interessati, essi stessi non hanno avuto modo di prendere approfonditi contatti e di determinare una linea di condotta comune. Del Generale Koenig, si può dire che esso è ancora irremovibile nel pensare che il Trattato CED costituisca un organismo troppo macchinoso e troppo «borghese» per i risultati militari che se ne vorrebbe scontare. Egli non sarebbe contrario al riarmo della Germania, ma non lo vorrebbe nella forma prevista dal Trattato, ammettendolo eventualmente attraverso un protocollo aggiuntivo degli Accordi di Bonn (quale possa essere il testo di tale protocollo aggiuntivo non è dato di sapere).

Il Ministro della Difesa sarebbe poi anche favorevole ad una qualche forma di organizzazione europea, ma in forma piuttosto elastica, (inquadrata o meno nell’orbita del NATO) che consenta di ottenere dei risultati militari piefficienti di quanto non siano 12 divisioni tedesche, le quali a loro volta non potrebbero essere modificate nella struttura o aumentate nel loro numero se non attraverso difficili e lunghe procedure. Ciò corrisponderebbe più o meno a qualcuno dei progetti già segnalati a codesto Ministero e particolarmente a quello formulato dal Generale Billotte.

Il Ministro Koenig insisterebbe particolarmente sopra un coordinamento tecnico dei vari eserciti europei nel senso della standardizzazione degli arm[am]enti e dell’uniformizzazione delle singole unità militari, ma non intenderebbe andare in alcun modo oltre, sopratutto nel senso di consentire una maggiore influenza di elementi borghesi nella struttura militare francese ed eventualmente europea.

240 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 84.

240 2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro», «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

241

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto 21/1957(2). Roma, 26 luglio 1954.

Oggetto: Eventuale riunione di Bruxelles dei Ministri della Comunità Europea.

Da più parti, oramai, (anche se non da fonte ufficiale) abbiamo notizia che il Presidente del Consiglio di Francia, Mendès France, si preparerebbe a proporre al Ministro degli Esteri del Belgio, Spaak, Presidente di turno dei sei Ministri della Comunità Europea, la riconvocazione della riunione di Bruxelles, già a suo tempo indetta ed in seguito mai effettuata.

Notizie precise in merito appaiono ‒a quanto ci ha detto questo Ambasciatore d’Olanda ‒essere state fornite dal Sottosegretario Guérin de Beaumont al Ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, nel corso della visita ufficiale all’Aja del Presidente della Repubblica Coty.

Anche la nostra Delegazione di Parigi per la CED ci ha a piriprese fatto conoscere quale sarebbe il «timing» del Signor Mendès France e secondo il quale, dopo il voto di fiducia al Parlamento francese sui programmi economici, si avrebbe la riunione a sei di Bruxelles (tra l’8 e il 10 agosto) ed, in seguito, la discussione parlamentare sulla ratifica del Trattato CED in modo che l’Assemblea nazionale francese possa dare il suo voto prima delle sue ferie estive il cui inizio appare previsto per il 20-22 agosto.

La nostra Delegazione per la CED ha anche espresso, sulla base di informazioni da essa raccolte, l’opinione che con ogni probabilità Mendès France chiederà ai suoi cinque colleghi, nella riunione di Bruxelles, un accordo di massima, di carattere politico, in tema di futura applicabilità del Trattato CED. Non si penserebbe a modifiche del Testo del Trattato ma a chiarimenti e interpretazioni, sia per accentuare il legame CED-NATO, sia per sancire una certa maggiore decentralizzazione nella futura organizzazione CED, sia, infine, si ripete, per accrescere la «gradualità» di applicazione del Trattato stesso.

A quanto pare i principii sanciti nell’art. 38 dal Trattato non sarebbero toccati, pur rimandendo [scil. rimanendo] il Governo francese nell’interpretazione che detto articolo ‒che, come è noto contiene in embrione i futuri sviluppi politici della Comunità

‒ non prevede allargamenti automatici.

Il Quai d’Orsay starebbe attualmente studiando i testi destinati ad essere presentati alla riunione di Bruxelles e non si sa ancora se dovrebbe trattarsi di dichiarazioni comuni o di protocolli interpretativi.

In queste condizioni ‒ed in attesa anche di conoscere i risultati dei contatti che il nostro Sottosegretario, On. Benvenuti, prenderà in questi giorni a Parigi(3)‒questa Direzione Generale ha messo allo studio quanto appaia necessario per la nostra partecipazione alla progettata riunione di Bruxelles che, si ripete, dovrebbe aver luogo alla fine della prima decade di agosto(4).

241 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

241 2 Diretto per conoscenza a Zoppi e a Del Balzo.

241 3 Vedi DD. 243 e 244.

241 4 Sulla base di queste notizie venne redatta una bozza di lettera segreta di Piccioni a Quaroni, non più inviata perché verosimilmente superata dall’incontro del Sottosegretario e dell’Ambasciatore con Guérin de Beaumont (vedi nota 3). La lettera – con l’annotazione di Magistrati: «Plaja. Bozza non partita» – conteneva le seguenti istruzioni: «Caro Ambasciatore, La ringrazio innanzitutto per le sue comunicazioni di questi ultimi giorni, relative alla posizione del Governo francese nei confronti della ratifica parlamentare del Trattato CED. Un insieme di circostanze mi fa ritenere giunto il momento di avere con gli amici Francesi, nello spirito di collaborazione tra i due Paesi, che è stata la caratteristica dei loro rapporti di questi ultimi anni, un franco scambio di idee e di informazioni su quell’argomento. Ella conosce il nostro “iter” parlamentare per la ratifica. Essa di fatto puconsiderarsi acquisita, anche se la formale approvazione parlamentare non potrà aversi se non tra qualche mese; ora, come Ella sa il Governo è unanimemente in favore della CED e così i partiti della coalizione di maggioranza. L’opposizione di destra ha tenuto nelle votazioni sin qui svoltesi nelle commissioni di Difesa, Finanza e Giustizia, atteggiamento di attesa astenendosi dal voto e non puescludersi che, se nel frattempo fosse risolta la questione di Trieste, essa, o almeno una parte di essa, possa assumere attitudine ancor più favorevole. Sembrerebbe dunque opportuno che il Governo francese fosse informato di questo sviluppo della situazione per quanto si riferisce all’“iter” parlamentare e alle prospettive parlamentari per la ratifica della CED e che esso sapesse altresì come il Governo italiano consideri tale ratifica e la costituzione della Comunità di Difesa Europea uno dei cardini della propria politica generale. Secondo informazioni di fonte olandese il Sottosegretario Guérin de Beaumont, che accompagna il Presidente Coty, avrebbe fatto conoscere al Governo dell’Aja i propositi e le intenzioni del Signor Mendès-France nel senso che il Governo di Parigi, subito dopo aver ottenuto il voto di fiducia sulla sua impostazione dei problemi economici, penserebbe di chiedere al Ministro Spaak di convocare, verso il 10 agosto a Bruxelles, la progettata Conferenza dei sei Ministri della Comunità, già a suo tempo rinviata. Subito dopo Mendès-France presenterebbe il Trattato CED al suo Parlamento in modo da ottenere un voto sulla ratifica, qualunque esso sia, prima del 20 o 22 agosto, data prevista per l’inizio delle vacanze parlamentari francesi. Nel comunicare a codesto Governo il “punto” sulla situazione della ratifica della CED in Italia e le intenzioni del Governo italiano su tale problema, V.E. vorrà quindi anche chiedere quali siano le intenzioni del Sig. Mendès-France. Vorrei, quindi, pregare V.E. di voler senza indugio compiere questo passo, sulla base di quanto le ho sopra esposto nell’amichevole spirito che caratterizza i rapporti tra i due Paesi» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88).

242

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI(1)

L. 20/1983. Roma, 28 luglio 1954.

Caro Tarchiani,

mi riferisco alla tua del 20 luglio n. 10693(2).

In risposta alle domande da te opportunamente avanzate in merito all’«iter» parlamentare per la ratifica della CED, posso dirti, dopo aver assunto opportune informazioni, che, per la Camera dei Deputati, puprevedersi che l’argomento della ratifica stessa sarà posto senza indugio, e penso quale primo, nell’ordine del giorno della ripresa dei lavori nel prossimo settembre.

Per la discussione al Senato è prevista la procedura di urgenza.

Sono d’accordo con te nel ritenere che i «tempi» della ratifica possono avere conseguenze pratiche di alto rilievo.

Molto cordialmente

[Vittorio Zoppi]

242 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 23, fasc. 85.

242 2 Vedi D. 237.

243

[LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE](1)

Appunto segreto(2). Roma, 28 luglio 1954.

In occasione della sua visita a Parigi per i lavori della Commissione Affari Generali del Consiglio d’Europa, S.E. Benvenuti, accompagnato dall’Ambasciatore Quaroni, ha compiuto una visita di cortesia al Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, Guérin de Beaumont che ancora non conosceva.

Nel colloquio, svoltosi per circa mezz’ora in una atmosfera di cordialità, non è stato toccato alcuno specifico argomento italo-francese né è stato chiesto alcun particolare sulla situazione italiana. Il Signor Guérin de Beaumont ha tenuto tuttavia a ringraziare S.E. Benvenuti per la comprensione dimostrata dal Governo italiano nei riguardi della Francia in occasione della nota iniziativa di Spaak per la convocazione del Consiglio dei Ministri a sei nel mese scorso.

Da tale spunto il Sottosegretario francese ha preso l’avvio sull’argomento CED. La Conferenza a sei si terrà, egli ha detto, fra il 10 e il 15 agosto. La Francia presenterà delle proposte di modifiche che possano andare incontro a certe esigenze del Parlamento. Ogni speranza di trovare una formula che possa accontentare il Gen. Koenig sembra peraltro abbandonata. I progetti francesi, per quanto possano sembrare innovatori sul piano esecutivo ed interpretativo, non sarebbero tali da toccare le questioni sostanziali e quindi da richiedere nuove ratifiche.

Guérin de Beaumont si rende conto delle impazienze dei tedeschi e del Benelux. Ma il problema, egli dice, non è di sapere chi ha ragione e chi ha torto. Si tratta di sapere se a queste impazienze corrisponda o meno la possibilità di trovare una maggioranza alla CED in Francia. Se questa oggi non c’è, il Governo fa bene a cercare di ottenerla, operando con pazienza per offrire condizioni accettabili ad una certa parte dell’opinione parlamentare. Il Sottosegretario intende mettersi d’accordo con i vari gruppi. Ieri ha visto il socialista Jacquet, noto al Consiglio d’Europa quale influente amico politico di Guy Mollet e lo ha trovato molto ragionevole.

Secondo Guérin de Beaumont, il Governo ha interesse alla ratifica della CED. Se si arriverà ad un accordo a Bruxelles, la CED potrebbe essere ratificata all’Assemblea Nazionale entro il 20 agosto. Avendo l’Ambasciatore Quaroni fatto notare che il termine appariva assai breve specie tenendo conto che il Governo in questi giorni dedica tutta la sua attenzione ai piani finanziari, il Sottosegretario ha risposto che i servizi sono già ampiamente al lavoro. Ha aggiunto che se ne occupa lui stesso. Sulla sostanza delle proposte di modifiche non ha voluto compromettersi: perché sono partite ‒egli ha detto ‒dal mio articolo sul «Monde» dello scorso gennaio, ma ho già cambiato le mie idee. Ha concluso l’argomento assicurando che avrebbe fatto il possibile per farci avere qualche giorno prima della Conferenza qualche precisa indicazione sui testi francesi.

Avendo l’on. Benvenuti chiesto se la recente nota sovietica(3)poteva sospendere il normale andamento delle cose, Guérin de Beaumont ha risposto decisamente di no. Sarebbe troppo comodo ‒egli ha detto ‒con il semplice invio di una nota poter sospendere un dibattito parlamentare. Ha aggiunto peraltro che la nota stessa va studiata molto accuratamente, perché in fondo a una nota ci può esseresempre qualcosa da cavare.

Personalmente l’on. Benvenuti crede che Guérin de Beaumont sia stato sincero, anche se un tantino abbottonato. L’Ambasciatore Quaroni ha avanzato, sia pure in forma dubitativa, due ipotesi, entrambe pessimistiche. La prima è che i francesi possano avanzare a Bruxelles proposte tali da colpire la sensibilità e l’onore tedesco. Davanti all’intransigenza germanica il Governo francese avrebbe buon gioco per accantonare la CED e per passare successivamente alla Conferenza a quattro. Seconda ipotesi: Mendès-France accetterebbe a Bruxelles condizioni tali, da essere certamente respinte dal Parlamento francese. La crisi del regime di Bonn diverrebbe allora inevitabile ed il problema tedesco si riaprirebbe sulla base della neutralizzazione.

Le altre persone incontrate a Parigi da S.E. Benvenuti (il giornalista italiano Sampieri al quale Mendés-France aveva detto nella mattinata di temere che il mondo politico francese, liquidata l’Indocina, avesse ora voglia di liquidare lui; il leader MRP de Menthon, preoccupato quest’ultimo dalla colorazione ebraico-massonica del Gabinetto; e l’Ambasciatore belga presso la NATO e la CED de Staercke) si sono tutte mostrate, sia pure con diverse nuances, nettamente ottimiste per quanto si riferisce al contegno personale del Presidente. Uomo di idee semplici e chiare, egli sa dove vuole arrivare. Sull’Indocina è stato calunniato. L’accordo di Ginevra preclude sì l’intervento straniero ma non quello francese. Davanti a tale precisazione fornita in Parlamento le riserve formulate dallo stesso Bidault sono crollate. Se gli interlocutori di S.E. Benvenuti si sono dimostrati concordi sulla persona di Mendès-France, non poche riserve vengono formulate sul suo entourage, in buona parte proveniente dall’ambiente neutralistico e peggio dal «Monde» (Una nota ottimistica a tale riguardo può esserecostituita dalla recente inclusione, nel Gabinetto del Ministro, del Signor Cheysson, diplomatico di carriera. già membro dell’Alta Commissione Alleata in Germania, poi Consigliere

politico in Indocina e ‒ fino a prova contraria ‒ europeista fervente e leale).

Dopo la visita a Guérin de Beaumont l’on. Benvenuti ha avuto un colloquio con l’Ambasciatore de Staercke, il quale ha detto di ritenere ormai in buona parte superato il progetto di modifica del trattato CED esposto dall’attuale Sottosegretario francese nel noto articolo apparso sul «Monde» lo scorso gennaio (i cui capisaldi erano: 1) necessità di raggiungere un determinato quorum per rendere operanti le decisioni dei 9 commissari CED ‒il che equivaleva in realtà ad un permanente pericolo di veto francese; 2) estensione ai Paesi che non hanno ancora ratificato un protocollo che attualmente limita nei riguardi del solo Belgio i poteri giurisdizionali della Comunità;

3) riduzione della durata del Trattato da 50 a 20 anni; 4) impegno di non avvalersi dell’art. 38).

Secondo de Staercke è invece probabile che i francesi presentino due protocolli, forse sostanzialmente altrettanto gravi ma che peraltro non richiederebbero ‒a differenza delle precedenti proposte ‒ una modifica delle ratifiche già acquisite.

I due punti sarebbero 1) integrazione delle Divisioni nazionali in Corpi d’Armata sopranazionali limitatamente alle zone che coprono la frontiera orientale, il che significa di fatto una discriminazione nei riguardi della sola Germania; 2) rinvio a tempo indeterminato del periodo transitorio durante il quale vige la regola dell’unanimità nel Consiglio dei Ministri nazionali.

De Staercke ritiene tali condizioni gravi, ma non inaccettabili, in quanto esse non sono innovative, bensì puramente esecutive ed interpretative del Trattato. Infatti:

1) è vero che nel Trattato è precisato che tutte le unità superiori all’unità base sono integrate. Ma se l’impegno di applicare il Trattato è considerato normale nelle zone di frontiera, l’integrazione negli altri settori può non aver luogo qualora vi sia l’accordo del Comando Atlantico nonché del Consiglio dei Ministri della Comunità:

2) da quando decorre il periodo transitorio di un anno, trascorso il quale dovrà vigere la regola dell’unanimità? Esso decorre dal momento in cui è messo su piede il primo scaglione di armata europea integrata. Si tratta quindi di una data elastica. ciò noncomporterebbe un ulteriore ritardo nel riarmo della Germania, in quanto le divisioni tedesche, prima di essere integrate, debbono essere costituite.

Da parte tedesca ci è stato detto che il rinvio dell’applicazione del principio maggioritario nel Consiglio dei Ministri incontrerebbe serie obiezioni non solo a Bonn, ma allo stesso Quai d’Orsay, in quanto ci si renderebbe conto che con una permanente minaccia di veto nessun esercito pufunzionare.

Anche negli ambienti tedeschi di Parigi si nutre peraltro fiducia nella persona di Mendès-France. Si ritiene che egli abbia piprobabilità di varare la CED che non i suoi predecessori e si condivide l’opinione, già manifestata da altre fonti, che l’attuale Presidente del Consiglio avrebbe interesse a far ratificare il Trattato, per due motivi del tutto indipendenti dal suo maggiore o minore europeismo.

1) Mendès-France ritiene che una CED ratificata rappresenti un assai pivalido strumento di negoziato dell’Occidente verso la Russia che non una CED non ratificata.

2) Dopo la cessazione delle ostilità in Indocina, con il conseguente taglio dei contributi in dollari, la Francia ha pibisogno che mai dell’aiuto americano. E questo non potrà venirle che a CED ratificata.

Per concludere, le impressioni parigine possono così riassumersi:

1) moderato ottimismo per la ratifica della CED da parte dell’Assemblea Nazionale (previo sempre il raggiungimento di un accordo a Bruxelles);

2) necessità per i cinque (condivisa dall’Ambasciatore Quaroni) di venire incontro a ragionevoli proposte francesi, anche per togliere di mano a Mendès-France ogni eventuale pretesto per non ratificare;

3) necessità di un estremo tentativo italiano (ma ci riusciremo?) di non reggere come sempre il fanale di coda.

243 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

243 2 Sulle conversazioni di Parigi di Benvenuti vedi anche D. 244.

243 3 Del 24 luglio: vedi FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, Vol. VII, Part 1, D. 531.

244

L’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. riservato 1089. Parigi, 28 luglio 1954.

Oggetto: CED.

Signor Ministro,

ho accompagnato Benvenuti, in visita anche di cortesia, dal suo collega Guérin de Beaumont.

Sull’argomento CED, Beaumont non è stato eccessivamente impegnativo; egli ha detto sostanzialmente:

1) il Governo francese ritiene che la riunione di Bruxelles si potrà fare fra il 10 ed il 15 di agosto: i Governi interessati avranno qualche giorno prima conoscenza delle proposte francesi: ha anche aggiunto ‒lo riferisco a V.E. senza impegno ‒che noi ne avremo conoscenza un po’ prima degli altri.

2) Non si è ancora in grado di fare delle comunicazioni, perché il pensiero francese non è ancora del tutto precisato: la questione deve in ultima analisi essere risolta dal Presidente del Consiglio. Si tiene perpresente che eventuali proposte debbono tener conto di due necessità: non obbligare i paesi che hanno già ratificato a tornare davanti ai loro Parlamenti; apportare al Trattato CED attuale quelle modifiche che lo rendano ratificabile dal Parlamento francese, e non a due voti di maggioranza.

3) La presentazione della Nota russa(2), quale che sia il tenore della risposta che le verrà data, non sposterà il calendario CED: cioè riunione con gli altri partners fra il 10 ed il 15 agosto e, se ci si sarà messi d’accordo su di un testo, sua approvazione immediata dal Parlamento francese. A nostra richiesta, Beaumont ha specificato che per il dibattito al Parlamento basteranno 3 o 4 giorni e che la ratifica da parte del Senato potrebbe essere rimandata a dopo le vacanze.

Circa le «nuove proposte francesi», pur con le riserve di cui sopra, ci si è data l’impressione che ci si va orientando verso le cosiddette proposte Beaumont. Ossia: prolungamento del periodo transitorio a cinque anni, oppure a data indeterminata, fino a che non ci sia l’unanimità per sanzionarne la fine: possibilità di uscita dalla CED (per ora concessa alla sola Germania in caso di riunione delle due Germanie) e riconsiderazione del Commissariato. È stato su quest’ultimo argomento che Guérin de Beaumont ha sopratutto insistito nel corso della nostra conversazione.

Da altri contatti, S.E. Benvenuti ha raccolto anche altre voci di modificazioni, fra cui: riduzione della durata della CED a vent’anni: integrare solo i corpi d’armata stanziati lungo la linea di frontiera, il che lascerebbe non integrati i corpi d’armata francesi ed italiani, per esempio, ed integrerebbe solo i corpi d’armata tedeschi.

Se è indiscusso che le idee francesi non sono ancore fissate e che c’è sempre l’incognita delle decisioni finali del padrone, la mia impressione è che queste sono effettivamente le linee della «revisione». Tutti dicono unanimemente che bisogna rinunciare a convincere i generali ‒leggi Koenig ‒: ma è comunque difficile che ci si domandi di meno.

Quanto al valore di queste modificazioni, tutto è questione di interpretazione. Il prolungamento del periodo transitorio a cinque anni, od a periodo indeterminato, può essereuna cosa ottima, in quanto dà un maggiore periodo di riflessione: ma può anche essere motivato dalla speranza ‒o dalla probabilità ‒che, in cinque anni, il provvisorio potrebbe essere da tutti accettato come un eccellente definitivo. Peggio ancora se il provvisorio dovesse durare per un periodo indeterminato.

La riforma del Commissariato è effettivamente la questione picomplessa di tutte. Così come esso è, e coll’esempio della CECA, è innegabile il pericolo grosso che esso si trasformi in una tecnocrazia e che tutto, o molto, diventi ‒come osserva giustamente Cavalletti ‒«una questione di stipendi». Aggravato questo nel caso della CED dal fatto che, mentre, per la CECA, si poteva almeno in partenza contare sulla personalità di Monnet che aveva allora un prestigio ed un’autorità indiscussa, dove andare a trovare adesso delle personalità che siano in grado di mettere in moto tutta una macchina difficile e delicatissima?

Ma d’altra parte è anche esatto che è nel Commissariato che risiede l’idea del sopranazionale: se si riducono i poteri del Commissariato, ed è evidentemente di questo che si tratta, si cambia radicalmente tutta la base del Trattato quale è: abbandoniamo il Bundesstaat per andare verso lo Staatenbund.

Si può però anche sostenere la tesi contraria: e dire che in cinque anni l’idea europea avrà ancora maturato di più e che il problema del Commissariato ci porterà a risolvere la questione dell’autorità politica, che è poi quello vero ed essenziale.

Tutto è questione di interpretazione e, più ancora, di come evolverà il pensiero politico francese e di noi tutti nei prossimi anni, una volta superata, se la si supererà, questa crisi CED. Oggi le previsioni non sono ottimiste, ma non si sa mai.

Tutto questo, del resto, avremo tutto il tempo di vederlo. Siccome perla Conferenza di Bruxelles sembra che ci sarà, mi vorrei permettere di sottoporre a V.E. alcune mie considerazioni sull’argomento.

La prima è questa: qual è realmente la situazione davanti al Parlamento francese? L’investitura data a Mendès-France, che a quel momento appariva assai pidecisamente anti-CED di quello che forse non sia, significa che ci sono 417 deputati che se ne infischiano della CED. Adesso le sue intenzioni sulla CED sono più o meno note, questi progetti di riforma circolano. Il dibattito sugli affari economici è una piattaforma che si presta a tutte le manovre: se lo lasciano passare, se gli danno i pieni poteri, questo vuol dire che in realtà la maggioranza del Parlamento francese non insiste sulla forma attuale della CED. Si noti, e questo lo dico ad ogni buon conto, che una caduta di Mendès-France non significa affatto che il suo successore potrà far passare la CED tale quale essa è.

Dunque il giorno in cui Mendès-France, avuti i pieni poteri economici, ci si presenterà con un progetto CED modificato, dobbiamo tener presente che questo significa che la CED attuale è stata respinta dal Parlamento francese, e che è soltanto il nuovo progetto che è suscettibile di passare.

Poiché se Mendès-France è la persona intelligente che si dice, e la persona seria che fino ad ora ha dato l’impressione di essere, prima di presentare il suo nuovo progetto ai suoi partners stranieri si sarà assicurato l’approvazione di quella trentina di deputati che decidono del voto.

In queste circostanze ‒ che i nostri partners, e noi, non ci facciamo delle illusioni

‒non è dichiarando la nostra fedeltà ai principi della CED originale che noi otterremo

di far cambiare idea ai francesi e a Mendès-France personalmente: possiamo solo precipitare una grave crisi francese, europea ed atlantica.

C’è adesso, in aria, ed è bene non dimenticarlo, la proposta sovietica, proposta per lo meno assai pericolosa. Fino adesso, e per quanto si pugiudicare, l’atteggiamento della Francia è quello che si pudesiderare; importante sopratutto la risposta molta precisa che questo non deve spostare il calendario CED.

Ma che cosa succede invece se Mendès-France deve tornare a casa a dire: «Io avevo trovata una soluzione che il Parlamento francese era disposto a accettare ed i tedeschi non l’accettano»? Dico i tedeschi perché di questo poi si tratta; se i tedeschi accettano, accettano anche gli altri. Si dirà subito: se i tedeschi ci tengono tanto, questo vuol proprio dire che il Trattato era una trappola per la Francia. E se Mendès-France è esitante ‒non voglio nemmeno avanzare l’opinione che egli sia in mala fede ‒un atteggiamento di questo genere potrebbe portare lui stesso ed il Parlamento a dire: allora non c’è niente da fare che cambiare orientamento.

Vorrei insistere su questi concetti:

1) la situazione in Francia è talmente fluida che un nonnulla potrebbe portare ad uno spostamento verso il fronte popolare;

2) l’accettazione della CED ‒di una CED qualunque essa sia ‒preclude l’accettazione del tranello russo: la caduta della CED, per qualsiasi ragione, apre la strada alla proposta russa, alla crisi tedesca ed a tutte le sue conseguenze per la difesa dell’Europa.

C’è anche da domandarsi quale sia il reale atteggiamento americano. Oggi tutti gli americani ci dicono qui che si deve ratificare la CED quale essa è: ma manterranno la loro opinione di fronte ad un progetto francese che appaia ragionevole e che, sopra-tutto, permetta di arrivare a quello che essi vogliono, ossia al riarmo della Germania?

Certo la CED potrebbe così venir fuori molto differente da quello che la si era sognata. Ma resterebbe per lo meno la speranza di poter continuare a fare qualche cosa per una ulteriore maggiore integrazione dell’Europa.

V.E. sa quali sono le mie opinioni sulla ratifica della CED. Ma altrettanto sono convinto della necessità di fare la CED e di farla al più presto, altrettanto, lo confermo, sono poco attaccato alla forma.

Mi permetterei quindi di consigliare, a noi, massima calma, massima prudenza e di non attaccarsi troppo ai principi: non vorrei che per amore del meglio, per rimpianto di quello che si sarebbe potuto fare, finissimo per contribuire ad impedire che si faccia quel poco che si pufare e che comunque è meglio di niente. Né ci dimentichiamo che il fallimento della CED sarebbe la capitolazione dell’Occidente di fronte al comunismo, capitolazione perfino pigrossa di quella commessa in Indocina. Ora, si pucontribuire a questo trionfo del comunismo dichiarandosi contro la CED: ma ci si può anche contribuire volendola come non la si può ottenere.

La prego di credere, signor Ministro, ai sensi del mio devoto ossequio.

P. Quaroni

244 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

244 2 Vedi D. 243, nota 3.

245

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, ALL’AMBASCIATA A BONN(1)

Telespr. segreto urgente 162/02. Roma, 29 luglio 1954.

Oggetto: Jugoslavia-CED ‒ Dichiarazioni del Cancelliere.

Riferimento: Suo telespresso-urgente n. 017 del 22 u.s.(2).

Ho preso atto delle precisazioni del dr. Hallstein(3)in merito alle dichiarazioni in oggetto. Converrebbe tuttavia che la S.V. cogliesse la prima favorevole occasione per far pervenire al Cancelliere Adenauer la raccomandazione di evitare, nelle sue pubbliche dichiarazioni, quelle prese di posizione che, mentre non hanno, almeno per ora, alcuna portata pratica e non rispondono ad alcun diretto interesse germanico, possono invece suscitare sgradevole impressione nell’opinione pubblica di paesi amici: nel caso specifico di quella italiana. Non altrimenti del resto si comporta il Governo italiano il quale ha sempre posto particolare cura nel non toccare pubblicamente argomenti che, mentre non lo concernono direttamente, presentano aspetti delicati per il Governo e l’opinione pubblica germanica (Sarre, rapporti franco-germanici, ecc.).

245 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 96.

245 2 Nel telespresso, avente lo stesso oggetto, Pinna Caboni riferiva a proposito del colloquio avuto con Hallstein sulle dichiarazioni di Adenauer del 20 luglio. In merito a queste ultime così aveva riferito Pinna Canoni il 21 luglio con T. 8890/105: «Circa odierne notizie stampa sulle dichiarazioni fatte ieri sera a Berlino dal Cancelliere federale auspicanti l’associazione della Jugoslavia e di altri Paesi del Patto balcanico alla CED ho avuto all’Auswärtiges Amt le seguenti precisazioni: il Cancelliere ha preso l’occasione al ricevimento dell’Associazione della Stampa Estera per riassumere il suo punto di vista circa la necessità di una piena collaborazione europea. Ha rilevato che l’accordo di Ginevra costituisce una solida base per una distensione in Estremo Oriente e dovrebbe avere riflessi positivi anche in Europa. Che il presupposto è però il consolidamento della situazione in Europa Occidentale e che la prossima tappa di tale consolidamento deve considerarsi la comunità europea di difesa di cui egli ha particolarmente sottolineato l’importanza per l’unificazione della politica europea. A questo punto il Cancelliere ha espresso l’augurio che la CED, dopo la ratifica, non rimanga limitata agli attuali firmatari ma sia aperta ad altri Stati. Il corrispondente di un giornale svizzero gli ha chiesto allora se egli intendesse parlare della Jugoslavia, al che il Cancelliere ha risposto, “non soltanto; penso soprattutto al vicino Oriente”. Richiesto ancora se intendesse Stati del patto balcanico il Cancelliere ha risposto affermativamente. Auswärtiges Amt dà alle dichiarazioni di Adenauer un significato di enunciazione generale al suo noto punto di vista della necessità di un progressivo consolidamento della difesa occidentale» (ibidem).

245 3 Al riguardo Pinna Caboni aveva comunicato quanto segue: «In merito alle dichiarazioni fatte il 20 corrente a Berlino dal Cancelliere Adenauer, sulle quali questa Ambasciata ha riferito ieri telegraficamente, il Sottosegretario Hallstein ha voluto di sua iniziativa precisarmi stamane che il Cancelliere non ha inteso parlare di un’associazione alla CED, in senso tecnico, della Jugoslavia e degli altri Paesi del Patto balcanico, bensì di un auspicabile stretto coordinamento fra la CED e il gruppo balcanico, nel quadro di un rafforzamento della difesa occidentale».

246

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 11219(2). Washington, 29 luglio 1954.

Oggetto: Colloquio con l’Ambasciatore Luce.

Signor Ministro,

ho avuto con l’Ambasciatore Luce un colloquio, del quale qui di seguito esporrla sostanza.

La Signora Luce mi ha detto che i suoi colloqui con Eisenhower, Dulles e Stassen l’hanno confermata nella idea che fra gli Stati Uniti e l’Italia non esistano problemi economici insolubili di per sé, ma soltanto problemi economici resi insolubili da circostanze politiche, che tutti dobbiamo sperare essere momentanei e superabili. I problemi fra gli Stati Uniti e l’Italia non si chiamano «aiuti», «off-shore procurements», «end-items»; bensì «CED», «facilities», «lotta anticomunista». Perfino la questione della Fiat, che giustamente a noi appare così importante, non concerne la Fiat di per sé, ma si inquadra nel problema generale dei rapporti italo-americani.

La Signora Luce riconosce di buon grado le difficoltà nelle quali si è trovato il Governo italiano e ammette che soprattutto la questione di Trieste ha fatto ostacolo a pipronte iniziative italiane in molti campi della cooperazione «atlantica» e europea. A causa di queste circostanze, sulle quali sarebbe inutile recriminare, l’Italia è venuta a trovarsi, nei suoi rapporti con gli Stati Uniti, in condizioni simili a quelle della Francia, senza peravere tutti i vantaggi storici, geografici e psicologici di questa, ed ha, in pari tempo, perduto l’occasione di collocarsi in una posizione simile a quella della Germania. Tuttavia, una soluzione del problema di Trieste è raggiungibile a breve scadenza, e, quantunque possa esservi ancora qualche dubbio sui dettagli, si tratta di una soluzione che può esserepresentata come un successo dell’attuale Governo, beninteso nel quadro dei compromessi possibili e non di quelli obbiettivamente desiderabili, ma praticamente irrealizzabili. Se, in vista di questa prospettiva, la questione della CED fosse stata «sganciata» in tempo, si sarebbe potuto arrivare alla ratifica prima delle ferie parlamentari. Ormai ciò non è possibile; ma a settembre, dopo una favorevole conclusione della questione di Trieste, l’Italia sarà veramente ad un bivio. Con una pronta ratifica della CED, con la stipulazione dell’accordo per le «facilities», con un rapido e promettente principio d’esecuzione delle annunciate misure sociali e della lotta anticomunista, l’Italia vedrà migliorare subito la sua posizione e diventerà l’elemento più importante del NATO nel settore sud-orientale, anche come arsenale industriale e militare dell’alleanza italo-balcanica. Altrimenti, la crisi latente dei rapporti politici italo-americani scoppierà, malgrado ogni contraria buona volontà, e l’Italia non potrà attendersi nessuna favorevole soluzione dei problemi tecnici, economico-militari, della sua collaborazione con gli Stati Uniti.

A questo proposito, e a titolo quasi esemplificativo, la Signora Luce mi ha detto quanto segue: fin dalla primavera del 1953, cioè dall’epoca del suo viaggio a Londra, Tito insiste per venire a Washington. A causa della insoluta questione di Trieste e della tensione italo-jugoslava, la sua richiesta è stata respinta costantemente, da ultimo una settimana fa, con decisione personale di Eisenhower. È chiaro, perche il rifiuto non potrà essere mantenuto a tempo indeterminato, soprattutto dopo la soluzione del problema di Trieste. Eisenhower vorrebbe invitare a Washington il Presidente Scelba, per discutere con lui i problemi e gli sviluppi della collaborazione italo-americana. Peraltro tale visita e tale discussione non appaiono realizzabili nelle circostanze attuali. Anzi, Eisenhower non desidera per il momento nessuna visita di personalità politiche italiane di primo piano perché non potrebbe, né in privato né in pubblico, dichiararsi soddisfatto dei reali risultati della nostra politica rispetto ai problemi generali d’interesse comune.

Fin qui la sostanza di quanto dettomi dalla Signora Luce, cui naturalmente ho mosso le obbiezioni del caso.

Ora, qualche parola di commento.

Le dichiarazioni dell’Ambasciatore americano vanno sfrondate del loro carattere «pedagogico» e semplicistico, (non voglio dire «ricattatorio» perché, onestamente, malgrado certe apparenze, un aggettivo del genere non corrisponderebbe alloro spirito). È, questo, un carattere connesso col temperamento personale della Signora Luce e con un’impostazione ormai cristallizzata del suo metodo, dalla quale le sarebbe difficile liberarsi rapidamente. Così sfrondate, le sue dichiarazioni non perdono, e anzi acquistano, importanza. Infatti cessano di apparire come espressione di un atteggiamento personale, più o meno abile e più o meno giustificato, e descrivono invece lo stato dei rapporti italo-americani, quale risulta da un’osservazione obbiettiva.

In sostanza, da molto tempo (mi richiamo, fra l’altro, al mio rapporto 15955 del 10 dicembre 1953) il Governo americano era convinto che, quantunque la questione di Trieste fosse di grave ostacolo allo sviluppo della cooperazione «atlantica» ed europea da parte dell’Italia, vi fosse da noi qualche altro impaccio inerente alla nostra situazione interna e tale da impedire da un lato la pronta realizzazione di certe necessarie misure economico-sociali, amministrative, di lotta attiva contro il comunismo, ecc., e dall’altro una pipiena collaborazione con gli altri Paesi del NATO. Quel che è accaduto dopo l’8 ottobre 1953 (in pratica: lo scacco anglo-americano, a seguito della minaccia jugoslava) non ha eliminato questa convinzione ma le ha tolto ogni possibilità di prova, perché si è dovuto riconoscere che la questione di Trieste, rimasta aperta a quel modo, toglieva al Governo italiano gran parte della sua libertà di azione (anche se non si voleva ammettere che impedisse del tutto la ratifica della CED). Oggi, mentre il Governo americano crede, non senza fondamento, d’aver fatto per Trieste tutto quanto stava in suo potere, e cioè d’essere riuscito a rendere possibile l’applicazione della decisione dell’8 ottobre(3), la sua attenzione si appunta, con una specie di anticipazione ansiosa, sui propositi e soprattutto sugli atti concreti del Governo italiano in tutti gli altri problemi. Le vicende dell’Asia sud-orientale e il conseguente deterioramento dei rapporti generali America-Europa, non possono non accentuare questo fenomeno (che ho descritto ampiamente nel mio rapporto 7739 del 27 maggio u.s.)(4).

Pertanto, da qualunque sia l’angolo sotto il quale si esamina la situazione dei rapporti italo-americani, si giunge alla stessa conclusione: i prossimi mesi, o piesattamente gli sviluppi dell’azione governativa italiana nei prossimi mesi, avranno un’importanza decisiva su di essi.

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio devoto ossequio.

Tarchiani

246 1 DGAP, Uff. I, 1945-1960 (I versamento), b. 8, fasc. 3.

246 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

246 3 Vedi D. 56, nota 3.

246 4 Vedi D. 192.

247

L’AMBASCIATORE A MOSCA, DI STEFANO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. segreta 2647/1157. Mosca, 5 agosto 1954.

Caro Massimo,

Circa il riarmo della Germania Occidentale, non è forse superfluo riferirti una tesi di questo Incaricato d’Affari di Francia, che è persona seria e posata. Non ne faccio oggetto di rapporto perché si tratta di confidenze avute a titolo strettamente riservato. Aggiungo che l’interlocutore si è espresso in modo molto pidubitativo e vago, di quanto

– per necessità di chiarezza e di sintesi – non apparirà nelle linee che seguono: egli ha ragionato ad alta voce mescolando evidentemente «wishful thinkings» ed incertezze.

Secondo il predetto, i russi dovrebbero ormai essersi resi conto che il riarmo di Bonn, prima o poi, è un evento inevitabile. Si sforzerebbero quindi, sopratutto, di scongiurare il peggio. Ed il peggio sarebbe per loro costituito – a suo dire – dalla CED, cioè dall’unione stretta e forse indissolubile nel campo militare, e quindi in un secondo tempo anche in quello politico, tra le potenze dell’Occidente europeo.

In altri termini, sempre secondo l’interlocutore, i russi potrebbero acconciarsi a subire una certa misura di riarmo di Bonn, ma temerebbero sopratutto il blocco franco-germanico: essi cioè sottovalutano l’aspetto positivo che la CED indubbiamente presenta (e cioè la possibilità di tenere la Germania frenata) mentre sarebbero molto sensibili all’aspetto per essi pinegativo (e cioè l’unione dell’Occidente europeo).

La continua insistenza dei russi sul tema dei vecchi trattati d’alleanza con la Francia e la Gran Bretagna – da ultimo nella nota del 24 luglio(2)– corrisponderebbe al vivo desiderio del Cremlino di mantenere effettiva nelle forme e nella sostanza una controassicurazione alle spalle della Germania. Si aggiunga che una Germania di Bonn meno strettamente legata all’Occidente, di quanto non lo sarebbe con la CED, potrebbe consentire alla Russia qualche possibilità o speranza di manovra abbastanza allettante. I dirigenti russi continuano, cioè, a ragionare soltanto nel quadro della tradizionale politica di equilibrio europeo.

L’Incaricato d’Affari non esclude che analoghe preoccupazioni, od opposte ma convergenti speranze, siano alla base dei sentimenti degli ambienti anticedisti francesi: e cioè da un lato il desiderio di mantenere viva la possibilità di fare giocare la controassicurazione russa nei confronti della Germania e, dall’altro, la speranza di non essere in un domani trascinati in eventuali contrasti tra russi e tedeschi (qui evidentemente il ragionamento perseguirebbe una speranza inversa rispetto a quella russa).

Per concludere, l’interlocutore sembra intravedere in un allentamento effettivo della CED (od in un limitato riarmo della Germania senza la CED) una coincidenza degli interessi politici attuali franco-russi: coincidenza che potrebbe rendere meno pesante l’atmosfera internazionale nel momento delicato in cui si dovrebbe operare il riarmo delle forze tedesche.

Non mi è stato possibile sapere se i russi abbiano fatto trapelare in qualche modo tale loro supposta preferenza anzi mi è stato escluso. Anch’io sono portato ad escluderlo. Per quanto concerne la posizione francese non ho elementi per giudicare, ma la tesi può essereplausibile; per quanto riguarda invece la Russia mi sembra che vi sia molto «wishful thinkings».

L’URSS è certo ostile all’integrazione militare della Germania nell’Occidente europeo. Quanto alla controassicurazione francese, anche se il Cremlino non ne sopravaluti l’efficacia, essa è pur sempre qualcosa. Ma, a prescindere da ci è assai dubbio che la Russia abbia già scontato il riarmo di Bonn, perché non è nella mentalità di questi dirigenti mettere il carro davanti ai buoi. Non credo perciò che attualmente il Cremlino sia giunto al punto di decidere le proprie preferenze tra una Germania Occidentale riarmata nella cornice della CED quale è oggi, o nella cornice di una CED allentata od al di fuori della CED. E tanto meno poi al punto di adeguarvi la propria linea di condotta. In sostanza, a mio avviso, i dirigenti russi sono oggi esclusivamente impegnati nell’escogitare i mezzi per rinviare il riarmo tedesco ed intenzionati a condurre la loro battaglia con la consueta tenacia e rigidità.

ciò non toglie che, in definitiva, una CED allentata possa qui destare minori preoccupazioni dell’attuale Trattato, anche se non lo si vorrà ammettere.

Il mio collega inglese è piuttosto di questo stesso avviso. Anch’egli però non attribuisce alla cosa una soverchia importanza, stante la pregiudiziale sovietica contro il riarmo di Bonn.

Comunque, in previsione di Bruxelles, mi è sembrato opportuno sottoporvi quanto precede per vostra notizia, ed è inutile che io vi raccomandi la stessa assoluta discrezione che mi è stata richiesta.

Credimi molto cordialmente,

tuo aff.mo

Mario

247 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

247 2 Vedi D. 243, nota 3.

248

L’INCARICATO D’AFFARI A BONN, PINNA CABONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. urgente 019. Bonn, 6 agosto 1954.

Oggetto: CED - Conferenza di Bruxelles.

Il Ministro Ophs mi ha convocato stamane all’Auswärtiges Amt e, dopo avermi fatto cenno delle aspettative che anche il Governo degli Stati Uniti ripone nella conferenza di Bruxelles del 19 e 20 corrente, mi ha pregato di rappresentare a codesto Ministero la speranza del Governo tedesco che a Bruxelles l’azione della delegazione italiana si informi al principio di non accettare modifiche al trattato CED che possano comportare un ritorno del testo ai Parlamenti. Egli ha tenuto a sottolineare che su questo punto esisterebbe una assoluta uniformità di vedute fra il Governo federale e i Governi del Benelux che sarebbero decisi a non discostarsi da tale linea di condotta.

Ophs si è mostrato fiducioso che l’Italia per parte sua, pur non avendo ancora esaurito la procedura di ratifica, potrà eventualmente far valere, per sostenere l’inopportunità di sostanziali modifiche, anche il fatto che il testo attuale ha già ottenuto l’approvazione delle Commissioni della Camera(2).

248 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

248 2 Questa comunicazione giunse all’Ufficio I della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale soltanto il 21 agosto. Per il seguito vedi il colloquio Babuscio Rizzo-Hallstein al D. 255.

249

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 3387/1638(2). Bruxelles, 9 agosto 1954.

Signor Ministro,

nell’imminenza della Sua venuta a Bruxelles credo utile riassumere qui appresso taluni argomenti, sia per rammentare gli atteggiamenti di questo Governo rispetto ai problemi della Conferenza, sia per indicare alcune questioni pistrettamente belgo-italiane che potrebbero formare oggetto di suoi accenni al Primo Ministro Van Acker o al Ministro Spaak.

1) CED. Mi riservo di riferire con maggior dettaglio non appena saranno note le proposte del signor Mendès-France. Frattanto, basterà ricordare che il Belgio (il quale ha già approvato a maggioranza di circa due terzi il Trattato di Difesa) ritiene che la CED sia indispensabile a) per frenare il riarmo tedesco autonomo; b) per gettare un ponte fra Francia e Germania che abolisca quella rivalità di cui esso ha per due volte tanto sofferto; c) per inserire in parità pigiuridica che di fatto, questo piccolo paese in una Comunità di nazioni tanto pigrandi; d) quale indispensabile presupposto per il caso di trattative serie con l’URSS. Sulla eventualità di esaminare la convenienza di mantenere in sospeso l’applicazione della CED quale arma di un possibile negoziato, non ho elementi sufficienti (salvo un accenno di Spaak che ebbi già a segnalare e che denotava un certo ammorbidimento rispetto alla posizione assolutamente negativa di van Zeeland) per esprimermi circa un atteggiamento preciso al riguardo da parte di questo Governo.

Da quanto precede, deriva l’insistenza belga affinché la Francia, ed ovviamente l’Italia, approvino il Trattato così come sta o perché nessuna modificazione venga apportata alle clausole di sostanza, in particolar modo riguardanti il contenuto supernazionale del Trattato stesso. Tuttavia, poiché così com’è il Trattato sarebbe certamente respinto dalla Francia, il Belgio è pronto ad accettare che dei protocolli aggiuntivi od interpretativi vengano conclusi, purché essi vertano sul «timing» dell’integrazione militare o sulla durata tanto del trattato in se stesso quanto e sopratutto del periodo interimario, e purché le modificazioni non necessitino un nuovo voto parlamentare.

Di modo che, nel duello franco-tedesco il quale tutto sommato formerà il nocciolo della Conferenza, Spaak è disposto (come già fece per la Saar) a giuocare la parte di mediatore, assumendo una posizione intermedia che non dovrebbe urtare i nostri interessi, ed alla quale anzi non dovrebbe essere difficile di accostarci. La nostra posizione di partenza si avvicinerà dunque pia quella belga che non a quella francese.

2) Comunità europea. Il Primo Ministro Van Acker vede l’Europa in un senso confederalista; Spaak in senso federalista. Ambidue tuttavia – poiché cicorrisponde sostanzialmente agli interessi vitali del Belgio – sono pronti a considerare la CED non tanto come fine a se stessa, bensì come scalino verso un processo integrativo ulteriore. La nostra posizione, per quanto analoga, è maggiormente oltranzista – a meno che non avessimo nel frattempo cambiato parere. L’interesse belga è prevalentemente economico, ed in questo settore non sempre coincide esattamente col nostro. Dal punto di vista politico, il Belgio desidera che nell’Europa futura vi sia, tanto un diritto di recesso quanto un equilibrio istituzionale e pratico che impedisca ai paesi grandi di sopraffare i minori.

Sembra che questo dovrebbe essere anche il nostro interesse. Non si vede perché il nostro paese non possa, schierandosi alla testa dei paesi minori, assumerne per così dire le difese e divenire il tutelatore della loro indiretta indipendenza nell’ambito della nuova comunità. Per contro, dal punto di vista economico è nostro interesse dire al Belgio, e ben chiaro, che in tale campo i mezzi termini non sarebbero da noi ammessi e che non riteniamo si possa procedere né per settori verticali

né senza una progressione eguale in tutti quelli che, uniti insieme, compongono l’economia di ogni nazione e pertanto l’economia futura della stessa Comunità. Cimalgrado, è probabile che anche nel campo della integrazione europea noi ci verremo a trovare pivicini al Belgio che alla Francia.

***

Passo adesso ai rapporti diretti italo-belgi.

1) Relazioni economiche. L’accordo relativo è stato firmato il 10 luglio e, malgrado i lodevoli sforzi della nostra Delegazione, rappresenta una mediocre difesa dei nostri interessi. La Commissione mista dovrà rivedersi entro l’autunno. Ritengo che converrebbe dire chiaramente che se «pro bono pacis» abbiamo accettato in luglio di non disturbare le promesse elettorali del nuovo Gabinetto, non siamo disposti a fare altrettanto in ottobre. Non è ammissibile che, mentre l’esportazione belga rimane totalmente libera verso l’Italia, la nostra esportazione agricola sia astretta alle pastoie di calendari stagionali che equivalgono in certi casi a veri divieti: e ci nel mentre la nostra bilancia commerciale peggiora costantemente, anche nei riguardi del Belgio stesso.

2) Situazione dei nostri minatori. Nel complesso è buona. La questione della sicurezza è leggermente migliorata in quest’anno (siamo a 31 caduti al 31 luglio contro 57 nel corrispondente periodo dello scorso anno). Credo convenga dimostrare ai governanti belgi che siamo rimasti sensibili alla nomina della Commissione d’inchiesta belgo-italiana (merito del Gabinetto precedente); ma che ci aspettiamo, in questa stretta finale, che essa non abbia a deludere nei risultati: poiché se ciavvenisse, ne risulterebbe un inevitabile ritorno di fiamma nell’opposizione italiana e forse una ripresa della campagna di stampa da cui i belgi furono così colpiti lo scorso anno.

Intanto, con la crisi di sovraproduzione del carbone, da oltre 12 mesi non arriva nessun nuovo minatore, e la situazione tende a stabilizzarsi anche per l’avvenire sui

43.000 attuali (150 mila con le famiglie). Occorre chiedere ai Belgi che, nonostante la campagna del Gabinetto socialista-liberale, nessuna difficoltà venga frapposta a coloro dei nostri, i quali avendo compiuti i 5 anni di miniera intendono stabilirsi qui ricercando una qualsiasi occupazione. A parte che cicorrisponde agli impegni presi negli Accordi, cicollima anche con un principio di giustizia, nel senso di non pretendere di condannare alla catena di un lavoro bestiale chi ha la possibilità di affrancarsene.

3) Alloggi. Il presente Gabinetto ha in mente una campagna di costruzione di alloggi per minatori: e sono certo che qualche cosa farà. Credo che lo si possa elogiare per questo suo intendimento e chiedere in pari tempo che gli alloggi vengano man mano assegnati tenendo conto sia del numero dei componenti la famiglia, sia del fatto che uno straniero sposato, soltanto se è provvisto di un alloggio puvenir raggiunto dalla propria famiglia. È una questione di moralità, non solamente da un punto di vista cristiano ma anche sociale, nell’interesse belga stesso, per evitare l’aumento delle «filles mères», le quali ovviamente sono in grande prevalenza di nazionalità belga.

4) Carta d’identità. I nostri sono sottoposti al pagamento di una tassa annua – di circa 600 fr. b. – che è oggetto di lamentele vivissime da parte loro. Sulla base del Patto di Bruxelles, i cittadini britannici, francesi e olandesi ne sono esenti. Ogni sforzo sinora fatto per ottenere ugual trattamento agli italiani è stato vano, perché l’erario belga verrebbe a perdere circa 30 milioni di franchi annui.

La nostra insistenza dovrebbe fondarsi sulla considerazione dell’uguaglianza di trattamento anzitutto, e sulla constatazione che i nostri minatori non sono venuti qui per iniziativa autonoma ed alla ventura, bensì chiamati dai belgi i quali, senza di essi, non avrebbero mai potuto riprendere, né oggi mantenere, l’estrazione del carbone.

So perfettamente che è improbabile che Vostra Eccellenza possa aver occasione di discutere tali questioni, e temo anzi che possa parere futile l’accoppiamento di esse alle altre tanto più vaste e gravi. Ma ritengo che avrei mancato ad un dovere se, pur nella pilontana eventualità pratica, avessi tralasciato di segnalarle, anche a motivo del carattere e contenuto umano che esse rivestono.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

249 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

249 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Visto dal Ministro» e la sigla di Zoppi.

250

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto 21/2085. Roma, [...] agosto 1954(2).

CONFERENZA A BRUXELLES PER LA COMUNITÀ EUROPEA DI DIFESA (19 agosto 1954)

1. La riunione che si terrà a Bruxelles il 19 agosto p.v. ha la sua origine, come è noto, in una iniziativa che il Ministro Spaak prese il 23 giugno scorso, pochi giorni dopo cioè la formazione in Francia del Governo Mendès-France; preoccupato dall’atteggiamento di tale Governo di fronte alla CED, il Governo belga – a nome anche degli altri Paesi del Benelux, i quali ne condividevano le preoccupazioni – rivolse ai Ministri degli Esteri degli Stati firmatari del Trattato CED l’invito di recarsi a Bruxelles per sentire da Mendès-France quali erano le sue vere intenzioni nei riguardi della CED.

Difatti le dichiarazioni al riguardo fatte da Mendès-France al momento della sua investitura erano state volutamente vaghe. Successivamente egli aveva designato due suoi Ministri, Koenig e Bourgès- Manoury, avversario il primo e fautore il secondo della CED, affinché cercassero di trovare un accordo su un testo comune, col che sembrava rimettere in causa l’intero Trattato. Tutto ciò giustificava le più vive perplessità e preoccupazioni, specie nei Paesi che avevano completato la procedura di ratifica parlamentare.

Sono noti i successivi sviluppi. L’iniziativa di Spaak aveva in partenza il pieno appoggio della Repubblica Federale Tedesca. Il Governo italiano dal canto suo aderì all’invito. Quello francese invece considerl’iniziativa inopportuna ed intempestiva. Ai fini della chiarificazione della situazione così creatasi Mendès-France invitSpaak a recarsi a Parigi (30 giugno): in questo incontro il Governo francese accettil principio della riunione ma ne chiese il rinvio a metà agosto, dopo la soluzione del problema indocinese e della questione economica. Ed effettivamente è a sua richiesta che è stata fissa ora la data del 19.

Va notato che col passare delle settimane le posizioni si sono venute modificando e la riunione può dirsi abbia mutato carattere. L’iniziativa di Spaak era intesa sovratutto a mettere il Governo francese di fronte alle sue responsabilità e a dargli la netta sensazione che esso non poteva considerarsi libero di disporre a suo beneplacito degli accordi CED: e sembra che essa, pur non realizzandosi, abbia almeno in parte raggiunto il suo scopo esercitando al momento opportuno la sua influenza psicologica sugli ambienti governativi francesi. La Conferenza del 19 si presenta invece come una riunione nella quale i Governi del Benelux, dell’Italia e della Germania si preparano a ricevere, in uno stato di spirito più disteso e picomprensivo della situazione francese, alcune proposte di modifiche degli accordi CED. In un certo senso può dirsi che il principio di accettare qualche nuova richiesta francese onde facilitare la posizione del Governo Mendès-France ai fini della ratifica, appare già accolto: restano le riserve degli altri cinque Governi che le richieste non siano tali da modificare sostanzialmente il Trattato e da richiedere nuove votazioni da parte dei Parlamenti che già hanno ratificato.

2. Quali saranno queste richieste? Secondo quanto ci risulta, i testi proposti da parte francese non verranno portati a conoscenza degli altri cinque Governi prima del 14 corrente, essendo attualmente ancora in fase di elaborazione. Qualche elemento pucomunque tentare di desumersi da quanto è risultato nei colloqui avuti a Parigi a fine luglio dall’On. Benvenuti nonché dalle informazioni pervenute dalla nostra Ambasciata in Parigi e dalla Delegazione presso la CED(3).

Il confronto Koenig-Bourgès Maunoury non sembra abbia consentito di raggiungere risultati decisivi pur avendo portato, a quanto risulta, alla compilazione di numeroso materiale riassumente su ciascun articolo del Trattato gli argomenti addotti pro e contro. Le decisioni verranno dunque prese, in base al suo apprezzamento politico delle posizioni parlamentari in Francia e della situazione generale internazionale, dallo stesso Presidente e dal suo piimmediato «entourage»; e, al riguardo, non può non destare preoccupazione il fatto che di quest’ultimo facciano parte noti elementi di ispirazione neutralista, i quali settimanalmente attraverso il loro portavoce l’«Express», manifestano opinioni in materia che sono ben lungi dall’essere ortodosse.

Le notizie, per quanto vaghe ed imprecise, in nostro possesso circa l’atteggiamento francese indicherebbero un orientamento inteso principalmente a raggiungere un’attenuazione degli aspetti sopranazionali del Trattato e una gradualità nell’applicazione delTrattato stesso. È evidente quanto tanto l’una quanto l’altra impostazione siano elastiche. più in dettaglio, si è sentito parlare sovratutto delle seguenti possibili richieste francesi:

a) periodo transitorio. L’attuale trattato non prevede uno specifico periodo transitorio: numerose norme, per adattare la situazione di diritto a quello che sarà evidentemente il progressivo evolversi della situazione di fatto, prevedono in vari casi per un certo periodo di tempo (variabile da caso a caso) situazioni provvisorie(4). Sarebbe intenzione francese chiedere modificazioni relative alla durata ed alla sostanza di alcune di tali situazioni provvisorie nell’intento di ridurre gli impegni da attuarsi con carattere di immediatezza e di posporre l’attuazione delle decisioni più impegnative;

b) adozione dell’unanimità come criterio generale delle decisioni in seno al Consiglio dei Ministri nazionale. Al riguardo è da osservare che già sin da ora tutte le principali decisioni del Consiglio vengono prese all’unanimità e non sono molte quelle che possono venir prese a maggioranza semplice o qualificata;

c) modifiche relative al Commissariato. Si parla al riguardo sia di adozione di determinate maggioranze (se non addirittura di unanimità) per le sue decisioni, modificando così l’articolo 24 del Trattato, sia di attenuazioni, sia pur provvisorie, delle sue attribuzioni. Va ricordato al riguardo che il Commissariato è l’organo eminentemente sopranazionale della Comunità;

d) riduzione da 50 a 20 anni della durata del Trattato;

e) limitare in un primo periodo l’obbligo di integrazione in corpi d’armata di differenti nazionalità, alle sole divisioni stazionanti in zona di frontiera (tutte quindi quelle tedesche, ma delle francesi solo quelle dislocate in Germania).

Per concludere questo breve apprezzamento sul probabile atteggiamento francese, è doveroso rilevare che, stando alle più recenti comunicazioni pervenute dalla nostra Ambasciata e dalla Delegazione CED, negli ambienti interessati di Parigi si è inclini a ritenere, malgrado il riserbo che circonda le intenzioni di Mendès-France, che le convinzioni personali di quest’ultimo stiano evolvendo in senso favorevole al Trattato. Egli già sconterebbe le dimissioni di Koenig e penserebbe all’ingresso dei socialisti nel Governo e ad un accordo con il MRP.

Mendès-France si è comunque dimostrato politico troppo abile e spregiudicato perché possa pensarsi che egli non apprezzi e rinunzi senz’altro a sfruttare appieno tutte le possibilità della situazione francese in relazione al significato ed all’importanza che la posizione CED è venuta sempre piassumendo per la politica occidentale ed alla pratica impossibilità di giungere, per altre vie, senza gravi squilibri nel mondo occidentale, alla restituzione della sovranità alla Germania occidentale ed al suo riarmo, obbiettivi fondamentali della politica americana in Europa. Mendès-France sa che, nella decisione se accettare o meno le richieste francesi, i suoi partners nella Conferenza finiranno in ultima istanza per tener conto pidella valutazione generale politica della situazione che della portata e del significato tecnico delle richieste stesse. E la forza di questa considerazione potrebbe facilitare i francesi nell’avanzare richieste tali da superare quei limiti moderati oltre i quali si inciderebbe sulla viva sostanza del Trattato.

3. Circa l’orientamento degli altri Paesi nei riguardi dell’atteggiamento francese, può dirsi quanto segue: la impostazione tedesca è che non si sarebbe contrari all’esame di eventuali emendamenti agli accordi vigenti ma cisolo a ratifica avvenuta del Trattato così come è. Ciè stato tra l’altro detto esplicitamente da Adenauer al Ministro Martino e all’Ambasciatore Babuscio Rizzo nel corso di un colloquio il 30 giugno scorso(5). È una posizione che lascia evidentemente aperta la porta alla possibilità che a Bruxelles vengano presi impegni generali di ordine politico per qualche modifica – di tempo e di sostanza – da attuarsi nell’applicazione del Trattato.

Da parte del Benelux nello scorso giugno si insisteva particolarmente sulla intangibilità degli aspetti sopranazionali del Trattato, con particolare riguardo agli organi che di tale sopranazionalità sono l’espressione. E Spaak sottolinepivolte che non è possibile rimettere in causa i termini vitali ed essenziali del Trattato. Vi sono alcuni indizi che col passare delle settimane l’atteggiamento di Spaak abbia perso qualche po’ del suo mordente e si sia venuto aprendo al compromesso. Certo resta perla viva preoccupazione dei tre Governi – come anche del resto del Governo tedesco – che le modifiche non abbiano ad essere tali da richiedere una nuova presa di posizione dei relativi Parlamenti: posizione questa che non si vede in effetti come essi potrebbero accettare.

Il punto di vista degli Stati Uniti, infine, è che il Trattato debba venire ratificato così come è, e che le richieste di modifiche, se suscettibili di portare ritardi ed intralci, sono inopportune. Peraltro è un punto di vista esposto con una certa prudenza e senza molta forza impegnativa; l’attuale direttiva americana sembra infatti volere evitare di apparire di interferire in questa fase degli sviluppi CED. Del resto evidentemente gli americani guardano al fine, al loro fine, e non al mezzo: sì che la loro posizione potrebbe evolversi in appoggio alle modifiche ove queste, accettate dalla maggioranza dei partners, tra cui la Germania, venissero da altri ostacolate.

4. Per quel che riguarda l’atteggiamento italiano, è noto come fin dall’inizio la nostra adesione alla CED fu caratterizzata da una netta impostazione europeista: la Comunità, fu detto chiaramente, ci interessava sopratutto in quanto, per la soluzione che apportava ad alcuni problemi europei e per le forme istituzionali che assumeva, veniva a costituire un passo di importanza fondamentale per i futuri sviluppi della integrazione europea. Quando accettammo nell’aprile 1953 i Protocolli aggiuntivi richiesti da parte francese questa nostra impostazione fu ancora una volta nettamente ribadita. La posizione del Benelux, a difesa degli aspetti sopranazionali della Comunità, è dunque del tutto corrispondente alla nostra impostazione. Peraltro naturalmente il nostro atteggiamento in sede di Conferenza non potrà per forza di cose non tener conto di tutti gli altri fattori del problema, quelli cioè inerenti alla situazione internazionale, alla posizione del Governo Mendès-France e all’atteggiamento che terranno gli altri quattro Paesi, e in particolar modo la Repubblica Tedesca. Ulteriori precisazioni al riguardo dovrebbero venire elaborate dopo che saranno noti i testi francesi, nel corso della riunione preparatoria indetta per il 17 p.v. a Palazzo Chigi(6).

Un altro aspetto dell’intervento italiano in sede di Conferenza sarà quello relativo al nostro procedimento di ratifica; è prevedibile infatti che alcune nostre dichiarazioni al riguardo si rendano necessarie, a richiesta degli altri partners, o comunque opportune. Le recenti votazioni in sede di Commissioni Parlamentari(7)sono un elemento che evidentemente sottolineeremo in modo particolare; ma non è da escludere la necessità di qualche maggiore precisazione circa la durata del procedimento parlamentare; ed evidentemente la più favorevole impressione verrebbe destata se potesse comunicarsi che il Governo italiano considera la probabilità di adoperarsi per accelerare il procedimento stesso sia nella discussione in aula, alla Camera, sia nell’«iter» da iniziarsi al Senato. Anche questo aspetto converrebbe fosse esaminato nella riunione preparatoria.

250 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 1.

250 2 Documento privo di data da collocare, sulla base del protocollo, tra il 9 ed il 10 agosto.

250 3 Vedi DD. 243 e 244.

250 4 Nota del documento «Citiamo il caso delle operazioni di costituzione dell’organizzazione militare CED (artt. 6 e 10 del Protocollo militare); quello della valutazione forfettaria dei contributi ai fini della ponderazione in seno al Consiglio (art. 43 bis); quello dei primi bilanci (art. 87 bis); quello del sistema di promozione degli ufficiali (art. 31); quello del sistema giurisdizionale provvisorio (art. 61 bis e artt. 20 a 30 del Protocollo Giurisdizionale; quello dell’approvazione dei primi contratti della Comunità (art. 104 bis)».

250 5 In realtà del 29 giugno: vedi D. 220.

250 6 Vedi D. 266, nota 3.

250 7 L’ultima a votare fu la Commissione Esteri dopo il parere favorevole espresso in precedenza dalle altre Commissioni interpellate (Finanze, Difesa e Giustizia): Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura II, Resoconto Sommario e Bollettino delle Commissioni, seduta antimeridiana del 31 luglio 1954, pp. 12-13.

251

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 3346/1801. Londra, 10 agosto 1954.

Oggetto: Progetti francesi per la CED.

Non sembra che al Foreign Office si sappia ancora quale sarà l’atteggiamento francese nei riguardi della CED. Il Sottosegretario Roberts, col quale ho discusso ieri l’argomento, si augurava che questo week-end fosse stato altrettanto proficuo per la CED di quello che lo erano stati i precedenti week-ends per gli altri problemi esaminati dal Presidente del Consiglio francese.

Premettendo che egli manifestava unicamente delle impressioni personali, non suffragate da concreti elementi di giudizio, Roberts esprimeva l’avviso che la revisione del trattato di Parigi, di cui Mendès-France si accingeva a farsi promotore, sarebbe stata abbastanza sostanziale, colpendo sopratutto il carattere supernazionale della CED. Naturalmente vi erano molti modi di fare questo ed era difficile dire, nel progetto di Mendès-France, quanta parte sarebbe salvata della formula europea: ma comunque questo, a parere di Roberts, era il punto centrale della questione.

Il Sottosegretario pensava che gli altri cinque Ministri degli Esteri avrebbero finito per venire incontro alle eventuali richieste di Mendès-France, dato l’interesse comune di uscire dall’attuale punto morto in cui la CED si era cacciata. Era sua impressione che persino Spaak – il quale non può certo essere accusato di freddezza nei riguardi dei piani di unione europea – non avrebbe messo in difficoltà Mendès-France nella prossima conferenza a sei, pur di giungere finalmente a una soluzione del vessato problema difensivo.

Quanto al punto di vista inglese, è ovvio che Londra vedrebbe senza rammarico una attenuazione del carattere supernazionale della CED. Ma quello che conta per i britannici è che al riarmo tedesco si giunga al più presto, tanto meglio se in un sistema che rappresenti un freno per la Germania. Roberts quindi mi diceva che il Foreign Office guardava con molta speranza allo sforzo di Mendès-France e intendeva dargli tutto l’appoggio necessario. Consigli sono stati fatti pervenire a Parigi di comunicare al più presto i nuovi suggerimenti francesi ai cinque Ministri degli Esteri in modo che questi possano opportunamente esaminarli prima che si riunisca la conferenza di Bruxelles.

Circa le note sovietiche sulla sicurezza europea(2), il Sottosegretario al Foreign Office mi ha confermato che le conversazioni anglo-franco-americane procedono senza difficoltà. La seconda comunicazione(3), che ha preso la forma più diun memorandum che di una nota, non conteneva alcun nuovo elemento suscettibile di creare imbarazzi agli alleati. I francesi del resto marciano in perfetto accordo e sono assolutamente decisi a non lasciarsi adescare da proposte di conversazioni con i sovietici se prima non è stato affrontato e risolto il problema della CED.

Roberts spiegava lo scarso mordente delle due comunicazioni russe col fatto che Mosca – per strano che possa apparire – è convinta della forza e della bontà del suo progetto di sicurezza europea: ed è quindi anche convinta che, a più o meno lunga scadenza, tale progetto è destinato a fare breccia sull’opinione pubblica francese. Il Sottosegretario naturalmente non si nascondeva che le opinioni pubbliche occidentali – e non soltanto quella francese – avrebbero potuto essere ben altrimenti sensibili a mosse sovietiche le quali avessero maggiormente l’apparenza di recare un contributo positivo al problema tedesco: e questo era il pericolo. Fortunatamente esso non si era per il momento presentato. Secondo Roberts ciera appunto dovuto ad un errore di valutazione sovietica sull’efficacia del proprio progetto di sicurezza europea.

251 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

251 2 Vedi D. 243, nota 3.

251 3 Del 4 agosto. Proposta sovietica di un incontro a 4 per preparare la conferenza sulla sicurezza menzionata nella nota del 24 luglio: vedi FRUS, 1952-1954, Germany and Austria, Vol. VII, Part 1, D. 531.

252

L’AMBASCIATORE A MOSCA, DI STEFANO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 2701/1191(2). Mosca, 11 agosto 1954.

Oggetto: L’URSS e la CED.

Riferimenti: Mio rapporto n. 1159/490 dell’11 aprile u.s. ed altro carteggio.

Ho avuto occasione di esprimere ripetutamente il mio avviso sulla consistenza effettiva della politica estera del Cremlino volta ad impedire la costituzione della CED ed il riarmo tedesco occidentale. Gli avvenimenti delle ultime settimane mi confermano nell’opinione già manifestata. Tuttavia, alla vigilia del Convegno di Bruxelles, può non essere superfluo rifare il punto della situazione, brevemente e senza ritornare sulle precedenti analisi più dettagliate:

1) L’URSS è, a mio parere, ostile ad un riarmo, ancorché controllato e limitato, della Germania di Bonn con qualsiasi veste od addentellato puramente occidentale: si tratti cioè di CED quale è oggi, od in una forma più allentata, od in connessione con la NATO, o di un futuro riarmo più o meno autonomo concordato cogli Stati Uniti.

2) Non mi sembra quindi realistico cercare di stabilire oggi una gradazione tra i modi e le forme di un eventuale riarmo della Germania Occidentale in un’eventuale CED allentata, col proposito di spiacer meno al Cremlino.

3) Mosca, intanto, non si acconcia affatto a dar per scontato un riarmo della Germania Occidentale quali siano per essere le modalità. Qui evidentemente sperano, e mi auguro che s’illudano, di riuscire a rinviare l’eventualità o il momento di tale riarmo, grazie alla situazione nel Parlamento francese, all’azione dei loro simpatizzanti e dei loro accoliti in Francia ed in Italia e grazie agli ondeggiamenti di vari uomini politici occidentali.

4) La battaglia contro la CED viene e verrà perseguita frontalmente e brutalmente. A noi pusembrare che se i russi la conducessero con maggiore sottigliezza o con maggiori risorse e più allettanti iniziative diplomatiche, essa potrebbe essere piefficace. È probabile che così sarebbe ma occorre non dimenticare che il Cremlino non si sottrae, e non pusottrarsi, alla fatalità storica che deforma e paralizza la politica estera di qualsiasi dittatura. Sarebbe, credo, un errore ritenere che il Cremlino sia sempre pifurbo di quanto non appaia e che i suoi punti di vista, quali ribaditi quotidianamente e monotonamente nella stampa, siano sempre velati da falsi scopi. In realtà la politica estera del Cremlino è alle volte assai elementare e tra convinzione e propaganda non vi è sempre un grande divario.

Nel caso specifico della CED o comunque del riarmo di Bonn, la stampa sovietica, con ritmo crescente, da molti mesi, ma specie in queste ultime settimane, va proclamando che i popoli dell’Occidente e gran parte dei suoi uomini politici vi sono nettamente contrari. Le facciate della «Pravda» e degli altri giornali sovietici si dedicano a dar rilievo a tutte le pur minime manifestazioni o dichiarazioni od articoli che in Occidente si pronunciano contro la suddetta eventualità e che evidentemente i diplomatici russi ed i corrispondenti della TASS si affrettano a «montare» nei loro dispacci per porsi a Mosca in buona luce. A leggere questa stampa, si ha l’impressione che l’Occidente viva nella sua grande totalità nel terrore della Germania e che isolati siano i sostenitori della CED. Raramente è stata orchestrata una campagna diretta all’interno ed all’estero di tanta mole.

Non escluderei che, in definitiva, gli stessi dirigenti sovietici rimangano in certo qual modo prigionieri delle proprie formule e finiscano per esser alquanto succubi della loro stessa propaganda, così come avvenne a suo tempo anche da noi ed in Germania.

Sicché è pure possibile che i dirigenti del Cremlino ritengano l’eventualità di un’approvazione della CED ancora piardua di quanto essa sia. Il che pucontribuire a render tanto poco duttile la loro politica contro un evento, le cui conseguenze, secondo la loro propaganda, sarebbero, a più o meno breve scadenza, catastrofiche.

5) L’iniziativa anti CED della diplomazia sovietica, mediante la Nota del 24 luglio(3), era attesa da tempo, come già ripetutamente riferito. In realtà la mossa era stata congegnata con minore efficacia di quanto si poteva pensare, per il nulla di nuovo contenuto nella Nota e per il fatto che essa, non fissando neanche una data, si prestava ad una risposta dilatoria. Di fronte a queste reazioni occidentali, è sopraggiunta la successiva dichiarazione del 4 agosto(4), che sarebbe stata certo piatta agli scopi sovietici di disturbo della CED se inviata il 24 luglio in luogo della precedente Nota grossolana, il cui danno non poteva ormai piriparare sul terreno diplomatico.

6) Il quesito principale che le Ambasciate occidentali di Mosca si pongono è ora il seguente: qualora le scadenze della CED rimarranno quelle che sembrano essere state recentemente fissate e, qualora tutto proceda normalmente prima al Consiglio dei Ministri di Francia, poi a Bruxelles e quindi al Parlamento francese, quale sarà la reazione sovietica?

Cercher per parte mia, di rispondere semplicemente e colla possibile chiarezza.

Gli occidentali escludono, in primo luogo, ed io condivido l’impressione comune, che la Russia possa giungere ad azioni implicanti un vero e proprio pericolo a breve scadenza. Mosca non considererà la partita chiusa fino a quando non sarà entrato in funzione il Trattato. Essa intensificherà ogni possibile azione esterna ed interna per cercare di impedire le ratifiche risolutive. Farà probabilmente ricorso alternato a lusinghe e pressioni specialmente nei confronti dell’ultimo Paese che non avesse ancora approvato definitivamente il Trattato ed, in pari tempo, è possibile che il tono della diplomazia e della propaganda sovietiche si faccia piminaccioso contro la CED, confidando negli effetti psicologici. Non rinunzierà, inoltre, a nuove manovre ed iniziative sul terreno diplomatico, forse più allettanti di quelle sin qui fatte.

Quando infine Mosca si trovasse colle spalle al muro e vedesse cadere le sue tenaci illusioni, potrebbe presentarsi l’alternativa seguente:

- od una pausa nella politica di distensione nei confronti dei Paesi della CED, sostituita da una serie di disturbi e da un irrigidimento della situazione tra le due Germanie ed a Berlino nonché in Austria;

- oppure, anche, essa potrebbe forse decidersi a compiere altre mosse diplomatiche, trattandosi perprobabilmente di offerte limitate e fatte a denti stretti.

Sarebbe da escludere, infatti, che salvo eccezionali avvenimenti e pressanti necessità, l’URSS possa indursi ad un brusco capovolgimento della sua politica in Germania Orientale od a concessioni territoriali per quanto concerne le sue posizioni centro-europee. Cianche per motivi di politica interna: poco vi è da dubitare che, rebus sic stantibus, ad un abbandono del governo di Pankov si opporrebbe il partito comunista dell’URSS per ovvi motivi ideologici, mentre ritirate territoriali desterebbero un vivo malcontento dell’esercito e degli elementi nazionalisti russi. Non parrebbe che il governo Malenkov voglia e possa correre tali alee nei prossimi tempi.

252 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

252 2 Sottoscrizione autografa.

252 3 Vedi D. 243, nota 3.

252 4 Vedi D. 251, nota 3.

253

[LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I](1)

Appunto. Roma, 14 agosto 1954.

POSIZIONE DELLA FUTURA GERMANIA RIUNIFICATA DI FRONTE ALLA CED

1. Nel corso della conferenza di Berlino (febbraio 1954)(2) i Ministri degli Esteri di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti si espressero ripetutamente e chiaramente nel senso che la Germania riunificata sarà libera di assumere o meno gli impegni internazionali contratti sia dalla Repubblica Federale sia dalla Repubblica Popolare.

Furono dapprima Bidault ed Eden a fare dichiarazioni generali al riguardo (allegato 1)(3); poi il principio venne incluso nel cosidetto «piano Eden» per la riunificazione della Germania (allegato 2).

Molotov portla questione sul piano concreto degli accordi di Bonn e di Parigi (allegato 3), sostenendo che essi vincolano il Governo di Bonn a non acconsentire ad alcuna unificazione della Germania che non contempli l’integrazione di una Germania unificata nella CED, e citando a sostegno della sua tesi l’art. 7 degli accordi di Bonn, l’art. 128 del Trattato CED, e la dichiarazione tripartita degli Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna del 27.5.1952 (allegato n. 4).

In risposta prima Dulles e poi, con maggiore precisione e confutando gli argomenti relativi ai citati articoli 7 e 128, Bidault confermarono la tesi occidentale (allegato 5), «Ho affermato e ripeto – disse Bidault – che una Germania riunificata non dovrebbe e non potrebbe essere obbligata da impegni politici conclusi sia dalla Repubblica Federale sia dalla Repubblica Popolare: questa è una norma assoluta del diritto internazionale».

Sulla questione infine si espresse anche, definendola peraltro accademica, il Cancelliere Adenauer commentando i risultati della Conferenza di Berlino (allegato 6).

2. In realtà la questione è di carattere squisitamente politico e gli aspetti giuridici hanno scarsa rilevanza. Qualunque fosse il loro reale pensiero, evidentemente i Ministri occidentali non potevano in sede di Conferenza di Berlino sostenere altro principio di quello della libertà di determinazione del Governo pantedesco: il contrario avrebbe significato riconoscere che la CED si poneva come condizione della riunificazione della Germania e quindi come ostacolo alla soluzione del problema tedesco, col che si sarebbe fatto il giuoco dell’URSS.

Eguali considerazioni di carattere squisitamente politico – e non giuridico – determinerebbero in ogni caso, senza dubbio, l’atteggiamento dei vari paesi quando concretamente l’ipotesi della riunificazione si verificasse ed il Governo pantedesco esercitasse nei riguardi della CED la riconosciutagli libertà di scelta.

3. Il giorno che, per ipotesi, la Germania riunificata decidesse eventualmente di non confermare la sua adesione agli accordi CED, ove questi fossero già in vigore ed in base ad essi si trovassero già costituite un certo numero di divisioni tedesche, si tratterebbe evidentemente di una svolta della politica tedesca nei confronti dell’occidente di tale portata e gravità da richiedere per gli Stati occidentali decisioni di alta portata politica, la cui possibilità di attuazione sarebbe naturalmente in funzione sovratutto della situazione generale e dei rapporti di forza esistenti a quel momento tre le Nazioni.

Dal punto di vista del diritto basta quindi oggi rilevare che l’art. 7 degli Accordi di Bonn consente alle potenze occidentali di non riconoscere ad una Germania unificata che respingesse gli impegni CED i vantaggi ottenuti in base agli accordi di Bonn e di Parigi: cisignifica che dette Potenze possono in tale ipotesi non riconoscere più il nuovo statuto internazionale concesso con gli Accordi di Bonn e possono imporre l’immediato scioglimento delle forze armate CED di origine tedesca, riportando – per quanto li riguarda – la Germania allo statuto di occupazione ed allo stato di disarmo totale. È interessante leggere al riguardo la risposta data dal Ministro degli Esteri francese ad una interrogazione scritta in proposito dal deputato Félix Gouin (allegato 7).

In tal modo verrebbe ricostituito lo stato di cose esistente attualmente e la soluzione di tutta la questione tedesca sarebbe rinviata in blocco alle decisioni da prendere in sede di Trattato di pace, il quale resta la sola tappa decisiva e finale del problema stesso.

Resta da esaminare l’altra ipotesi: che cioè la Germania riunificata accetti gli accordi CED. Va solo precisato al riguardo, dal punto di vista giuridico, che il Trattato non prevede espressamente tale situazione e che eventuali revisioni ed adattamenti interessanti la Germania dovrebbero avvenire attraverso la procedura di emendamento prevista dall’art. 126 del Trattato stesso.

253 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

253 2 Sull’argomento vedi DD. 95, 97, 116, 117 e 119.

253 3 Non si pubblicano gli allegati contenenti brani estrapolati da discorsi ufficiali e accordi internazionali: Allegato 1: «Dal discorso di apertura della Conferenza di Berlino, pronunziato il 25 febbraio 1954 dal Ministro Bidault» e «Dal discorso pronunziato il 25 febbraio 1954 dal Ministro Eden»; Allegato 2: «Dal discorso con il quale il Ministro Eden ha presentato il 29 gennaio il suo progetto per la riunificazionedella Germania» e «Dal testo del “piano Eden”»; Allegato 3: «Dal discorso del Ministro Molotov del 3 febbraio»; Allegato 4: «Art. 7 della “Convenzione sulle relazioni fra le tre Potenze e la Repubblica Federale Tedesca”», «Art. 128 del Trattato CED», «Estratto della dichiarazione tripartita del 27 maggio 1952»; Allegato 5: «Dalla risposta del Ministro Dulles al discorso di Molotov 3 febbraio», «Dalla dichiarazione in data 4 febbraio del Ministro Bidault»; Allegato 6: «Dalle dichiarazioni del Cancelliere Adenauer, in conferenza stampa a Bonn, 19 febbraio»; Allegato 7: Richiesta di spiegazione avanzata dal deputato Félix Gouin al Ministro degli Esteri in occasione del procedimento parlamentare di ratifica davanti all’Assemblea», «Risposta scritta del Ministro degli Esteri francese alla precedente richiesta (marzo 1954)».

254

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. 3479/1681(2). Bruxelles, 14 agosto 1954.

Signor Ministro,

le indiscrezioni (non dico le notizie) pervenute sin ad oggi da Parigi, prima che giungesse un documento ufficiale circa le proposte del signor Mendès-France, erano piuttosto pessimiste. Oggi, le proposte sono in certo senso note e saranno al momento in cui scrivo già in mano di V.E.(3). Mi riservo di vedere Spaak prima dell’apertura della Conferenza in modo da conoscere le reazioni prima del suo arrivo(4). A occhio e croce mi sembra fin d’adesso che se alcune proposte possono non sollevare obiezioni (durata, legame con la permanenza delle truppe americane, forse aumento del periodo transitorio) altre (votazione all’unanimità e sopratutto limitazione dell’integrazione delle sole divisioni di copertura) troveranno in Belgio opposizione.

Prima perche le proposte fossero concretate, le indiscrezioni giornalistiche erano sintomatiche di stato d’animo ben determinato. Si è detto infatti che il signor Mendès-France, nell’impossibilità da un lato di fare accettare agli altri un «Protocollo di grandi modificazioni», e dall’altro di far accogliere ai suoi un «Protocollo di piccole modificazioni», si accingeva ad indicare agli altri «partners» i punti maggiormente ostici all’opinione francese allo scopo di poter proporre la votazione del Trattato attuale, strappando perla promessa od il consenso ai Cinque da comunicare al Parlamento, che l’entrata in vigore definitiva quale risulterebbe dal deposito delle ratifiche dovrebbe essere subordinata alla negoziazione dei punti in questione ed alla soluzione di essi nel senso desiderato da parte francese.

A parte che tali supposizioni partivano da un piano già strano in se stesso oltre che della ipotesi che una volta ottenuta l’approvazione parlamentare l’esecutivo sia effettivamente libero di deporre o non gli strumenti di ratifica, esse meritano di essere segnalate in quanto sono sintomi di due fatti: l’uno, che si fa di tutto da parte degli oppositori anche allo scopo di spingere a negoziati con l’URSS, e l’altro, che al fondo del pensiero francese primeggia e sovrasta su ogni altra considerazione la paura della Germania.

È su quest’ultimo punto che mi vorrei soffermare. Da qualche settimana a questa parte mi giungevano da parte di amici francesi, notizie che si stava profilando in Francia un principio di «revirement» a favore dell’Unione Doganale con l’Italia; poi ho visto, con piacevole sorpresa, il discorso alla Maddalena del Sottosegretario Ferrari Aggradi e il rilievo che il «Monde» gli ha dato; infine, da altre indiscrezioni di cui non mi spetta occuparmi, sembrerebbe che se ne fosse riparlato addirittura con alte personalità.

È superfluo che rammenti con quanto entusiasmo io abbia sempre considerato il progetto di Unione franco-italiana; non perper un deformato senso di paternità che mi obnubilasse, dato che non ero il solo a pensare in tal modo in Italia, e visto che analogamente si esprimevano oltre che un gruppo di Ministri dell’epoca, uno stuolo di funzionari e di tecnici di vaglia, e personalità di primo piano come il Dr. Costa, il Prof. Valletta, il Governatore Menichella, ecc. È stato quindi con dolore che abbiamo (adopero espressamente il plurale) dovuto assistere all’insabbiamento del Trattato, insabbiamento in definitiva dovuto all’inefficienza e pusillanimità del «MRP» allora al potere, e più ancora alla opposizione dei dirigenti dell’epoca dell’OECE, i quali (non voglio dire se per gelosia di mestiere) hanno preferito correre dietro alla scarna gallina del domani che non afferrare l’efficiente uovo dell’oggi.

Dal punto di vista economico e sociale, i vantaggi per noi – e per la Francia – sono studiati, analizzati e previsti dal primo rapporto (del 24 dicembre 1947) della Commissione Mista, ed è superfluo ricordarne qui l’estensione e la portata.

Dal punto di vista politico, l’unione di circa 100 milioni di abitanti (produttori e consumatori) avrebbe formato l’elemento catalizzatore della nuova Europa, al quale si sarebbero aggiunti il Benelux ed in un secondo tempo la Germania. Soltanto, la nuova Europa si sarebbe promossa in casa nostra, intorno a noi, che saremmo rimasti i soci fondatori del circolo, e non già attorno alla Germania, come inevitabilmente accadrà se l’Europa dovesse farsi in altra forma, del che è lecito dubitare. Il giorno in cui le discussioni con la Germania avessero immancabilmente dovuto ricominciare, sia dal lato politico che da quello militare ed economico, ci saremmo trovati (la Francia sopratutto) in una posizione ben diversa, qualora da un lato della tavola si fosse seduto il rappresentante di 100 milioni di uomini, e dall’altro quello di 60. È strano come i profeti dell’OECE non se ne siano mai accorti, ed i francesi ancor meno.

Se perquesti ultimi se ne cominciano ad addivedere adesso (sperando che non sia troppo tardi), mi sembra che l’argomento dovrebbe poter venir da noi sfruttato al massimo; anzitutto per il vantaggio che ce ne deriverebbe ed in secondo luogo per l’aumentata possibilità di approvazione della CED; anche in quanto le due economie francese ed italiana riunite sarebbero in grado di resistere infinitamente meglio alla concorrenza germanica, il timore della quale è quello (se non vado errato) che fomenta tanta parte dell’opposizione alla CED ad opera degli alti industriali francesi. E quale migliore occasione se non quella della Conferenza di Bruxelles per tentare un primo abbinamento fra CED e Unione?

Una osservazione collaterale. L’Unione non escluderebbe affatto l’integrazione europea, così come non la esclude la integrazione militare o politica, in quanto, nel processo di fusione parziale o progressiva di sei nazioni, due si presenterebbero col vantaggio di trovarsi già in uno stadio avanzato di riunificazione di organi e di legislazioni.

Chimere, forse. Ma se v’è un momento in cui potrebbe esserci possibilità, sia pure scarsa, di trasformare la chimera in realtà, è questo, col governo del signor Mendès-France; ed i capelli della Fortuna sono ormai alla moda, tagliati corti, ed è assai più difficile afferrarli.

Voglia gradire, Signor Ministro, gli atti del mio ossequio.

Grazzi

254 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

254 2 Il documento reca il seguente timbro: «Visto dal Ministro».

254 3 Vedi DD. 256-258.

254 4 Vedi D. 259.

255

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 10098/112-113. Bad Godesberg, 16 agosto 1954, ore 15,45 (perv. ore 20,15).

Hallstein mi ha detto stamane che l’esame già compiuto delle proposte francesi(2)non aveva purtroppo modificato l’impressione negativa già ricevuta nel primo momento. L’atteggiamento tedesco di fronte alle nuove proposte, egli mi ha detto, rimane fermo sulle seguenti quattro posizioni fondamentali:

1) nessun ritorno del trattato al Parlamento;

2) mantenere intatto il concetto d’integrazione europea. Mi ha ripetuto che per i tedeschi il trattato di Parigi non era inteso solo a conseguire la costituzione delle proprie forze armate ma destinato precipuamente a costituire l’inizio della Comunità europea, di conseguenza il mantenimento della concezione della sopranazionalità;

3) non è possibile al Governo Federale di ammettere discriminazioni a danno delle forze armate tedesche;

4) l’inammissibilità di clausole che intacchino direttamente l’efficacia della difesa. Hallstein mi ha citato ad esempio la proposta francese secondo la quale gli ordini del commissariato potrebbero essere bloccati dal veto di una delle Potenze firmatarie.

Secondo informazioni qui giunte Mendès-France arriverebbe a Bruxelles disposto a discutere e Hallstein mi ha detto che proprio per questo motivo e per non urtare menomamente il Presidente del Consiglio francese si è astenuto dal passare una parola d’ordine alla stampa e dal pronunciare una sola parola di commento con lo stesso Vice Alto Commissario francese che gli ha ieri ufficialmente consegnato il testo delle proposte. Egli spera che vi siano ancora delle possibilità a Bruxelles in quanto ritiene che nessuno desideri il fallimento della conferenza. Anche Hallstein come Dowling si è mostrato [...](3) per calendario delle ratifiche francesi e della possibilità che si offrirebbe ai russi di inserirsi nell’intervallo fra la prima e la seconda lettura e ritengo che anche di questo si parlerà a Bruxelles. Avendogli io accennato alle reazioni negative ma con tono diverso riscontrate nell’Alta Commissione americana ed in quella britannica, egli mi ha risposto di aver fatto la stessa constatazione senza tuttavia essere ancora riuscito a spiegarsi l’atteggiamento picauto degl’inglesi. Mentre mi trovavo alla Cancelleria Federale è giunta una telefonata da Buehler Hoehe da parte di Adenauer che aveva ultimato l’esame dei testi. Hallstein mi ha detto che il Cancelliere Federale condivideva pienamente i suoi apprezzamenti e che era giunto alla conclusione che le proposte di Mendès-France incidevano sull’essenza stessa del trattato e la concezione dell’integrazione europea. Il Cancelliere Federale ha confermato le istruzioni ad Hallstein di continuare ad attenersi anche verso la stampa al pistretto riserbo ed in linea di massima sarebbe anche stato deciso, conformemente alla linea sempre adottata, di mantenere la stessa cautela a Bruxelles nel senso che non spetti ai tedeschi dire la prima parola. Spaak mi ha detto che Hallstein(4)che ha preso l’iniziativa di questa Conferenza, sarà egli Presidente e toccherà a lui prendere posizione per primo.

Qualora fosse possibile sono sicuro che sarebbe molto gradito ad Adenauer di ricevere anche da noi qualche prima impressione dell’esame compiuto sulle proposte presentateci dai francesi(5).

255 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 3.

255 2 Vedi DD. 256-258.

255 3 Annotazione del cifratore: «manca».

255 4 Recte: Hallstein mi ha detto che Spaak.

255 5 Per il seguito vedi D. 259.

256

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI STRANEO(1)

Appunto segreto Segr. Pol. 1136(2). Roma, 16 agosto 1954.

Oggetto: Protocollo francese di applicazione del Trattato sulla CED.

Lasciando alla competente Direzione Generale della Cooperazione Internazionale l’esame di dettaglio sul contenuto e sulla portata tecnica del Protocollo francese di applicazione del Trattato istituente la Comunità Europea di Difesa(3), la Direzione Generale degli Affari Politici osserva che, dietro le clausole di applicazione e le attenuazioni largamente modificative del Trattato proposte da parte di Mendès-France, riaffiora la nota preoccupazione francese di ostacolare, o quanto meno di ritardare, il riarmo della Germania. In definitiva, a Bruxelles (anche se per l’assenza degli Americani e degli Inglesi non si potrà forse giungere su tale questione ad alcuna ferma decisione) si discuterà non tanto la CED quanto l’avvenire dello Stato Federale tedesco.

Ci troveremo quindi di fronte a due opposte tendenze: quella della Francia, che mira ad una ripresa del dialogo con la Russia con il preciso scopo di arrivare ad un compromesso sulla Germania per mantenerla inoffensiva o, quanto meno, per controllarne gli armamenti; e quella della Repubblica Federale tedesca, che intende invece di procedere, accelerandone i tempi, su quella strada della ricostruzione nazionale, sulla quale è stata messa dagli Alleati fin dal 1947.

Non sembra necessario di elencare in questa sede le successive tappe della ricostruzione tedesca sotto la guida di Adenauer. Basterà accennare al fatto che Americani ed Inglesi, compiuto il primo passo nel 1947 con la creazione della cosidetta «bizona», hanno poi sempre incoraggiato, direttamente o indirettamente, il consolidamento di una Germania Occidentale. E la Repubblica Federale tedesca, dandosi una costituzione (1949), entrando nell’Assemblea del Consiglio d’Europa (1950) e poi nello stesso Consiglio dei Ministri di Strasburgo (1951), partecipando con tutto il suo peso economico alla Comunità Carbone Acciaio (1952) ed infine consolidandosi internamente con le elezioni politiche del 1953, ha dato prova di non voler essere uno Stato né minorato né tutelato. In questa sua rinascita la Repubblica Federale tedesca è stata incoraggiata ad aiutata sopratutto dagli Americani, i quali, già nel 1950, proponevano la costituzione di un esercito autonomo tedesco e facevano accettare al Consiglio Atlantico non solo il principio della partecipazione tedesca alla difesa d’Europa, ma anche quello della difesa d’Europa il pipossibile ad Est.

Fu proprio per frenare gli Americani che nacque nella mente dei francesi il Piano Pleven, embrione dell’attuale Trattato sulla Comunità Europea di Difesa. Ed era un piano che aveva come scopo, non tanto quello di assicurare alla difesa d’Europa il contributo militare tedesco, quanto quello di tagliare permanentemente le unghie alla temuta Germania ed impedire il risorgere del militarismo d’oltre Reno.

Di fronte alle attuali proposte di Mendès-France quale potrà essere dunque il nostro atteggiamento?

È evidente che dovremmo anzitutto cercare di eliminare la portata politica di talune clausole di questo insidiosissimo Protocollo, il quale rinvia praticamente di otto anni la costituzione della CED e ne stabilisce fin da ora la possibilità di scioglimento in caso di unificazione della Germania. Non è infatti azzardato pensare che Mendès-France, come contropartita dell’armistizio in Indocina, offra questi otto anni a Molotof su di un piatto d’argento. E sarà bene a questo proposito ricordare che la Francia, per garantirsi appunto contro una possibile aggressione tedesca, si è legata dieci anni or sono alla Russia sovietica con un Patto di Alleanza il quale è tuttora in vigore; e che il Governo francese non intende di denunciare, anche se appartiene all’Alleanza Atlantica.

La nostra azione a Bruxelles dovrebbe dunque in sostanza tendere a far modificare le clausole piaspre del Protocollo, non fino al punto perda renderlo inaccettabile al Parlamento francese, perché cisignificherebbe far naufragare ogni possibilità di ratifica della CED ed impedire la sua stessa nascita. Occorrerà tuttavia tener presente che Mendès-France userà, e forse abuserà, di questa impossibilità del Parlamento francese ad accettare la CED quale essa è stata fissata nel Trattato, per tentare di fare accettare tutte le sue pericolose innovazioni.

Comunque l’azione della Delegazione Italiana dovrebbe, ad avviso di questa Direzione Generale, ispirarsi in linea di massima a questi principi:

1) Non render necessaria una nuova discussione parlamentare del Trattato da parte dei Parlamenti che già lo hanno approvato e nemmeno permettere modifiche tali al Trattato da render legittima la richiesta di un riesame di esse da parte delle Commissioni parlamentari italiane che al Trattato hanno già dato la loro approvazione;

2) facilitare sì l’approvazione del Trattato da parte del Parlamento francese, ed aderire quindi a quelle attenuazioni proposte da Mendès-France che appaiono sufficienti per sormontare le sue difficoltà; ma non mutare, accettando clausole interpretative troppo drastiche, lo spirito e la sostanza del Trattato;

3) tener debito conto delle aspirazioni tedesche e della necessità di non indebolire la posizione del Cancelliere Adenauer di fronte alla propria opinione pubblica e parlamentare;

4) cercar di mantener fermo il principio della integrazione anche politica europea, dato che esso ha sempre ispirato la nostra linea direttiva politica nel Centro Europa;

5) evitare comunque che dalla Conferenza di Bruxelles escano delle decisioni tali che possano indurre gli Stati Uniti ad abbandonare la politica della CED; evitare sopratutto di incoraggiarli a dare il via, in un modo o nell’altro, al riarmo autonomo della Germania, o (il che sarebbe un male maggiore) ad attuare quella revisione delle proprie posizioni in Europa, che Foster Dulles non ha esitato a definire angosciosa ma ineluttabile, ove l’Europa dimostrasse la propria inettitudine e la propria indecisione a partecipare in modo concreto allo sforzo comune di difesa;

6) tener comunque presente che la tattica di Mendès-France sembra voglia svolgersi in 4 tempi: far prima approvare il suo Protocollo dai membri della CED; ottenere quindi un voto di approvazione dal Parlamento francese, ma non la definitiva ratifica; proporre di riaprire conversazioni con la Russia sulla questione tedesca e, solo nel caso che tali conversazioni risultino impossibili o negative, chiedere al Parlamento francese la ratifica del Trattato.

256 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

256 2 Sottoscrizione autografa.

256 3 Présidence du Conseil, Ministère des Affaires Étrangères, Protocole d’application du Traité instituant la Communauté Européenne de Défense, Paris, le 13 ao 1954 (vedi Appendice II). Il testo del progetto del protocollo d’applicazione fu consegnato – insieme ad un progetto di dichiarazione comune – dall’Incaricato d’Affari di Francia Sébilleau il 14 agosto alle ore 19,30 senza alcuna particolare comunicazione. Di ciPlaja informil Gabinetto, le Segreterie particolari di Benvenuti e di Badini Confalonieri, la Direzione Generale degli Affari Politici ed il Contenzioso Diplomatico nel trasmettere loro i due progetti con Appunto segreto 21/2122 del 15 agosto (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 1). Per l’esame tecnico della DGCI vedi DD. 257-258.

257

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)

Appunto segreto. Roma, 16 agosto 1954.

ESAME TECNICO ANALITICO DEL PROGETTO DI PROTOCOLLO D’APPLICAZIONE DEL TRATTATO CED(2)

Titolo I - Relazioni tra CED e NATO

1) La Comunità di Difesa viene definita nel progetto di protocollo un organo «complementare» della Comunità Atlantica. Il testo attuale del Trattato parla solo di «cooperazione stretta» con la NATO.

Non è chiara la portata positiva dei capoversi 2° e 3° di questo paragrafo; è chiara invece la portata negativa, in quanto cioè si intende evidentemente ribadire in modo esplicito che le decisioni politiche e quelle inerenti alla politica di difesa, particolarmente quelle riguardanti l’impiego di forze europee, non appartengono alla Comunità; si desidera cioè sottolineare il carattere esclusivamente tecnico della Comunità stessa. In tale quadro, e sempre in tale senso, si ripete – per quanto ciò sia già esplicitamente detto nel paragrafo 2 del Protocollo relativo alle relazioni tra CED e NATO del 27.5.1952 – che i contatti permanenti che esisteranno tra i servizi del NATO e quelli del Commissariato si riferiranno esclusivamente al piano tecnico.

Resterebbe comunque da chiarire la esatta portata del termine «decisioni politiche», e gli eventuali riflessi dei citati capoversi ad esempio sugli articoli 2 e 123 del Trattato.

2) Questo paragrafo, specie se esaminato in connessione con il par. 2 del Titolo II del progetto di protocollo, sembra voler sottolineare che nessun potere di comando sulle FED dovrebbe spettare agli organi della Comunità e particolarmente al Commissariato (e Stato Maggiore centrale che ne dipende). Il Commissariato avrebbe un «potere di ispezione» per conto del Comando Supremo NATO, del quale non è parola nel Trattato.

È da domandarsi allora chi, nella nuova concezione francese, eserciterà sulle FED i poteri di comando che oggi spettano ai singoli Governi (e per loro agli Stati Maggiori nazionali) sulle truppe nazionali. Come è noto infatti i poteri che il Comandante Supremo Atlantico puesercitare sulle forze dei Paesi NATO in tempo di pace sono già stati – e con non poca difficoltà – concordati in sede NATO (documento NATO-DC/24-3): si tratta di poteri limitati e che non si sostituiscono alle funzioni di effettivo comando le quali, si ripete, sono oggi esercitate dagli Stati Maggiori nazionali e che domani, secondo la costruzione immaginata dal Trattato, avrebbero dovuto essere esercitate dallo Stato Maggiore centrale dipendente dal Commissariato.

Su questo punto la nuova concezione francese appare dunque incerta e nebulosa, salvo che, anche qui, nell’aspetto negativo inteso a sottolineare la carenza di poteri effettivi di comando da parte del Commissariato.

3) L’art. 118 del Trattato non contempla una «sede della Comunità» ma «la sede delle istituzioni» della Comunità: come è noto infatti sia per la CECA che per la CED non è stata raggiunta ancora una decisione finale sul punto se la sede delle istituzioni comunitarie debba essere unica. Da parte italiana comunque ci si è sempre dichiarati favorevoli ad una sede unica e che riunisca possibilmente assieme istituzioni CED e CECA (capitale europea).

Inutile chiarire che la dizione del progetto di protocollo significa sede della CED a Parigi. Per quanto la sede del NATO non sia statutariamente Parigi (fino a tre anni fa fu Londra) pure non è da prevedersi che essa venga portata altrove.

4) La citazione, nel progetto di protocollo, dell’art. 126 deve essere un errore materiale (esso tratta infatti la procedura di emendamento). È l’art. 128 che si vuole richiamare.

L’art. 128 indica al primo capoverso la durata (50 anni) del Trattato. Nel 2° capoverso ipotizza poi la «situation nouvelle» che si verrebbe a creare ove la NATO cessasse di esistere o modificasse fondamentalmente la sua composizione, ma stabilisce solo che, in tale ipotesi, le parti contraenti esamineranno in comune tale nuova situazione.

Il progetto di protocollo verrebbe innanzitutto ad «interpretare» in forma autentica tale articolo nel senso che il verificarsi della citata «situation nouvelle» comporterebbe la libertà per ciascuno Stato di decidere se continuare o meno a partecipare alla CED. Esso inoltre configura, sempre allo stesso fine, una «situation nouvelle» non prevista specificamente dal Trattato, quella cioè che Stati Uniti e Gran Bretagna, perdurando la minaccia sulla sicurezza dell’Europa occidentale, non mantengano in Europa, ivi compresa la Germania, forze armate in «proporzione equa».

5) Questo paragrafo configura una terza situazione, anch’essa non prevista nell’attuale Trattato, comportante per gli Stati membri la libertà di decidere se continuare o meno a partecipare alla CED. Questa situazione si riferisce al caso della riunificazione della Germania. Va al riguardo ricordato che nella Conferenza di Berlino (febbraio 1954) i Ministri delle potenze occidentali riconobbero esplicitamente e pivolte che, in base ai principi del diritto internazionale, il Governo di una Germania riunificata sarebbe libero di assumere o meno gli impegni internazionali contratti dalla Repubblica Federale.

Titolo II - Organizzazione e funzionamento degli organi della Comunità

1 a 5) Questi paragrafi tendono a mettere il Commissariato in posizione subordinata di fronte al Consiglio, a sottolinearne le funzioni puramente tecniche ed a limitarne, specialmente durante un primo lungo periodo transitorio, la libertà d’azione. Essi quindi incidono in forma sostanziale sull’aspetto sovranazionale del Commissariato stesso. In particolare

§ 1. L’art. 39 del Trattato stabilisce che il Consiglio pudare, all’unanimità, delle direttive al Commissariato: in mancanza di tali direttive il Commissariato puagire nelle condizioni previste dal Trattato. La formulazione del progetto di protocollo o intende ribadire tale situazione, e allora è superfluo, o – e questo sembra piuttosto il caso

– intende togliere al Commissariato la possibilità di agire ove non vi siano direttive del Consiglio, e allora lo riduce alla funzione di organo subordinato.

§ 2. Andrebbero esaminate in dettaglio tutte le attribuzioni del Commissariato previste specificamente nei vari articoli del Trattato e dei protocolli ad esso allegati, per vedere se e quali di esse vengono escluse dalla formulazione del progetto di protocollo. Per quanto riguarda le funzioni di comando si rinvia alle osservazioni di cui al par. 2 del Titolo I.

§ 3. La sospensione obbligatoria di una decisione del Commissariato, a richiesta di un membro del Consiglio, (indicata nel protocollo col nome di ricorso contro le decisioni del Commissariato) è un istituto non previsto dal Trattato e che accentuerà fortemente il peso degli interessi nazionali nel funzionamento della Comunità. La disposizione sarebbe meno preoccupante se vi fosse qualche garanzia che la sospensione venga richiesta effettivamente solo quando siano in giuoco «interessi vitali» di uno Stato.

§ 4. L’art. 29 del Trattato prevede solo che il Commissariato faccia rapporto al Consiglio ad intervalli periodici, non meglio specificati.

§ 5. Il progetto di protocollo sospende per 8 anni l’applicazione dell’art. 117 che prevede la possibilità che il Commissariato ricorra alla Corte di Giustizia nel caso che uno Stato membro manchi ad un obbligo derivantegli dal Trattato.

6 e 7) La «decentralizzazione» del Commissariato potrebbe apparire un aspetto piuttosto tecnico dell’applicazione del Trattato. Ma la formulazione assai vaga e generica contenuta nel progetto di protocollo non permette, a un primo esame, un sicuro apprezzamento della proposta francese. Sembra peraltro in linea generale (considerato anche il disposto del par. 12) che la decentralizzazione tenda a favorire i fattori nazionali, i quali evidentemente potranno influire con molto maggior peso al livello degli organi decentrati che non al livello dell’organo centrale. Questa interpretazione è confermata dal par. 7 che tende a mantenere in vita oltre il periodo attualmente previsto dall’art. 10 del protocollo militare la figura del «Delegato» la quale in pratica, come è noto, sarà impersonata per ciascun paese dal rispettivo Capo di Stato Maggiore.

Questo aspetto delle proposte francesi va peraltro approfondito in collaborazione con gli esperti militari.

8 a 12) Il progetto di protocollo istituisce un «periodo iniziale» che durerà fintantoché non ne verrà decisa all’unanimità la fine dal Consiglio sedente a livello Capi di Governo (il par. 8 ed altri del protocollo configurano un Consiglio a livello Capi di Governo che nel Trattato non è mai specificamente considerato, anche se non è escluso dalla dizione dell’art. 40).

Con l’istituzione di tale «periodo iniziale» viene praticamente rinviata a tempo indeterminato l’entrata in vigore di tutta la regolamentazione comune che, in base al Trattato, deve venir predisposta ed attuata senza ritardo dalle istituzioni della Comunità nei vari settori: sono specificamente citati i settori del personale militare (inquadramento, reclutamento e disciplina), delle disposizioni penali e delle pensioni (par. 8). Saranno quindi applicate le regolamentazioni nazionali (par. 10), spettando al Commissariato sovratutto una funzione di coordinamento (par. 11). Prima della fine del periodo iniziale una Conferenza dovrà, ai sensi dell’art. 126 del Trattato, esaminare alla luce dell’esperienza le modifiche a quanto previsto dal Trattato in tema di regolamentazione comune (par. 9).

Quindi, in sostanza, per un periodo di durata indeterminata non si avrà regolamentazione comune; e se e quando vi si procederà non è detto che civerrà fatto secondo quanto previsto oggi nel Trattato!

13) Non necessita commento(3). Pensare che in sede di discussioni per la Comunità Politica Europea si osava parlare della possibilità di un organo esecutivo sopranazionale unico per tutte le Comunità!

14) Per la Corte di Giustizia il progetto di protocollo prevede Camere separate (ossia praticamente giurisdizioni separate) per le funzioni CED e CECA: prevede inoltre una decentralizzazione per cui in ogni Stato membro vi sarebbe una Camera territoriale competente in prima ed ultima istanza per tutte le cause derivanti dal funzionamento della Comunità nello Stato stesso.

Questo aspetto va approfondito in collaborazione con gli esperti giuridici e con riferimento in particolare agli artt. 12, 22 e 23 del Protocollo Giurisdizionale.

Titolo III - Disposizioni relative ai gradi

In attesa della entrata in vigore di una regolamentazione comune per gli statuti del personale militare, l’art. 31 del Trattato contiene le norme da seguire per il conferimento dei gradi: tali norme prevedono una partecipazione attiva del Commissariato a tale conferimento. Il progetto di protocollo modifica, per un periodo transitorio non inferiore ai 4 anni, tale sistema di conferimento riservandolo alle autorità nazionali e prevedendo una semplice «consultazione» della sezione decentralizzata del Commissariato (solo per i gradi superiori a quello di Comandante di unità di base occorre non la semplice consultazione ma l’accordo del Commissariato). Tale modificazione vale persolo a favore degli Stati che già dispongono attualmente di una organizzazione militare nazionale: non quindi alla Germania cui si applicherebbe – in condizioni di evidente discriminazione – il sistema previsto dal Trattato e che contempla, come già detto, la partecipazione attiva del Commissariato.

Titolo IV -Disposizioni militari

Il progetto di protocollo limita l’integrazione (ossia l’obbligo di costituire i Corpi d’Armata con unità di base di differente origine nazionale) alle sole unità dell’esercito stazionate in zona di copertura e relative forze aeree di appoggio. La disposizione si rivela ovviamente discriminatoria a danno della Germania (e forse anche dell’Italia se ad esempio la Venezia Giulia e la Valle Padana fossero considerate zone di copertura): e inoltre in contrasto con gli artt. 68 e 69 del Trattato che prevedono che solo in casi eccezionali, e col parere unanime del Consiglio, possano esistere Corpi d’Armata non integrati.

Il secondo capoverso del Titolo IV afferma che unità di base originarie di altri Stati Atlantici «concorrono» alla costituzione dei Corpi d’Armata integrati europei. Ma se «concorrono» vuol dire «possono concorrere», il comma è una inutile e meno chiara ripetizione di quanto statuito agli articoli 68 e 69 par. 3; se vuol dire «concorreranno obbligatoriamente» si tratta allora di una condizione del tutto nuova, la cui esecuzione per di pinon dipende dai firmatari del Trattato CED.

Titolo V -Formazione e revisione dei programmi militari

Il progetto di protocollo tende ad ottenere che la formazione e revisione dei programmi militari avvengano nel quadro e secondo la procedura NATO (revisione annuale): per quanto non esplicitamente sancito nel Trattato, salvo che per la prima fase di costituzione delle forze (art. 78 bis par. 1) e nella prima fase di fissazione dei contributi (artt. 87 bis e 94), pure tale principio può dirsi nello spirito con cui fu concepito e concordato il Trattato, tanto è vero che ha già trovato applicazione nell’esercizio di revisione annuale NATO 1953 (Comitato Ockrent).

È nuovo invece il principio del «rispetto delle proporzioni convenute» tra i contingenti degli Stati Membri (riferimento questo alle proporzioni fissate nell’Accordo Speciale), principio che appare inteso ad evitare che la Germania, avvalendosi delle sue piforti risorse economiche, possa aumentare il suo peso militare nella Comunità.

La modificazione relativa all’art. 87 va studiata con attenzione anche in relazione alle esigenze di funzionalità della Comunità.

Titolo VI -Disposizioni economiche e finanziarie

1) La disposizione del progetto di protocollo è estremamente contorta. Se ben la si interpreta significa questo: che l’alinea c del paragrafo I dell’Annesso II all’art. 107 varrà solo nei confronti della Germania (zona strategicamente esposta, secondo riconosciuto ufficialmente nell’apposito scambio di note del 27.5.952 tra il Governo della Repubblica Federale da una parte e gli altri cinque Stati dall’altra). Tale alinea c dice: «ogni quantità di combustibile nucleare prodotta nel corso di un anno in quantità superiore a 500 grammi sarà considerata come sostanza appositamente concepita o di utilità essenziale per le armi atomiche» e quindi, come tale, vistata. In altri termini i cinque Paesi potrebbero produrre liberamente combustibile nucleare oltre i 500 grammi, ma la Germania no.

2) Il progetto di protocollo stabilisce che, ai fini dell’art. 104 par. 3, nel comparare le offerte di prezzi la Comunità deve detrarre dalle singole offerte i diritti e le tasse che non graverebbero sui prezzi stessi, in base alle norme fiscali del paese cui ciascun concorrente appartiene, se l’operazione fosse destinata all’esportazione. La somma equivalente a questi diritti e tasse che, una volta fatta l’aggiudicazione, la Comunità deve pagare nel prezzo totale che versa al fornitore, verrà riversata alla Comunità dallo Stato interessato: di tale versamento verrà tenuto conto nella fissazione del contributo dello Stato stesso al bilancio comune.

Questa disposizione, che probabilmente trae origine da qualche esperienza non favorevole alla Francia fatta in sede CECA, va esaminata attentamente, per quanto riguarda la sua portata nei nostri riguardi, in collaborazione con esperti della materia.

3) Anche questa disposizione, che peraltro va esaminata da esperti della materia, appare comportare in pratica una discriminazione a danno della Germania. I materiali di cui all’Annesso II dell’art. 107 sono contemporaneamente i più importanti ed i picostosi: essi non possono essere prodotti in Germania (zona strategicamente esposta). Dedurre dunque dal bilancio totale della Comunità ai fini delle norme regolanti i trasferimenti monetari (artt. 29 e seguenti del Protocollo Finanziario), la somma che viene destinata alle forniture dei citati materiali, significa in sostanza modificare, a danno della Germania, le norme stesse (ad esempio quella stabilente i noti minimo e massimo tra l’85 e il 115 %). Analogo senso sembra avere il secondo capoverso del paragrafo.

Titolo VII -Disposizioni generali

1) Secondo il progetto di protocollo, l’art. 38, sulla base della constatazione che negoziazioni per la costituzione di una Comunità Politica sono già in corso, passerebbe ormai ufficialmente alla storia e con esso cadrebbero le possibilità difermento europeistico che tuttora contiene. È noto fra l’altro che le citate negoziazioni sono ormai giunte ad un punto morto, a seguito sovratutto dell’atteggiamento francese.

Il progetto di protocollo è inteso evidentemente nella sua formulazione a dare completa soddisfazione anche formale agli ambienti francesi che temono della CED i futuri sviluppi europeistici; salvando soltanto, all’intenzione dei voti socialisti francesi, il principio dell’assemblea eletta su base democratica che fu oggetto già di apposita dichiarazione in sede di Comitato interinale.

2) Configura, come già osservato più sopra, riunioni del Consiglio a livello Capi di Governo, anche eventualmente con la partecipazione del rappresentante britannico.

3) Con questa disposizione viene dato per il periodo di un anno dall’entrata in vigore del Trattato un peso particolare alle richieste di emendamento che vengono avanzate da uno Stato, quando tali richieste siano appoggiate da un voto espresso dal Parlamento dello Stato stesso. Pusembrare una norma – in verità un po’ ingenua – intesa a tranquillizzare i Parlamenti ed a convincerli a superare qualche incertezza, assicurando praticamente che ove la prima esperienza facesse loro apparire desiderabile un emendamento, un loro voto sarebbe sufficiente ad ottenere la riapertura delle conversazioni; ma se uno dei sei Governi fosse in cattiva fede, sembra potrebbe servirsi di questa disposizione per riaprire (appoggiandosi a un voto del Parlamento) subito dopo l’entrata in vigore del Trattato, le conversazioni su tutto il Trattato, bloccandone frattanto la sua attuazione.

4) La disposizione sembra ad un primo esame intesa a salvaguardare, in base al diritto internazionale, posizioni pifavorevoli alle singole persone componenti le forze europee di difesa: essa va peraltro meglio chiarita da un esperto del Contenzioso Diplomatico.

5) Questa disposizione introduce l’istituto, sconosciuto al Trattato, della associazione parziale (prevista invece dagli Accordi CECA). Non si vede in realtà come essa quadri nella concezione organica della Comunità, quale tradotta nel Trattato. La disposizione peraltro ha natura essenzialmente politica.

6) La formula è intesa a sottolineare che il protocollo (così come i precedenti protocolli addizionali), fa parte integrante del Trattato come previsto dall’art. 127 per i protocolli originali firmati contemporaneamente al Trattato. La formula è piimpegnativa di quella concordata a suo tempo dopo lunghe discussioni, in sede di Comitato Interinale, per i protocolli addizionali del marzo 1953(4).

257 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 14, fasc. 48.

257 2 Vedi D. 256, nota 3 e Appendice II.

257 3 «Les fonctions de membre du Commissariat de la Communauté Européenne de Défense sont incompatibles avec celles de membre de la Haute Autorité de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier. Cette incompatibilité prendra fin cinq ans après l’expiration de l’un ou de l’autre mandat».

257 4 Per il seguito vedi D. 258.

258

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)

Appunto. Roma, 17 agosto 1954.

CONCLUSIONI DELL’ESAME TECNICO CIRCA IL PROGETTO DI PROTOCOLLO D’APPLICAZIONE DEL TRATTATO CED(2)

Preambolo

Le enunciazioni contenute nel preambolo sono evidentemente di natura politica. Quella poi contenuta nel terzo capoverso costituisce un orientamento di politica generale nei riguardi della CED non certo previsto dal Trattato. Sembra difficile, con un tale o simile preambolo, sostenere che il protocollo non rivesta natura politica tale da renderne necessaria la ratifica parlamentare ai sensi della nostra Costituzione.

Titolo I

1) Nella concezione del Trattato, la CED non è un «organo complementare» della NATO (così come oggi – pur fatte le debite differenze – non possono certo chiamarsi organi complementari della NATO i Ministeri della Difesa e gli Stati Maggiori Nazionali).

La portata dei capoversi 2) e 3) non è chiara: occorrerebbero spiegazioni da parte francese.

Ove da parte francese si desiderasse solo una riaffermazione della «stretta cooperazione» con la NATO, quale prevista dal Trattato, non dovrebbe essere impossibile trovare una formula conciliativa che non richieda ratifica parlamentare.

2) Anche questo paragrafo richiede chiarimenti da parte francese. Infatti occorre chiarire bene a chi, secondo la concezione francese spetteranno, quando sarà in vigore la CED, i poteri che oggi esercitano gli Stati Maggiori ed i Comandi nazionali e che non sono esercitati dal Comando Supremo Atlantico.

Se anche qui i francesi cercano una formula che non modifichi la situazione prevista dal Trattato non dovrebbe essere impossibile trovarla; ma in ogni caso tale formula dovrebbe comportare l’eliminazione dei termini «poteri di ispezione del Commissariato».

3) Anche qui occorrono chiarimenti da parte francese per valutare l’esatta portata della disposizione nei riguardi anche della sede delle istituzioni comuni con la CECA (Assemblea e Corte). Si ritiene che la decisione non comporti ratifica parlamentare.

4) e 5) Si tratta di innovazioni rispetto al Trattato e piprecisamente: a) una «interpretazione autentica» del caso previsto dall’art. 128 secondo capoverso, che appare contraria allo spirito in cui fu concepito il Trattato e b) creazione di due casi assolutamente non previsti dal Trattato.

Le disposizioni nel loro complesso appaiono contrarie alla linea sopranazionale ed europeista del Trattato: è da domandarsi infatti chi vorrà veramente procedere alle radicali trasformazioni rese necessarie dall’integrazione prevista nel Trattato, quando esiste in ogni momento la possibilità di veder sciogliere la comunità. Appare comunque che le disposizioni dovrebbero essere sottoposte a ratifica.

Titolo II

1) a 5) Le disposizioni cambiano l’equilibrio stabilito nel Trattato tra gli organi della Comunità e mettono il Commissariato in posizione subordinata al Consiglio. Appaiono dunque di ispirazione chiaramente contraria alla sopranazionalità e, si aggiunge, alla pratica funzionalità della comunità. Esse non paiono quindi offrire seria possibilità di discussione.

6) e 7) Non si ritiene impossibile cercare una formula non necessitante ratifica parlamentare che dia ai francesi qualche soddisfazione formale in tema di azione decentralizzata da parte del Commissariato. Ma dovrebbe trattarsi di soddisfazione formale; così come ora è il testo appare avere una portata sostanziale e contraria al principio di sopranazionalità tale da renderlo non accettabile.

8) a 12) Si potrebbe anche, in teoria, accettare di parlare di un «periodo iniziale»: in pratica tale periodo effettivamente esisterà e già il Trattato prevede naturalmente che, in un primo tempo e fin che si stabilirà la regolamentazione comune, esisteranno situazioni provvisorie. Ma non si può accettare lo spirito con cui da parte francese si parla – e che si traduce nel testo dei paragrafi in esame – di questo periodo iniziale. Il testo del progetto, così com’è, appare comportare un rinvio indeterminato con evidente intenzione di non fare: che se poi qualcosa in tema di regolamentazione dovesse farsi, si adotterebbe procedura e si raggiungerebbero risultati diversi da quelli previsti nel Trattato.

13) Non richiederebbe ratifica parlamentare. È di ispirazione anti-Monnet.

14) È anch’esso di ispirazione decentratrice in senso anti-europeista. Con qualche modificazione potrebbe ridursi a formula non richiedente ratifica parlamentare.

Titolo III

1) e 2) Comportano modificazione dell’art. 31 del Trattato, nel senso che restituiscono quasi totalmente agli Stati la competenza in materia di statuti del personale. È una modificazione sostanziale su cui sembra che bisognerebbe comunque sentire il Ministro della Difesa. Comporta anche discriminazione nei riguardi tedeschi.

Titolo IV

La disposizione trasforma, negli articoli 68 e 69 del Trattato, quello che era eccezione in regola e viceversa. Non è escluso che i giuristi potrebbero trovare una formula soddisfacente da non richiedere ratifica; il che non toglie che si tratterebbe di una seria distorsione delle finalità e dello spirito del Trattato. È inoltre gravemente discriminatorio nei riguardi della Germania.

Titolo V

Sembra possa costituire base di discussione per giungere ad una formula che non richieda l’approvazione parlamentare. Ma il principio del «rispetto delle proporzioni convenute» sembra avrebbe implicazioni assai serie.

La modificazione relativa all’art. 87 appare inoltre assai poco funzionale.

Titolo VI

1) Modifica il Trattato, e in un punto che gli sviluppi civili oltre che militari dell’energia nucleare potrebbero portare ad essere di estrema importanza. Richiede comunque approfondito esame tecnico. È discriminatorio a danno della Germania.

2) Sembra possa teoricamente ridursi in formulazione non necessitante ratifica parlamentare. Occorre un esame tecnico attento per vedere se corrisponda o meno agli interessi specificamente italiani.

3) Modifica il Trattato. È discriminatorio nei riguardi della Germania. Richiede anch’esso piapprofondito esame tecnico.

Titolo VII

1) Non sembra che la linea seguita finora dal Governo italiano consenta di mettere in discussione, in questa sede e nella forma in cui viene fatta, l’art. 38.

2) La figura del Consiglio al livello Capi di Governo non è prevista dal Trattato. Tecnicamente la disposizione potrebbe non richiedere ratifica parlamentare.

3) Sembra non possibile, per quanto delicato e difficile, trovare una formulazione che permetta a questa disposizione di venir tralasciata nella ratifica parlamentare.

4) Non sembra richieda ratifica parlamentare.

5) Non sembra richieda ratifica parlamentare. Se del caso potrà richiederla il Trattato di associazione.

258 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

258 2 Vedi DD. 256 e 257.

259

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, UFFICIO I(1)

Appunto segreto(2). Roma, 17 agosto 1954.

Si riassumono qui di seguito le informazioni pervenute dalle capitali dei Paesi della Comunità Europea e da Washington in merito alle prime reazioni ivi registrate circa le note proposte francesi(3), che saranno oggetto di discussione nella Conferenza di Bruxelles:

Bonn -Le reazioni di stampa alle proposte francesi sono nettamente negative. All’Alto Commissariato americano il giudizio è parimenti negativo perché esse contengono discriminazioni per la Germania.

Il Sottosegretario Hallstein ha manifestato all’Ambasciatore Babuscio Rizzo(4)la propria impressione negativa. Egli ha riassunto l’atteggiamento tedesco nei seguenti quattro punti:

1) nessun ritorno del Trattato in Parlamento;

2) mantenere intatto il concetto di integrazione europea. Per i Tedeschi, egli ha precisato, il Trattato CED non è inteso solo a consentire la costituzione di Forze Armate ma è destinato sopratutto a costituire l’inizio della Comunità Europea. Perciè necessario mantenere il principio di sovranazionalità;

3) il Governo tedesco non puammettere discriminazioni a danno delle Forze Armate tedesche;

4) non sono ammissibili clausole che intacchino direttamente l’efficacia della difesa (esempio veto nazionale ad una decisione del Commissariato).

Hallstein ritiene che Mendès France arriverà a Bruxelles disposto a trattare; il Cancelliere Adenauer è d’opinione che le proposte incidano sull’essenza stessa del Trattato e sull’integrazione europea. Comunque i Tedeschi non intenderebbero prendere posizioni per primi a Bruxelles e lascerebbero tale iniziativa al Presidente Spaak.

Il Vice Alto Commissario francese a Bonn ha confermato all’Ambasciatore Babuscio Rizzo la buona disposizione di Mendès France di apportare modifiche alle proposte francesi.

Lussemburgo - Le proposte di Mendès France annullano il carattere sovranazionale della Comunità; sono discriminatorie e comportano la necessità per il Belgio e per il Lussemburgo di una nuova ratifica parlamentare. L’opera di Bech a Bruxelles sarà in massima conciliante pur non potendo egli venire meno agli impegni assunti con il Parlamento.

L’Aja -Le proposte francesi, secondo un comunicato governativo, hanno profondamente deluso in quanto mirano fra l’altro a svuotare il contenuto sovranazionale del Trattato. Esse implicherebbero la necessità di una nuova procedura di ratifica.

Bruxelles - Le proposte francesi sembrano inaccettabili. Spaak ha detto all’Ambasciatore Grazzi:

1) Esse richiederebbero una nuova approvazione parlamentare;

2) contengono clausole discriminatorie contro la Germania;

3) il Governo belga è particolarmente contrario alla modifica dei poteri del Commissariato e alla formulazione della proposta relativa al periodo iniziale.

Per evitare un troppo diretto contrasto franco-tedesco, Spaak riterrebbe desiderabile che alcune altre Delegazioni assumessero all’inizio della Conferenza una posizione nettamente negativa. È d’opinione che nella migliore delle ipotesi la Conferenza potrebbe concludersi con una dichiarazione comune piuttosto che con un Protocollo.

Washington - Il portavoce del Dipartimento di Stato ha smentito l’informazione del «New York Times» secondo cui gli Stati Uniti sarebbero disposti ad approvare le proposte francesi. Il Governo francese è al corrente dell’opinione americana circa l’importanza di mantenere il carattere sovranazionale e non discriminatorio del Trattato.

A Washington si è sopratutto preoccupati che le proposte francesi rientrino in un’azione diretta a riaprire il colloquio con Mosca per risolvere il problema tedesco sulla base della neutralizzazione della Germania.

259 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.

259 2 Trasmesso da Magistrati alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Parigi e Washington, alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico a Parigi, alla Delegazione presso la Conferenza CED a Parigi, alla Legazione e al Consolato Generale a Strasburgo, e per conoscenza alla Direzione Generale degli Affari Politici con Telespr. segreto urgente 21/2129 del 18 agosto.

259 3 Vedi D. 256-258 e Appendice II.

259 4 Vedi D. 255.

260

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I(1)

Appunto. Roma, 17 agosto 1954.

In relazione alle notizie secondo le quali Mendès-France, nell’intervallo fra la ratifica della CED da parte delle Camera e quella da parte del Senato francesi, intenderebbe promuovere nuove conversazioni con l’URSS, si riassumono nell’accluso Appunto i più recenti sviluppi dei rapporti fra il Mondo Occidentale e il blocco sovietico, in base ai risultati della Conferenza di Berlino ed agli ultimi scambi di Note.

Tanto a Berlino quanto nelle comunicazioni per via diplomatica all’URSS, i Paesi occidentali hanno finora mantenuto un atteggiamento unitario e dimostrato identità di vedute sulle questioni essenziali, concordando sulla necessità di ottenere da Mosca prove concrete della sua conclamata buona volontà e del suo asserito spirito di conciliazione. In mancanza di tali prove concrete, è stato finora concordemente riconosciuto dagli stessi Paesi che sarà possibile e conveniente riprendere il dialogo con l’Unione Sovietica solo dopo che fra il Mondo occidentale ed il blocco comunista si sia creata una relativa parità di forze, o almeno attenuato lo squilibrio attuale: a tal fine la presenza della Germania riarmata costituisce un elemento fondamentale.

Il pericolo insito negli intendimenti attribuiti a Mendès-France è costituito appunto dal fatto che, ove questi venissero confermati e trovassero a Bruxelles una qualsiasi forma di avallo, verrebbe a crearsi una frattura nel fronte, finora unito, dei Paesi Occidentali e della stessa Comunità Atlantica. Gravissime ne sarebbero le ripercussioni dal punto di vista psicologico in quanto significherebbero per l’URSS un successo politico di notevole importanza, senza che essa abbia fatto la minima concessione.

Allegato

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I Appunto.

NOTA SOVIETICA DEL 25 LUGLIO(2)ALLE TRE POTENZE OCCIDENTALI

La Nota sovietica del 25 luglio non presenta proposte sostanzialmente diverse da quelle contenute nella precedente Nota del 31 marzo 1954(3). Essa conferma la linea della politica sovietica, ed in particolare i fini propagandistici che Mosca persegue, sfruttando il desiderio di pace dell’opinione pubblica occidentale, a cui l’URSS non cessa di offrire il «miraggio» di realizzare una politica di distensione.

2 - In realtà, al di là degli aspetti meramente propagandistici, gli scopi della manovra sovietica appaiono ormai fin troppo evidenti. Essi tendono ad impedire il rafforzamento della libera associazione di popoli già costituitasi nell’Europa occidentale, a gettare confusione fra gli Alleati, a spingere la Francia sulla strada di un «rovesciamento delle alleanze», ad isolare gli Stati Uniti.

La Nota ripete argomenti puramente polemici, già ampiamente confutati nelle precedenti risposte alleate: «aggressività della NATO e della CED; incompatibilità di tali accordi con i principî delle Nazioni Unite; volontà da parte occidentale di ignorare il pericolo del militarismo tedesco», ecc.

3 - Il compromesso per l’Indocina, lungi dall’essere – come sostenuto dai Sovieti – una «nuova prova della fertilità degli sforzi rivolti a normalizzare le relazioni internazionali, a risolvere importanti problemi, non solo in Asia, ma anche in Europa» non ha fatto, purtroppo, che registrare l’arretramento delle posizioni del mondo occidentale di fronte alla aggressione, politica e militare, del comunismo.

È giusto sottolineare, come è stato fatto anche al Parlamento italiano, il lato umano del compromesso; è anche valida la constatazione che probabilmente non vi era, allo stato dei fatti, null’altro di meglio da fare – ma può essereestremamente pericoloso interpretare l’armistizio indocinese come un successo, come una premessa di accordo e di collaborazione fra i due mondi in conflitto: nessuna prova concreta è stata finora offerta agli occidentali, che valga a dimostrare una diminuzione di aggressività nella politica sovietica. Nessun elemento nuovo è contenuto nella Nota del 25 luglio, dal quale possa desumersi che l’URSS abbia attenuato – o sia disposta ad attenuare – la sua rigida intransigenza nei confronti dei problemi discussi alla Conferenza di Berlino.

4 - Secondo la tesi russa, la Germania dovrebbe essere neutralizzata; con il Trattato Generale di sicurezza europea e una Germania neutralizzata, l’Europa Occidentale, verrebbe «garantita» dall’Unione Sovietica. In evidente sproporzione di forze nei confronti del mondo comunista, l’Europa Occidentale rimarrebbe in realtà alla mercé dell’URSS.

Che le posizioni sovietiche nei riguardi dei problemi europei siano rimaste immutate è provato anche dal fatto che i sovietici hanno già fatto sapere agli austriaci di rimanere fermi sulle loro proposte di Berlino per quanto riguarda l’Austria. Si ricorderà in proposito che, alla Conferenza di Berlino, quando tutte le difficoltà per la conclusione del Trattato di Stato austriaco sembravano ormai superate, l’URSS condizionil ritiro delle proprie truppe dall’Austria alla soluzione del problema tedesco, adducendo a motivo il pericolo di un nuovo Anschluss. Tale condizione fu naturalmente ritenuta inaccettabile dal Governo di Vienna.

5 - Alla Conferenza di Berlino, di fronte alle molteplici e diverse proposte presentate da Molotov in risposta a quelle contenute nel «piano Eden» (che partiva, come noto, dalla necessità di libere elezioni in Germania), i Tre Occidentali hanno offerto un fronte unito e compatto. Uguale identità di politica e di intendimenti è stata dimostrata dagli occidentali nella nota del 7 maggio, con cui è stato risposto a quella sovietica del 31 marzo. Consultazioni sono in corso, a Londra fra esperti inglesi, francesi ed americani, ed a Parigi in sede NATO, per la risposta alla Nota Sovietica del 25 luglio.

6 - Il 4 agosto, Mosca ha rimesso ai Tre Occidentali una breve comunicazione(4)nella quale si propone la convocazione di una riunione dei quattro Ministri degli Esteri, allo scopo di organizzare il piano dei lavori per la Conferenza menzionata nella Nota del 24 luglio ed esaminare alcuni aspetti del problema tedesco, sui quali – secondo i Sovieti – sarebbe fin d’ora possibile raggiungere un accordo.

260 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 1.

260 2 Recte: del 24 luglio: vedi D. 243, nota 3.

260 3 Vedi D. 177, nota 4.

260 4 Vedi D. 251, nota 3.

261

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, UFFICIO I(1)

Appunto. Roma, 17 agosto 1954.

IL PROBLEMA TEDESCO

[1.] Nelle grandi linee, l’atteggiamento finora mantenuto dalle tre Potenze occidentali nei confronti della questione tedesca si puriassumere come segue:

a) l’organizzazione e l’effettuazione di libere elezioni in tutta la Germania è una premessa indispensabile per la formazione di un governo tedesco rappresentativo che dovrà essere chiamato a negoziare il Trattato di Pace;

b) il problema della sicurezza europea è suscettibile di esame, in vista della formulazione di particolari garanzie connesse con la riunificazione tedesca ed atte a soddisfare l’URSS, ma lo sforzo di difesa delle Potenze occidentali non può essereoggetto di mercanteggiamenti;

c) la migliore garanzia contro il sorgere del militarismo tedesco consiste nell’associare la Germania ad un sistema di carattere strettamente difensivo, quale la CED.

Il «piano Eden», presentato nel corso dalla Conferenza di Berlino, contemplava cinque tappe nella riunificazione tedesca e nella conclusione del Trattato di Pace:

1) libere elezioni in tutta la Germania;

2) convocazione di un’Assemblea Nazionale tedesca creata dalle libere elezioni;

3) preparazione da parte dell’Assemblea Nazionale di una Costituzione e dei preliminari per il Trattato di Pace;

4) entrata in vigore della Costituzione e formazione di un governo centrale tedesco, responsabile delle trattative per la pace;

5) firma ed entrata in vigore del Trattato di Pace.

2. Alla impostazione data dagli Alleati al problema tedesco, l’URSS ha contrapposto esigenze e concetti praticamente inconciliabili con i fini perseguiti dalle Potenze occidentali, ed in particolare:

a) la protezione ed il mantenimento del regime esistente nella zona orientale della Germania;

b) l’assoggettamento della Germania riunificata a vincoli limitativi della capacità in campo internazionale, tali da ridurla alle condizioni di Stato neutralizzato;

c) la condanna, per conseguenza, della CED e degli Accordi di Bonn, definiti entrambi un ostacolo insormontabile sulla via della riunificazione tedesca.

L’ordine degli eventi che l’URSS ha proposto per giungere al futuro assetto della Germania comporta in primo luogo la creazione di un governo provvisorio tedesco «democratico» che potrebbe o sostituire i due governi esistenti in Germania occidentale ed orientale o assumere solo alcune funzioni interessanti tutta la Germania; quindi la negoziazione e conclusione di un Trattato di Pace basato sull’Accordo di Potsdam del 1945, che implicherebbe per le Potenze occidentali la conferma della linea Oder-Neisse.

3. Durante la Conferenza di Berlino, tra i vari attacchi mossi contro la CED e gli Accordi di Bonn, Molotoff sostenne anche che essi non soltanto avrebbero vincolato, senza possibilità di ritorno, la Germania di Bonn al blocco occidentale, ma avrebbero costituito impegni per la futura Germania unita.

A tale argomentazione le tre Potenze occidentali risposero concordemente con l’affermazione di un principio, la cui esplicita formulazione costituì un fatto nuovo: la Germania, riunificata in seguito a libere elezioni, avrà libera scelta di confermare o meno gli accordi sinora sottoscritti dai governanti delle due Germanie: il Trattato di Pace tedesco segnerà la caducità di tutti gli accordi precedentemente conclusi. Questa esplicita e reiterata dichiarazione fu considerata dagli Occidentali un rischio calcolato che conveniva correre, anche perché esistevano sufficienti motivi per ritenere che il popolo tedesco, sia dell’occidente che dell’oriente, qualora chiamato a scegliere in condizioni di libertà, non esiterebbe ad aderire alla CED.

5 [sic]. I tre punti principali di contrasto fra la tesi sovietica e quella occidentale furono riassunti da Eden alla Conferenza di Berlino quando dichiarche il piano russo era inaccettabile:

1) perché respingeva il principio che il popolo tedesco deve scegliere liberamente il proprio destino;

2) perché comportava un governo provvisorio che non sarebbe stato scelto mediante elezioni dal popolo tedesco;

3) perché negava al futuro governo tedesco libertà di azione in materia di politica estera.

6. Si può dire che tutta la trattazione della questione tedesca è stata sfruttata dall’URSS, prima, durante e dopo la Conferenza di Berlino, per convincere l’opinione pubblica europea – e quella francese in particolare – della necessità di accantonare l’entrata in vigore della Comunità Europea di Difesa.

È inoltre risultato chiaramente, almeno finora, che i Sovietici non intendono consentire alla riunificazione della Germania se non alle condizioni da essi poste e che tra le libere elezioni in Germania e la CED preferiscono ancora questa ultima.

La Nota sovietica del 24 luglio 1954 e l’invito del 4 agosto(2)per un incontro a breve scadenza dei quattro Ministri degli Esteri per quanto riguarda il problema tedesco, sembrano inquadrarsi nella linea d’azione finora perseguita dall’URSS, allo scopo di ritardare la creazione della CED o di limitarne in un modo o nell’altro, il funzionamento.

7. Si ricorda infine che, in applicazione delle decisioni prese a Washington, un «gruppo di lavoro» anglo-americano, riunitosi a Londra nella prima metà di luglio(3), ha studiato le modalità tecniche con cui procedere alla restituzione della sovranità alla Germania Occidentale, nell’ipotesi di un ritardo o di una mancata entrata in vigore della CED.

Parlando ai Comuni dei risultati raggiunti dal «gruppo di lavoro» Churchill ha esposto il punto di vista anglo-americano, dichiarando:

«I Governi britannico e americano sono giunti alla conclusione che, nel caso deprecato di una mancata ratifica della CED, il loro obiettivo potrà essere raggiunto separando le convenzioni di Bonn dalla contemporanea ratifica del trattato CED; se possibile ciò dovrà essere fatto di comune accordo fra le quattro Potenze firmatarie delle convenzioni. Ogni altro sviluppo di fronte a questi lunghi ed indefiniti ritardi sarebbe contrario ai principi di buona fede e di lealtà che desideriamo mantenere con tutte le nazioni, anche con quelle con le quali siamo stati in guerra».

261 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 1.

261 2 Vedi D. 243, nota 3 e D. 251, nota 3.

261 3 Vedi D. 231, nota 2 e D. 236.

262

IL CAPO DELL’UFFICIO V DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, REVEDIN(1)

Appunto(2). Roma, 17 agosto1954.

Oggetto: Conferenza di Ginevra e CED.

La recente Nota con la quale la Francia propone modifiche all’Accordo sulla CED nonché l’atteggiamento di Mendès-France al riguardo possono gettare una certa luce sull’effettivo tenore degli ultimi colloqui ginevrini fra Mendès-France e Molotov e Mendès-France e Chou En Lai e sulle contropartite richieste dalla Russia per il raggiungimento di un armistizio coreano nel periodo impostosi dal Presidente del Consiglio francese.

È indubbio che la questione della CED abbia avuto un peso notevole sulla Conferenza di Ginevra e abbia rappresentato forse la maggiore preoccupazione di Mosca (e anche di Pechino perché potrebbe costituire un precedente anche nei riguardi dell’Asia).

Durante la prima fase della Conferenza tutto faceva ritenere che il dibattito previsto al Parlamento francese per la ratifica della CED avrebbe dovuto aver luogo nel prossimo autunno, probabilmente in ottobre. Questa sarebbe stata la ragione che avrebbe spinto Mosca verso il 25 maggio a lanciare l’idea di una nuova Conferenza di Berlino, da tenersi proprio in quel periodo. Ma pochissimi giorni dopo Mosca avrebbe avuto la sensazione che i tempi potevano accelerarsi e che conveniva pertanto agire immediatamente e direttamente su Bidault, ritenuto da Mosca il maggiore fautore della politica atlantica della Francia.

Da qui il drammatico colloquio Bidault-Molotov che precedeva la partenza di Molotov per Mosca (29 maggio).

Con mio appunto del 15 giugno ebbi l’occasione di riferire:

«Si dice infatti a Ginevra che nei colloqui Bidault-Molotov che hanno preceduto la partenza di quest’ultimo per Mosca (colloqui che per ragioni di carattere o d’antipatia personale sono stati sempre piuttosto aspri) il Ministro sovietico abbia proposto alla Francia in forma molto esplicita l’abbandono della politica atlantica e la rinuncia alla ratifica della CED come contropartite per un armistizio indocinese, sia pure con spartizione del Viet-Nam, ma apparentemente assai vicino ai desiderata francesi. Di fronte ad un netto rifiuto di Bidault, Mosca avrebbe deciso di servirsi di Ginevra per rovesciare il Governo di Parigi e togliere di mezzo lo stesso Bidault che essa considerava il maggiore ostacolo al raggiungimento dei suoi fini».

Il colpo di grazia al Gabinetto francese era stato, infatti, dato da Molotov nel suo discorso dell’8 giugno. Per la prima volta dalla tribuna di Ginevra egli ha apertamente attaccato la Francia, il Governo francese e Bidault in particolare, facendo una lunga requisitoria storica sulla politica coloniale francese.

Il giorno successivo, 9 giugno, quando Bidault era già partito per Parigi per assistere al dibattito parlamentare che si concluse con un voto di sfiducia, anche Chou En Lai interveniva con un lungo discorso sulla falsariga del discorso di Molotov.

In questa atmosfera è nato il Gabinetto Mendès-France che si è messo subito al lavoro sulla questione indocinese riprendendo quel filo che era stato interrotto da Bidault e riaprendo il dialogo al punto in cui Bidault lo aveva lasciato.

Questo dialogo Mendès-France lo ha voluto riprendere apertamente con Chou En Lai in un colloquio che ebbe il 23 giugno con il Premier cinese a Berna. La scelta di Berna era opportuna per Mendès-France in quanto rappresentava una zona neutrale anche rispetto alle Delegazioni alleate di Ginevra.

Quello che effettivamente abbiano discusso i due Primi Ministri non è stato possibile accertare neanche a Ginevra, ma è tuttavia logico pensare che da parte comunista si siano chieste quelle contropartite, per un armistizio indocinese, che interessavano particolarmente sia Mosca che Pechino e che solo una Francia che si staccava dalla linea di Bidault poteva garantire e cioè:

a) insabbiamento della ratifica della CED

b) appoggio francese per una futura Conferenza sulla Germania, a Quattro o a Cinque

c) appoggio francese per una prossima ammissione della Cina Comunista all’ONU. Mendès-France ripartì da Berna soddisfatto e ripetendo il suo annuncio che si sarebbe proposto di regolare la questione indocinese entro il 20 del mese di luglio.

Era ovvio, in tutti gli ambienti di Ginevra, che egli aveva promesso ai comunisti quanto Bidault non si era sentito in grado di assicurare. Mai avrebbe ottenuto una conclusione a Ginevra seguendo un’altra via.

Nel corso della terza ed ultima fase della Conferenza Mendès-France ha avuto numerosi colloqui diretti con Molotov; il primo la sera stessa del suo arrivo, il 10 luglio.

È assai probabile che il Ministro sovietico abbia riconfermato gli accordi precedentemente presi da Mendès-France con Chou En Lai e ribadita la tesi sovietica anti CED, ecc. in cambio di un armistizio indocinese come era stato progettato dalle Commissioni militari.

262 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 1.

262 2 Sottoscrizione autografa.

263

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 10222/247-248. Roma, 18 agosto 1954, ore 22,30 (perv. ore 7,30 del 19).

Riassumo le impressioni circa la CED dopo i colloqui avuti oggi con Kirkpatrick, Roberts e Massigli.

Mi risulta che le reazioni dei britannici di fronte al primitivo atteggiamento di Mendès-France nei riguardi sia della CED sia delle eventuali nuove trattative coi sovietici sono state molto forti. Churchill personalmente ha espresso la sua disapprovazione e richiamato i francesi ad un atteggiamento piconforme alla solidarietà occidentale. Massigli è stato domenica scorsa [il 15] a Marly dove ha avuto due ore di colloquio con Mendès-France. Egli è rientrato a Londra lunedì recando precisazioni di posizione specialmente in due direzioni:

1) Limitazione a zona di copertura NATO non riguarda europeizzazione truppe francesi metropolitane che rimane generale, ma sola integrazione nei corpi d’armata misti; 2) non vi sarà nessun condizionamento della CED all’esito dei negoziati coi sovietici ma le due cose dovranno procedere separatamente e distinte.

Malgrado questo chiarimento i britannici non appaiono ancora del tutto convinti della ferma determinazione di Mendès-France di varare la CED specificamente ad allettamento dei sovietici.

Essi intendono ugualmente di mantenere fermi questi punti:

1) La CED deve essere accolta o respinta con un chiaro e decisivo voto del Parlamento francese il quale deve essere inequivocamente indipendente dal corso o dall’esito dei negoziati coi sovietici; 2) tali negoziati possono essere ripresi solo se i sovietici offrono preliminarmente la firma del Trattato austriaco nonché il consenso alle libere elezioni tedesche né sarebbe sufficiente – come Mendès-France sembrava in un primo tempo ritenere – che tali argomenti fossero posti all’ordine del giorno di una conferenza; 3) le indecisioni al Trattato non debbono implicare patenti discriminazioni, mentre ora palesano la chiara volontà dei francesi di eliminare unilateralmente dal Trattato tutto quanto a loro non garba; 4) occorre che le modifiche siano tali da non esigere una nuova ratifica da parte dei parlamentari che già hanno approvato il Trattato, ed a tal riguardo le clausole di rinvio circa la sopranazionalità potrebbero essere considerate accettabili purché non eccessive, anche per quanto concerne la risposta dei partiti contrari; 5) in sostanza Mendès-France dovrebbe avere il coraggio di ripresentarsi al Parlamento ammettendo che molte delle sue modifiche hanno trovato, come troveranno, ostacolo nella volontà dei 5 alleati ed insistendo nel chiedere una inequivoca scelta. I Britannici pensano che lo sviluppo della situazione dipenderà molto dalla fermezza di Mendès-France nei confronti del Parlamento e dalla chiarezza con cui egli saprà richiedere deliberazioni non condizionate nemmeno implicitamente per i negoziati con Mosca. Essi hanno detto cimolto chiaramente a Massigli.

Per quello che riguarda in modo particolare la sopranazionalità, i britannici consigliano invece prudenza e ritengono che non si possa pretendere da Mendès-France più diquanto il Parlamento francese possa approvare. Essi ritengono sia meglio avere una CED diluita nel tempo e nella sostanza piuttosto che nessuna CED ed insistono più che mai nella esigenza di ottenere una rapida soluzione prima che la posizione di Adenauer peggiori ulteriormente.

Ho telegrafato a Roma e Bruxelles.

263 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 4.

264

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

Appunto(2). Bruxelles, 18 agosto 1954.

1) Il Benelux sta cercando di adottare un atteggiamento comune di fronte alle proposte francesi. Se questo atteggiamento sarà raggiunto in pieno, non lo si saprà che domattina, la riunione dei Ministri avendo luogo stasera stessa.

2) I Paesi Bassi e il Lussemburgo hanno già espresso un giudizio estremamente negativo. Il Belgio non si è ancora pubblicamente manifestato. Molte correnti dell’opinione di questo Paese consigliano a Spaak di assumere un atteggiamento intermedio.

3) Spaak ebbe a dirmi che si augurava che Paesi Bassi ed Italia adottassero all’apertura della Conferenza una linea molto negativa. Ne deduco che egli si riservava che altri cavassero le castagne dal fuoco, o che comunque desiderava poter assumere a suo tempo il «beau re».

4) Non è dubbio che Spaak è un europeista. Ma non v’è dubbio che se la Conferenza fallisce egli sa che si aprirà una crisi di prima grandezza nei rapporti franco-americani, e quindi nell’Alleanza Atlantica. Da qui, a ritorni al Patto di non aggressione franco-sovietico, il passo è breve. Le conseguenze ne sarebbero invece lunghe.

5) È ovvio quindi che, anche se il Benelux avrà un atteggiamento negativo comune, Spaak personalmente eserciterà, non foss’altro come Presidente, un ruolo di mediazione; e consiglierà di gettare zavorra: perché egli sa che questa occasione è ultimativa nei riguardi della CED.

6) A Spaak pesano le seguenti clausole:

a) discriminazione troppo palese della Germania;

b) unanimità per otto anni;

c) progressività dopo gli otto anni;

d) riferimento negativo all’art. 38. Non gli pesano (o non dovrebbero pesargli) i seguenti concetti:

a) che le truppe tedesche non vadano in Francia;

b) che vi sia un allargamento dei termini del periodo iniziale; e invece di 8 proporrà 5 anni;

c) che l’applicazione sia progressiva, quando persia stabilito che il Trattato sarà in vigore fin dal primo momento;

d) che i rapporti fra Ministri e Commissariato contemplino altre clausole di accordo unanime;

e) che il concetto di federazione europea venga modestamente alleggerito;

f) che ci sia diritto di eventuale recesso, in caso di ritiro di truppe anglo-americane o di riunificazione della Germania (il che del resto corrisponde al noto discorso di Bidault).

7) Se i 5 gettano zavorra per il 75%, la Francia essendo forse disposta a gettare il 25%, la Conferenza potrebbe riuscire. Solo se non riuscisse, la CED è definitivamente tramontata.

8) Il signor Spaak molto probabilmente si rende conto di questo, ma si troverà legato tanto dall’atteggiamento Benelux, quanto dal fatto che il suo Paese ha già approvato il Trattato in Parlamento.

9) Noi, per contro, ci troviamo in condizioni migliori, non avendo impegni (se non quelli generici con la Francia) e non avendo ancora affrontato la discussione parlamentare. Mi chiedo percise il ruolo di prestare i propri buoni uffici non convenga a noi di assumercelo, magari d’accordo con Spaak.

264 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

264 2 Sottoscrizione autografa.

265

LA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE(1)

Appunto(2). Roma, [...] agosto 1954.

SCHEMA DI INTERVENTO

È evidente che la riunione odierna è venuta assumendo, e con particolare vivacità di reazioni nell’opinione pubblica di tutti i paesi interessati, un carattere ed un’importanza del tutto particolari. Questo ci impone mi pare di esprimere innanzitutto con ogni chiarezza e lealtà il pensiero su tutta l’impostazione della politica della CED che siamo venuti seguendo.

Tutti conoscono da tempo e senza possibilità di dubbio la linea direttiva che il Governo italiano ha costantemente seguito e le considerazioni politiche che hanno ispirato l’atteggiamento italiano, sin da quando fu concepito il progetto francese inteso alla costituzione di una Comunità Europea Difensiva. Tutti conoscono la azione coerente svolta da anni, in senso chiaro ed univoco, con fede e vorrei dire con entusiasmo, dal Governo italiano, e sanno quanto tale azione abbia contribuito al raggiungimento dei positivi risultati che fecero apparire il 1952 l’anno delle realizzazioni europee, aprendo la strada alle più vive speranze.

Quali erano queste considerazioni, questi motivi che guidarono l’atteggiamento italiano? È il momento mi pare di ricordarli.

L’Italia vide nella CED la parola nuova, l’espressione del superamento di antiche impostazioni e di antiche mentalità che la storia, attraverso due tragiche esperienze belliche, ha condannato senza possibilità di appello. Abbiamo visto nella CED l’eliminazione dei motivi di conflitto tra i popoli europei attraverso il superamento dei nazionalismi, degli egoismi, dei risentimenti antichi e recenti. La CED inoltre fu fin dall’inizio ai nostri occhi intesa al rafforzamento del potere difensivo europeo ed occidentale, inteso a ridurre il grave disequilibrio di forze che pregiudicava ogni seria possibilità di dialogo e di vera, e non effimera, distensione e sicurezza generale. Tutti questi motivi si assommavano nella nostra principale considerazione: che la CED era, e doveva essere un elemento concreto, un apporto effettivo verso una reale integrazione europea, verso una Comunità Politica che fosse per tutti i Paesi di pace [sic] una garanzia di pace, di migliore prosperità economica e di maggiore equilibrio sociale.

Non è, come sapete, l’aspetto tecnicamente militare che interessa principalmente l’opinione pubblica italiana. O meglio l’opinione pubblica e parlamentare italiana apprezzano appieno e sono estremamente attenti anche al problema militare difensivo, ma si rendono conto che questo problema ammette, almeno in linea di probabilità più

o meno teoriche, molte soluzioni, mentre la CED interessa, come tale, per altri sostanziali motivi. Questi motivi, ripeto, si riassumono nella necessità di contribuire concretamente alla costruzione dell’Europa unita, e di mettere le serie basi di una solidarietà duratura tra le nostre nazioni.

Questa nostra visione di una Europa unita non può non portarci oggi a preoccuparci, e seriamente, delle situazioni interne di tutti, e non di uno solo, dei nostri Paesi. Deve guidarci il ricordo delle tristi esperienze del passato. Io sono sicuro che gli amici francesi se ne rendono conto non meno di noi. Sappiamo ad esempio che cosa ha significato nel periodo tra le due guerre mondiali aver trascurato di sostenere, al momento in cui era necessario, le forze vere della rinascente democrazia in Germania. Io credo che la nostra attenzione deve essere estremamente vigile su questo punto: e certo quello dell’Italia lo sarà, perché noi non intendiamo portare alcuna responsabilità di possibili slittamenti su una china che puprecludere alla vera, definitiva rovina dell’Europa.

Sulla base di questa premessa e di queste, ripeto non nuove e ben note, impostazioni programmatiche, il Governo italiano ha, pur nella ristrettezza del tempo, sottoposto ad attento esame il documento che ci è stato presentato dal Governo di Parigi(3). Questo studio, ripeto non soltanto – e qui devo parlare con tutta franchezza – non ha dissipato i dubbi che una sua prima lettura aveva sollevato. Tre ordini principali di questioni sono apparse attirare tutta la nostra attenzione:

1. Anzitutto proposte che appaiono eliminare o in sostanza modificare quel carattere di supranazionalità che è e deve rimanere uno dei concetti informatori del Trattato di Parigi. Gli esempi maggiormente palesi e sui quali non possiamo non chiedere delucidazioni al nostro collega francese sono:

a) mutamento delle relazioni generali tra il Consiglio e il Commissariato, stabilendo una subordinazione di questo ultimo e riducendo il suo ruolo a quello di esecutore amministrativo delle direttive del Consiglio. Come è noto invece, secondo il Trattato, il Commissariato agisce liberamente eccettuati i casi espressamente previsti di intervento del Consiglio;

b) creazione, per un periodo di otto anni, di un diritto di veto illimitato contro le decisioni del Commissariato da parte di ogni Stato membro. La portata di questa proposta è ulteriormente gravata dall’altra secondo la quale, durante lo stesso periodo, sarebbe anche soppressa la possibilità che il Commissariato formuli un ricorso dinanzi alla Corte per far constatare la violazione del Trattato da parte di uno Stato membro;

c) sostanziale abbandono delle finalità europeistiche del Trattato. Quanto viene affermato nelle disposizioni generali del documento circa la inattualità delle procedure, prevista nell’art. 38, del Trattato, appare allo stato delle cose e a norma dell’esperienza degli ultimi mesi, per lo meno, permettetemi di dire, inesatto. L’art. 38 che – tengo a riaffermarlo – non puassolutamente, da parte italiana, essere abbandonato, contiene infatti l’iter destinato a condurre alla progressiva realizzazione delle Comunità Politica Europea. Citanto più in quanto nel progetto di dichiarazione comune allegata al Protocollo, nel quale vengono elencati gli scopi della Comunità e ne viene precisato il carattere, non è fatta alcuna menzione degli scopi europeistici di essa.

2. Vi sono poi nel protocollo proposte che tendono a creare una situazione discriminatoria e quindi in senso contrario all’art. 6 del Trattato nel quale invece viene affermato che esso non comporta alcuna discriminazione tra gli Stati membri. Evidenti, in tale campo, appaiono le proposte concernenti la limitazione dell’integrazione delle Forze alle cosiddette «zone di copertura», concetto completamente nuovo; proposte relative alle nomine e ai gradi che stabiliscono una differenza fra, da una parte, i Paesi che dispongono di un’organizzazione militare nazionale prima della entrata in vigore del Trattato e, dall’altra, il solo Paese che non si trova in tali condizioni; ed ugualmente debbo qui ricordare le proposte relative alla libertà di fabbricazione di combustile nucleare in tutte le zone non strategicamente esposte, nonché quelle che stabiliscono nuove incidenze finanziarie in relazione alle disposizioni sulle zone strategicamente esposte.

3. Infine appare nel Protocollo una terza categoria di proposte per le quali è necessario un nuovo esame parlamentare. Per quanto concerne il Governo italiano, devo rilevare che tali modifiche lo porrebbero dinanzi al proprio Parlamento in una situazione altrettanto delicata di quella esistente nei Paesi che hanno già completata la procedura. Infatti, ancora prima del voto definitivo, il Governo italiano si vedrebbe costretto a ripresentare ex novo alle Commissioni un progetto basato su impostazioni

assai diverse da quelle sulle quali il Governo stesso si era impegnato. Così, ad esempio non solo tutti i casi che ho in precedenza indicati ma anche, quelli assai gravi, relativi al diritto di recessione da parte degli Stati firmatari. Devo inoltre aggiungere che lo stesso preambolo che ci viene indicato, nell’importanza delle sue enunciazioni, dimostra che il Protocollo dovrebbe rivestire una natura politica di tale importanza da rendere necessaria la ratifica parlamentare, almeno ai sensi della nostra Costituzione.

Ho così enunciati i punti per i quali il Governo italiano non potrebbe accettare il Protocollo a meno che essi fossero eliminati o subissero notevoli trasformazioni. Ciposto, sono pronto a riconoscere che il protocollo contiene due concetti che, secondo la Delegazione italiana, meritano una particolare attenzione e corrispondono a desideri del Governo francese ai quali anche noi siamo sensibili.

Mi sembra che nello spirito delle proposte francesi si voglia mettere l’accento sulla necessità di una applicazione graduale del Trattato in particolare per quel che riguarda l’entrata in vigore delle clausole aventi carattere sopranazionale. È evidente che l’avviamento della Comunità della Difesa, data la complicazione e la novità dell’organizzazione potrà comportare delle difficoltà. Non sono contrario a che si trovasse una formula per rendere tale avviamento maggiormente graduato ed armonico, sempreché perdei termini fissi e ben definiti siano fino d’ora stabiliti.

In secondo luogo è probabile che l’esperienza dell’esecuzione del Trattato dopo un certo tempo, anche non necessariamente molto lungo possa consigliare di rivedere e modificare alcune disposizioni del Trattato stesso. E questa esigenza che è chiaramente indicata dalle proposte francesi, mi sembra giustificata.

È bensì vero che nel Trattato già esistono delle disposizioni che si riferiscono ai punti sopra indicati, ma convengo che, per venire incontro ai desideri francesi, tali disposizioni potrebbero essere approfondite o maggiormente specificate.

265 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

265 2 Annotazione sul primo foglio: «Conferenza di Bruxelles. Schema seguito dal Ministro Piccioni. 19/8/54».

265 3 Vedi DD. 256-258 e Appendice II.

266

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

Fonogramma 3511(2). Bruxelles, 20 agosto 1954, ore 17,30.

Soltanto ora, ad un giorno e mezzo da inizio Conferenza, appare possibile dare un primo sguardo riassuntivo a situazione difficile et delicata creatasi in Conferenza Bruxelles.

Protocollo francese(3)contenente note profonde rettifiche, formali et sostanziali, a Trattato CED ha incontrato – anche se con sfumature diverse – opposizione da parte tutti altri cinque Paesi. Delegazione olandese ha svolto, in tale contrasto, posizione di punta mentre Italiani e Tedeschi, pur dimostrando spirito di comprensione per venire per quanto possibile incontro a necessità parlamentari francesi fatte presenti da Mendès-France, sono stati irremovibili nel porre in rilievo assoluta impossibilità accettare formule che importassero nuova ratifica parlamentare. Ministro Spaak ha svolto, quale Presidente Conferenza, e come già previsto sua funzione di intermediario pur adoperandosi per togliere praticamente di mezzo protocollo francese.

Conferenza ha svolto fino a questo momento suoi lavori in riunioni strettamente private e senza presenza esperti e suo tono è stato in taluni momenti particolarmente drammatico.

Alla fine della riunione di stamani – e a seguito constatata impossibilità procedere a lettura e critica del Protocollo francese – è stato unanimemente deciso di accantonarlo definitivamente e di sostituire ad esso, eventualmente, una dichiarazione cui testo è stato presentato da Spaak. Tale testo, che verrà ora sottoposto ad attento esame, cerca di riassumere, in una cornice politica e non tecnica, quei concetti e quelle proposte del Protocollo francese che sono apparse accettabili quali enunciazioni di direttive per futura progressiva applicazione del Trattato.

Nella riunione prevista per questo pomeriggio tutte Delegazioni esporranno loro impressioni circa tale testo. Non è difficile prevedere nuovi e non semplici contrasti dato che Delegazione francese sembra voler svolgere – proprio per aver visto ormai respinto suo Protocollo – ogni sforzo per ritornare a Parigi a mani non vuote.

Per parte mia, e tenendo ben presente concetti indicatimi da V.E. nella riunione di Palazzo Chigi(4), continuo opera intesa a mantenere integri principii di conservare a CED suo avviamento supernazionale, ad evitare concetti discriminatori e ad impedire approvazione di norme che dovessero rendere necessaria presentazione di modifiche in sede parlamentare.

266 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

266 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

266 3 Vedi DD. 256-258 e Appendice II.

266 4 Il 17 agosto si svolse una riunione sotto la presidenza di Scelba con i componenti della Delegazione al termine della quale furono definite le direttive per l’azione italiana a Bruxelles («La Stampa», 18 agosto 1954, L’Italia rimarrà fedele alla scelta europeistica). Presumibilmente a questo incontro sono riconducibili alcuni appunti manoscritti su carta intestata del Gabinetto, rintracciabili in un fascicolo dedicato alla Conferenza di Bruxelles ed il cui tenore è il seguente: «Conferenza di Bruxelles. 1) nessun ritorno al parlamento; 2) Supranazionalità. Integrazione europea; 3) discriminazioni per Germania; 4) efficacia della difesa. Sede a Parigi. SCELBA: 1) Ritardo ratifica da parte dell’Italia. Governo italiano desidera ratifica CED senza nessuna riserva. Maggioranza parlamentare è unanime per la CED. Anzi si è accresciuta. 80 voti a favore della CED anche se la destra si astiene. Non abbiamo ratificato per colpa della Francia. Discussione tiene Camera impegnata per un mese. Governo italiano si propone di far discutere CED alla fine delle vacanze. Governo italiano vuole la CED così come è. Soprattutto nelle sue strutture fondamentali. Sopranazionalità. Struttura economica e politica. Evitare di portare di nuovo in discussione delle Commissioni. Carattere di supernazionalità è per noi necessario. Già una volta la politica del sospetto ha gettato la Germania nelle braccia di Hitler. Adenauer cerca di costituire un forte paese democratico. Paura francese oggi è meno giustificata di dopo l’altra guerra. Politica poco riguardosa e poco amichevole nei confronti dell’Italia. Francia fa da sé come se Italia non esistesse. Mendès France gioca grosso e giuoca doppio. Vuole fare una certa politica con la Russia. Noi non condividiamo questa politica francese. Non siamo contro la politica della distensione ma vogliamo farlo da una posizione di forza. Discutere con [Mosca] fatta la CED è possibile ma non prima. Politica di distensione senza una forza adeguata è follia. Noi abbiamo forte partito comunista. Grave tentativo di ritardare la ratifica per far dialogo con Russia. Oggi è momento cruciale. La CED si fa o non si fa. Senza la Germania non si pufare la difesa dell’Occidente. Germania se unificata ma neutrale non serve. Dobbiamo [...] il gruppo degli oppositori. Adenauer può anche guadagnare da questa operazione. Noi no. Elemento complementare ai fini militari. PICCIONI: Che cosa ne è in concreto della CED ? 1) Non rinunciamo al carattere sopranazionale della CED. 2) Quali sono le clausole che richiedono la ratifica ? 3) Discriminazioni» (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 1).

267

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

T. s.n.d. urgente 10366/153(2). Bruxelles, 20 agosto 1954, ore 20,24 (perv. ore 23,30).

Mentre lo sviluppo della Conferenza avviene in forma indubbiamente drammatica ed indicatrice di profondi contrasti tra i francesi e gli altri firmatari del Trattato, si ha l’impressione che da parte americana ed anche da parte inglese si compiano sforzi per impedire un aperto fallimento della riunione e anche per rinforzare in qualche modo la posizione personale del Cancelliere Adenauer. Questi ha infatti ricevuto, uno sull’altro, un messaggio personale del Segretario di Stato Dulles e di Churchill intesi ad esprimergli in qualche modo la solidarietà dei Governi di Washington e di Londra e per rincuorarlo nella sua azione di difesa della integrazione europea. Dalla Germania, infatti, giungono non poche notizie circa l’azione di critica contro il Cancelliere svolta da elementi socialisti e nazionalisti. A quanto risulta anche Mendès-France ha ricevuto un messaggio di Dulles sempre inteso a far presente l’assoluta necessità del raggiungimento di un accordo inteso a preservare l’unità occidentale.

Prego di mantenere segreta tale notizia.

267 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 1.

267 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

268

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

Fonogramma 3512(2). Bruxelles, 21 agosto 1954, ore 10,15.

Seduta pomeridiana Conferenza, durata nove ore e terminata due di notte, est stata caratterizzata – specie in sua prima parte – da vivacissimi contrasti che ad un certo momento avevano persino fatto pensare a possibile rottura.

Et ciò perché – come prevedevasi – francesi hanno fatto di tutto per far rientrare nel progetto di dichiarazione formulato da Spaak molte delle richieste contenute nel loro antico protocollo. In seguito situazione migliorata ha permesso a Spaak raccogliere tutti elementi per predisporre nuovo testo che ci verrà presentato oggi pomeriggio e sul quale si tenterà nuovamente raggiungere generale consenso.

Stamane si riuniranno esperti per cercare accordo circa proposte francesi nel campo specifico integrazione militare e aspetti economici del Trattato.

Per quanto particolarmente ci interessa siamo riusciti – dopo non brevi contrasti

– a far cadere qualsiasi accenno ad articolo 38 il quale, se Conferenza andasse a buon porto, dovrebbe così rimanere integro per sue future applicazioni.

268 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

268 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

269

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

Fonogramma(2). Bruxelles, 21 agosto 1954, ore 18.

Lavoro degli Esperti convocati stamane per promuovere formule conciliative tra tesi francesi ed enunciazioni contenute nel Trattato CED nel campo militare ed economico ha dimostrato quanto sia difficile raggiungere senz’altro accordo sperato.

Questioni, infatti, relative ad integrazione militare limitata in primo tempo a zone copertura ed a proporzione forze nel futuro esercito non hanno trovato fino a questo momento soluzione soddisfacente, perché su di esse francesi si sono mostrati particolarmente intransigenti.

Riunione dei sei Ministri che doveva aver luogo prime ore del pomeriggio è stata rinviata alle 20 di questa sera: segno evidente che Presidente Spaak non possiede ancora tutti elementi per raggiungimento intesa.

È qui giunto Ambasciatore americano Bruce che vedrstasera. Egli, pur smentendo di essere latore di speciali messaggi ed incarichi da parte Segretario di Stato, ha iniziato suoi colloqui per collaborare a rendere meno rigida situazione creatasi.

269 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

269 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

270

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

Fonogramma 3550(2). Bruxelles, 22 agosto 1954, ore 5.

Tutta la giornata di ieri 21 è stata dedicata a riunioni di esperti che hanno esaminato i problemi tecnici che in sede di riunione di Ministri non erano stati risolti nei due giorni precedenti. Ieri sera, in riunione di Conferenza protrattasi fino ore tre stanotte, il Presidente Spaak ha presentato documento nel quale per tutti gli argomenti proposti nel memorandum francese venivano presentate formule compromissorie di risoluzione. La discussione è stata lunga e vivace. Francesi rimasti irriducibili sulle seguenti questioni fondamentali: 1) Riconoscimento del voto sospensivo su decisioni Commissariato; 2) Discriminazione relativa integrazione militare per la Germania; 3) Clausole di recesso in relazione possibile riunificazione tedesca; nonché altri punti di non lieve importanza. Preciso che su tutti questi punti del documento Spaak proponeva formule risolutive che, pur rispettando nostri principi, prevedevano fino ad estremi limiti concessioni al punto di vista francese.

A seguito di tale rigida posizione francese, mantenuta nonostante caldi appelli di Adenauer e mio, Spaak concludeva che dichiarazione comune non poteva essere firmata. Peraltro proponeva pubblicazione di un comunicato con il quale vengano resi di pubblica ragione il primitivo progetto francese e il documento approvato dai cinque e parzialmente respinto dalla Delegazione francese. Il testo del comunicato sarà esaminato stamattina in una riunione dei sei Ministri.

270 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

270 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

271

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

Fonogramma 3551(2). Bruxelles, 22 agosto 1954, ore 5.

Oggi 22 dovrtrattenermi Bruxelles per partecipare ultima riunione Conferenza. Mi è perciimpossibile partecipare alle onoranze funebri di Alcide De Gasperi.

Ne sono profondamente rammaricato. Ti prego di porgere ai familiari l’espressione del mio fraterno cordoglio.

271 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

271 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

272

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA(1)

Fonogramma 3551 [bis](2). Bruxelles, 22 agosto 1954, ore 19,45.

Dopo primo breve periodo di disorientamento et confusione provocato da dichiarata impossibilità di raggiungimento accordo tra tesi francese e quelle altri cinque Paesi, est sopravvenuta – a momento chiusura Conferenza in questo pomeriggio – una attenta et vorrei dire piserena valutazione della situazione creatasi.

Così – con indubbia sorpresa da parte di non pochi – Mendès-France ha integralmente accettato testo di comunicato finale(3)predisposto da Spaak e nel quale fassi preciso esplicito accenno a necessità oltreché di un rafforzamento della cooperazione europea per protezione Europa Occidentale, di evitare qualsiasi neutralizzazione della Germania e di anzi contribuire at sua unificazione et sua partecipazione a comune difesa. Per di piMendès-France ha indirizzato a altri cinque rappresentanti, al momento chiusura Conferenza, una sua lunga dichiarazione nella quale, ribadendo et ampliando tali concetti, ha annunciato essere sua intenzione inaugurare politica intesa a dirimere in un quadro europeo difficoltà esistenti tra Francia et Germania concorrendo perché questa possa raggiungere sua sovranità et suo riarmo.

Tali dichiarazioni hanno provocato breve risposta di Adenauer in tono di distensione e nella quale egli ha affermato che comunque a Bruxelles, pur non raggiungendovi accordo tra i sei, è stato compiuto un passo avanti in tema di lavoro comune per una effettiva collaborazione europea.

Circa eventuali ripercussioni in America in merito a situazione creatasi con mancata intesa di Bruxelles, ho stimato opportuno attirare attenzione dell’Ambasciatore americano Bruce su necessità che Italia non sia posta – a causa sua mancata ratifica del Trattato CED – in condizioni di disparità con altri quattro Paesi che hanno già ratificato. In tale senso egli interesserà Washington. Non ho però impressione che si sia già alla vigilia di qualche iniziativa americana dato anche che ora tutta attenzione si orienta su Parigi et su azione che Mendès-France svolgerà colà nei prossimi giorni in merito a presentazione del Trattato dinanzi ad Assemblea Nazionale(4).

272 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

272 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Bruxelles.

272 3 Vedi Appendice II.

272 4 Presumibilmente da ricondurre alle dichiarazioni rilasciate da Piccioni alla stampa al termine della conferenza è il seguente testo conservato in una minuta dattiloscritta con correzioni: «Desidero dichiarare che anche se durante questa conferenza non è stato possibile raggiungere un accordo fra i sei paesi firmatari del trattato di Parigi sulle proposte francesi, ciò nonsignifica una diminuzione della solidarietà del mondo occidentale. È risultato chiaro, nel corso dei lavori svolti a Brusselle, l’esistenza fra tutti i partecipanti della volontà comune di continuare sulla via della cooperazione europea a difesa della pace e per realizzare un sempre maggiore progresso sociale dei nostri paesi. Mentre ci si è trovati d’accordo – senza nessuna riserva – sulla necessità di contribuire all’unificazione della Germania ed alla sua partecipazione alla difesa comune, è stata anche riaffermata la volontà concorde di giungere a forme di integrazione occidentale anche di carattere politico ed economico. Desidero poi sottolineare che nel corso dei lavori l’atteggiamento della delegazione italiana, pure ispirandosi alla piamichevole comprensione per le difficoltà della situazione francese e per la ricerca di formule di accordo relative alla interpretazione e all’applicazione del trattato, ha mantenuto un atteggiamento di ferma difesa di quei principi fondamentali che rappresentano la base stessa della integrazione europea. Noi ci auguriamo che tali principi, nella difesa dei quali non ci troviamo soli, possano progressivamente affermarsi per la salvaguardia delle ragioni fondamentali della nostra civiltà» (DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 1). Il primo periodo di queste dichiarazioni fu ripreso testualmente in un articolo pubblicato su «La Stampa» del 23 agosto, dal titolo Dopo l’insuccesso della Conferenza di Bruxelles.

273

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, ALL’AMBASCIATA A WASHINGTON(1)

T. s.n.d. 7763/182(2). Roma, 22 agosto 1954, ore 15,30.

Conclusasi negativamente la Conferenza di Bruxelles, testo messaggio che Segretario di Stato Dulles aveva fatto pervenire a Mendès-France all’inizio dei lavori(2)è stato comunicato dal rappresentante americano agli altri cinque Ministri degli Affari Esteri. In esso è detto, tra l’altro, che Governo americano, in caso mancato accordo tra i 6 avrebbe invitato ad una riunione Paesi che hanno già ratificato CED ed Inghilterra onde esaminare questioni inerenti a restituzione sovranità e riarmoGermania Occidentale. È stato fatto rilevare da parte nostra che dopo Conferenza di Bruxelles, dove chiara posizione e conseguenti responsabilità sono state assunte da Governi partecipanti, criterio ratifica (la quale devesi per altro considerare scontata per quanto ci riguarda) non appare il più appropriato. Inoltre esclusione eventualmente Italia da ulteriore sviluppo problema, accomunando erroneamente posizione italiana a quella francese in base a considerazioni pilegalistiche che politiche, sarebbe di giovamento solo a ben note ed individuate correnti ostili a CED e ad integrazione europea (che vi vedrebbero un loro successo): mentre non potrebbe non indebolire le altre correnti che nel Paese vi sono favorevoli. V.E. è pregata portare quanto sopra a conoscenza del Dipartimento di Stato mantenendo contatti con questo nello sviluppo ulteriore della questione. Con l’occasione V.E. voglia ricordare comunicazione da lei fatta circa nostra favorevole posizione per restituzione sovranità Germania Occidentale, a seguito telegramma ministeriale n. 153(3).

273 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 3.

273 2 In realtà fu consegnato il 22 agosto: vedi FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 1, D. [580], Washington, 21 agosto 1954.

273 3 Vedi D. 237, nota 3.

274

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, A BRUXELLES(1)

[L.](2). [Roma, ... agosto 1954].

Ringrazioti per comunicazioni inviate e pei risultati ottenuti circa art. 38(3).

Pregoti vivamente continuare personale difesa interessi nazionali sino a chiusura ufficiale Conferenza.

Comprendo tuo desiderio rendere estremo omaggio carissimo defunto, ma soddisferei di pisuo spirito difendendo suo pensiero nella Conferenza cui risultati tanto lo preoccuparono sino ultimo istante.

Cordiali saluti

[Mario Scelba]

274 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

274 2 Minuta vergata sul verso di una copia del fonogramma di Piccioni a Scelba del 21 agosto (D. 269); priva di data, ma riconducibile al 22 (termine post quem è il D. 271, al quale verosimilmente risponde; quello ante quem è la data di chiusura della Conferenza).

274 3 Vedi D. 268.

275

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 10509/157. Bruxelles, 23 agosto 1954, ore 22,30 (perv. ore 7,30 del 24).

S.E. il Ministro ha chiesto a Spaak la sua opinione circa la progettata conferenza ristretta. Spaak ha risposto che Foster Dulles aveva [sic] incorso nel grave errore di non menzionare l’Italia; che egli è d’avviso che la conferenza non debba essere effettuata, specialmente se escludesse la Francia e fosse ristretta alla Gran Bretagna Benelux e Germania.

Pertanto egli farà quanto è in suo potere affinché qualunque esame collegiale sia fatto anche con l’Italia. Ritiene perche se Mendès-France commettesse l’errore di non fare subito votare la CED, gli Stati Uniti convocherebbero immediatamente la conferenza ristretta. S.E. il Ministro ha illustrato a Spaak che l’Italia continuava a considerarsi nello schieramento dei Paesi favorevoli alla CED e lo ha informato circa i vari punti toccati ier sera con Mendès-France (resoconti di tali colloqui verranno fatti da Magistrati)(2).

In successive conversazioni con me, Spaak ha assicurato che terrà i più stretti contatti con l’Italia; che la nostra posizione gli era perfettamente chiara pur rendendosi conto dei nostri speciali rapporti con la Francia, i quali avrebbero perpotuto essere impiegati da noi benissimo come «trait d’union». Ha ammesso essere stato errato l’avere drammatizzato sullo scacco della conferenza e di avere cercato di rimediare con la sua dichiarazione alla stampa, pur continuando a considerare la tattica come grave anche per la diffidenza che continua a nutrire verso Mendès-France.

275 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 3.

275 2 Vedi D. 282; sull’argomento vedi anche DD. 276 e 288.

276

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. segreto 10506/158. Bruxelles, 23 agosto 1954, ore 21,30 (perv. ore 7 del 24).

In colloquio con S.E. il Ministro prima della sua partenza, Spaak non nascondendo il suo risentimento circa il fallimento della conferenza che egli attribuisce totalmente ai francesi, ha detto:

1) Egli farà di tutto per evitare uno schieramento anti-francese sia per non approfondire il fossato sia per le speciali relazioni che il Belgio deve mantenere con la Francia.

2) Il Presidente francese gli aveva ieri nel pomeriggio escluso di voler presentare la CED al Parlamento anche perché «non sarebbe degno non porre la questione di fiducia». Al che S.E. il Ministro ha detto che Mendès-France lo aveva invece assicurato ieri sera del contrario.

3) In tal caso Spaak ritiene che se la fiducia sarà posta Mendès-France dichiarerà di essere eventualmente pronto ad accettare il reincarico.

4) Spaak è d’opinione che allorché Mendès-France affermerà al Parlamento che l’alternativa, la quale sembra godere la sua preferenza, è il riarmo della Germania in seno alla NATO, molti socialisti preferiranno di votare per la CED. Per interpellanza [sic] Spaak non è ancora totalmente certo del suo rigetto.

276 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 3.

277

L’AMBASCIATORE A BRUXELLES, GRAZZI AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. riservato 3548/1720(2). Bruxelles, 23 agosto 1954.

Oggetto: Conferenza di Bruxelles.

Riferimento: Mio telegramma n. 157 del 23 agosto c.a.(3).

Ho riassunto telegraficamente il colloquio che V.E. ha avuto stamani con Spaak all’aeroporto, aggiungendo quello che il Ministro mi ha detto dopo la sua partenza, affinché Ella avesse prima del Consiglio di Gabinetto anche gli elementi risultanti dalla sua conversazione.

Al riassunto telegrafico desidero aggiungere qualche precisazione. Il signor Spaak è, come Ella ha constatato, pidecisamente anti-Mendès che anti-France. Ci perché verso il primo egli ha una sfiducia quasi istintiva che lo porta a porre in dubbio tutte le assicurazioni che il Presidente possa prodigargli od avergli prodigato, mentre verso la seconda egli ha una certa generica comprensione, allargata dalla necessità pispecifica per il Belgio, di non assumere atteggiamenti rigidamente antifrancesi. Di più Spaak è rimasto bruciato dall’aver fallita in quest’ultima occasione quell’opera di mediazione in cui egli eccelle.

Da qui, le allusioni sarcastiche all’isolamento della Francia in cui Mendès la ha condotta, al viaggio londinese che sarebbe stato fatto dal Premier francese per dare l’illusione di aver la Gran Bretagna con sé, «cosa che è invece assolutamente da escludere». *Quanto alla necessità di non mettere il Belgio in una palese coalizione antifrancese, essa è tale che anche se non la chiedessimo (e non l’ho chiesto poiché V.E. me ne ha dato istruzioni contrarie) possiamo esser certi che il Belgio farà davvero il possibile perché le conversazioni future abbiano luogo a 8, cioè Italia e Francia comprese*(4).

Il signor Spaak mi ha poi illustrato questa dilemma. O il signor Mendès-France non si rende conto di che cosa voglia dire riarmo tedesco, e Germania nel NATO con tutto il suo peso politico in tale Organizzazione che è interesse di tutti di valorizzare al massimo nei confronti di ogni avvenimento od evenienza internazionali; o se ne rende conto. *Nel primo caso, ci sarebbe da dubitare della sua intelligenza, e nel secondo c’è da dubitare della sincerità delle sue attuali affermazioni di fedeltà alle direttive del mondo occidentale, in quanto, a seguito di un piche probabile rigetto francese di tale sua politica, egli resterebbe libero di trattare direttamente con Mosca*(5).

È strano – sia detto en passant – come il Primo Ministro francese abbia destato in tutti il dubbio della sua buona fede; dipenderà forse dall’essere egli un «homo novus», come pudipendere peranche dal suo temperamento nonché dalle manifestazioni che esso ha comportate. Sta di fatto che questa è l’impressione che egli ha lasciato in tutti gli ambienti della Conferenza.

Il signor Spaak mi ha poi detto di essersi reso conto sino da venerdì mattina [il 20], dai discorsi che teneva Edgar Faure nelle «coulisses» della Conferenza che, contrariamente a quanto si attendeva, non c’era nulla da fare con la Delegazione francese. Tuttavia egli, Spaak, aveva continuato nei suoi tentativi, benché convinto in fondo che i francesi desiderassero il fallimento della Conferenza, per poterli porre con le spalle al muro.

Quanto alla parola «fallimento», il signor Spaak si è rammaricato di essersi lasciato andare sabato sera a delle dichiarazioni troppo pessimiste. Egli ha cercato di rimediarvi mediante la sua conferenza stampa, che è invero un notevole saggio di abilità; ma ormai il male era fatto, mentre (egli ha aggiunto) il Cancelliere Adenauer ha dato prova di una maggior padronanza dei propri nervi.

Circa i colloqui Mendès-France-Adenauer, il signor Spaak mi ha detto di non esserne informato che genericamente: si riservava di approfondire se della Saar si fosse parlato (Spaak considera tale questione come un suo feudo personale), e sopratutto di controllare se nel colloquio il signor Mendès-France fosse rimasto strettamente fedele a tutto quello che aveva detto nell’ultima seduta e particolarmente nella sua dichiarazione finale.

Infine il Ministro belga mi ha specificato che a lui il signor Mendès-France ha sempre parlato dell’entrata della Germania nella NATO, ma che personalmente credeva che in fondo il Gabinetto francese avrebbe preferito una coalizione di eserciti, alla quale il carattere di supernazionalità fosse stato tolto. Per si è affrettato a soggiungere, non è facile vedere come si potranno risolvere i problemi giuridici e politici che cicomporterebbe; e quanto a questi ultimi egli pensava che molti deputati francesi, specie socialisti, avrebbero preferito la CED al riarmo autonomo della Germania, il quale avrebbe comunque sollevato in Francia obiezioni ancora piappassionate che non la CED; donde, apertura di una nuova crisi di immobilismo generale e peggioramento dei rapporti franco-americani nonché un ulteriore peggioramento nelle già scarse possibilità di trattative con i Soviets.

In conclusione, Spaak mi è sembrato molto pessimista, anche se per ovvii motivi aveva dato istruzione al suo Ministero ed alla stampa di alleggerire il tono dei commenti e di estrarre dalla situazione uscita dalla Conferenza gli aspetti meno scoraggianti.

Un’ultima osservazione: la preoccupazione di Spaak circa la situazione generale e circa il contenuto militare cui si tratta ora di far fronte è tale, che la questione della progressione dell’integrazione europea generale lo lascia per il momento freddo. Occupiamoci per ora del più grave e del piurgente; *tali sono state le sue parole, le quali, venendo da un uomo così noto come europeista, non possono che dar motivo di riflessione*(6).

277 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 3.

277 2 Sottoscrizione autografa.

277 3 Vedi D. 275.

277 4 Annotazioni a margine del brano tra asterischi [Del Balzo ?]: «Anche noi abbiamo le stesse necessità».

277 5 Annotazioni a margine del brano tra asterischi [Del Balzo ?]: «giusto».

277 6 Annotazioni a margine del brano tra asterischi [Del Balzo ?]: «importante».

278

L’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, TASSONI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

T. segreto 10557/773-774. Parigi, 24 agosto 1954, ore 20,19 (perv. ore 7,30 del 25).

Il ritorno di Mendès da Londra via Bagnoles (Coty) è qui considerato piuttosto come espediente per «annegare» il tema principale di Bruxelles in una nuova situazione e nella presentazione di una formula «amicizia-accordi inglesi». Interessava comunque a Mendès di ottenere l’appoggio britannico contro esclusione della Francia da un’eventuale conferenza circa la sovranità tedesca, esclusione minacciata da Dulles nell’ultimo suo messaggio. L’impressione predominante: Mendès riteneva trovare maggiore morbidezza latitudine negoziato di Bruxelles ma non è troppo preoccupato del fallimento Conferenza. Tanto, compromesso sarebbe stato poi accanitamente combattuto qui da MRP e socialisti. Pur con la riserva dovuta al temperamento sconcertante di Mendès, si pensa che egli vagheggi, ora, la presentazione del testo integrale della CED nel Parlamento.

La visita a Churchill era stata concordata da Mendès prima di Bruxelles ma l’annuncio tenuto in riserva. Le notizie circa le velleità di Mendès di ritirarsi, sono del tutto contrarie al complesso carattere combattivo dell’uomo.

In seguito ai risultati di Bruxelles, lo schieramento parlamentare sembra tornato quello iniziale con l’allontanamento della MRP da Mendès ed il riavvicinamento dei gaullisti insieme ai socialisti anti CED. Su tutti i socialisti – del resto – nuova tattica «inglese» di Mendès fa sempre il suo effetto. Intorno al Presidente si parla di una nuova formula che egli starebbe varando «Francia Inghilterra Germania». La formula implicherebbe – per alcuni

– l’ambizione e l’illusione di staccare la Germania dai legami internazionali democristiani.

La MRP che è tuttora speranzosa di influire su Mendès, vorrebbe che egli – ove presentasse trattato originale – ponesse la questione di fiducia. Oggi come oggi, si ha invece l’impressione che egli se ne guarderà bene mentre potrebbe desiderare un dibattito generale sulla politica estera. Ma essendovi varie maggioranze e varie opposizioni su diversi problemi internazionali ed africani, può anche non (ripeto non) convenirgli.

Le recenti dichiarazioni di Pinay sono successive ad una riunione di «europeisti» fra cui René Mayer, Delbos, Schneiter e Pinay stesso. Vi si è studiata una formula che proponga la ratifica della CED se Mendès non (ripeto non) presentasse lui stesso il trattato. Nella riunione si è ventilata l’idea di proporre la ratifica integrale con una sola riserva: la conferenza del disarmo prima dell’esecuzione del Trattato. Tutto, dicono questi europeisti, pur di evitare seppellimento del trattato. Ma, come si vede, c’è qualche analogia – sotto la spinta delle circostanze – con l’idea Mendès.

Sono tutte voci di ambienti politici, ma valgono a caratterizzare l’attuale situazione politica francese così assurdamente contraddittoria ed incerta.

278 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

279

COLLOQUIO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, CON L’AMBASCIATRICE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA A ROMA, BOOTHE LUCE (Roma, Viminale, 24 agosto 1954)(1)

Appunto segreto.

Il Presidente del Consiglio esprime il suo vivo ringraziamento alla Signora Luce d’aver interrotto le sue vacanze per partecipare alle esequie dell’On. De Gasperi. Prega la Signora di voler trasmettere al Presidente Eisenhower i suoi ringraziamenti per la sua partecipazione e per le espressioni del suo cordoglio.

La Signora Luce risponde che aveva già essa deciso di venire in Italia per le esequie, ancor prima che le giungessero le istruzioni del Presidente della Repubblica perché si recasse a Roma in sua rappresentanza.

Il Presidente del Consiglio esprime la sua preoccupazione per le conclusioni negative della Conferenza di Bruxelles. Ricorda le istruzioni date dal Governo italiano alla Delegazione che si recava a Bruxelles, che concordano con il tenore della comunicazione trasmessa da Foster Dulles a Mendès-France, di cui ci è ora pervenuta copia(2).

Per noi la situazione creatasi a Bruxelles è grave. Abbiamo perduto sei mesi di paziente e tenace lavoro svolto in seno al Governo ed al Parlamento italiano ai fini della procedura di ratifica del Trattato per la CED. In sede di ratifica avremmo avuto al Parlamento ottanta voti di maggioranza. Dobbiamo ora affrontare il pericolo d’un imbaldanzirsi della propaganda anticedista e comunista, e d’un corrispondente affievolirsi delle voci di un’opinione che è favorevole sì alla CED, ma che è anche sensibile al richiamo di una falsa distensione lanciati dalla Russia.

Il Presidente continua ponendo in rilievo come sia urgente un’iniziativa che chiarisca la situazione e faccia conoscere i reali intendimenti di Mendès-France nei confronti della Russia e del riarmo tedesco. Noi consideriamo che il riarmo tedesco sia indispensabile ai fini della difesa dell’Europa e, in caso di fallimento definitivo della CED, costituisca il primo obiettivo da raggiungere.

Interviene la Signora Luce per porre alcuni quesiti al Presidente Scelba ed avere le sue impressioni. In taluni ambienti di Washington, essa osserva, si pensava che fosse intenzione di Mendès-France di presentarsi a Bruxelles con proposte che non avessero che una possibilità minima di accoglimento; per poter poi tornare in patria, con le proposte respinte dai cinque colleghi, risoluto a mandare avanti la procedura parlamentare. Ritiene il Presidente – chiede la Signora Luce – che tale tesi sia attendibile? L’On. Scelba lo esclude.

Dagli elementi in suo possesso, cioè dal carattere stesso del documento presentato da Mendès-France e dai colloqui riferitigli da Bruxelles, sente di poter affermare che l’intenzione di Mendès-France è stata quella di mandare a picco la Comunità Europea di Difesa col pretesto che mai il Parlamento l’avrebbe ratificato. Circa il riarmo tedesco il Primo Ministro francese aveva affermato in piena Conferenza d’avere a cuore tale riarmo e la restituzione della sovranità alla Germania, ma, richiesto poi di consegnare tale dichiarazione per iscritto, promise di farlo e mancalla promessa. Nel comunicato non si parlpiù diriarmo ma di «non neutralizzazione» della Germania. Tutto l’atteggiamento ed il linguaggio del Presidente francese inducono a concludere che egli non vuole la CED.

La Signora Luce ascolta con molto interesse e chiede precisazioni e dettagli. Chiede se, all’avviso del Presidente, la Francia miri ad una neutralizzazione dell’Europa o se piuttosto non finirà con l’intendersi, pronubi i gaullisti, con l’Unione Sovietica. L’On. Scelba risponde che, partendo dalla premessa che il Primo Ministro francese abbia voluto sabotare la CED e da quanto si conosce del suo programma, bisognerebbe pensare che sia suo scopo intavolare il discorso con i russi ed intendersi con i comunisti. Non c’è nulla di nuovo in questa politica, che già vedemmo in altri tempi, quando s’intesseva l’accordo tra gli anticlericali francesi ed il Governo teocratico degli Tzar; mentre oggi s’intessono rapporti tra il Governo a tinta nazionalista ed il Governo comunista di Mosca.

Venendo poi a parlare della recente proposta americana, di cui al messaggio di Foster Dulles, per una ulteriore conferenza che riunisca americani, inglesi e Paesi ratificatori della CED, il Presidente osserva che sarebbe assai inopportuno lasciarne fuori l’Italia. Ciper due ragioni. In primo luogo, sarebbe ingiusto. Sarebbe ingiusto, perché il Governo ha chiarito e dimostrato quali siano le sue intenzioni; già le Commissioni parlamentari si sono pronunciate a favore della CED; la ratifica è in cantiere, e vi è affidamento di una maggioranza in Parlamento. Assai diversa la posizione italiana da quella francese; come diverso è stato l’atteggiamento italiano alla Conferenza di Bruxelles, dove sostenemmo una linea politica analoga a quella dei Paesi che hanno ratificato la CED e a quella americana. In secondo luogo, sarebbe impolitico. Se lo scopo della conferenza è di far pressione su di una Francia isolata, perché accomunarla all’Italia ed impedirne così l’isolamento? Assai inopportuno inoltre anche nei confronti dell’opinione pubblica italiana, perché offenderebbe la solidarietà europea ed occidentale, convalidando le posizioni degli oppositori.

A questo punto l’Ambasciatrice chiede se, ad avviso del Presidente, l’isolamento della Francia sia suscettibile di provocare piuttosto l’agganciamento della Francia alla Russia che non il ritorno francese in seno alla Comunità Europea. L’On. Scelba non è in grado di dare una risposta. Osserva che la convocazione della Conferenza gli pare superata dopo l’incontro di Mendès-France con Churchill. Mendès-France ha battuto in velocità gli altri, recandosi dal Primo Ministro britannico a conferire, ancor prima che gli Stati Uniti e l’Inghilterra si potessero mettere d’accordo sulla linea comune da adottare.

L’Ambasciatrice dà atto che la politica europeista dell’Italia è nota, come sono noti gli sforzi fatti dall’attuale Governo negli ultimi mesi per portare ad una felice conclusione la ratifica della CED. Quanto al nostro desiderio di partecipare all’eventuale conferenza, tale desiderio è da ritenersi determinante. Pur parlando a titolo personale, crede di poter affermare con sicurezza che se noi lo vorremo, l’invito ci sarà senz’altro fatto.

Per quanto riguarda l’atteggiamento degli Stati Uniti, la signora ritiene superfluo riepilogare i motivi che inducevano e tuttora inducono il suo Governo a preferire oggi la CED ad ogni altro strumento di unificazione europea. D’altra parte, vedendo sfumare questo progetto, gli Stati Uniti penserebbero ormai, a quanto le risulterebbe da Washington, all’ingresso della Germania nella NATO. più in là, tra due o pianni, si potranno trovare altre forme che soddisfino Francia, Germania e tutti gli altri Paesi; ma che ora non si pupiperdere tempo. Gli Stati Uniti non sono più disposti ad attendere. Chiede anzi all’On Scelba se egli ritenga agevole fare entrare la Germania nella NATO nonostante un eventuale veto francese. Il Presidente risponde che meglio sarebbe stata la soluzione del riarmo tedesco nel quadro della CED; che l’Italia non si opporrebbe all’ingresso della Germania nella NATO, anzi la considera l’alternativa piopportuna al momento attuale; anche per questo egli considera urgente l’iniziativa che induca la Francia a chiarire il suo atteggiamento. Se porrà un veto, risulterà chiaro che essa voleva evitare il riarmo della Germania. L’iniziativa è necessaria in quanto occorre evitare che la Russia si inserisca nel gioco per chiedere l’unificazione tedesca, sacrificando l’apporto della Germania alla difesa dell’Occidente. Ogni indugio è grave; indugio che Mendès-France potrebbe prolungare col chiedere il rinvio del dibattito all’Assemblea francese. Cisarebbe pericoloso per noi, perché quale documento dovremmo allora presentare per la ratifica del nostro Parlamento?

Continuando nella sua esposizione della politica americana, l’Ambasciatrice ripete che il Congresso ha ormai esaurito la sua pazienza. Il Presidente ed il Dipartimento, a suo avviso personale, non potranno pia lungo tenerlo a freno. Rivela due episodi della guerra in Indocina per spiegare perché gli Stati Uniti siano decisi a rivedere le loro posizioni. Prima della fine della guerra gli americani avevano offerto ai francesi di intervenire in Indocina. Francesi ed inglesi rifiutarono, limitandosi i primi a chiedere esclusivamente l’intervento spettacolare di bombardieri americani, ciò che, per evidenti ragioni, fu rifiutato. A Ginevra inoltre, prosegue l’Ambasciatrice, è risaputo che Molotoff aveva offerto a Bidault una liquidazione della guerra indocinese assai pivantaggiosa per i francesi che non quella che accettMendès-France. Questi due fatti, che vengono ad aggiungersi a tutta una serie di errori, hanno definitivamente aperto gli occhi agli americani. Essi sono ormai stanchi di offrire la loro collaborazione ai Governi europei, vedersela rifiutare e per giunta sentirsi incolpare per le conseguenze negative. Ormai è da prevedersi che la politica americana in Europa subirà una svolta. Non finirà la collaborazione, né gli americani si ritireranno dal continente. Si tratterà semplicemente di questo: che d’ora in poi essi offriranno e manterranno la collaborazione soltanto con quei popoli che dimostreranno di volerla, lasciando gli altri alla loro sorte. Non si sentono più dicooperare con chi, o per indecisione o per debolezza, frena il convoglio e impedisce il buon funzionamento della comunità.

L’Ambasciatrice soggiunge che l’Italia, essa ne è certa, sarà con gli Stati Uniti. Essa anzi invita il Governo italiano a collaborare, con suggerimenti e pareri alla soluzione del problema della Germania, al suo inserimento cioè nell’Occidente e nella NATO. Voi – dice la Signora – siete meglio in grado che non noi di valutare e prevedere certe reazioni tedesche e il vostro consiglio ci sarà prezioso.

L’On. Scelba aderisce. Conferma che non vi è nessun cambiamento nelle direttive della politica italiana: che corrisponde ai vitali interessi della democrazia italiana. Per questo le democrazie occidentali possono contare su di noi; e forse si accorgeranno di avere in noi degli alleati più sicuri che non altri. Siamo impegnati in una guerra fredda che potrà avere una durata anche lunga: occorrono – egli avverte – pazienza, tenacia e coraggio, qualità che agli uomini politici americani non mancheranno di certo.

L’Ambasciatrice chiede al Presidente per quanto tempo egli ritenga che la Germania possa rimanere neutralizzata. Dopo quanto, cioè, interverrebbero i primi elementi perturbatori, quali il sabotaggio e l’eventuale azione diretta russa, ecc.?

Il Presidente risponde che non possono farsi se non ipotesi: ma non crede nell’azione diretta dell’Unione Sovietica. Sorgerebbero dapprima difficoltà interne di un duplice ordine: il movimento dell’opinione pubblica neutralista, favorevole all’intesa con la Russia pur di salvare l’unificazione, e delusa dall’Occidente; il movimento dei nazionalisti, che potrebbero anche finire con il mettersi d’accordo con i primi e isolare il centro democratico. Occorre dunque consolidare Adenauer e rafforzarlo contro queste due pericolose tendenze.

Il Presidente ricorda come già dopo il 1918 l’insensibilità francese fu la rovina della democrazia tedesca.

Il Presidente viene al problema di Trieste. In questo momento, egli dice, un accordo raggiunto tra Italia e Jugoslavia rialzerebbe le sorti, per la verità alquanto in ribasso, dell’Occidente. Si dimostrerebbe che le democrazie sono riuscite almeno a rischiarare l’orizzonte sull’Adriatico ed a comporre una annosa vertenza. Occorre perfare uno sforzo. Lo sforzo dovrebbe consistere nel superare la questione territoriale, che è assai delicata. Gli Ambasciatori hanno lavorato bene, ma pare che il rappresentante americano a Belgrado abbia esaurito le sue possibilità di persuasione. Occorre un intervento decisivo su un piano pialto per risolvere la questione territoriale; risolta questa, per le altre questioni basterà mettersi attornoad un tavolo a quattro, con Alleati e jugoslavi, e non sarà difficile l’accordo. È il momento, questo, di cambiare tattica, perché il negoziato si trascina. Risolta la questione territoriale, saremo tutti convinti che all’accordo si deve arrivare, e con questo convincimento riuscirà pifacile intendersi. Ma su una soddisfacente soluzione della questione territoriale noi dobbiamo assolutamente insistere. Il Governo non puevidentemente presentarsi al Parlamento con meno di quanto era stato annunziato dal Governo precedente. A questo punto l’Ambasciatrice precisa che il Governo precedente non aveva ottenuto nulla; al che il Presidente ricorda che aveva ottenuto un impegno che non fu onorato dagli Alleati per timore di Tito. Il quale ora fa delle richieste che non sono in nessun modo giustificate; non è quello che egli chiede, né un confine naturale né un confine etnico. Bisogna tener presente che egli ha tutto il litorale; la sua attuale richiesta non rappresenta nulla per lui e la pubene abbandonare. Per noi invece una ulteriore cessione si assommerebbe a tutto ciò che, a cominciare da Fiume e Zara, abbiamo in questi anni già ceduto alla Jugoslavia. Noi siamo stati ragionevoli, anche nella questione del Patto Balcanico, appunto per facilitare il raggiungimento dell’intesa su Trieste. Sia ora Tito ragionevole: si accontenti di quello che ha ottenuto.

Il Presidente prega la Signora Luce di provocare una pressione diretta ed efficace sul Governo di Belgrado. Ne vale la pena: il mondo occidentale dimostrerebbe almeno d’aver eliminato un dissidio annoso e ad un tempo assicurerebbe la saldatura dello schieramento nell’Europa Sud-orientale.

279 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

279 2 Vedi D. 273, nota 2.

280

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI CORRIAS(1)

Appunto riservato(2). Roma, 24 agosto 1954.

Il Vice Presidente dell’Alta Autorità Albert Coppé ex Ministro dell’Economia belga, e il Senatore olandese Emanuel Sassen, in rappresentanza dell’Assemblea della CECA, giunti a Roma per presenziare ai funerali di S.E. De Gasperi sono stati ricevuti stamane dal Presidente del Consiglio On. Scelba.

Nel corso del colloquio durato circa venti minuti svoltosi in una atmosfera di aperta cordialità ed improntato ad un tono di amichevole comprensione, è stato manifestato il pivivo rammarico sulla conclusione dei lavori della Conferenza di Bruxelles che peraltro – come si è tenuto fermamente e ripetutamente ad affermare – non potrà in alcun modo essere tale da scoraggiare e neppure da rallentare i generosi sforzi ed i concreti risultati sinora conseguiti nel cammino della integrazione europea: integrazione europea cui la CECA – sempre per bocca dei suoi rappresentanti

– continuerà più che mai ad arrecare il fattivo contributo della propria autorità ed instancabile attività.

Il Senatore Sassen (Capo del gruppo democristiano in seno all’Assemblea CECA) ha quindi abbordato il delicato problema relativo alla successione del Presidente dell’Assemblea della CECA, carica resa vacante dalla scomparsa dell’On. De Gasperi.

Dopo averne rievocato brevemente la memoria con accenti commossi, il Senatore Sassen si è pronunciato in favore di una candidatura nella persona dell’On. Pella; a tal fine ha espressamente chiesto al Presidente Scelba se egli avrebbe appoggiato tale candidatura.

L’On. Scelba ha replicato manifestando il suo pivivo compiacimento per tale proposta, dichiarandosi senz’altro favorevole, ed impegnandosi a far pervenire in tal senso una risposta ufficiale non appena avuta al riguardo una consultazione a carattere formale con i colleghi di Gabinetto.

280 1 Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA.

280 2 Sottoscrizione autografa. Il documento reca la seguente annotazione di Prato: «visto da S.E. il Ministro».

281

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI, CON L’INCARICATO D’AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, ROSS (Roma, 24 agosto 1954, ore 11,15)(1)

Appunto segreto(2).

Il Ministro Piccioni ha stamane concesso udienza all’Incaricato di Affari britannico, Ministro Archibald Ross, a richiesta di quest’ultimo.

All’inizio del colloquio, il rappresentante britannico dichiara di aver ricevuto istruzioni dal proprio Governo di informare verbalmente il Ministro circa l’andamento dei colloqui avuti ieri a Chartwell da Churchill e Eden con il Presidente del Consiglio francese: e dà lettura del telegramma pervenutogli da Londra al riguardo, del quale qui di seguito si riproduce il contenuto.

Il Primo Ministro ed il Segretario di Stato britannico hanno pressantemente fatto presente, con ogni energia, a Mendès-France («impressed on him with all the force at our command») i gravi pericoli ai quali verrebbe esposta la difesa europea – e tutto il mondo occidentale in genere – in caso di mancata ratifica della CED. Essi hanno vivamente incoraggiato il Presidente del Consiglio francese ad adoperarsi con ogni mezzo per ottenere dall’Assemblea la ratifica del Trattato che, con gli emendamenti Spaak, rappresenta la soluzione di gran lunga migliore anche per la Francia.

Mendès-France, per parte sua, ha risposto che presenterà il Trattato all’Assemblea e lo farà mettere ai voti entro la settimana entrante; ma ha lasciato chiaramente intendere di essere sicuro che l’Assemblea lo respingerà.

I Ministri britannici sono tornati alla carica insistendo per la ratifica e chiedendo al Premier francese che facesse anzitutto presente nel modo piesplicito all’Assemblea come, in caso di mancata ratifica del trattato CED, qualche altra rapida soluzione del problema tedesco debba essere trovata senza ritardo.

Mendès-France ha risposto di rendersene perfettamente conto: egli non solo farà presente ciall’Assemblea, ma preciserà che – a suo avviso – una «semplice soluzione» deve essere trovata entro due mesi.

Churchill e Eden hanno replicato a loro volta che sarebbe estremamente difficile di poter «trovare ed attuare» una tale soluzione in così breve tempo. Hanno aggiunto di avere un debito d’onore verso il Cancelliere Adenauer e verso gli Stati che hanno ratificato il Trattato. Ed hanno concluso insistendo nuovamente per la ratifica della CED con gli emendamenti Spaak.

L’Incaricato d’Affari britannico aggiunge che le istruzioni pervenutegli, oltre a chiedergli di portare oralmente quanto precede a conoscenza del Ministro degli Esteri, precisano che il Governo britannico ha la ferma intenzione di cooperare nel modo pistretto con quello degli Stati Uniti: e concludevano pregando di attirare l’attenzione del Ministro sull’ultimo paragrafo del comunicato finale della conferenza di Bruxelles(3), laddove si sottolinea la indispensabilità di una stretta unione dei Paesi occidentali e la conseguente necessità di adottare misure concrete per raggiungere tale finalità.

Analoga comunicazione, ha concluso Ross, viene fatta al Cancelliere tedesco ed ai Ministri degli Esteri dei Paesi del Benelux.

Il Ministro risponde prendendo atto con soddisfazione di questo passo britannico presso il Premier francese, dei moventi che lo hanno ispirato e delle finalità a cui tende. Egli si augura fermamente, ed in tal senso si è anche direttamente espresso con Mendès-France, che il Parlamento francese approvi il Trattato per la CED con gli accorgimenti e gli adattamenti concordati a Bruxelles.

Il Governo italiano ritiene che, qualora ciò non debba verificarsi, si rende urgente e necessaria una nuova alternativa, che tenga il piuniti possibile i Paesi dell’Europa Occidentale e che dia soddisfazione alla Germania sia per quanto riguarda la sovranità che per la sua partecipazione alla difesa militare comune.

Alla domanda dell’Incaricato d’Affari britannico circa l’effetto prodotto dai risultati – o dai mancati risultati – di Bruxelles sull’opinione pubblica italiana, il Ministro Piccioni risponde che la nostra opinione pubblica è rimasta scossa. La maggioranza era e rimane favorevole alla CED, considerandola come lo strumento più efficiente non solo per la difesa ma anche per la collaborazione dei Paesi membri ed ai fini futuri di una politica comune. Nelle conclusioni della Conferenza di Bruxelles l’opinione pubblica ha visto la caduta della CED. Noi, prosegue il Ministro, stiamo reagendo contro una simile interpretazione. A Bruxelles sono cadute alcune proposte francesi, non è caduta la CED. Pertanto continuiamo quindi a sperare che l’Assemblea parigina approvi il Trattato.

All’ulteriore domanda dell’Incaricato d’Affari britannico se il popolo italiano – in caso di fallimento della CED – accetterà, sia pur senza entusiasmo, il ristabilimento della sovranità tedesca ed il riarmo della Germania, il Ministro risponde affermativamente. Egli aggiunge che in quel caso occorrerà mettersi insieme, ed in ciconta anche sulla collaborazione del Governo britannico, per trovare una alternativa altrettanto efficiente e per escogitare opportune forme di collaborazione reciproca(4).

281 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

281 2 Il documento reca il seguente timbro: «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

281 3 Vedi Appendice II.

281 4 Per il seguito vedi D. 284.

282

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MAGISTRATI(1)

Appunto segreto 21/2157(2). Roma, 24 agosto 1954.

APPUNTO CIRCA LA RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI DEI PAESI FIRMATARI DEL TRATTATO PER LA CED (Bruxelles, 19-22 agosto 1954)

A seguito della richiesta francese di ottenere una convocazione dei sei Ministri dei Paesi firmatari del Trattato CED, questi si sono riuniti a Bruxelles, nella sede del Ministero degli Affari Esteri del Belgio, alla data di giovedì 19 agosto 1954.

Occorre subito far notare – e la cosa ha un indubbio significato – che questa volta non si è trattato di una delle normali riunioni dei sei Ministri degli Esteri dei Paesi della Comunità Europea. L’organizzazione, infatti, della Conferenza non è stata affidata, secondo quanto era sempre avvenuto in passato, al Segretariato Permanente dei Ministri della CECA, ma è stata invece assunta direttamente dal Ministero degli Esteri belga, e lo stesso Ministro degli Esteri Spaak, pur essendo il Presidente di turno del Consiglio CECA, ha chiesto ai suoi colleghi un’investitura di Presidenza ex novo, cosa che è subito, del resto, avvenuta, all’inizio della Conferenza, su proposta del Cancelliere germanico Adenauer.

Erano presenti, oltre Spaak e Adenauer, il Ministro degli Esteri d’Italia, On. Piccioni, il Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri di Francia, Mendès-France, il Ministro degli Affari Esteri dei Paesi Bassi, Beyen, ed il Ministro degli Affari Esteri del Lussemburgo, Bech: tutti accompagnati da numerose ed importanti delegazioni(3). Notevole la circostanza che della Delegazione francese, tutta composta di elementi nuovi, ad eccezione del Direttore degli Affari di Europa del Quai d’Orsay, Seydoux, facessero parte ben due Ministri del Governo, uno dei quali, Edgar Faure, ex-Presidente del Consiglio, oltre il nuovo Sottosegretario per gli Affari Esteri Guérin de Beaumont.

La mattina stessa dell’inizio della Conferenza è giunta a Bruxelles la triste notizia della morte del Presidente Alcide De Gasperi, firmatario del Trattato CED e, a giusto titolo, considerato una delle maggiori figure della politica europea del dopo-guerra: circostanza che ha fatto sì che la Conferenza stessa avesse principio, con le parole del Presidente Spaak e del Ministro Piccioni, con una elevata commemorazione dello Scomparso.

Subito dopo il Presidente Mendès-France ha chiesto che la riunione assumesse senz’altro un carattere del tutto privato e ristretto (carattere che è stato, del resto, severamente mantenuto sino alla fine dei lavori) dovendo egli esporre ai suoi colleghi, innanzi tutto, considerazioni di tono e contenuto del tutto riservati. Le delegazioni hanno così lasciato la sala delle riunioni nella quale sono rimasti soltanto due rappresentanti per Paese (per l’Italia, eccezionalmente, tre, per facilitare la traduzione, in lingua italiana, della documentazione)(4).

Mendès-France ha così potuto eseguire il suo primo intervento(5)al quale ha voluto dare un carattere di estrema «sincerità» col porre in rilievo come, ai suoi occhi, i rappresentanti degli altri Paesi apparissero non completamente al corrente della vera situazione politica e parlamentare della Francia. Così egli, nel dichiarare essere sua precisa intenzione facilitare ad ogni modo la presentazione all’Assemblea Nazionale del Trattato CED – e cia mezzo dell’adozione da parte di tutti e sei i Paesi di quegli emendamenti proposti nel progetto di Protocollo(6)avanzato da parte del Governo di Parigi nei giorni immediatamente precedenti l’incontro di Bruxelles – ha descritto in dettaglio come si sia effettivamente svolto l’«iter» parlamentare di Palazzo Borbone sulla CED: colà tutte le Commissioni parlamentari, in numero di ben sette, sono state, senza eccezione, largamente negative, ultima quella delle Finanze per quanto fosse presieduta dallo stesso Paul Reynaud, considerato nettamente favorevole al movimento europeista. Un insieme di circostanze, costituito dalla divisione verificatasi in seno al Partito Socialista e dalle polemiche scoppiate nell’interno dello stesso Gabinetto, hanno dimostrato molto chiaramente come il Trattato, quale esso oggi è e quale venne firmato nel maggio 1952, non avrebbe alcuna possibilità di essere approvato a meno che non venissero in precedenza statuite e stabilite – ed in forma particolarmente impegnativa e solenne – clausole di applicazione che lo rendessero accettabile ai parlamentari. Se il Trattato cadesse, il Governo francese dovrebbe naturalmente dimettersi e si andrebbe verso una situazione nella quale sarebbe ben difficile trovare una maggioranza che potesse fare a meno della presenza dei comunisti dato che in realtà questi sarebbero i vincitori del dibattito. Quanto alla politica estera, una bocciatura del Trattato rappresenterebbe un grave colpo alla causa della distensione franco-tedesca ed i Russi otterrebbero, nella lunga guerra fredda che stiamo vivendo, un loro netto successo. Da tutto ciò – ha continuato Mendès-France

– la assoluta necessità di una soluzione di compromesso perché quello che occorre assolutamente salvare è il principio base della cooperazione europea, ai fini della comune difesa. Niente neutralizzazione della Germania ma invece collaborazione con essa e contributo militare della Repubblica Federale Tedesca. Quanto al problema della messa in marcia della futura Comunità e alle questioni cosidette di supernazionalità, occorre essere positivi e prudenti perché un meccanismo tanto nuovo e tanto delicato, quale quello ideato, non dovrebbe essere sottoposto immediatamente a prove di forza per cui rischierebbe di spezzarsi.

Qualora gli altri cinque Paesi, consci di tutta questa situazione e della assoluta necessità per il Governo di Parigi di trovare formule meno rigide e meno imperative, dessero il loro assenso alle richieste del Governo di Parigi, questo si sentirebbe di affrontare, e con probabile successo, la imminente battaglia parlamentare e per di piesso potrebbe anche avviarsi verso una presa di posizione in merito ad una futura Comunità Politica Europea perché, mettendosi anche su solide basi una cooperazione franco-tedesca, si potrebbe finalmente permettere in Francia la formazione di una maggioranza composta di uomini di diversa origine ma disposti domani a collaborare in forma durevole e permanente. In riassunto – ha concluso Mendès-France – è assolutamente necessario non arrestarsi alla prima confrontazione di formule giuridiche ma occorre invece guardare allo scopo finale ed essenziale per il bene dell’Occidente europeo.

A questa dichiarazione del Capo del Governo di Parigi ha fatto seguito, prima di ogni altra, una presa di posizione del Ministro degli Esteri di Olanda, Beyen, il quale, secondo quanto non era difficile prevedere, ha assunto senza indugio un atteggiamento, mantenuto intatto, del resto, sino alla conclusione dei lavori della Conferenza, di intransigente difesa del Trattato quale esso è e quale è stato ratificato dal Parlamento dell’Aja, e ha concluso con la battuta polemica che qualora il Signor Mendès-France dovesse concepire una Comunità Politica Europea come egli oggi appare concepire la CED sarebbe meglio non fare assolutamente niente.

Sono poi seguiti gli interventi, di carattere generale, del Cancelliere Adenauer e del Ministro Piccioni(7). Quest’ultimo nell’esporre in dettaglio l’iter parlamentare italiano in merito alla ratifica del Trattato CED e nel porre in rilievo che, nella prima loro fase, i lavori si sono conclusi favorevolmente, ha manifestato la piena fiducia del Governo italiano di poter vincere la battaglia definitiva. Nel ricordare poi il pensiero dell’On. De Gasperi e la assoluta necessità del fermo mantenimento di quell’avviamento verso la sopranazionalità che è già indicato e contenuto nel Trattato CED, ha, senza reticenze, indicato come le proposte avanzate, nel suo Protocollo, dal Governo di Parigi, non fossero certamente fatte per favorire tali sperati sviluppi. Una essenziale modifica al Trattato comporterebbe per l’Italia un duplice grave ordine di difficoltà, formali e sostanziali, perché una sua adozione da una parte comporterebbe nuovi e gravi ostacoli parlamentari, e dall’altra, sopratutto, snaturerebbe l’essenza stessa del Trattato che verrebbe ad essere privato del suo contenuto migliore e della possibilità di suoi desiderati futuri sviluppi.

Le difficoltà del Governo del Signor Mendès-France – ha continuato l’On. Piccioni

– sono ben comprese dal Governo di Roma il quale per per sua esperienza, conosce come in tale campo, esse possano essere superate con la fermezza e con la costanza. Un cedimento, oggi, tale da mutare le basi del Trattato, non farebbe che accrescere le future difficoltà, dato che qui non si tratta di problemi di partito, ma di questione di grande ed essenziale interesse nazionale, presente e futuro. E, dopo un esame, di carattere maggiormente tecnico in merito alle proposte del Protocollo francese, il rappresentante italiano ha concluso con un appello al Governo di Francia perché questo comprenda come il grande ideale dell’integrazione europea non debba oggi essere compromesso dall’impossibilità di trovare, nel quadro della discussione di Bruxelles, l’assenso di tutti in merito all’avviamento ed alla realizzazione del Trattato per la CED.

Questa prima parte della riunione si è conclusa con una esposizione del Presidente Spaak il quale, pur dichiarandosi pronto a dare la sua collaborazione per permettere al Signor Mendès-France di ritornare a Parigi «non a mani vuote», ha perchiaramente indicato come sarebbe oggi impossibile per il Belgio vedere riprendere in Parlamento una discussione in merito ad un Trattato, la cui ratifica è stata raggiunta attraverso non poche difficoltà. Ora il documento francese, alla sua prima lettura, appare subito contenere elementi estremamente complessi e tali da fare apparire veramente difficile la sua adozione da parte di tutti i Paesi che hanno già provveduto alla accettazione del Trattato. Esclusa quindi – ha concluso il Signor Spaak – la formulazione di un vero e proprio Protocollo, si potrebbe pensare ad una congiunta dichiarazione politica, diretta a fissare e definire i criteri di graduale applicabilità del Trattato, pur senza rinviarne la data della sua entrata in vigore e senza toccarne, evidentemente, il suo contenuto essenziale: cipermetterebbe di non ritornare ai Parlamenti e nello stesso tempo potrebbe dare ai Francesi le necessarie assicurazioni in merito alle preoccupazioni da loro attualmente nutrite.

La riunione ha concluso così la sua prima fase di attività. E per la seconda è stato adottato il criterio, allo scopo anche di dare una soddisfazione formale al rappresentante di Francia, di procedere alla lettura ed all’esame congiunti del Protocollo da lui presentato: cosa che del resto, data l’ampiezza e la complessità di quel documento, è apparsa subito costituire una procedura del tutto impossibile e controproducente. Basterà infatti pensare che, dopo ben due ore e mezzo di discussioni, i sei Ministri si sono trovati a considerare soltanto le prime 20 righe di un Protocollo formato da ben 16 pagine!

In tali condizioni il Presidente Spaak si è addossato il compito e la responsabilità di provvedere alla formulazione di un progetto di dichiarazione che contenesse, per quanto possibile, i termini essenziali delle richieste francesi in quei punti la cui adozione fosse apparsa possibile senza che venisse provocata la necessità di una nuova presentazione del Trattato dinanzi ai Parlamenti.

In tale maniera tutta la seconda parte della riunione è stata diretta non già alla discussione del Protocollo francese, praticamente e definitivamente accantonato, ma bensì alla lettura ed all’esame del progetto di Spaak il quale, fedele all’impegno, ha presentato ai suoi cinque colleghi, in brevissimo tempo, la formulazione richiesta.

È in questa fase che il Rappresentante italiano, On. Piccioni, ha ottenuto il consenso di tutti, ed in primo luogo quello dello stesso Mendès-France, all’abolizione di qualsiasi accenno all’art. 38 del Trattato CED, in modo che questi potesse rimanere integro nei suoi futuri sviluppi europeistici: affermazione che ad un certo momento aveva fatto sperare bene per la continuazione dei lavori della Conferenza.

Viceversa la situazione si è andata aggravando mano a mano che le difficoltà provocate dall’esame comparativo delle affermazioni di principio contenute nel progetto Spaak con le primitive drastiche richieste francesi andavano facendosi pifrequenti e piprofonde. La sensazione inoltre – indubbiamente anche provocata, negli altri cinque Ministri, dal sensazionale articolo apparso a Parigi sul «Figaro» a firma dell’antico Presidente del Consiglio Robert Schuman(8), e nel quale questi prendeva apertamente posizione contro il Protocollo di Mendès-France – che in Francia fossero tuttora consistenti le forze di opinione pubblica favorevoli ad un’adozione del Trattato CED, ha provocato profondi contrasti che talvolta, anche per il vivace temperamento del Presidente Spaak, hanno assunto carattere polemico ed hanno condotto a lunghe ed estenuanti discussioni protrattesi fino a notte inoltrata.

Alla fine il Signor Mendès-France, dopo che il Presidente Spaak aveva riassunto i differenti punti di vista ed aveva indicato come gli altri cinque Paesi non potessero andare oltre alle chiare ed esaurienti affermazioni di principio contenute nel progetto di dichiarazione politica, ha fatto presente, pur esprimendo il suo profondo dispiacere, come quella dichiarazione non potesse accontentare ed esaudire i «desiderata» del Governo di Parigi.

A questo momento il «fronte unico» dei rappresentanti degli altri cinque Paesi si è definitivamente affermato e quindi, alla fine della lunga seduta della notte tra il sabato 21 e la domenica 22, si è avuta la netta sensazione dell’affermazione del contrasto e quindi del pratico fallimento della Conferenza ai fini dell’adozione di comuni criteri di applicabilità del Trattato CED: da cil’immediato propagarsi in tutti i Paesi (occorre ricordare come a Bruxelles fossero presenti oltre 250 giornalisti delle differenti nazionalità, tutti privi di informazioni di prima mano e tutti attenti, dato il carattere di estrema segretezza della riunione, ad ogni benché minimo sintomo e ad ogni interpretazione) della notizia che la riunione di Bruxelles era destinata a segnare una «pagina nera» nel cammino della collaborazione europea.

Il giorno seguente, viceversa, la discussione tra i sei Ministri è continuata con l’esame di un progetto di comunicato, anch’esso formulato dal Signor Spaak, e destinato a dare atto del mancato accordo. E qui si è verificata una sorpresa in quanto, contrariamente ad ogni previsione, il Signor Mendès-France ha senz’altro accettato che nel comunicato stesso venissero «apertis verbis» ribaditi gli scopi principali della politica di collaborazione europea dei sei Paesi e cioè:

1) l’intensificazione della cooperazione europea per proteggere l’Europa occidentale contro le forze che la minacciano;

2) l’affermazione che qualsiasi neutralizzazione della Germania debba essere evitata;

3) la contribuzione all’unificazione della Germania e alla sua partecipazione alla difesa comune;

4) la prefigurazione di una formula politica ed economica di integrazione occidentale.

E altro assenso è stato subito dato dal Signor Mendès-France alla proposta di vedere pubblicati congiuntamente il progetto di Protocollo del Governo francese ed il progetto di dichiarazione formulato dagli altri cinque Rappresentanti, in modo che tutte le opinioni pubbliche potessero prendere diretta conoscenza dei differenti punti di vista e di quanto gli altri cinque Paesi si fossero avanzati sulla strada di una qualche accettazione delle richieste del Governo di Parigi.

Questa fase finale e conclusiva della Conferenza ha permesso, in qualche modo, una maggiore cordialità e comprensione tra i presenti. E lo stesso Cancelliere tedesco Adenauer, che a rigore di ragionamento, avrebbe dovuto essere tra i maggiori colpiti dal mancato assenso di Bruxelles, ha dimostrato di voler mantenere, nei confronti del Governo di Parigi, un atteggiamento inspirato a conciliabilità. In una parola il dissenso verificatosi è stato interpretato quale diretto non al concetto basilare della collaborazione occidentale europea, ma alla formazione ed al funzionamento del congegno tecnico costituito dalla Comunità militare quale immaginata nel Trattato CED.

Quale questo non piccolo dissenso? I Francesi, nel loro esteso e complesso protocollo, avevano richiesto cose tali da veramente snaturare la forma e l’essenza del Trattato. I rappresentanti degli altri cinque Paesi hanno compiuto un grande sforzo per venire incontro a quelle richieste. Ma alla fine il dissidio è stato veramente insanabile, particolarmente sui punti seguenti:

1) pretesa francese di vedere, per ben otto anni, non eseguito il Trattato stesso nel normale funzionamento dei suoi organi e nella procedura intesa a permettere l’attività del suo meccanismo. Essi, infatti, nell’insistere sul principio dell’unanimità nelle decisioni del Consiglio, per il cosidetto periodo iniziale degli otto anni, intendevano dare vita ad un vero e proprio insindacabile diritto di veto: richiesta evidentemente inaccettabile;

2) pretesa francese di vedere definito fin da ora un diritto di recessione da parte di ciascun Stato membro, qualora uno dei sei firmatari si ritirasse dalla CED: preciso accenno al caso della riunificazione della Germania, allorché, secondo quanto venne affermato al momento della Conferenza di Berlino, il Governo della nuova Germania non sarebbe obbligato a sottostare agli impegni che venissero assunti oggi dalla Repubblica Federale Tedesca. Questa richiesta, apparentemente ragionevole, voleva in realtà porre il Governo di Bonn nella condizione di rendersi partecipe di una situazione che evidentemente non potrebbe non provocare domani nei Russi una politica intesa a mantenere, per un tempo indefinito, la divisione territoriale della Germania. Ciò spiega le fortissime reazioni del Cancelliere Adenauer, decisamente appoggiato dal Ministro Spaak e dagli altri Ministri presenti;

3) pretesa francese di vedere limitata la progettata integrazione militare alle sole «zone di copertura» con la evidente conseguente creazione di una vera e propria discriminazione ai danni della Germania e probabilmente anche, con l’estensione di tale concetto, dell’Italia e cioè dei due Paesi destinati a veramente costituire la frontiera esterna del complesso CED. Senza accennare al fatto che sarebbe oltremodo complesso – come ha messo in rilievo il Cancelliere tedesco – procedere alla definizione geografica di tali zone, resterebbe il grave principio che alcuni dei Paesi della CED vedrebbero rimanere intatte e nazionali le forze dislocate nel proprio territorio.

A queste principali difficoltà, si sono unite molte altre: scelta della futura sede della CED (che i Francesi chiedevano fosse congiunta a quella del NATO, ossia Parigi, con conseguente grave colpo per tutta la politica di «europeizzazione» del territorio della Saar), incompatibilità tra la carica di Alta Autorità della CECA e di Commissario della CED (con conseguente impossibilità di vedere poco a poco riunite le due Autorità alla cima della piramide comunitaria), creazione di Corti nazionali per la risoluzione delle controversie correnti, ecc. ecc.

Invano, alla fine dei lavori della Conferenza, il Signor Mendès-France ha rivolto ai suoi colleghi una «dichiarazione politica» intesa a riaffermare la sua intenzione di dare inizio nei prossimi mesi ad una politica di decisa comprensione nei riguardi della Germania, da spingersi, in una cornice europea, fino al pieno riconoscimento della sua sovranità e del suo diritto al riarmo, dichiarazione che dovrebbe in qualche modo essere da lui ripetuta, nei prossimi giorni, dinanzi al Parlamento di Parigi: in realtà, dopo quanto era accaduto, i dubbi e le perplessità nei confronti delle vere intenzioni del Governo di Parigi, come si dirà in seguito, sono rimaste ed in certo modo si sono rafforzate.

In riassunto:

1. Tutta la Conferenza è stata polarizzata dall’atteggiamento francese e non poteva essere altrimenti dato che essa era stata appositamente provocata dalla presentazione del Protocollo del Governo di Parigi. Il Signor Mendès-France ha avuto indubbiamente posizione di primo piano in quanto che egli per tre giorni consecutivi e – dando prova di possedere indubbie qualità, al tempo stesso, di fredda dialettica e di temperata emotività – ha sostenuto una dura battaglia polemica tenendo fronte praticamente alla coalizione degli altri cinque Paesi. Sfavorito in partenza, in quanto che sul suo atteggiamento gravavano, specie dopo la Conferenza di Ginevra, indubbie diffidenze e non poche perplessità, egli non è riuscito a dissipare, ad onta degli sforzi compiuti e di una certa efficacia di talune sue presentazioni ed argomentazioni, l’atmosfera non favorevole che lo circondava. La Francia è rimasta, così, praticamente isolata anche se in qualche modo ha cercato di dare maggiore consistenza alla sua voce ed al suo atteggiamento di potenza europea, quale forse non era avvenuto in precedenti circostanze.

2. La Germania è uscita dalla Conferenza di Bruxelles forse in condizioni migliori di quanto potesse prevedersi. Al Cancelliere Adenauer sono pervenuti senza interruzione, durante il periodo delle discussioni, messaggi americani (ai quali si è aggiunta anche la parola, molto espressiva, di Churchill) intesi a dare al Cancelliere stesso l’impressione di una effettiva solidarietà anglo-americana. A ciò si aggiunge il fatto che le nette affermazioni di Mendès-France in tema di non neutralizzazione della Germania e di autorizzazione alla concessione ad essa di una pronta sovranità e di un diritto al riarmo, hanno forse servito di compenso alla indubbia disillusione provocata dal vedere oramai confermati – a meno che le cose non dovessero completamente trasformarsi a Parigi – gravi dubbi sull’applicazione del Trattato CED quale esso era stato concepito dal Cancelliere e dai suoi collaboratori.

3. L’Italia è stata conseguente nell’impostazione dei problemi e nella sua azione in seno alla Conferenza. Chiaramente avversa ad ogni forma di discriminazione e ad ogni tentativo di recessione, essa, a mezzo degli interventi del suo Rappresentante, ha dato chiaro rilievo alla essenza ed alle finalità europeistiche del Trattato. Le parole accorate, ma al tempo stesso decise, pronunciate dall’On. Piccioni subito dopo la non accettazione, da parte del Signor Mendès-France, del progetto preparato da Spaak, hanno dimostrato, ancora una volta, le chiare intenzioni dell’Italia e la sua fedeltà alla politica fino ad oggi seguita per la creazione della Comunità Europea.

Naturalmente da parte francese – e specialmente nei corridoi della Conferenza – non si è mancato di cercare di «handicappare» in qualche modo la solidarietà italiana con i quattro Paesi che hanno già provveduto alla ratifica del Trattato: situazione questa indubbiamente non scevra di pericoli, specie nell’eventualità di un futuro sviluppo di forme di collaborazione promosse dall’America e dalle quali l’Italia, come la Francia, potrebbe essere, per motivi giuridici e formali, relativi alla non avvenuta ratifica, esclusa. Pronti in proposito sono stati gli interventi italiani presso l’Ambasciatore Bruce ed anche a Washington(9), per togliere senz’altro di mezzo una tale eventualità.

4. Il Benelux ha svolto, anche se con qualche sfumatura differenziale tra Belgio ed Olanda, una sua azione di difesa del Trattato quale esso è stato approvato dai suoi Parlamenti. Ora sembra che i suoi componenti non sarebbero favorevoli a nuove consultazioni (si è già accennato alla possibilità di una presa di contatto, per iniziativa americana, con l’Inghilterra e con la Germania) perché essi indubbiamente vedrebbero, in quel caso, la loro azione e la loro presenza limitate ad un puro e vero «contorno» senza alcuna possibilità di poter esercitare un qualche peso ed una qualche influenza.

L’Olanda, particolarmente, ha visto poi, nello scardinamento francese, un effettivo attentato contro quelle finalità di integrazione economica alle quali essa si è mantenuta sempre fedele in tema di trattative per la creazione della Comunità Europea.

5. L’Inghilterra è stata sempre estranea alla Conferenza di Bruxelles per quanto di essa, dei suoi impegni e della sua eventuale collaborazione, molto si sia parlato nel corso delle discussioni, quasi che una adesione del Regno Unito – ed il Signor Mendès-France ne ha fatto tanti ed insistenti riferimenti – non possa non essere un elemento basilare per la cooperazione europea. Sintomatica perla circostanza che, come si è sopra accennato, Churchill abbia inviato al Cancelliere Adenauer un suo personale messaggio di incoraggiamento: fatto che deve avere anche avuto la sua influenza sulla improvvisa decisione di Mendès-France di recarsi immediatamente a Londra, subito dopo la chiusura della Conferenza e prima ancora di rientrare a Parigi.

6. L’America, invece, si è sentita direttamente toccata dagli sviluppi di Bruxelles ed ha voluto quindi essere direttamente presente con il ripetuto intervento, nei corridoi della Conferenza, dell’Ambasciatore Bruce: intervento che ha suscitato, come è noto, in taluni organi di stampa, interrogativi ed anche critiche. Il Signor Foster Dulles, inoltre, ha inviato, al momento conclusivo dei lavori, al Signor Mendès-France(10), e per conoscenza agli altri Ministri, un suo lungo messaggio personale inteso a porre in rilievo la necessità di una intesa e contenente anche talune indicazioni circa l’azione che il Governo di Washington intenderebbe svolgere nel caso di un constatato fallimento, per colpa dell’atteggiamento francese, dell’idea della collaborazione occidentale.

Sarà, infine, utile accennare alla circostanza che, alla fine della Conferenza, il Signor Mendès-France ha chiesto di vedere il Ministro Piccioni e, allo scopo, si è recato nella sede della nostra Ambasciata. A lui, nel dichiarare come appaia oggi assolutamente necessario riempire, di fronte alle opinioni pubbliche, il «vuoto» costituito dalla mancata intesa sulla CED, ha accennato a qualche «alternativa» che dovrebbe essere adottata nel pibreve tempo possibile. La prima potrebbe essere quella della concessione della sovranità e del diritto di riarmo alla Repubblica Federale Tedesca e della sua parallela ed immediata inclusione nel NATO. Si potrebbe anche pensare ad una CED limitata al solo campo della produzione degli armamenti ed, infine, ad una vera e propria alleanza militare «a sette», ossia con il Regno Unito, ma con, naturalmente, la non adozione di formule direttive sopranazionali: in altre parole, una piccola NATO nella grande NATO. Egli, inoltre, si è mostrato interessato alla eventuale iniziativa americana, sopra accennata, per cui potrebbero ora avvenire contatti tra Washington, Londra ed i Paesi che hanno già ratificato il Trattato, quasi che la Francia possa vedere nella situazione italiana una posizione di similarità. Naturalmente l’On. Piccioni, nell’insistere a sua volta sull’assoluta necessità di non vedere le opinioni pubbliche andare alla deriva, ha ancora una volta posto in rilievo quali sarebbero i vantaggi della creazione di una Comunità Europea quale era stata immaginata attraverso la CED. Mendès-France, infine, ha riaffermato la sua intenzione di presentare all’Assemblea Nazionale il Trattato CED nella seduta di sabato 28 corr. L’eventuale voto dovrebbe avvenire nella giornata del 31 ed in seguito i parlamentari francesi prenderebbero le loro vacanze destinate a protrarsi sino al 3 novembre p.v.

282 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

282 2 Sottoscrizione autografa. Trasmesso da Magistrati al Consigliere Diplomatico presso la Presidenza della Repubblica, al Segretario particolare del Presidente del Consiglio Paolo Canali, al Ministro della Difesa, ai Capi di Stato Maggiore della Difesa, dell’Aeronautica e della Marina; alle Ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Bruxelles, L’Aja, Londra, Madrid, Mosca, Ottawa, Parigi, Washington; alla Delegazione presso la CED a Parigi, alle Rappresentanze presso il Consiglio Atlantico a Parigi, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, presso le Nazioni Unite a Ginevra e presso l’OECE a Parigi; alle Legazioni a Copenhagen, Lisbona, Lussemburgo, Oslo, con L. 20/2158/c. del 24 agosto (ivi, b. 27, fasc. 95).

282 3 La Delegazione italiana era così composta: Attilio Piccioni, Ministro degli Affari Esteri, Capo Delegazione; Ludovico Benvenuti, Sottosegretario agli Esteri; Ivan Matteo Lombardo, Capo della Delegazione italiana presso la CED; Massimo Magistrati, Direttore Generale della Cooperazione Internazionale; Domingo Fornara, Capo degli esperti militari della Delegazione italiana presso la CED; Carlo Alberto Straneo, Direttore Generale Aggiunto degli Affari Politici; Eugenio Prato, Capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri; Francesco Cavalletti, Ministro a Lussemburgo; Giorgio Bombassei, Consigliere della Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico e delegato presso la CED; Eugenio Plaja, Capo dell’Ufficio I della Direzione Generale della Cooperazione Internazionale; Pier Luigi Alverà, Capo della Segreteria di Benvenuti; Salvatore Zingale, Segretario Particolare del Ministro degli Esteri; Carlo Calenda, Ufficio Stampa del Ministero degli Esteri; Gaetano De Rossi, Delegato presso la CED (elenco dal titolo Delegazione italiana alla Conferenza di Bruxelles, in DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 19501954, b. 27, fasc. 94).

282 4 Per la Delegazione italiana erano presenti: Piccioni, Benvenuti e Magistrati. Il resoconto della prima seduta del 19 agosto, il comunicato finale, il progetto di protocollo francese ed il progetto di dichiarazione comune sono pubblicati in Appendice II; le minute dei verbali delle sedute ristrette sono conservati nel Fondo Spaak: ASUE, Paul-Henri Spaak, PHS, 6.308

282 5 Vedi a tal proposito anche D. 288, Allegato.

282 6 Vedi DD. 256-258 e Appendice II.

282 7 Vedi D. 265.

282 8 À propos de la CED. Ce qui est menacé, «Le Figaro», 19 agosto 1954.

282 9 Vedi D. 273.

282 10 Ivi, nota 2.

283

IL CAPO DELL’UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, PLAJA(1)

Appunto(2). Roma, 24 agosto 1954.

Da una conversazione con un funzionario dell’Ambasciata degli Stati Uniti mi è parso comprendere che gli americani hanno interpretato i nostri passi presso Bruce, Durbrow e tramite Tarchiani(3), a proposito del recente messaggio di Dulles a Mendès-France(4), nel senso che da parte italiana si è favorevoli alla effettuazione di una riunione di consultazione tra i Paesi indicati nel citato messaggio, intesa a decidere i passi da prendere per accordare alla Germania la sovranità e procedere al riarmo tedesco.

Mi è parso doveroso chiarire che, per quanto risultava a me, il passo aveva avuto solo lo scopo di precisare tempestivamente che, ove una riunione del genere avesse avuto luogo, il Governo italiano non si attendeva di esserne escluso.

283 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

283 2 Sottoscrizione autografa.

283 3 Vedi D. 273.

283 4 Ivi, nota 2.

284

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

Telespr. segreto 3633/1906. Londra, 24 agosto 1954.

Oggetto: CED - Convegno di Bruxelles. Visita di Mendès-France a Londra.

Kirkpatrick mi ha messo oggi al corrente delle istruzioni date a Ross e agli altri rappresentanti britannici nelle capitali europee di informare i rispettivi Governi circa l’incontro avvenuto ieri tra Churchill, Eden e Mendès-France qui a Londra. Suppongo quindi che la massima parte di quello che egli mi ha detto corrisponda alle comunicazioni di Ross(2), tuttavia ritengo opportuno ripetere quanto egli mi ha dichiarato(3).

Osservo intanto che circa la Conferenza di Bruxelles vi è qui una netta differenza di apprezzamento tra i francesi e gli inglesi. Massigli è stato con me al riguardo estremamente esplicito. Egli ha addossato la responsabilità del fallimento di Bruxelles soprattutto agli americani. «Bruxelles – egli è giunto a dirmi – è stato una prova di quello che la CED sarebbe stata se avesse avuto vita: sarebbe stata sotto la continua invadenza e controllo americano. A Bruxelles – egli ha continuato – non vi è stato compromesso perché non lo si è voluto, e i nostri 5 alleati non lo hanno voluto perché gli americani glielo hanno impedito». Secondo Massigli, fino all’ultimo momento gli americani avrebbero illuso i cinque facendo loro credere che alla fine Mendès-France avrebbe ceduto. Lo stesso Adenauer avrebbe sperato fino all’ultimo momento in questo cedimento di Mendès-France e sarebbe rimasto stupefatto e sconcertato quando alla fine si accorse che i francesi non potevano cedere. La realtà sarebbe, sempre secondo il mio collega francese, che gli americani avrebbero confermato ancora una volta la loro incapacità a intendere le situazioni interne degli altri paesi: secondo lui, questo era vero sopratutto di Bruce, dominato completamente dalle idee dei federalisti pispinti, mentre non era vero di Dillon, pirealista e meglio al corrente della reale situazione interna francese.

Nei riguardi degli inglesi Massigli era assai piprudente: non ha permancato di dirmi che gli americani sarebbero stati delusi della mancanza di iniziativa britannica in questa occasione, e addirittura furiosi per il fatto che Eden fosse ancora in vacanza durante il convegno di Bruxelles. Probabilmente, secondo Massigli, gli inglesi avevano una qualche idea di alternativa in vista dell’imminente fine della CED, ma non intendevano proporla se non all’ultimo momento e in fin dei conti erano abbastanza contenti che la CED fosse caduta da sé senza che essi venissero meno alla loro formale lealtà nei suoi riguardi.

Circa il contenuto dei colloqui di Londra Massigli è stato alquanto evasivo limitandosi a ricordare che Churchill aveva sventolato il pericolo di un ritorno degli Stati Uniti all’isolazionismo, pericolo al quale tuttavia i francesi mostrano di non credere.

In quanto poi alla via da seguire una volta rigettata la CED dal Parlamento francese, Massigli non mi parve che avesse alcun sentore di intendimenti o progetti determinati del suo Governo. Forse la Germania entrerà nel NATO, egli diceva, forse si troverà il modo di creare un gruppo europeo entro il NATO con la partecipazione della Gran Bretagna. Ma per ora essenzialmente, secondo Massigli, il cadavere della CED costituiva un imbarazzo e occorreva anzitutto liberarsene sotterrandolo.

Del tutto diverso e direi anzi nettamente contrario l’atteggiamento di Kirkpatrick. Secondo lui, in sostanza la responsabilità del fallimento di Bruxelles era interamente ed esclusivamente della Francia. Mendès-France medesimo nel suo colloquio di Londra non avrebbe minimamente cercato di addossare la responsabilità agli americani. Osservava sarcasticamente Kirkpatrick che Mendès-France si lagnava che nessun compromesso gli era stato offerto da parte dei cinque, ma quando si cercdi chiarire quale era il compromesso che egli avrebbe potuto accettare e che non gli fu offerto, si scoprì in realtà che Mendès-France avrebbe voluto l’accettazione pressoché totale delle condizioni da lui proposte e ritenute necessarie per ottenere il voto del suo Parlamento. Hanno ragione coloro, aggiungeva Kirkpatrick, che attribuiscono ai francesi il seguente paradossale ragionamento: la colpa delle attuali difficoltà è dei nostri alleati della CED i quali con la loro ratifica hanno reso più difficili un accordo e la ratifica della Francia!

Secondo Kirkpatrick, a Londra Churchill avrebbe tenuto un linguaggio molto cortese ma molto fermo con Mendès-France. Su per gigli avrebbe detto così: io non posso rimproverare voi che avete assunto il governo da poco tempo della situazione che si è creata, ma è certo che i successivi governi francesi hanno creato una impossibile situazione, di cui voi stesso soffrite le conseguenze, e hanno fatto perdere ai loro alleati qualsiasi fiducia. D’altra parte non crediate di poter convincere me dicendomi quello che vi occorre affinché il vostro Parlamento vi dia l’approvazione. Io non voto in Francia e non posso uniformare la mia politica agli umori del Parlamento francese. Bisogna invece che il Parlamento francese sia messo ben chiaramente di fronte alle sue responsabilità e alle alternative che si presentano in caso di fallimento della CED. Le alternative sono tre: 1) entrata della Germania nel NATO; 2) ripiegamento degli Stati Uniti su una strategia periferica, che sarebbe un disastro; 3) distacco degli Stati Uniti dall’Europa accompagnato da accordi bilaterali fra gli americani e i tedeschi, il che sarebbe forse un disastro peggiore. Questa è la situazione e noi britannici non possiamo vedere né offrire altre vie d’uscita, ma intendiamo restare fino alla fine fedeli alla quarta possibilità, ossia alla ratifica della CED, anche per dovere di lealtà verso gli altri paesi europei con i quali ci siamo impegnati.

Kirkpatrick ha escluso che Mendès-France sia venuto a Londra con delle proposte

o con delle idee precise. Egli è venuto semplicemente ad ascoltare gli inglesi per formarsi un concetto dei loro orientamenti.

Kirkpatrick mostrava di non aver perso del tutto ogni speranza che Mendès-France, anche in conseguenza della presa di posizione britannica, potesse ancora decidersi a porre di fronte alla sua Camera una recisa e onesta alternativa salvando così la CED. Ma dubito molto che Kirkpatrick fosse al 100% convinto di questa sua ipotesi ottimistica. Egli stesso non negava che l’atteggiamento di Mendès-France a Bruxelles era apparso giustamente enigmatico ai rappresentanti degli altri paesi. Le sue affermazioni, ad esempio rispetto alla volontà di non discriminare contro la Germania, erano apparse non convincenti e subito smentite quando gli era stato richiesto di tradurle in impegni precisi.

Questo scetticismo sulla chiarezza dell’atteggiamento di Mendès-France non giustifica certo la speranza che egli possa assumere a distanza di pochi giorni quell’atteggiamento di estrema fermezza che sarebbe necessario per varare la CED nelle condizioni attuali.

Per ciò che riguarda poi la scelta tra le varie possibili ipotesi nel caso purtroppo probabile che la CED stia per finire, Kirkpatrick anzitutto mi riaffermche i francesi si illudevano se pensavano che gli inglesi avessero un qualche piano pronto per toglierli dalle difficoltà. Secondo Kirkpatrick, la sola seria alternativa possibile è l’ingresso della Germania nel NATO e secondo lui bisognerebbe anche far presto, perché attualmente sarebbe ancora possibile che Adenauer accettasse di entrare nel NATO con delle volontarie autolimitazioni che egli ritiene utili per frenare il risorgente militarismo del suo paese, mentre più tardi anche queste autolimitazioni diventerebbero impossibili.

Kirkpatrick mi ha detto che data la situazione Eden non lascerà pil’Inghilterra e si domandava perfino se convenisse che Eden andasse alla conferenza di Baguio. Potrebbe darsi che vi rinunciasse, ma la sua decisione non è ancora presa e dipenderà dagli sviluppi imminenti della situazione europea(4).

284 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

284 2 Vedi D. 281.

284 3 Con T. segreto 10550/255 del 24 agosto, Brosio aveva anticipato in sintesi i punti fondamentali di tale colloquio aggiungendo le seguenti valutazioni sull’atteggiamento britannico: «Tuttavia da quanto dettomi non sembrami si sia qui affatto convinti che Mendès-France sia disposto ad impegnarsi decisamente a sostenere il Trattato CED al Parlamento. L’atteggiamento di Churchill nell’incontro mi sembra che si sia ispirato al noto principio britannico di non avanzare nuove proposte fino a quando i francesi non avranno preso decisioni definitive» (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95).

284 4 Per il seguito vedi D. 294.

285

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 10588/119. Bonn, 25 agosto 1954, ore 15 (perv. ore 18,30).

Hallstein mi ha esternato stamani il profondo compiacimento anche personale del Cancelliere Adenauer per l’atteggiamento italiano a Bruxelles. Ha evitato di far ogni previsione sull’esito della votazione al Parlamento francese ma non mi ha nascosto la sua perplessità sull’enigma che Mendès-France ancora costituisce per i tedeschi.

L’atteggiamento del Presidente del Consiglio è emerso meglio dalla comunicazione che gli inglesi hanno fatto al Governo federale sul colloquio avuto da lui con Churchill. Questi avrebbe attirato l’attenzione di Mendès-France sui gravi pericoli per la Francia ed il mondo libero che il rigetto del Trattato della CED da parte dell’Assemblea nazionale potrebbe comportare, richiestogli di adoperare ogni sua autorità per ottenere un voto favorevole e prospettatogli che in caso diverso un’altra soluzione dovrà essere trovata senza indugi. Al consiglio britannico di appoggiare al Parlamento il Trattato della CED il quale unitamente al progetto interpretativo di Spaak rappresentava a giudizio di Churchill di gran lunga la migliore soluzione per i francesi, Mendès-France ha evitato di pronunziarsi limitandosi a rispondere che nel caso di un voto negativo dell’Assemblea Nazionale una semplice soluzione potrebbe essere trovata entro i prossimi due mesi. Churchill avrebbe allora sottolineato a Mendès-France che il Governo britannico agisce in stretta cooperazione con il Governo americano e che la ratifica francese della CED rappresentava a suo giudizio anche un debito di onore verso i paesi che avevano già ratificato. Dalla conversazione con Hallstein mi è risultato che nemmeno il colloquio svoltosi dopo la Conferenza tra Adenauer e Mendès-France, e che si è svolto su linee del tutto generali, è valso a sgomberare completamente i dubbi tedeschi sulle reali intenzioni del Presidente del Consiglio francese. Circa l’alternativa cui lo stesso Churchill ha accennato si mantiene qui il riserbo piassoluto. Opinione ad ogni modo di questa Alta Commissione francese è che difficilmente Eisenhower e il Dipartimento di Stato potranno prestarsi ad altre dilazioni per le forti pressioni che comincerebbero già ad essere esercitate da parte del Congresso americano.

285 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

286

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SCELBA, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, DULLES(1)

L. Roma, 25 agosto 1954.

Caro Segretario di Stato,

desidero rinnovarle personalmente l’espressione della più sincera gratitudine del Governo italiano e mia personale per la parte che Ella e il Governo degli Stati Uniti hanno voluto prendere, con tanto generoso slancio, al dolore che ha colpito l’Italia con la scomparsa del Presidente De Gasperi. La sua dipartita rappresenta indubbiamente una perdita ben grave non soltanto per il nostro Paese ma per quanti nel mondo hanno come scopo supremo la difesa della libertà e della democrazia.

Il Governo che ho l’onore di presiedere si considera più che mai impegnato a perseverare in quell’azione di cui il grande Scomparso traccile direttrici e che hanno trovato la loro migliore espressione nel Trattato Nord Atlantico e nell’opera di progressiva integrazione delle risorse morali, politiche e militari dell’Europa.

La Signora Luce, la cui presenza alle manifestazioni di estremo saluto al Presidente De Gasperi, in rappresentanza personale del Presidente Eisenhower, ci ha particolarmente commosso, potrà dirle quanto sia fermo il nostro intendimento di continuare sulla strada maestra della collaborazione occidentale, che trova negli Stati Uniti un fattore di così vitale importanza. La stessa Ambasciatrice le riferirà la lunga conversazione che insieme abbiamo avuto(2)e nella quale, all’indomani della Conferenza di Bruxelles, ho voluto opportunamente esporle quale sia stata l’azione che l’Italia vi ha svolto: azione interamente inspirata ai concetti ed alle idealità che Le ho sopra indicati.

Pur non nascondendo le preoccupazioni che anche presso di noi sono sorte in merito ai più recenti sviluppi della situazione relativa alla Comunità Europea di Difesa, desidero che Ella sappia come il Governo Italiano non abbia menomamente indebolito le sue convinzioni europeistiche e la sua fiducia nella possibilità di realizzarle, così come intende, qualunque possa essere il corso degli avvenimenti, mantenere saldi quei principi su cui si fonda la collaborazione fra i nostri Governi e rafforzare sempre pii vincoli che uniscono le nostre due Nazioni(3).

Mi creda, caro Segretario di Stato, con sincera cordialità

[Mario Scelba]

286 1 DGAP, Uff. I, 1945-1960 (I versamento), b. 8, fasc. 3.

286 2 Vedi D. 279.

286 3 Per il seguito vedi D. 296.

287

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AD AMBASCIATE E LEGAZIONI(1)

Telespr. segreto 21/2173(2). Roma, 25 agosto 1954.

Oggetto: Sviluppi successivi alla Conferenza di Bruxelles.

Riferimento: Appunto min.le n. 21/2157 del 24 corrente(3).

A quanto risulta dalle più recenti informazioni in possesso di questo Ministero, l’intensa attività nelle Cancellerie provocata dalla conclusione della Conferenza di Bruxelles non ha ancora assunto precisi orientamenti per quanto riguarda gli ulteriori passi e le eventuali iniziative da svolgere. Cianche, naturalmente, in attesa che si chiarisca la posizione francese nei riguardi del processo parlamentare di ratifica degli accordi CED.

Così da parte americana si conferma che la possibilità di consultazioni intese a risolvere il problema della restituzione della sovranità alla Germania e quello del contributo tedesco alla difesa occidentale (telespressi min.li n. 21/2163 e 21/2164 in data odierna) sarà esaminata dopo chiarita la posizione nel Parlamento francese. Il Dipartimento di Stato ha ieri precisato al riguardo alla nostra Ambasciata in Washington che il Governo americano non desidererebbe in ogni caso figurare come invitante bensì come osservatore, preferendo che una eventuale riunione appaia iniziativa europea fondata sull’articolo 132 del Trattato CED e che il Governo americano è favorevole alla partecipazione dell’Italia a tale eventuale riunione ed a suo tempo appoggerebbe una eventuale nostra richiesta in tal senso.

Per quanto riguarda l’atteggiamento della Gran Bretagna, questo Incaricato d’Affari ci ha esposto ieri(4), per incarico del suo Governo, l’andamento dell’incontro tra Churchill e Mendès France. Churchill – egli ci ha detto – ha tenuto un linguaggio cortese ma fermo invitando Mendès France a porre il Parlamento francese di fronte alle sue responsabilità, ed ha insistito per la ratifica della CED prospettando le conseguenze di un fallimento della Comunità tra cui il possibile ripiegamento degli Stati Uniti verso la strategia periferica o verso accordi bilaterali con la Germania. Peraltro, secondo quanto comunica la nostra Ambasciata in Londra(5), non sembra che colà si sia affatto convinti che Mendès France sia disposto ad impegnarsi decisamente ed a sostenere il Trattato CED al Parlamento. E l’atteggiamento di Churchill nell’incontro appare, a giudizio di detta Ambasciata, essere stato ispirato al noto principio britannico di non avanzare nuove proposte fino a quando i francesi non avranno preso decisioni definitive.

Le impressioni più recenti da Parigi, infine, testimoniano che la situazione politica colà è caratterizzata da molti elementi di contraddizione e di incertezza per quanto riguarda l’atteggiamento del Governo e del Parlamento nei prossimi giorni. Si trasmette in allegato la più recente comunicazione pervenuta al riguardo dalla nostra Ambasciata in quella sede(6).

In queste condizioni è necessario che la nostra azione nei prossimi giorni sia particolarmente attiva presso le Cancellerie interessate per sottolineare opportunamente la posizione italiana in generale e l’atteggiamento tenuto in particolare da noi alla Conferenza di Bruxelles. Per quanto riguarda la nostra posizione nei riguardi della ratifica sarà bene ricordare convenientemente lo speciale significato delle recenti votazioni in sede di Commissione Parlamentare(7), sottolineando come esse consentano di scontare la favorevole conclusione del processo ove le circostanze delle decisioni francesi non rendessero privo di senso l’ulteriore corso del processo stesso. Per quel che concerne poi l’atteggiamento tenuto alla Conferenza di Bruxelles, le rappresentanze in indirizzo hanno già ricevuto ampi elementi di informazione; e si unisce, per ulteriore notizia, il testo di un commento ufficioso che in merito è stato ieri comunicato alla stampa.

Le rappresentanze in Bonn, Bruxelles, L’Aja e Lussemburgo vorranno, in particolare, tenersi in stretto contatto con i rispettivi Governi per quel che concerne gli ulteriori sviluppi della situazione. L’identità di vedute e l’atteggiamento concorde confermatosi tra i cinque a Bruxelles è un elemento che va mantenuto e curato per gli aspetti positivi che presenta soprattutto nella incerta situazione attuale.

Allegato

NOTA UFFICIOSA DI COMMENTO SULL’ATTEGGIAMENTO ITALIANO ALLA CONFERENZA DI BRUXELLES (24/8/1954)

Negli ambienti governativi si osserva che nel dare la sua adesione e la sua costruttiva collaborazione alla Comunità Europea di Difesa, l’Italia fu fin dall’inizio mossa da lineari motivi di impostazione nettamente europeista, troppo noti, e troppe volte sottolineati in ogni sede, perché occorra dilungarsi a ripeterli. Basta qui ricordare che l’Italia non ha dato l’adesione alla CED perché mossa da considerazioni di carattere semplicemente militare o di difesa, ma nell’intento che la CED costituisse, dopo la Comunità del Carbone e dell’Acciaio un nuovo passo verso la picompleta integrazione politica ed economica dell’Europa, obiettivo fondamentale di tutta la politica che porta come suggello il nome di Alcide De Gasperi.

Le preoccupazioni destate dai più recenti orientamenti governativi francesi nei riguardi della CED investivano proprio queste finalità europeiste. Ciera ben chiaro al Ministro Spaak quando or sono due mesi concepì l’idea di una riunione destinata appunto ad ottenere che gli opportuni chiarimenti da parte francese dissipassero tali preoccupazioni, ma fu ancor più chiaro quando, pochissimi giorni prima della riunione, il Governo francese comunicil suo progetto di protocollo addizionale.

Il Governo italiano era convinto – e lo resta – della estrema importanza dei problemi che confluiscono nel Trattato CED e della necessità di trovar loro una pronta soluzione: problema tedesco, sicurezza occidentale, integrazione europea. La soluzione idonea fu elaborata dai pieminenti statisti del dopoguerra con il Trattato CED. Premeva realizzarla senza ulteriori ritardi. Questo, se ci portava a fare ogni sforzo di avvicinamento e di comprensione per le altrui necessità, non poteva condurci ad accettare modifiche che snaturassero la soluzione CED, quale essa era stata ideata e costruita, e ne facessero tutt’altra cosa. In tale senso, del resto, si erano chiaramente espresse le Commissioni Parlamentari, che negli ultimi mesi, avevano dato la loro approvazione al Trattato.

Questa è stata, quindi, la linea seguita dalla Delegazione Italiana. Pure adoperandosi per ognipossibile sforzo di conciliazione, essa è stata ferma sui chiari limiti della nostra impostazione fondamentale, a tutela dei caratteri essenziali del Trattato, la sopranazionalità cioè della Comunità, la non discriminazione tra i partecipanti, la funzionalità e vitalità del nuovo organismo.

Questi caratteri sarebbero stati del tutto sovvertiti se i partecipanti alla Conferenza avessero accolto le tesi francesi che si riferivano particolarmente:

1) all’ammissione di un vero e proprio diritto di «veto» da parte di ciascuno degli Stati Membri che avrebbe per otto anni praticamente paralizzato la Comunità;

2) al riconoscimento del diritto di recesso degli Stati Membri, il che avrebbe dato alla Comunità stessa un carattere di instabilità, neutralizzandone ogni possibilità di sviluppo;

3) alla limitazione dell’integrazione delle forze militari solo a determinate truppe, il che avrebbe costituito in pratica un elemento di discriminazione a svantaggio di qualche Stato Membro e avrebbe impedito la costituzione di quelle forze uniche integrate europee, costituenti l’obiettivo del Trattato.

Su queste linee l’azione della Delegazione Italiana ha avuto un suo preciso carattere ed una funzione chiarificatrice nella Riunione di Bruxelles. Varie ne sono state le manifestazioni nel corso della Conferenza, e principalmente va ricordata quella immediatamente successiva alla formulazione del controprogetto Spaak: con essa la nostra Delegazione, nel fornire elementi di collaborazione per l’iniziativa conciliatrice del Ministro belga, precisi limiti dell’accettazione italiana, limiti poi esattamente conservati nel comunicato finale e ispirati alla collaborazione europea di un quadro di amichevoli e costruttivi rapporti con gli Stati Uniti e con la Gran Bretagna.

287 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

287 2 Diretto alle Ambasciate a Bonn, Bruxelles, L’Aja, Parigi, Londra, Washington, alla Legazione a Lussemburgo; per conoscenza, alla Rappresentanza presso il Consiglio Atlantico e alla Delegazione CED a Parigi, e alla Direzione Generale degli Affari Politici.

287 3 Vedi D. 282.

287 4 Vedi D. 281.

287 5 Vedi D. 284.

287 6 Vedi D. 278.

287 7 Vedi D. 250, nota 7.

288

IL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI(1)

L. segreta personale 20/2167. Roma, 25 agosto 1954.

Caro Ambasciatore,

ti ho mandato con altra mia, e secondo il solito, l’appunto riassuntivo della importante Conferenza di Bruxelles(2)e quindi non mi dilungo in particolari. Aggiungo che Mendès-France mi ha fatto l’impressione di persona dotata di molto notevoli qualità, oltre che dialettiche, anche di prontezza di decisione. È un «parafascista ebraico»: e ti do la definizione per quello che vale. Naturalmente qui le reazioni, al suo operato, specialmente nel campo governativo, sono state molte e non favorevoli e quindi nel complesso non siamo certo in un buon momento nella valutazione della Francia in seno ai nostri dirigenti.

A Bruxelles ebbe luogo l’incontro Mendès-France-Piccioni di cui troverai un riassunto alla fine dell’appunto inviatoti. Aggiungo che non venne trattato alcun problema italo-francese né si fece accenno a questioni economiche. L’importante era di vedere come sia possibile riempire il «vuoto» provocato dal mancato consenso tra i sei a Bruxelles. E Mendès-France mi parve, in certo modo, preoccupato di quella idea, contenuta nella lettera inviatagli da Foster Dulles, in merito ad una possibilità di consultazione tra l’America, il Regno Unito e gli Stati fedeli alla CED: riunione che, a suo dire, sarebbe nient’altro che un incontro anglo-tedesco-americano con un contorno di minori Paesi.

Inutile dire che ora non resta che attendere la decisione del Parlamento francese e fino a questo momento ci sembra scorgere che Mendès-France non potrà non giungere a un vero e proprio voto. Se questo invece non avvenisse la posizione resterebbe aperta e anche il Governo italiano dovrebbe prendere una decisione in merito alla opportunità o meno di iniziare un difficile dibattito sulla CED, alla Camera, verso la fine di settembre.

Ti invio, infine, per tua opportuna e personale conoscenza, il testo della dichiarazione di Mendès-France all’inizio della Conferenza. È un documento essenziale, che non è stato verbalizzato dato il carattere segreto della Conferenza stessa ma di cui sono riuscito a fare un testo(3)che dovrei definire completo.

Credimi sempre

[Massimo Magistrati]

Allegato

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI FRANCIA, MENDÈS FRANCE Bruxelles, 19 agosto 1954 Devo innanzitutto chiedere scusa ai miei colleghi per il ritardo che ho dovuto frapporre nell’intervenire a questo nostro progettato incontro. Ma, allorché assunsi l’onere e l’onore di Capo del Governo del mio Paese, mi trovai dinanzi a delle situazioni e a degli obblighi particolarmente gravi e pesanti: dapprima il problema dell’Indocina, vero fardello psicologico, morale e politico, oltreché militare ed economico, in seguito le necessarie, sostanziali riforme economiche nel mio Paese ed infine il problema dell’Africa del Nord. Ho ritenuto quindi compiere da prima ogni sforzo per trovare una soluzione a quei problemi anche per acquisire il prestigio necessario per chiedere all’opinione pubblica francese il suo consenso sulle vitali questioni europee. Ho portato a termine quel mio programma ed eccomi oggi tra voi in un incontro che abbiamo tutti desiderato perché il nostro obbiettivo comune è quello di organizzare meglio l’Europa per farle sormassare [scil. sorpassare] i gravi pericoli che essa attraversa.Non vi nascondo quanto sia grande la reticenza e l’incertezza del Parlamento francese. Ma mi è sembrato poco degno per un Paese quale la Francia di continuare a non prendere posizione su problemi di tale essenziale interesse e oramai il dibattito parlamentare non sarà pirinviato per quanto possa essere il Parlamento stesso diviso ed incerto.Dai primi contatti che ho qui avuto, mi è sembrato comprendere che alcuni di voi non siano sufficientemente al corrente del malessere che regna a Palazzo Borbone e dei gravi ostacoli che colà incontriamo ad ogni momento. Voi forse credete che in Francia esista una maggioranza parlamentare per la CED. Lealmente vi dirche tale maggioranza non esiste e che se domani i Trattati della CED e di Bonn dovessero essere passati, così come sono oggi, al vaglio parlamentare, essi sarebbero respinti anche se il Governo mettesse ogni sforzo per ottenerne l’approvazione. Questa non è una mia idea personale. Abbiamo avuto piene e costanti e seguite prove di quanto vi affermo. Tutte le Commissioni Parlamentari (e sono state ben 7) sono state, senza eccezione,

largamente negative. Quella delle finanze (presieduta addirittura da Paul Reynaud che voi ben conoscete) è stata contraria per quanto in essa fossero presenti proprio quei socialisti che si sono dichiarati favorevoli alla CED.

Vi darun altro esempio. Abbiamo cercato di far passare una piccola modifica costituzionale, di cui vi risparmio i dettagli, ma che a taluni è parsa poter favorire la ratifica dal Trattato CED. È bastata questa idea perché essa venisse senz’altro respinta.

Guardate la situazione del Partito socialista francese, che ha cento rappresentanti parlamentari: i dirigenti sono stati e si dimostrano favorevoli alla CED e malgrado questo pidel 50% di quei deputati hanno dichiarato per iscritto di essere contrari alla Comunità di Difesa e cia qualunque costo e anche se dovessero perdere il loro seggio parlamentare.

Quanto al mio Governo ho già perduto tre membri e cimi ha messo in grave imbarazzo. Ma non mi sono arreso pur sapendo che questa mia posizione viene profondamente attaccata da non pochi settori, dai gollisti ai socialisti ai quali ho accennato, che rimproverano ormai apertamente al Governo di aver accettato una posizione troppo favorevole alla CED.

In queste condizioni alcuni di voi potrebbero dire: sottomettete il Trattato quale esso è al Parlamento e rischiate la sua bocciatura ma almeno l’intera posizione ne sarà chiarificata. E poi vedremo.

Invece io non penso così. Innanzitutto, per motivi di politica interna perché il Partito comunista, che ha al Parlamento ben 100 suoi deputati, fornirebbe il nerbo essenziale di quella opposizione ed uscirebbe vincitore dal dibattito. Il mio Governo naturalmente si dimetterebbe e andremmo verso una situazione nella quale sarebbe ben difficile trovare una maggioranza che potesse fare a meno della presenza dei comunisti.

Ma – e questo particolarmente vi interessa – sarebbe proprio nel campo della politica estera che le conseguenze sarebbero oltremodo gravi, vuoi nel campo atlantico, vuoi perché i Russi otterrebbero, nella lunga guerra fredda che stiamo vivendo la loro vittoria, sia perché, infine, la causa della distensione franco-tedesca riceverebbe un colpo che vorrei definire decisivo. Dobbiamo quindi fare di tutto per evitare lo scacco se non vogliamo arrivare a tanto drammatica conseguenza.

Quale può essereuna favorevole soluzione di compromesso? Noi abbiamo voluto farci dirigere e guidare da un’idea, essenziale, qualsiasi possa essere il testo di un documento: noi dobbiamo salvare gli obiettivi essenziali che perseguiamo. Dobbiamo affrontare pericoli comuni e quindi la nostra cooperazione e la nostra unione devono accrescersi. Niente neutralizzazione della Germania ma invece collaborazione con essa ed anzi vogliamo il contributo militare della Repubblica Federale Tedesca alla difesa comune. Noi vogliamo, in una parola, uno sviluppo comune politico ed economico. Ecco gli scopi che non dobbiamo mai dimenticare ed è in questo senso e sotto questa luce che devono essere considerate le nostre proposte che riteniamo degne di esame e che sono sostanzialmente infinitamente migliori di una decisione negativa.

Non desidero qui entrare nei dettagli delle proposte stesse ma vorrei farvi qualche osservazione che intenderei definire quali «dominanti». Si è preteso che noi volessimo creare una situazione di discriminazione. Non è vero. Qualora cidovesse apparire saremmo pronti a dichiararci d’accordo per una revisione. Naturalmente, se non esistono e non devono esistere discriminazionimorali o giuridiche, altre ve ne sono di fatto e geografiche. Ma comunque desidero dichiarare che non vogliamo assolutamente che la Repubblica Federale Tedesca possa pensare ad una discriminazione ai suoi danni. Circa poi il problema della messa in marcia della futura Comunità e le questioni cosiddette di supernazionalità devo dichiarare che intendiamo essere positivi e collaborativi. Evidentemente un meccanismo tanto nuovo e tanto delicato non deve essere sottoposto immediatamente a prove di forza per cui rischierebbe di spezzarsi. Dobbiamo invece in un primo tempo dare prova di pazienza e trovare tutte le vie della conciliazione progressiva dei vari interessi: così,del resto, è avvenuto ed avviene per la CECA che, speriamo, possa sempre pisolidificarsi. Talune delle clausole da noi proposte devono appunto far comprendere alle tanto sensibili opinioni pubbliche che la loro psicologia non subirà improvvise scosse ma che cercherà invece di tener conto dei loro interessi. Il futuro Commissariato, evidentemente, non potrà vedere frustrata la sua azioneda un permanente diritto di veto ma, ripeto, e proprio per evitare fratture, dobbiamo far sì che ilsuo meccanismo sia messo in moto con estrema prudenza e con grande spirito di conciliazione, tenendo ben in vista il quadro politico generale odierno.

Ora voi domanderete: se i suggerimenti contenuti nel nostro protocollo venissero qui approvati, trovereste a Parigi la maggioranza necessaria per una ratifica della CED? Vale veramente la pena di fare qui tutto questo lavoro? Orbene voi siete degli uomini politici e conoscete molto bene gli umori parlamentari. Sarebbe quindi molto ingenuo se io prendessi dinanzi a voi dei precisi e solenni impegni. Ma devo dirvi che una vostra accettazione mi permetterebbe di presentare al Parlamento tutto un insieme di questioni, per la loro risoluzione, che si legano in certo modo al Trattato: e cioè non soltanto il Trattato stesso ed i suoi protocolli ma anche il problema della Saar ed in una parola la liquidazione definitiva degli antichi conti franco-tedeschi. Noi potremmo abbordare tutti questi problemi con la precisa volontà di sorpassare tutte le difficoltà. Ma vi è di più noi vorremmo anche ottenere una presa di posizione francese sulla questione della Comunità Politica Europea.

Non dimenticate, a questo proposito, che io, fin dai lontani tempi di Algeri sono stato un fervente fautore di quelle idee e ho sempre, del resto, visto in seguito, la CED proprio sotto il profilo politico. In Francia molti sono gli avversari di una Comunità Politica ma sarebbe, penso, possibile ottenere in Parlamento una mozione intesa, anche se a far rivedere talune modalità, a porre in rilievo la necessità di avanzare su quella via. Qualora riuscissimo a porre su solide basi una cooperazione franco-tedesca, noi potremmo finalmente permettere la formazione di una maggioranza composta di uomini di diversa origine ma disposti domani a collaborare in forma durevole e permanente: e così troveremmo una soluzione non soltanto ai nostri problemi interni ma rimetteremmo in sesto tutti i termini della collaborazione europea.

Per mio conto io ho ottenuto a Parigi la fissazione di una data per la discussione della questione della CED. Ottenendo qui una vostra approvazione mi sentirei di procedere ancora oltre. Un accordo infatti fra i sei Ministri dei Paesi europei interessati non potrebbe non darci a Parigi l’assenso di tutti i parlamentari oggi favorevoli alla CED perché evidentemente essi non potrebbero essere piesigenti di voi. A loro si unirebbero gli esitanti che possiamo calcolare in un numero ondeggiante tra 60 ed 80. In una parola la soluzione è, vorrei dire, nelle vostre mani perché una vostra favorevole deliberazione fornirebbe, penso, l’elemento decisivo perché quei deputati possano assumere la loro responsabilità definitiva. Vi prego quindi di riflettere sulle conseguenze di questa nostra riunione. Nessuno vi impone un dictat né evidentemente può esserela Camera francese a pesare in forma decisiva sui vostri intendimenti e sulle vostre deliberazioni ma una conclusione negativa porterebbe senza dubbio a tutte le conseguenze che ho voluto precedentemente indicare.

Profondamente commosso vi chiedo di non arrestarvi alla prima confrontazione di formule giuridiche ma vi prego invece di guardare allo scopo finale ed essenziale per il bene dell’occidente europeo. Devo concludere affermando che mi sembrerebbe impossibile che non si trovassero le formule conciliative tali da permettere di continuare a camminare per una strada comune.

288 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

288 2 Vedi D. 282.

288 3 Allegato non conservato in questo fascicolo, ma in DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 19501954, b. 27, fasc. 94 e in Ambasciata a Parigi, 1951-1960, b. 40, pos. 18.12.

289

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, CORRIAS, AL CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO, PRATO(1)

L. 44/12268/2523. Roma, 26 agosto 1954.

Caro Prato,

in relazione agli accenni fatti dall’Ambasciatore Grazzi sui risultati finora ottenuti dalla Comunità del Carbone e dell’Acciaio mi pare doverti precisare quanto segue:

È un dato di fatto che la Comunità ha raggiunto, nell’espletamento delle sue funzioni, dei risultati concreti. Anche se, in termini assoluti, essa non ha ancora realizzato il mercato comune del carbone e dell’acciaio, non vi è perdubbio che tale realizzazione è oggi molto avanzata. Nel seno dell’Organizzazione i rispettivi interessi sono stati tutelati in maniera che nessun altro Organismo internazionale è riuscito a raggiungere.

Se ciò si può dire, in termini generali, per tutti i Paesi della Comunità, la situazione si presenta assai più favorevole per quanto concerne l’Italia; è facilmente documentabile, come è stato detto in vari discorsi alla Camera ed al Senato, che l’Italia è oggi la prima beneficiaria di tali vantaggi, che elenco qui di seguito:

1) L’Italia, unico fra i Paesi della Comunità, continua a beneficiare ancora per tre anni della protezione doganale a favore degli acciai comuni e speciali.

2) Analoga protezione – e solo per l’Italia – ma limitata per ora ai soli primi due anni, a favore del «coke».

3) Approvvigionamento di carbone alle stesse condizioni, franco partenza, dei Paesi produttori ed aumento delle importazioni di «fini da coke» dalla Germania con notevole risparmio di dollari (circa un milione e mezzo).

4) Libertà di approvvigionamento e diminuzione dei prezzi dei rottami di ferro della Comunità, con sensibile economia per il nostro Paese ed istituzione di una cassa di perequazione per l’importazione di rottami da terzi Paesi. Il prezzo dei rottami è diminuito in quest’ultimo anno di circa lire 12 al Kg. con un vantaggio per il nostro Paese, che importa un quantitativo aggirantesi sulle 800.000 tonn. di rottami di circa 9,6 miliardi annui.

5) Concessione di un contributo straordinario di circa 4 miliardi a favore delle miniere carbonifere del Sulcis.

6) Soppressione dei doppi prezzi nell’approvvigionamento delle materie prime.

7) Soppressione della tassa speciale temporanea di compensazione applicata

dalla Francia alle importazioni. Questi i concreti risultati positivi inconfutabili. A coloro che ne sviliscono l’essenza si pudomandare quali – rebus sic stantibus

– siano gli effetti negativi? Nessuno.

Noi continuiamo infatti a mantenere, per il periodo transitorio, i dazi doganali e profittiamo, nel contempo, dei vantaggi del mercato comune nell’approvvigionamento delle materie prime disponibili nella Comunità.

Si dice anche che la Comunità sia stata causa di licenziamenti. Ma questo è un fatto verificatosi antecedentemente alla creazione della Comunità stessa ed esso andava comunque affrontato, con la differenza che senza il piano Schuman avremmo dovuto risolverlo con le nostre sole forze e quindi con maggiori sacrifici, anziché con l’ausilio delle provvidenze che il Trattato ci garantisce.

È di qualche settimana l’accoglimento da parte dell’Alta Autorità della nostra richiesta di contributi, a termini del paragrafo 23 della Convenzione, per imprese che riassorbono della mano d’opera licenziata nelle suindicate condizioni. E l’Alta Autorità ha già disposto, in via di massima, un contributo di circa 400.000 lire a operaio, per contributo alle indennità di licenziamento, riqualificazione e trasferimento. Spetterà poi alla iniziativa di nostri imprenditori di assorbire tale contributo. Un disegno di legge è in corso di approvazione per stanziare la corrispondente quota italiana richiesta dal Trattato.

Il problema si porrà per l’Italia alla scadenza del periodo transitorio quando cioè noi non godremo pidella protezione doganale e la nostra industria dovrà essere pronta a competere, con gli altri Paesi della Comunità, su basi di parità.

Ma proprio per tale motivo si è assicurata all’Italia la protezione doganale e cioè per consentire alla sua industria siderurgica, in via di ridimensionamento e rimodernamento degli impianti, di raggiungere quel grado di competitività, che lo stesso mercato comune impone, mediante l’approvvigionamento delle materie prime, alle stesse condizioni «partenza» dei Paesi produttori.

In ogni modo il settore carbosiderurgico è essenzialmente fatto di materie prime

o semifinite che costituisce la base di lavoro fondamentale della industria meccanica, che assorbe in Italia 600.000 operai, di fronte ai 50 mila dell’industria siderurgica. Fornire questa materia prima a prezzi piconvenienti significa dare all’industria meccanica la possibilità di produrre a prezzi minori, e quindi produrre di più esportare di più far consumare di più

Caro Prato, credo di avere illustrato a sufficienza il bilancio positivo della nostra appartenenza alla Comunità, bilancio che naturalmente rimarrà tale solo se i principi di solidarietà affermatisi a Lussemburgo, non rimarranno circoscritti allo stretto campo del carbone e dell’acciaio, ma potranno estendersi agli altri settori produttivi e, potenziandoli, ripercuotersi più direttamente sul livello di vita della popolazione.

Colgo l’occasione per inviarti i miei picordiali saluti. Tuo

A. Corrias

289 1 Gabinetto, 1943-1958, b. 132, pos. A/68 CECA.

290

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI,

AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 12659. Washington, 26 agosto 1954.

Oggetto: Dopo la Conferenza di Bruxelles - Posizione italiana.

Signor Ministro,

secondo una corrispondenza da Roma, apparsa sul New York Times di ieri, l’insuccesso della Conferenza di Bruxelles ha allarmato il Governo italiano sopratutto per il timore che, a seguito della mancata entrata in vigore della CED, gli Stati Uniti impostino la difesa dell’Europa sulla base di una stretta collaborazione con la Germania, la Spagna e la Jugoslavia, lasciando la Francia e l’Italia in una specie di quarantena.

L’idea espressa in questa corrispondenza è, naturalmente, così semplicista che non puriflettere con esattezza l’atteggiamento dei circoli responsabili italiani. Tuttavia tocca abbastanza da vicino un problema che si pone ormai con urgenza per l’Italia: quello della linea di condotta da tenere nella fase critica dei rapporti America-Europa, che è ormai in corso.

Di questa crisi, tutto si può dire meno che non fosse prevista.

Fin da quando il partito repubblicano ha assunto il potere, si sapeva che gli esponenti governativi e parlamentari di tale partito, senza possedere una «ricetta» per guarire i mali del mondo, sostanzialmente diversa da quella dei democratici, erano convinti che ai Paesi europei si potesse o dovesse chiedere un piattivo contributo alla difesa dell’Occidente, non solo in termini di sacrifici finanziari e di preparazione militare, ma anche di subordinazione delle loro esigenze particolaristiche alle esigenze generali del mondo libero e quindi in termini di pistretta collaborazione fra loro e di più completo allineamento sulle direttive anticomuniste americane.

Non appena l’Amministrazione ha mosso i suoi primi passi nel campo della politica estera, è apparso chiaro che certe direttive dell’azione anticomunista («liberation» invece di «containment»; unificazione della Corea; «riconquista dell’iniziativa» nelle schermaglie della «guerra fredda»; galvanizzazione della resistenza dei Paesi asiatici di fronte all’aggressività della Cina comunista; ecc.) erano in parte non realistiche e in parte inconciliabili con certe direttive di politica interna (riduzione delle spese militari, alleggerimento della pressione fiscale, rinuncia ad inviare truppe in Indocina per non suscitare sfavorevoli reazioni nell’opinione pubblica americana, ecc.) cosicché non potevano condurre a nessun risultato concreto; ed è anche apparso chiaro che le inevitabili delusioni avrebbero trovato sfogo principalmente in un senso di irritazione verso l’Europa o in pipressanti richieste ai Paesi europei, le quali, se non accolte, avrebbero aumentato l’irritazione.

La fallita iniziativa per un patto difensivo dell’Asia sudorientale, l’armistizio in Indocina e la mancata ratifica della CED hanno messo in moto appunto questa specie di «reazione a catena». Il proposito attribuito alla Gran Bretagna di favorire una pronta ammissione della Cina all’ONU e quello attribuito alla Francia di far precedere ulteriori contatti con l’URSS al riarmo della Germania continuano ad alimentarla.

Mentre questo fenomeno era previsto, è assai difficile fare pronostici precisi sul suo sbocco finale. In proposito non si hanno altri elementi oltre quelli forniti dalla vaga formula della «strategia periferica» e dall’ancora pivaga formula dell’«agonizing re-appraisal». Perfino, in un campo piristretto, quello del problema tedesco, per il quale sembra esservi una direttiva piprecisa, costituita dal proposito di mettere in vigore gli «accordi contrattuali» o di riarmare la Germania indipendentemente dalla CED, l’avvenire è reso incerto non soltanto dall’atteggiamento di Mendès-France per quanto riguarda il riarmo tedesco, ma anche, a quanto mi sembra intendere, da qualche sopravvenuta o sopravveniente incertezza della situazione politica tedesca.

Malgrado questa fluidità si può dire che gli Stati Uniti sono troppo impegnati negli affari del mondo per poter veramente dar corso ad una nuova politica isolazionista o alla «strategia periferica», e che hanno già avuto troppe delusioni in Oriente per potere sacrificare la collaborazione dei Paesi europei a quella coi Paesi asiatici. Pertanto gli sforzi che venissero eventualmente fatti in tal senso finirebbero per rivelarsi anch’essi velleitari e sterili. Ciè indubbiamente di conforto, perché permette di escludere eventualità, che direi quasi apocalittiche, di completo abbandono dell’Europa da parte degli Stati Uniti, di rapido dissolvimento del NATO, e simili. Tuttavia non basta a rassicurare, perché non impedisce un indebolimento sostanziale, sul terreno pratico, della collaborazione politica, economica e militare fra l’America e l’Europa, indebolimento di per sé gravissimo.

Come si inserisce il problema italiano in questo quadro poco promettente? Nei rapporti italo-americani, nel periodo analizzato più sopra, primeggiavano tre problemi: Trieste, la ratifica della CED e la lotta anticomunista in Italia. Era perfettamente naturale che da parte italiana si ponesse l’accento sul primo, considerato quasi come la pietra di paragone dell’amicizia americana e che da parte americana si concentrasse invece l’attenzione sugli altri due, come elementi indicativi del maggiore o minore assegnamento che gli Stati Uniti potevano fare sul contributo dell’Italia all’organizzazione della difesa dell’Occidente.

Le elezioni del 7 giugno 1953 hanno fatto qui apparire l’Italia come un esempio probante delle critiche rivolte dai repubblicani ai democratici e consistenti, in sostanza, nell’affermare che la politica degli aiuti economici, non subordinata a precise condizioni, si era rivelata insufficiente a combattere il comunismo e perfino a suscitare in certi Governi interessati tutto l’ardore necessario a condurre la lotta anticomunista, cosicché in Italia si notava non solo un aumento dei voti a favore dell’estrema sinistra, ma anche una certa fiacchezza del Governo nel fronteggiare questo grave fenomeno, sia nel campo dei programmi politico-sociali a lungo respiro (riforme, lotta contro i privilegi nel sistema fiscale e della produzione, ecc.) sia in quello delle misure più dirette o immediate (lotta contro le organizzazioni sindacali «rosse», revoca di vantaggi accordati in passato al partito comunista, quale, ad esempio, l’uso di edifici già appartenenti alle organizzazioni fasciste) sia infine in quello della collaborazione internazionale (CED, «facilities»). Le esagerazioni americane nella valutazione della situazione italiana, gli errori commessi nel tentativo di correggerla e i noti atteggiamenti della Signora Luce hanno aggravato il fenomeno, ma non l’hanno né creato né alterato sostanzialmente.

Da parte italiana, come scrivevo più sopra, si è posto l’accento sul problema di Trieste. Lo si è posto giustamente sul problema di Trieste in quanto la collaborazione dell’Italia nella CED, nel NATO e in particolare con gli Stati Uniti avrebbe perduto fatalmente il presupposto essenziale della fiducia, se da parte americana si fosse insistito in una politica di incondizionato appoggio alla Jugoslavia e di subordinazione delle pilegittime esigenze italiane a quelle della collaborazione con detto Paese. Di qui l’ormai lunga minaccia di una crisi dei rapporti America-Italia, indipendente da quella dei rapporti America-Europa. Di qui l’interesse a cercare di risolvere al più presto il problema di Trieste. Di qui la drammatica alternativa del recente passato: Trieste e la CED, Trieste e le «facilities», Trieste e la collaborazione coi Paesi balcanici, oppure né Trieste né il resto e quindi crisi dei rapporti italo-americani. Che il secondo fosse il … corno pipericoloso del dilemma, era chiaro. Tuttavia sarebbe stato erroneo ritenere che il dilemma sorgesse da un ricatto volontariamente architettato da parte italiana, perché invece era imposto dalle circostanze, tanto che non serviva né ignorarlo né sforzarsi di nasconderlo (agli altri e anche a noi stessi) né cercare di rinviare la scelta, ché anzi, piquesta tardava e pirischiava di dovere essere fatta in condizioni peggiori

o fra l’altro nel quadro di una situazione internazionale piconfusa.

Se si pensa al rischio corso la primavera scorsa, di un completo fallimento (almeno dal nostro punto di vista) delle conversazioni anglo-americano-jugoslave di Londra, si deve dire che siamo stati fortunati o, piesattamente, che la decisione dell’8 ottobre 1953(2), fornendo a noi e ai nostri massimi alleati un insostituibile ubi consistam, ci ha salvato. Infatti il nuovo schema di soluzione del problema di Trieste, secondo l’opinione che ho espresso fin da principio, offriva una buona base per trovare una liquidazione decorosa provvisoria della questione e per mettere la collaborazione italo-americana al riparo da una rottura che, se fosse stata inevitabile, non sarebbe stata per questo meno dannosa.

Quest’occasione è giunta appena in tempo per permetterci di chiarire la nostra posizione prima di quello che in passati miei rapporti ho chiamato il «traguardo dell’autunno». Ne consegue che il fattore «tempo» assume una importanza grandissima.

La crisi dei rapporti America-Europa ci investe infatti di responsabilità nuove e gravi. La posizione dei Paesi europei nei riguardi degli Stati Uniti, che appariva ormai cristallizzata, sia nei suoi aspetti globali sia in quelli interessanti i singoli Paesi, ridiventa fluida. L’Italia, per dir così, deve nuovamente cercare il suo posto. Deve prepararsi a un controllo del suo peso sulla bilancia delle alleanze degli Stati Uniti. Dovrà prendere posizione in questioni angosciose, in cui non si tratterà di aderire più o meno prontamente ed efficacemente a iniziative comuni a tutti i Paesi del NATO e in cui invece i suoi alleati saranno divisi (ad esempio: ammissione della Germania al NATO).

A quanto mi pare di intendere, una decisione è stata già presa, nel senso giusto: confermare l’adesione dell’Italia ai principi che hanno ispirato la CED. Non saprei dare altra interpretazione all’atteggiamento assunto dalla Delegazione italiana a Bruxelles. Questo atteggiamento è stato vivamente apprezzato qui. Aggiungo che ha già dato un primo frutto, con la pronta decisione americana di favorire la nostra partecipazione ad un’eventuale discussione collettiva sul modo di realizzare il riarmo tedesco al di fuori della CED.

Ogni giorno che passa, per si tratterà meno di affermare dei principi che di compiere atti concreti. Di qui l’urgenza di portare a maturazione i tre problemi che indicavo più sopra come fondamentali per i rapporti italo-americani: Trieste, ratifica della CED e lotta anticomunista in Italia.

Per Trieste, non conosco gli ultimi sviluppi delle conversazioni di Londra e comunque non penserei mai di raccomandare una cieca accettazione di ogni richiesta jugoslava, pur di concludere la trattativa. Tuttavia ritengo che, mentre su certe questioni di principio non si putransigere, fra l’altro perché transigere avrebbe probabilmente l’effetto di rendere poi sterile l’accordo, tutto il resto va inquadrato nella drammaticità dei tempi in cui viviamo (e in cui, ad esempio, la Gran Bretagna si ritira da Suez e la Francia liquida in tre settimane mezza Indocina e si accinge a liquidare l’impero nordafricano).

Per la CED, evidentemente, non si pufare nulla prima della ripresa dei lavori parlamentari, ma, riaperta la Camera, ogni giorno guadagnato sarà prezioso.

Per la lotta anticomunista, non si possono certo pretendere risultati spettacolosi a breve scadenza. D’altra parte la semplice riaffermazione di talune direttive generali non è sufficiente. Ciò che conta è ottenere, mediante concreti inizi di azione, la dimostrazione di una volontà innovatrice in quei campi che finora hanno dato luogo a critiche (circa le quali mi richiamo a quanto ho pivolte riferito in passato).

Sono, tutte queste, cose più facili a raccomandarsi che a farsi. Non potrei, d’altra parte, tacerne perché costituiscono un aspetto essenziale dell’attuale posizione internazionale dell’Italia.

Gradisca, Signor Ministro, l’espressione del mio devoto ossequio.

[Alberto Tarchiani]

290 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

290 2 Vedi D. 56, nota 3.

291

IL PRIMO DELEGATO PRESSO LA CONFERENZA CED, BOMBASSEI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 10719/785(2). Parigi, 27 agosto 1954, ore 20,43 (perv. ore 21,30).

L’accoglienza progressivamente negativa fatta da Mendès France alle proposte transattive avanzate da Spaak sembra confermare ‒se pure ce ne era bisogno dopo l’atteggiamento mantenuto dal Presidente del Consiglio davanti alle Commissioni parlamentari e le sue pubbliche dichiarazioni dopo il ritorno a Parigi ‒che la sua posizione in imminente dibattito sarà di sostanziale opposizione alla CED anche se formalmente appena mascherata da asserita imparzialità.

Molti ritengono che Mendès France sia ugualmente opposto al riarmo unilaterale della Germania in NATO e che, accennandovi a Bruxelles, egli scontasse che certo il Parlamento francese vi opporrebbe il suo veto. Sembra che il suo giuoco sarebbe invece quello di dare l’impressione all’Assemblea che, in caso di respingimento della CED, possa ripiegarsi sul noto progetto (attribuito a Parodi) di una nuova Comunità non sopranazionale a sette con l’intervento della Gran Bretagna: una simile credenza potrebbe essere determinante per la influenza che avrebbe sui gruppi incerti, che potrebbero invece essere indotti a votare per il Trattato solo davanti al preciso dilemma: CED o riarmo tedesco senza efficace controllo.

In tale suo piano Mendès France sarebbe facilitato da una certa ambiguità ingle

se ‒almeno apparente ‒circa i risultati delle conversazioni di Londra. Al riguardo

sono informato essere in corso un’iniziativa tedesca, in accordo con gli americani, per

cercare di provocare ‒prima del dibattito e quindi con grande urgenza ‒una pubblica

presa di posizione inglese nel senso che neanche il Governo della Gran Bretagna vede soluzione di ricambio ma solo alternativa. Circa l’esito finale della battaglia parlamentare nessuno osa far previsioni. Negli ambienti del Comitato interinale vengono perseguiti con molto interesse,

se pure con moderate speranze, gli sforzi che ‒in atmosfera che diventa sempre più tesa ‒stanno facendo gli europeisti di ogni tendenza per salvare la CED in

extremis (dichiarazioni di Bidault, di Reynaud e soprattutto di Pinay); l’azione di Schuman e di René Mayer; la risoluzione adottata dal Comitato Direzione SFIO e la sconfessione di Moch; la vivace campagna di stampa di cui è tipico il fondo del «Figaro» di oggi dal titolo La route de Prague. Le ultime notizie danno l’impressione che le forze parlamentari contrarie a Mendès France si vadano seriamente raggruppando(3).

291 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

291 2 Trasmesso tramite l’Ambasciata a Parigi.

291 3 Per il seguito vedi D. 294.

292

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI POLITICI STRANEO(1)

Appunto segreto(2). Roma, 27 agosto 1954.

Ho veduto iersera Durbrow. Egli mi ha ripetuto quanto mi aveva già detto il giorno innanzi la Signora Luce, e cioè che il Governo americano, molto preoccupato della situazione venutasi a creare in Europa in seguito al fallimento della Conferenza di Bruxelles, stava pensando a nuove soluzioni del problema della difesa occidentale in generale e a quello particolare della Germania. Esso si stava orientando verso la immediata concessione della piena sovranità alla Repubblica Federale Tedesca (circa la quale era prevedibile che vi fosse il consenso francese) e la successiva entrata della Germania nella NATO (problema invece che, nonostante le vaste dichiarazioni generiche di senso favorevole di Mendès-France, avrebbe senza dubbio sollevate difficoltà da parte francese, dato che tale soluzione comportava il risorgere dell’esercito e dello Stato Maggiore tedesco). Questa Ambasciata d’America teneva tuttavia a far presente che qualsiasi altro suggerimento costruttivo da parte nostra, come alternativa della CED, sarebbe stato esaminato dal Dipartimento di Stato con grande interesse.

Ho risposto a Durbrow che l’Italia aveva svolto a Bruxelles un’azione tendente ad evitare una completa rottura con Mendès-France; che ora attendeva con calma le decisioni della Camera e del Governo francese; che comunque andassero a finire le cose, l’idea «europeistica» non doveva ritenersi tramontata: restavano in piedi e in perfetta efficienza Strasburgo e la CECA embrione di futuri sviluppi di collaborazione e integrazione europea. Restava, inoltre, in piena efficienza anche la NATO, alla quale intendevamo di continuare a dare tutto il nostro efficace apporto materiale e spirituale. Restava intatta l’amicizia sincera e la collaborazione con gli Stati Uniti d’America; restava l’unità di vedute con i Paesi del Benelux e restavano le nostre buone relazioni con la Germania Occidentale. Verso la Francia, alla quale siamo legati da intimi vincoli d’amicizia, potevamo sempre svolgere un’azione conciliativa di persuasione. La situazione non mi pareva pertanto disastrosa e di completa liquidazione. Quello che occorreva evitare erano iniziative affrettate e indire delle Conferenze ad alto livello senza farle precedere da un’accurata preparazione diplomatica. L’insuccesso di Bruxelles era in parte dovuto alla fretta nelle decisioni imposta da Mendès-France ed aveva avuto una risonanza così enorme appunto perché erano colà convenuti ben sei Ministri degli Esteri e più di duecento giornalisti.

Durbrow ha convenuto su tali considerazioni. Ha aggiunto perche dalle informazioni in suo possesso gli pareva di poter concludere che Mendès-France era un individuo pericoloso ed infido, che la sua politica si svolgeva tenendo sempre una mano tesa alla Russia, e che occorreva perciprender noi l’iniziativa di nuove soluzioni anziché attendere le sue proposte. Ha aggiunto che era comunque inteso che l’Italia, ove si fossero indette delle consultazioni, sarebbe stata praticamente, se non giuridicamente, considerata alla stessa stregua dei Paesi che avevano già ratificato la CED.

292 1 DGAP, Uff. I, Fondo Cassaforte, 1946-1956, b. 27, fasc. 3.

292 2 Sottoscrizione autografa.

293

L’AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL DIRETTORE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MAGISTRATI(1)

L. segreta 15232. Bad Godesberg, 27 agosto 1954.

Caro Massimo,

credo utile completare con due righe le informazioni già trasmesse con il mio telegramma n. 121(2) circa la tendenza americana, che mi è apparsa condivisa dai tedeschi, a compiere qualche tentativo per evitare che l’Assemblea Nazionale francese arrivi a pronunziarsi decisamente contro la CED. A torto od a ragione, forse a torto, qui un eventuale voto contrario dell’Assemblea Nazionale verrebbe già scontato come un definitivo atto di morte della Comunità di Difesa. Questi tentativi potrebbero aver luogo anche nel corso dei dibattiti dell’Assemblea Nazionale e, se le mie informazioni sono esatte, il piano sarebbe quello di provocare una conferenza a otto e cioè dei 6 Paesi della CED pil’Inghilterra e l’America.

La cosa è già trapelata come appare dalle affermazioni e smentite susseguitesi stamani. Il Dipartimento di Stato, ho notato, ha evitato di dare qualsiasi risposta, il che mi fa pensare che la cosa sia effettivamente allo studio. Se il progetto veramente esiste, immagino che anche Roma ne sia stata già informata. Tuttavia, secondo notizie confidenziali avute, il progetto di questa conferenza a otto avrebbe lo scopo di ricercare una soluzione provvisoria e su basi europee, e non nazionali, stralciando dal trattato della CED tutti quei punti accettabili subito da tutti e senza pregiudicare il resto, fermo restando naturalmente il riarmo della Germania come è previsto di 12 divisioni. Qualora la cosa cammini, mi è stato detto che – evviva l’ottimismo! – un accordo potrebbe essere raggiunto nel giro di due settimane soltanto.

Ho voluto informartene ad ogni buon fine chiedendomi tuttavia come gli autori del progetto pensino di superare la grossa difficoltà costituita anche in questo caso, per i paesi che hanno già ratificato, dalla necessità di ritornare ai rispettivi Parlamenti o di scavalcarli(3).

Cari saluti dal tuo aff.

Franco

293 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

293 2 T. segreto 10656/121 del 26 agosto, il cui contenuto è qui riassunto (ivi, b. 27, fasc. 95).

293 3 Per il seguito vedi D. 297.

294

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, ALL’AMBASCIATA A LONDRA(1)

T. s.n.d. 8056/141. Roma, 29 agosto 1954 ore 15,45.

Riferendosi anche alle comunicazioni fatteci da questo Incaricato d’Affari di Gran Bretagna(2)e di cui al telegramma n. 255 di codesta Ambasciata(3), V.E. vorrà cortesemente far opportunamente parola al Foreign Office del nostro interesse alla questione di cui all’ultima parte della seguente comunicazione della Delegazione presso la CED: riprodurre telegramma 785 da Italdipl Parigi(4)dal principio fino alle parole «soluzione di ricambio ma solo alternativa» alla fine della seconda pagina(5).

294 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 95.

294 2 Vedi D. 281.

294 3 Vedi D. 284, nota 3.

294 4 Vedi D. 291.

294 5 Per la risposta vedi D. 295.

295

L’AMBASCIATORE A LONDRA, BROSIO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 10834/259. Londra, 30 agosto 1954, ore 21 (perv. ore 7,30 del 31).

Suo 141(2).

Il Governo britannico ha già preso pubblicamente posizione con la dichiarazione del portavoce del Foreign Office avvenuta giovedì sera [il 26] e di cui al mio telespresso 1924 del 27 corrente.

In tale dichiarazione si afferma esplicitamente che nessuna alternativa alla CED è stata discussa a Londra con il Presidente del Consiglio francese; che la CED con i trattati e gli accordi connessi rimane il migliore mezzo per ottenere il contributo difensivo tedesco e per dare alla Francia le garanzie necessarie; che nessun dubbio è stato lasciato a Mendès-France circa l’atteggiamento del Governo Britannico.

Roberts mi ha ieri detto che tale dichiarazione è stata fatta alla vigilia del dibattito alla Camera francese per impedire qualsiasi possibilità di speculazione circa la reale posizione britannica. Qui si è convinti che in caso di fallimento della CED l’unica alternativa conveniente sarebbe l’ingresso della Germania nel NATO. Per quanto riguarda la Comunità Difensiva non sopranazionale con la partecipazione inglese, Roberts ha espresso scetticismo su tale progetto anche perché una discussione del genere potrebbe offrire alla Francia il mezzo per rimandare ancora indefinitivamente l’esecuzione del Trattato Bonn ed il riarmo tedesco sia pur limitato. In sostanza qui domina adesso la sfiducia circa le intenzioni di Parigi.

295 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

295 2 Vedi D. 294.

296

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)

T. s.n.d. 10844/488. Washington, 30 agosto 1954, ore 18,19 (perv. ore 7,45 del 31).

Ho consegnato oggi la lettera a Dulles(2)che ha gradito vivamente il messaggio apprezzandone il significato soprattutto per l’ultima frase ed il valore che esso acquista al momento dell’annuncio della decisione dell’Assemblea francese. Ringrazia calorosamente il Presidente cui risponderà(3). Dulles ha mostrato di comprendere il valore della nostra solidarietà a Bruxelles con i Paesi ratificatori ed ha aggiunto essere il Governo americano rimasto particolarmente soddisfatto del nostro atteggiamento che ha dato contenuto alla resistenza contro le manovre diroccatrici di Mendès-France.

Dulles mi ha detto di ritenere che, perseverando gli sforzi per la formazione di una forza armata comune, la Francia finirà forse per convincersi del pericolo dell’isolamento. Mi ha domandato se saremmo disposti entrare in una Comunità di Difesa senza la Francia.

Gli ho ricordato che l’Italia [è] sempre favorevole ai principi ed agli scopi della Comunità Europea; pur non avendo veste per decidere, ho attirato la sua attenzione sull’ultima frase della lettera del Presidente per sottolineare che non risparmieremo gli sforzi per l’unità della difesa in accordo con le Nazioni europee e gli Stati Uniti.

Riterrei pertanto opportuna, appena possibile, una dichiarazione pinetta ed autorizzata a questo proposito(4).

296 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

296 2 Vedi D. 286.

296 3 Dulles rispose il 26 settembre: vedi FRUS, 1952-1954, Western European Security, vol. V, Part 2, D. [90]. La risposta fu comunicata dall’Ambasciatrice Luce il 27 settembre (DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 25, fasc. 91).

296 4 Su questo colloquio Tarchiani diresse a Piccioni anche un rapporto: vedi D. 298.

297

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI AFFARI ESTERI, ZOPPI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BROSIO, E A PARIGI, QUARONI(1)

L. segreta(2). Roma, 30 agosto 1954.

Caro ...,

dato il modo con cui si è conclusa la Conferenza di Bruxelles, sarebbe stato ben difficile convincere gli Stati Uniti che si poteva considerare la CED come realizzabile in un prossimo futuro e che pensavamo di continuare l’iter parlamentare senza por mente alla possibilità di sviluppi in una direzione diversa. Il Presidente del Consiglio ha pertanto inviato al Segretario di Stato Foster Dulles la lettera che, per tua personale conoscenza, ti accludo in copia(3).

Nell’incaricare Tarchiani di consegnare la lettera, lo abbiamo pregato, come ti è noto, di mettere anche lui in particolare risalto la necessità di compiere uno sforzo decisivo per eliminare – in questo difficile momento europeo ed in vista del prossimo dibattito sulla politica estera italiana alla Camera – l’attrito tuttora esistente alla nostra frontiera orientale.

Per tua ulteriore informazione, aggiungo che, dopo la conclusione della Conferenza di Bruxelles, si è avuta conoscenza dell’intenzione del Governo americano manifestata a Mendès France all’inizio dei lavori, di promuovere in caso di mancato accordo tra i Sei, una riunione con la partecipazione dei Paesi che hanno ratificato la CED e dell’Inghilterra onde esaminare le questioni inerenti alla restituzione della sovranità alla Germania e al suo riarmo.

Facemmo subito rilevare a Washington che, dopo l’esperienza di Bruxelles, dove le posizioni e le conseguenti responsabilità sono state chiaramente assunte dai vari Governi, il criterio della ratifica non appariva appropriato e come le considerazioni legalistiche che si potessero fare per la nostra esclusione sulla base dell’art. 132 del Trattato CED avrebbero inopportunamente alterato la vera natura del problema, che è essenzialmente politico.

Del resto, la ratifica dovevasi considerare scontata per quanto ci riguardava e sappiamo che di cigli americani erano perfettamente convinti.

È risultato successivamente che il Governo americano non desiderava figurare come invitante alla progettata riunione bensì come osservatore, preferendo che la riunione apparisse come un’iniziativa europea fondata sull’art. 132. Comunque il Governo americano era favorevole alla partecipazione italiana ed avrebbe appoggiato la nostra eventuale richiesta in tal senso.

Dopo il colloquio Mendès France-Churchill, la questione sembra aver perduto attualità; comunque per l’eventualità che la riunione dovesse aver luogo, essa sembra bene avviata: del resto è evidente che anche la Germania e il Benelux avrebbero interesse ad una nostra partecipazione.

Aggiungo che, se a seguito del dibattito alla Camera francese, il problema tornasse di attualità, propenderemmo piuttosto per consultazioni preliminari, attraverso le vie diplomatiche, perché allo stato attuale delle cose, non converrebbe certo rischiare l’insuccesso o il successo limitato di un’altra conferenza non adeguatamente preparata.

Credimi, cordialmente

[Vittorio Zoppi]

297 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

297 2 Inviata in pari data a Babuscio Rizzo, Grazzi, Baldoni rispettivamente a Bonn, Bruxelles, e Ottawa con l’omissione dei primi due paragrafi e l’incipit così formulato: «per tua personale informazione, ti comunico che».

297 3 Vedi D. 286.

298

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 12827(2). Washington, 30 agosto 1954.

Oggetto: Colloquio con Foster Dulles.

Signor Ministro,

ho consegnato oggi la lettera del Presidente al Segretario di Stato(3). Era presente anche W. Tyler, «Deputy» per gli Affari Europei.

Il Segretario di Stato ha attentamente letto la traduzione della lettera del Presidente ed ha subito dichiarato: «Sono gratissimo al signor Scelba per avermi inviato questa lettera e specialmente per avermi scritto l’ultima frase, che altamente apprezzo». Ha aggiunto che risponderà il più presto possibile. (È qui fra due aeroplani, giacché è arrivato oggi dal Canada e parte domani per le Filippine).

Mi ha poi comunicato (la notizia gli era giunta in quel momento) che la Camera francese aveva votato contro la CED e che questo apriva una crisi di estrema gravità.

Ho osservato che, quando comunisti e nazionalisti estremi si alleano, è per la rovina del paese. Al che ha esplicitamente acconsentito.

Dulles ha ripreso poi il tema della nostra posizione, accentuando l’importanza del fatto della nostra netta solidarietà a Bruxelles coi quattro paesi ratificatori e difensori, come noi, dei principi morali e delle finalità pratiche che debbono essere fondamento della difesa dell’Europa occidentale. Ha aggiunto che gli Stati Uniti erano molto soddisfatti dell’atteggiamento italiano che ha dato valore e consistenza d’obiettività ed equanimità a tutta la resistenza alle manovre diroccatrici di Mendès-France. Ha espresso, d’altronde anch’egli il parere (che il Presidente Scelba ha così incisivamente illustrato alla Signora Luce)(4) che Mendès-France è andato a Bruxelles ed ha agito a Parigi per seppellire la CED con un’operazione che è conseguenza diretta della combinazione compromissoria di Ginevra.

Ma il Segretario di Stato ha aggiunto: «Ora occorre rimediare e andare innanzi anche senza la Francia. Non credo che essa voglia rimanere isolata col pericoloso conforto della Russia. Probabilmente se andiamo avanti con l’impresa della forza armata comune in Occidente, finirà per avvicinarsi ed aderire, giacché non potrà continuare a trovarsi sola in questo stato di frenesia».

Mi ha quindi domandato se l’Italia entrerebbe in una tale combinazione.

Ho risposto che l’Italia era stata la promotrice più attiva e pientusiasta della Comunità europea e dell’autorità supernazionale che ora naufragano per la carenza francese. Aggiungendo: «Non ho alcuna veste per decidere, ma posso richiamarmi all’ultima frase della lettera di S.E. Scelba, che lei ha dinanzi, per opinare che il Governo italiano farà ogni sforzo per l’unità di difesa in accordo con gli Stati Uniti».

(Sarebbe certo utile, a mio parere, non appena giudicato possibile, fare una dichiarazione, qui, pinetta ed autorizzata in proposito).

Il Segretario di Stato mi ha ripetuto, a questo punto, i suoi pivivi e sentiti ringraziamenti per il pensiero e le assicurazioni del Presidente Scelba in questo frangente.

Si abbia, signor Ministro, l’espressione del mio devoto ossequio.

Tarchiani

298 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

298 2 Il documento reca i seguenti timbri: «Inviato in copia al Presidente della Repubblica», «Inviato in copia ai Sottosegretari», «Visto dal Ministro» e «Visto dal Segretario Generale» con la sigla di Zoppi.

298 3 Vedi D. 286.

298 4 Vedi D. 279.

299

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, PICCIONI(1)

R. segreto 12881. Washington, 31 agosto 1954.

Oggetto: Colloquio con la Signora Luce (Trieste - CED - Facilities - Comunisti - Migliorate relazioni e possibilità).

La Signora Luce è venuta a Washington per un giorno, volendo incontrarsi, ancora una volta, col Segretario di Stato e gli alti funzionari del Dipartimento prima di tornare a Roma ed ha avuto, come sempre, attivissimi contatti e riunioni.

Stasera ho perpotuto parlarle per ben oltre un’ora, giacché m’interessava molto sapere in quale stato d’animo fosse dopo le odierne consultazioni, dato che, come scrissi allora, le sue impressioni e previsioni dello scorso luglio, nell’incontro di New York, erano molto oscure per noi(2).

L’ho trovata di molto migliore umore e con la visione di prospettive meno cupe e distorte.

Evidentemente (del resto me l’ha detto) negli ultimi due mesi in Italia, e qui negli ultimi giorni, parecchie cose sono mutate. Lo sforzo per accelerare la procedura di ratifica della CED e i voti favorevoli delle Commissioni della Camera(3), l’atteggiamento dell’Italia prima, durante e dopo Bruxelles, la lettera del Presidente Scelba a Dulles(4), caduta fortunatamente a proposito, hanno operato una notevole trasformazione di spiriti nell’Amministrazione americana e particolarmente nel Presidente, in Dulles e nei suoi immediati collaboratori. Sì che anche le nostre sollecitazioni per Trieste non sono piconsiderate soltanto fastidiose, come spesso avveniva in passato, ma anche eque e sensate e degne di adeguata considerazione ed azione.

La Signora Luce, come un’eccellente registratrice di stati d’animo, mi ha confermato quello ch’io già immaginavo, specie dopo il colloquio di ieri con Dulles, in mezzo alla tempesta del rifiuto francese della CED.

Gli uomini, anche i pifreddi e calcolatori, hanno i loro lati deboli e le loro reazioni sentimentali. La Luce mi ha ripetuto varie volte che il gesto dell’Italia, quando meno se l’aspettava e quando piera angosciato, ha avuto sul Segretario di Stato un effetto profondo, effetto di cui dobbiamo, con garbo ma con continuità d’intenti e di atti, opportunamente approfittare.

Non che si debba, grossolanamente, tentare di sostituirci alla Francia nelle preferenze e debolezze americane; ma che si debba invece, seguendo fedelmente e attivamente il nostro cammino, dimostrare agli Stati Uniti che siamo un elemento solido, equilibrato, sicuro nel gran gioco tra i due mondi, e sappiamo affrontare responsabilità e pericoli, per conservare il nostro posto e difenderlo nella coalizione delle nazioni libere, anche per ben calcolata valutazione dei nostri interessi ideali e materiali. L’America così troverà nel nostro Paese, come pivolte ho tentato di lumeggiare, quello stabile punto di appoggio di cui ha tanto bisogno in Europa, e sarà disposta a renderlo al massimo saldo ed efficiente.

Con la Signora Luce abbiamo trattato, metodicamente, delle varie questioni, e ne riferisco in ordine d’importanza per noi:

Trieste - Ha trovato Dulles bene impressionato dal mio passo di ieri e voglioso di venire a capo del tormentoso problema. Ha molto insistito per mostrare come la soluzione per Trieste sia la chiave di volta di tutte le questioni italiane (CED, «facilities», comunisti ecc.). Ha fatto intendere che arrivare all’8 ottobre senza una conclusione, o senza mettere Tito in istato d’accusa, minacciandolo di applicare senz’altro e subito la «decisione» dell’anno scorso, era un gravissimo e rischioso errore.

(La Signora Luce ha detto a me che gli americani potrebbero benissimo cederci la Zona A intera, senza che Tito osasse muoversi, troncando così ogni indugio ed ogni discussione, ma che gli inglesi non ne vogliono sapere, perché timidi e forse animati da altre vedute e dominati da altri interessi. In ogni modo è cosa da tenere a mente per ogni evenienza).

Nello stesso senso l’Ambasciatrice ha scritto al Presidente Eisenhower, spiegandogli, ancora una volta, come la soluzione per Trieste sia cosa essenziale ed improrogabile per l’Italia, che ha bisogno, per una pivasta ed efficace azione di politica interna ed estera, di essere liberata da questa pesantissima catena che le impedisce ogni movimento decisivo per sé e la comunità occidentale. Non sapeva che cosa Eisenhower avrebbe fatto ma sperava che, dato il momento e le generiche simpatie che il Presidente ha per noi, avrebbe consigliato o permesso a Dulles un’azione meno timorata di quelle compiute fin’oggi a Belgrado.

L’Ambasciatrice ha anche deprecato l’inconcepibile pretesa di Tito per Punta Sottile, definendola un insopportabile tentativo di umiliare l’Italia.

A proposito di Trieste la Signora Luce mi ha messo al corrente di un problema specifico che le è stato posto allo State Department. In caso di accordo, circa 3000 ufficiali e soldati americani dovrebbero essere rimpatriati (e non mandati in Austria come si diceva); gli altri sarebbero distribuiti qua e là. Questi 3000 dovrebbero attraversare con vari mezzi, l’Italia da Trieste a Livorno, per imbarcarsi colà, a scaglioni, per gli Stati Uniti, via via che i trasporti fossero disponibili (Tener conto, per il numero dei trasporti, che ogni soldato americano rappresenta 40 tonnellate di materiale.). Lo State Department era del parere che questa operazione avrebbe potuto essere di grandissimo disturbo per il Governo italiano, per possibili manifestazioni comuniste, specie a Livorno, ecc. La Signora Luce invece opinava che, se fatta con un regolare e lento movimento di truppe che rimpatriano, senza alcun mistero e senza possibilità di equivoco, il passaggio e l’imbarco potevano non essere né disturbanti, né disturbati.

Evidentemente tutto questo dipende dalle circostanze e sopratutto dalla soluzione che avrà il problema triestino. Sarà bene perche le autorità competenti tengano conto di questa eventualità (perché la Luce ne parlerà a Roma) in modo da avere almeno una preliminare e generica opinione in proposito.

Il Pentagono ha ascoltatissima voce in capitolo in ogni questione, specie a sfondo politico-militare; convien pertanto, quando si possa senza scapito od eccessiva difficoltà, accontentarlo.

In questo quadro, la Signora Luce vedeva l’Amm. Radford – capo dello Stato Maggiore Generale – per illustrargli la situazione italiana, sia per la CED, sia per Trieste e per le «facilities», il che è tutt’altro che inutile.

A proposito dalle «facilities», che naturalmente stanno molto a cuore al Governo e ai capi militari, la Luce mi ha detto che il Presidente Scelba le ha promesso di firmarne l’accordo appena sarà risolta la questione di Trieste. Non v’è dubbio che l’applicazione di quell’accordo (con ogni precauzione od accorgimento e col giusto argomento di volere tener conto delle necessità pratiche della difesa nostra e europea dopo il fallimento della CED, e del dovere di ognuno di provvedere, almeno temporaneamente, ai casi suoi) sarà l’elemento maestro di prova della possibilità di concreta cooperazione italo-americana nella comune difesa, e dimostrerà che la nostra politica non si contenta di una solidarietà di parole, ma è fermamente decisa a procedere nei fatti. Cosa di somma importanza per una piena, fiduciosa e vantaggiosa alleanza anche di fatto tra Italia e America.

CED - Ho detto sopra come, nonostante la non-ratifica (che aveva gettato molta ombra sulle nostre relazioni) Dulles e il Governo siano stati poi convinti della sincerità dei nostri sforzi e particolarmente per l’azione nostra a Bruxelles, per il netto schieramento coi quattro ratificatori, e per la lettera di decisivo rilievo ed impegno del Presidente Scelba.

Ora, immediatamente, gli Stati Uniti non sanno bene che cosa fare. Da buoni anglo-sassoni, i capi intendono prima di tutto «cool off», calmarsi.

Ho scritto che Dulles mi domandse entreremmo in una CED senza la Francia(5). Ad ogni modo, adesso, ha soltanto deciso di chiedere una riunione plenaria della NATO, per l’ottobre, probabilmente a Parigi, o fors’anche a New York.

Naturalmente, per conservare il notevole vantaggio che abbiano acquistato in questi giorni, e per migliorare sempre pila nostra posizione, occorre mantenerci fedeli alle linee seguite e aderenti ai principi e alle pratiche prescelte, nelle prossime, più o meno risolutive manifestazioni internazionali, ché saremo continuamente sotto il riflettore nervoso e sospettoso del Governo americano. Non dubito minimamente che sapremo mantenere, con dignità piena nell’aperta difesa degli interessi nostri e della comunità europea, il nostro posto in qualsiasi circostanza, sì che si possano rafforzare e consolidare la nostra influenza e il nostro prestigio.

Ma v’è un problema interno della CED che il Dipartimento ha posto alla Signora Luce. Potrà la discussione del progetto di ratifica continuare il suo corso nel Parlamento italiano, nonostante che il patto, nella sua forma originale almeno, sia ormai cosa morta? L’Ambasciatrice ha risposto di no, giacché le sembrava che una discussione intorno ad un cadavere fosse inutile, o potesse essere trascinata all’infinito, paralizzando ogni altra sana attività governativa e parlamentare. Alla obiezione che le decisioni del Senato impegnavano il Governo americano a sospendere ogni aiuto (economico e militare) alle nazioni che non avevano ratificato la CED entro il 31 dicembre ’54, e che ogni emendamento non avrebbe potuto effettuarsi che ad una data imprecisabile del ’55, occorreva pure trovare una via per non punire l’Italia come certo, automaticamente, sarebbe stata punita la Francia, anche se a lento passo.

La Luce, escludendo a suo parere una ratifica pura e semplice del vecchio patto, ha prospettato al Dipartimento l’ipotesi che il Senato si contenti di un voto (magari a conclusione della discussione sul bilancio degli Esteri) su un ordine del giorno in cui, approvando l’insieme della politica internazionale del Governo, si riaffermino i principi ed i fini della comunità europea di difesa e si dica che il Parlamento italiano aveva intenzione ed era avviato ad approvare la CED in tale spirito, quando ne è stato impedito da un fatto esterno incontrollabile ed estraneo alla sua volontà. (O, naturalmente, qualcosa di simile).

Con una tale aperta manifestazione di intenzione, resa valida e probante da fatti concreti che già si sono svolti e via via si svolgeranno, la Luce crede che il Governo americano potrà interpretare elasticamente il voto del Congresso, e potrà poi indurlo, se necessario, a modificare l’emendamento Richard.

Sarà utile che costà si studi al più presto il problema e se ne calcolino con vivo interesse le possibilità politiche e pratiche.

Sta il fatto che, all’infuori delle via via automatiche sospensioni di aiuti, gli Stati Uniti non intendono, subito, agire drasticamente contro la Francia, e faranno il possibile per darle tempo e modo di ricredersi e di valutare meglio il suo reale interesse nell’equilibrio del mondo. Ma è evidente che, in ogni modo, vi sarà un periodo di freddo intenso, durante il quale, come ho detto sopra, l’Italia, senza tirare sulla Francia alla deriva, potrà avvantaggiarsi qui (e nell’eventuale riunione della NATO) facendo valere la sua posizione, la sua utilissima fedeltà, le sue possibilità e i suoi propositi per l’avvenire. È elementare affermazione di necessità e di aspirazioni italiane, in connessione con circostanze favorevoli di cui conviene discretamente ma sicuramente approfittare.

«Facilities» e Comunisti - Constatando, con viva soddisfazione, la migliorata atmosfera e le sue possibilità pratiche, la Signora Luce mi ha ripetuto che (risolto come si deve il problema di Trieste, chiave di tutto) sarà necessario firmare e procedere alla effettuazione del piano per le «facilities», per mutare radicalmente gli umori del Pentagono, che influiscono fortemente su quelli di tutta l’Amministrazione. (Non dimentichiamo mai che il Presidente dopotutto è stato ed è tuttavia un «generale»). Le «facilities» d’altronde sono, come volentieri ripeto, la prova decisiva della volontà pratica dell’Italia di cooperare, in politica estera e militare, con gli Stati Uniti.

L’altra questione, che assilla più il Congresso che non il Governo, è quella della potenza social-comunista in Italia, e la sua forza nelle fabbriche che dovrebbero produrre ordigni bellici e specialmente aeroplani e nuove macchine. Come già mi disse a New York, la Luce crede che tutto dipenda dall’atmosfera politica tra i due Paesi e le due supreme Autorità. Il Congresso per purtroppo, vuol’essere persuaso che non aiuta i comunisti ad impossessarsi del potere in Italia come ora teme di aver fatto e di fare. Percil’azione di controllo, di opportuna pressione, di spinta verso legittime posizioni senza favori od indulgenze, da parte del nostro Governo è considerata necessaria, e dovrebbe essere visibile per convincere. Questo servirebbe anche a risolvere, tra i tanti, il problema della produzione di aeroplani F86K presso la FIAT, per i quali anche il Gen. Gruenther avrebbe opinato recentemente sia meglio farli costruire a Los Angeles dalla North American, anziché a Torino, per … questione di urgenza. Avrebbe aggiunto per che, se il Governo americano lo crede politicamente utile, non aveva nulla in contrarioche si costruissero alla FIAT anche se con qualche ritardo. È un esempio minimo, ma dimostra ancora una volta, come ho tante volte scritto, che tutto dipende, dallo spirito più

o meno aperto di cooperazione fiduciosa che deve presiedere ad ogni atto nelle relazioni, necessariamente amichevoli e complementari, tra Italia e Stati Uniti. Mi spiace che, contrariamente alle mie abitudini, abbia dovuto inviare a V.E. un lungo rapporto, con tanti diversi argomenti e molteplici considerazioni.

Ma siamo ad una svolta decisiva della nostra posizione pratica rispetto all’America.È mia opinione che occorra profittarne a fondo, e impostarci solidamente sulla base della concordanza dei fini italo-americani, agendo con abile continuità e persuasiva chiarezza, per la salvaguardia e l’affermazione dei nostri giusti interessi nazionali e internazionali.

Si abbia, signor Ministro, l’espressione del mio devoto ossequio

[Alberto Tarchiani]

P.S. Rileggendo questa lettera mi avvedo che pusembrare strano l’atteggiamento in buona parte nuovo, almeno per l’enfasi, della Signora Luce. Il carattere sensitivo e impressionabile della persona, sotto lo stimolo delle mutate circostanze per l’Italia e per l’America, ha certo una notevole portata in questo felice mutamento di rotta, da cui ovviamente conviene a noi con tatto trarre il massimo profitto. Altre due circostanze hanno perben giocato in nostro favore in questo frangente: il colloquio che l’Ambasciatrice ebbe col Presidente Scelba il 24 agosto u.s.(6), che la scosse profondamente, perché, com’ella stessa mi ha detto, le sembrdi sentirvi un accento marcato di sincera e vivace volontà d’intesa; e gli effetti ch’ella ha constatato presso Dulles e tutto il Dipartimento della recente presa di posizione italiana per la CED, e della lettera, ancor più ampia di significati del Presidente del Consiglio al Segretario di Stato. Quindi nulla di miracoloso e tutto di sanamente pratico nel nuovo atteggiamento della Signora Luce che sarebbe ben lieta d’innestare un successo personale su quello della politica comune italo-americana.

299 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 28, fasc. 98.

299 2 Vedi D. 246.

299 3 Vedi D. 250, nota 7.

299 4 Vedi D. 286.

299 5 Vedi D. 296.

299 6 Vedi D. 279.


APPENDICI

APPENDICE I

Cariche istituzionali, Uffici, Rappresentanze

(25 giugno 1953-31 agosto 1954)(1)

Cariche istituzionali

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Einaudi Luigi.

PRESIDENTE DELCONSIGLIO

De Gasperi Alcide, fino al 16 luglio 1953.

De Gasperi Alcide, dal 16 luglio 1953 al 17 agosto 1953.

Pella Giuseppe, dal 17 agosto 1953 al 18 gennaio 1954.

Fanfani Amintore, dal 18 gennaio 1954 al 10 febbraio 1954.

Scelba Mario, dal 10 febbraio 1954.

MINISTRO SEGRETARIO DI STATO

De Gasperi Alcide, fino al 17 agosto 1953.

Pella Giuseppe, dal 17 agosto 1953 al 18 gennaio 1954.

Piccioni Attilio, dal 18 gennaio 1954.

SOTTOSEGRETARI DI STATO

Dominedò Francesco Maria.

Taviani Paolo Emilio, fino al 16 luglio 1953.

Benvenuti Lodovico, dal 16 luglio 1953.

Badini Confalonieri Vittorio, dal 10 febbraio 1954.

Uffici del Ministero degli Affari Esteri

CAPO DI GABINETTO

Scola Camerini Giovanni.

Prato Eugenio, dal 1° aprile 1954.


1 Dati tratti dalle seguenti pubblicazioni periodiche del Ministero degli Affari Esteri: Uffici dell’Amministrazione Centrale; Elenchi del Personale; Annuario diplomatico della Repubblica Italiana; Bollettino del Ministero degli Affari Esteri.

SEGRETARIO PARTICOLARE DEL MINISTRO

Canali Paolo, fino al 17 agosto 1953.

Zingale Salvatore, dal 17 agosto 1953.

VICE CAPO DI GABINETTO

Guazzaroni Cesidio.

Milesi Ferretti Gian Luigi, dal 3 gennaio 1954.

SEGRETARIO GENERALE

Zoppi Vittorio.

SEGRETERIA GENERALE COORDINAMENTO

Capo Servizio

Casardi Alberico

ALLE DIRETTE DIPENDENZE DEL SEGRETERIO GENERALE UFFICIO STAMPA

Capo Ufficio

Perrone Capano Carlo.

Giustiniani Raimondo, dal 7 giugno 1954.

UFFICIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Capo Ufficio

PerassiTommaso.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Direttore Generale

Del Balzo di Presenzano Giulio.

Direttore Generale aggiunto

Giustiniani Raimondo, fino al 6 giugno 1954.

Straneo Carlo Alberto, dal 7 giugno 1954.

Capo Ufficio I(2)

Grillo Remigio Danilo.


2 Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svizzera, Liechtenstein, Germania, Austria, Svezia, Norvegia, Danimarca, Groenlandia, Islanda, Cipro, Malta, Gibilterra, San Marino, Andorra, Principato di Monaco.

Capo Ufficio V(3)

Revedin di S. Martino Giovanni.

DIREZIONE GENERALE DEGLIAFFARI ECONOMICI

Direttore Generale

Corrias Angelo.

Direttore Generale aggiunto

Prato Eugenio, fino al 31 marzo 1954.

Paveri Fontana Alberto, dal 18 settembre 1953.

Capo Ufficio IV

Favretti Luciano.

Capo Ufficio V

Paveri Fontana Alberto,fino al 17 settembre 1953.

DIREZIONE GENERALE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Direttore Generale

Magistrati Massimo.

Direttore Generale aggiunto

Mazio Aldo Maria.

Vice Direttore Generale

Straneo Carlo Alberto, fino al 6 giugno 1954.

Capo Ufficio I(4)

Plaja Eugenio.

Capo Ufficio II(5)

MazioAldo Maria.

DIREZIONE GENERALE DELL’EMIGRAZIONE

Direttore Generale

Giusti del Giardino Justo.


3 Cina, Corea, Mongolia, Giappone, Thailandia, Filippine, Birmania, Malesia, India, Pakistan, Ceylon, Afghanistan, Vietnam, Laos, Cambogia, Formosa, Indonesia, Australia, Nuova Zelanda, Isole del Pacifico, Possedimenti britannici, francesi, olandesi e portoghesi in Asia.


4 NATO (Questioni politiche e militari), Comunità Europea di Difesa, Comunità Politica Europea, ecc.


5 OECE, Questioni economiche e produttive.

Rappresentanze Diplomatiche Italiane All’estero

BELGIO

Ambasciatore a Bruxelles

Grazzi Umberto.

FRANCIA

Ambasciatore a Parigi

Quaroni Pietro.

Consigliere

Tassoni Estense di Castelvecchio Alessandro

GERMANIA(REPUBBLICA FEDERALE DI)

Ambasciatore a Bonn

Babuscio Rizzo Francesco.

Consigliere

Pinna Caboni Mario.

GRAN BRETAGNA

Ambasciatore a Londra

Brosio Manlio.

LUSSEMBURGO

Ministro plenipotenziario

Cavallettidi Oliveto Sabino Francesco.

NATO RAPPRESENTANZAPRESSO L’ORGANIZZAZIONE DELTRATTATO NORD-ATLANTICO –PARIGI

Capo Rappresentanza

Rossi Longhi Alberto, fino al 26 giugno 1954. AlessandriniAdolfo, dal 27 giugno 1954.

Consigliere

Bombassei Frascani DeVettor Giorgio.

OECE DELEGAZIONE PERMANENTE PRESSO L’ORGANIZZAZIONE EUROPEA PER LACOOPERAZIONE ECONOMICA–PARIGI

Ministro con funzioni di Delegato aggiunto permanente

Cattani Attilio.

Consigliere

Prunas Pasquale.

Primo segretario, dal 10 giugno 1954 Consigliere

Ducci Roberto.

PAESI BASSI(6)

Ambasciatore a L’Aja

Caruso Casto, fino al 2 luglio 1954. Benzoni di Balsamo Giorgio, dal 3 luglio 1954.

STATI UNITI D’AMERICA

Ambasciatore a Washington

Tarchiani Alberto.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Ambasciatore a Mosca

Di Stefano Mario.

Rappresentanze Diplomatiche Estere in Italia

BELGIO

Ambasciatore

Van der Elst Joseph.

FRANCIA

Ambasciatore

Fouques-Duparc Jacques.


6 Con DPR del 27 dicembre 1953 viene soppressa la Legazione d’Italia a L’Aja e istituita nella stessa sede un’Ambasciata. Il decreto entra in vigore il 14 aprile 1954, giorno successivo alla pubblicazione dello stesso sulla Gazzetta Ufficiale.

GERMANIA(REPUBBLICA FEDERALE DI)

Ambasciatore

Von Brentano Clemens.

GRAN BRETAGNA

Ambasciatore

Mallet Victor A. L., fino al 14 novembre 1953.

Clarke Ashley, dal 15 novembre 1953.

LUSSEMBURGO

Console

Bruck Victor.

PAESI BASSI

Ministro poi Ambasciatore

Boon Hendrik Nicolaas.

STATI UNITI D’AMERICA

Ambasciatore

Boothe Luce Clare.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOVIETICHE SOCIALISTE

Ambasciatore

Kostylev Mikhail, fino al 23 febbraio 1954.

Efremovič Bogomolov Alessandro, dal 24 febbraio 1954.


APPENDICE II

Riunioni dei sei ministri degli Affari Esteri

Baden-Baden, L’Aja e Bruxelles (7 agosto 1953-22 agosto 1954)

1. RIUNIONE DEI SEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI

(Baden-Baden, 7-8 agosto 1953)............................... Pag. 573 Procès-verbal de la Réunion des Six Ministres des Affaires Étran

gères tenue à Baden-Baden les 7 et 8 août 1953,P/53/PV(4)Annexe I: Ordre du jour Annexe II: Communiqué de presse

2. CONFERENZA DEI MINISTRI DEGLI AFFARI ESTERI

(L’Aja, 26-28 novembre 1953)................................... » 587 Procès-verbal de la Conférence des Ministres des Affaires Étrangères tenue à La Haye, les 26, 27 et 28 novembre 1953, P (53) 5 PV (Projet) Annexe I: Ordre du jour Annexe II: Lettre de Ministère des Affaires Étrangères de Bruxelles, 8 septembre 1953, à M. Calmes Annexe III: Lettre de M. Calmes, Luxembourg, 15 septembre 1953, à MM. les Ministres des Affaires Étrangères

Annexe IV: Exposé de S.E. M. Pella sur la question de Trieste (vedi D. 66) Annexe V: Communiqué de presse

3. CONFERENZA DI BRUXELLES

(Bruxelles, 19-22 agosto 1954)................................ » 609 Compte-rendu, Communauté Européenne de Défense -Conférence de Bruxelles, Première séance, Jeudi, 19 août 1954, CR/1 Communiqué Protocole d’application du Traité instituant la Communauté Européenne de Défense

Project de déclaration proposé au nom de leur Gouvernements par les Ministres des Affaires Étrangères de la République Fédérale d’Allemagne, du Royaume de Belgique, de la République Italienne, du Grand-Duché de Luxembourg et du Royaume des Pays-Bas pour l’interprétation et l’application du traité de Paris instituant la Communauté Européenne de Défense

1.

RÉUNION DES SIX MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES SECRÉTARIAT

P/53/PV 4. Luxembourg, le 11 ao 1953.

PROCÈS-VERBAL DE LARÉUNION DES SIX MINISTRES DESAFFAIRES ÉTRANGÈRES TENUE À BADEN-BADEN LES 7 ET 8 AOÛT 1953(1)

Étaient présents: Allemagne:

S.E. M. ADENAUER, Chancelier fédéral, Ministre des Affaires Étrangères Belgique:

S.E.VAN ZEELAND, Ministre des Affaires Étrangères France:

S.E. M. BIDAULT, Ministre des Affaires Étrangères Italie:

S.E. M. TAVIANI, Ministre du Commerce Extérieur, par délégation spéciale du Ministre des Affaires Étrangères. Luxembourg:

S.E. M. BECH, Ministre des Affaires Étrangères Pays-Bas:

S.E. M. BEYEN, Ministre des Affaires Étrangères.

PROCÈS-VERBALDE LASÉANCE DU 7 AOÛT 1953

La séance est ouverte à 16 heures 30 par M.Taviani, Président.

I.Approbation du projet d’ordre du jour.

Sur proposition de M. le Président, la question relative à la lettre adressée par MM. Spaak et von Brentano à M. De Gasperi le 22 juillet 1953, ainsi que le problème des observateurs sont considérés comme inclus dans le point 5 de l’ordre du jour.

L’ordre du jour est approuvé (Annexe I).

II. Point 2 de l’ordre du jour: approbation du procès-verbal de la réunion des 12 et 13 mai 1953.

À la demande de M. BIDAULT, la réunion adopte la rectification suivante, page 17 du procès-verbal. La phrase «Un Sénat pondéré ...constitution est modifiée» se lira


1 DGAP, Uff. I, Serie Affari Politici, 1951-1957, b. 255, fasc. Conferenza di Baden Baden.

de la façon suivante: «Si le Sénat n’était pas pondéré, il ne pourrait exercer les mêmes fonctions, ni jouer le même rôle que ceux qui lui étaient dévolus; dans ce cas, il serait nécessaire de revoir l’ensemble du système prévu par l’Assemblée ad hoc».

Les rectifications proposées par M. Van Zeeland par lettre du 10 juin sont également adoptées.

III. Point 3 de l’ordre du jour: Suite de l’examen des questions relatives au Traité instituant une Communauté Européenne.

M. le PRÉSIDENT, parlant en sa qualité de représentant du Gouvernement italien, rappelle d’abord que les élections récentes continuent à montrer que l’opinion publique italienne est, dans sa grande majorité, favorable aux accords européens dont les six Ministres poursuivent l’examen.

Il désire attirer l’attention de la réunion sur un certain nombre de questions dont la discussion lui paraît devoir être abordée en premier lieu. Sans doute, le Statut que les Ministres proposeront doit être considéré dans son ensemble, mais, pour avancer d’une façon plus concrète dans les travaux, il faut s’engager dans une étude plus approfondie des questions principales.

M. le Président commente ensuite le contenu de la note préliminaire que le Gouvernement italien a fait parvenir aux autres Gouvernements le 2 juin (Doc: CM/S (53) CIR 2).

Il semble que tous soient d’accord sur l’institution d’un parlement bicaméral. L’une des deux chambres doit être élue au suffrage universel direct. Les élections directes sont un des principes fondamentaux du projet. Dans l’application de ce principe, chaque pays devrait être libre de choisir le système électoral le plus convenable par rapport à ses nécessités particulières.

En ce qui concerne la composition des deux chambres, et après avoir souligné la netteté et la précision des interventions antérieures de M. van Zeeland en faveur d’un Sénat paritaire, M. Taviani estime que ce problème pourrait faire l’objet d’un examen et que la Délégation italienne est disposée à s’orienter vers l’idée d’un Sénat composé d’une manière proche de la parité ou intégralement paritaire. Cependant, en contrepartie, la répartition des sièges à la Chambre des Peuples devrait être basée sur un système proportionnel au nombre d’électeurs dans chaque État, des correctifs pouvant toutefois être adoptés d’une part en ce qui concerne le Luxembourg, d’autre part en ce qui concerne les États les plus peuplés.

L’organe exécutif doit avoir un caractère éminemment politique; le concevoir sous une forme purement administrative serait enlever à la Communauté toute signification. Les compétences de l’exécutif seraient d’abord restreintes, mais dans ces limites ‒que les Gouvernements pourraient décider d’étendre graduellement ‒il doit avoir la possibilité d’agir en toute liberté. Le problème de l’exécutif est lié au problème des attributions de la Communauté. Ces deux problèmes devront ‒le moment venu ‒être examinés ensemble par les experts.

L’existence d’un Conseil de Ministres nationaux semble utile.Il ne faut cependant pas que le contrôle que ce Conseil exercera sur les pouvoirs et les responsabilités de la Communauté soit tel que tout le fonctionnement de celle-ci lui soit soumis. Le Gouvernement italien souhaite que le contrôle du Conseil de Ministres porte sur un nombre limité de décisions qui ne devraient intervenir qu’en harmonie avec les nécessités respectives des États membres. Il pourrait être admis que ces décisions fussent prises à l’unanimité, à condition qu’on parvienne à en limiter le nombre.

Àce sujet, M. Taviani, en spécifiant qu’il s’agit là seulement d’exemples, indique sept décisions clefs qu’il considère comme cas typiques et qui sont visées aux articles 69, 84, 104, 111, 116, 80 et 78 du Projet de Traité élaboré par l’Assemblée ad hoc.

Quant aux attributions, quelles extensions ultérieures pourraient être prévues par le Traité une fois acquis le principe de l’intégration de la CECA et de la CED?

Le Gouvernement italien envisage très favorablement une extension des compétences économiques, en vue de la réalisation d’un marché commun. Cependant, le Statut de la Communauté Politique doit conserver un équilibre général et ne pas entrer trop dans les détails. Il importe que, particulièrement en matière économique, il n’insiste pas trop sur certains aspects du problème en négligeant d’autres aspects aussi essentiels. Après avoir rappelé qu’il est favorable à plusieurs des propositions néerlandaises, M. le Président se déclare prêt à discuter sur cette base afin de compléter les clauses relatives aux attributions économiques.

Pour M. BIDAULT, l’une des difficultés devant lesquelles se trouve la réunion d’aujourd’hui, n’est que les Ministres donnent et éprouvent l’impression d’un certain piétinement. Il estime que le point fondamental est, pour eux, de mener à bonne fin leurs décisions antérieures, c’est à dire de leur donner une application concrète, plutôt que de se lancer, en l’état présent des choses, dans des élargissements sans doute un peu téméraires et qui ne seraient pas exempts de complications.

En ce qui concerne plus particulièrement le problème économique, M. Bidault rappelle la position prise à Rome par les Ministres et les termes du communiqué alors publié. Il s’agit maintenant, soit pour les Ministres, soit pour les suppléants et experts désignés par eux, de formuler avec toute la précision nécessaire ce qui a été dit ainsi en termes prudents, sans essayer, bien entendu, de minimiser d’une manière évasive ce qui se trouve de bonne foi, de bonne volonté, dans ce texte, et de donner à celui-ci un contenu authentique.

À ce sujet, M. Bidault a l’impression qu’il y a non pas une contradiction, mais une différence de tonalité entre la dernière partie de la note préliminaire du Gouvernement italien et le passage suivant du communiqué de Paris: «L’attribution à la Communauté d’une compétence accrue dans le domaine économique a été envisagée; les Ministres ont pris connaissance à cet égard d’un mémorandum de M. Beyen, Ministre des Affaires Etrangères des Pays-Bas, en date du 5 mai, relatif à la création d’un marché commun. Ils ont été d’accord pour reconnaître qu’aucune extension de compétence ne pourrait avoir lieu d’une manière automatique et sans accord unanime».

Réaffirmant son désir de voir donner vie aux idées sur lesquelles s’est manifesté un accord unanime, M. Bidaultrésume les points qui lui paraissent avoir recueilli l’assentiment général: création d’une autorité politique disposant des pouvoirs nécessaires à l’égard de l’autorité existante, celle de la CECA, et de l’autorité à exister, celle de la CED, avec des possibilités d’élargissement ‒soit en ce qui concerne les territoires, soit en ce qui concerne les attributions, en particulier les attributions économiques ‒qui seraient déterminées d’un commun accord; élection de la Chambre des Peuples au suffrage direct.

M. Bidault propose aux Ministres de se mettre au travail pour inscrire dans les faits, dans les moindres détails, ce qui a déjà été décidé.

M.le PRÉSIDENTindique que la différence relevée par M. Bidault entre le communiqué de Paris et la note italienne semble provenir d’une équivoque due à la présentation du document. Le texte de la note italienne doit se lire de la façon suivante:

«6. -Attributions.

Étant donné qu’au cours de la réunion de Paris il a été reconnu, en principe, que les attributions de la Communauté ne doivent pas se limiter à celles prévues par les Traités CECA et CED;

et, étant donné que l’accord semble acquis sur le principe selon lequel le Traité doit contenir, aussi, dans ses grandes lignes, des possibilités d’extension dans le domaine de la politique étrangère et surtout dans celui de l’intégration économique (marché commun);

quels sont les pouvoirs précis qu’on pense pouvoir attribuer dans ces domaines à la Communauté, notamment en ce qui concerne la réalisation des buts économiques?».

M.BECH se basant sur les consultations qu’il a eues au sein de la Commission des Affaires Étrangères, indique que, du point de vue des principes généraux, le Luxembourg se prononce pour l’institution d’une Communauté Européenne basée sur l’union des États nationaux, ne constituant ni un État, ni un super État, mais une union adaptée aux circonstances actuelles et aux besoins des États européens. La Communauté aura pour but de protéger et d’assurer l’existence des États et d’assumer certaines attributions dépassant les moyens d’action des États nationaux pris isolément, principalement dans le secteur de la défense et dans le domaine économique.

La cession de droits souverains au profit d’organes de la Communauté ne pourra avoir lieu, tant au début que dans les étapes ultérieures, que sous la forme de Traités négociés et signés par les Gouvernements et soumis à l’approbation des parlements nationaux.

Tout ce qui n’est pas expressément attribué à la Communauté doit demeurer de la compétence des États. À cet égard, il lui semble que les règles tracées par l’Assemblée ad hoc concernant l’élargissement progressif des compétences en matière économique devraient être mises au point avec l’ensemble des dispositions économiques au sujet desquelles M. Beyen a présenté un document de travail présentant un grand intérêt.

Il ne faudrait pas proclamer que la Communauté est indissoluble ni prévoir expressément un droit de sécession, ni déterminer la durée de la Communauté.

Sur le plan des institutions, il faudra certes veiller à ce que, en règle générale, les compétences auxquelles renonce l’exécutif national passent aux organismes exécutifs européens, mais il faudra veiller aussi à ce que les attributions auxquelles renoncent les Parlements nationaux soient exercées par l’organe correspondant sur le plan européen, c’est-à-dire par le Parlement de la Communauté. Il faut donc que l’ordre démocratique soit maintenu.

Le Gouvernement luxembourgeois attache une importance particulière au Conseil de Ministres nationaux qu’il considère être le représentant le mieux qualifié des intérêts nationaux. C’est dans le sein de cet organe que pourra se manifester sans équivoque et d’une façon permanente l’égalité des États du point de vue de la souveraineté. Sans être opposé à la constitution d’un exécutif européen composé de personnalités indépendantes, M. Bech estime qu’une des conditions de la réalisation d’un travail constructif réside dans la collaboration des Ministres européens avec les Ministres nationaux. Afin d’établir ce climat de confiance, il sera nécessaire que les Ministres européens soient désignés par le Conseil de Ministres nationaux. Il approuve le souci manifesté par l’Assemblée ad hoc d’assurer la stabilité de l’exécutif européen vis-à-vis des fluctuations passagères qui pourraient naître au sein du Parlement.

Tout en acceptant le principe de l’élection directe pour la Chambre des Peuples, il se demande s’il ne serait pas utile de réduire le nombre des députés qui la composent.

Le Sénat doit être paritaire tout en conservant son caractère parlementaire, ce qui exclut un système de vote par délégation nationale ou l’institution d’un droit de veto. Le nombre des représentants au Sénat devrait être plus restreint que celui prévu par l’Assemblée ad hoc. Il estime que le mot décisif en matière de sauvegarde des intérêts nationaux doit être réservé au Conseil de Ministres nationaux,de sorte qu’il ne sera pas nécessaire de prévoir des pouvoirs accrus au profit du Sénat.

En ce qui concerne l’intégration de la CECA dans la future Communauté Politique, M. Bech estime qu’il ne serait pas prudent de prévoir dans un avenir rapproché, des modifications importantes dans la structure et la répartition des compétences au sein de la CECAet de risquer ainsi d’apporter un élément d’insécurité dans l’évolution de cette jeune Communauté.

Le problème de l’établissement des ressortissants d’un pays membre sur le territoire de l’un des autres membres (article 83 du projet de l’Assemblée ad hoc) ne peut être résolu actuellement. Il serait indiqué d’attendre le rapport des experts gouvernementaux qui examinent actuellement ce problème au Conseil de l’Europe.

Rappelant qu’il a déjà donné son accord de principe pour la création progressive d’un marché unique, M. Bech désire souligner dès maintenant que le Luxembourg ne pourra accéder au marché commun qu’à la condition que la Communauté future assure réellement le développement harmonieux des relations entre les États dont elle doit sauvegarder l’existence. À ce sujet il sera nécessaire de trouver un accord préalable entre les partenaires de la Communauté sur le maintien d’un régime de protection pour l’agriculture luxembourgeoise qui se trouve dans un état manifeste d’infériorité par rapport à l’agriculture de certains autres pays de la Communauté.

M.ADENAUER relève que M. Bech dans son exposé a dit d’une part qu’il appartient au Conseil de Ministres de prendre les décisions en dernier ressort et, d’autre part, qu’il ne désire pas voir introduire de modifications au statut de la CECA. M. Adenauer a cru comprendre que M. Bech trouvait que le statut de la CECAne correspondait pas entièrement aux principes démocratiques. Il se demande pourquoi, dans ces conditions, M. Bech prend position en faveur du maintien de l’organisation autocratique de la CECA.

Répondant à M. Adenauer, M. BECH indique qu’il a été mal compris. Il a voulu dire que les intérêts nationaux sont mieux garantis par un Conseil de Ministres nationaux doté d’attributions plus étendues par rapport à celles qui ont été prévues par l’Assemblée ad hoc, que par un Sénat dans lequel les délégations nationales auraient un droit de veto. Il ne faut pas oublier que la conception des intérêts du pays que peuvent avoir les sénateurs ne concordera pas nécessairement avec celle du pouvoir exécutif national.

En ce qui concerne l’intégration de la CECA dans la Communauté Politique, il faut se demander s’il convient de changer dès à présent un statut qui a demandé tant d’efforts jusqu’à sa réalisation. Cela ne veut pas dire qu’il n’est pas d’accord sur le principe de l’intégration de la CECA dans la Communauté Politique.

M.ADENAUER s’adressant à M. Bech demande si de l’avis de M. Bech les décisions du Conseil de Ministres nationaux seront prises à la majorité ou à l’unanimité.

M. BECH répond, qu’à son avis, une des questions les plus importantes que les experts auront à mettre au point, ce sont les pouvoirs réciproques du Conseil exécutif et ceux du Conseil de Ministres. Estimant qu’il ne lui était pas possible d’entrer dans le détail, M. Bech est absolument convaincu que certaines questions vitales pour les pays membres devraient être inscrites dans le statut, avant que celui-ci ne soit ratifié par les Parlements, et que ces questions devraient requérir l’unanimité du Conseil de Ministres nationaux.

Se référant à la déclaration de M. Bech au sujet de l’agriculture luxembourgeoise,

M.ADENAUER déclare qu’il pourrait en dire autant de l’agriculture allemande et que l’agriculture française se trouve probablement dans une situation identique.

Il ne partage pas l’avis de M. Bech selon lequel les intérêts nationaux seraient mieux sauvegardés si les décisions étaient prises par le Conseil de Ministres. Par ailleurs si on insiste trop sur des décisions prises à l’unanimité cela pourrait signifier la fin de l’intégration européenne. Il estime que l’intérêt des nations est le mieux garanti par une coopération européenne. Ce principe essentiel ne doit pas être abandonné si on ne veut pas risquer d’aboutir à une impasse.

M. Adenauer constate que le plan de travail établi à Paris a subi des retards dus à des causes de politique intérieure de certains pays. Il suggère de revenir au plan de Paris et de fixer la date à laquelle se réunirait la conférence qui remplacerait celle de Rome et qui transmettrait aux Ministres le résultat de ses travaux.

M. BEYEN se rallie à la proposition de M. Adenauer. Il estime qu’il n’est pas nécessaire de faire précéder la conférence des experts par une nouvelle réunion des Ministres. Ceux-ci se réuniraient ensuite pour examiner les propositions sur lesquelles un accord sera intervenu et les questions restant en litige.

De l’avis de M. VAN ZEELAND aussi, le moment est venu de passer à un autre stade des travaux et de convoquer une conférence de suppléants et d’experts auxquels les Ministres soumettront des documents de base, comme le projet de l’Assemblée ad hoc et, en ce qui concerne la Belgique, le rapport établi par la Commission d’Études Européennes.

Il constate d’autre part que, dans l’article 38, dans la Résolution de Luxembourg et pendant les réunions de Rome et de Paris, les Ministres ont adopté un ensemble de directives d’une importance capitale et, ce qui importe surtout, ils n’ont ‒à aucun moment de leurs réunions ‒reculé sur ce qu’ils avaient adoptés. Ils ont, au contraire, progressé, sans oublier la prudence nécessaire.

Aucun des Ministres ne doute de la nécessité de créer une Communauté Politique. Les Ministres sont en outre d’accord pour affirmer que la compétence de cette Communauté Politique devra aller au-delà de celle des deux Communautés restreintes, notamment dans le champ économique. Les bases sur lesquelles l’accord s’est fait étant déjà larges, il ne faut pas diminuer l’importance des points sur lesquels les Ministres doivent encore rechercher un accord plus complet. D’autre part, M. Van Zeeland est convaincu qu’aucune des positions qui se sont manifestées jusqu’à présent ne constitue un obstacle infranchissable pour atteindre le but et il a l’impression très nette que les formules de compromis peuvent être trouvées. Il maintient naturellement les réserves qu’il a faites et, plus exactement, les précisions qu’il a tenu à apporter et il tâchera de donner à ses experts et à son suppléant des instructions appropriées.

Il formule ensuite deux observations.

La première porte sur la meilleure façon d’assurer le contrôle démocratique sur les Communautés restreintes et finalement sur la future Communauté Politique pour arriver à une institution qui mérite véritablement le nom d’institution parlementaire.

M. Van Zeeland est d’accord avec M. Bech pour éviter de créer une technocratie ayant des pouvoirs qui ne seraient pas véritablement contrôlés sur le plan politique, c’est-à-dire, pour éviter d’introduire une césure entre les responsabilités techniques et les responsabilités politiques.

La seconde observation concerne le Conseil de Ministres nationaux. M. Van Zeeland estime que le fonctionnement de l’Exécutif et celui du Conseil de Ministres se rattachent tous deux à la question primordiale suivante: comment devrait-on organiser le fonctionnement de l’Exécutif pour que cet Exécutif serve au maximum les intérêts de la Communauté?

Pour atteindre ce but, il faut à tout prix éviter que l’Exécutif mène la Communauté dans des impasses où elle serait, dès le début, en opposition avec les Gouvernements nationaux, c’est-à-dire avec les États membres de la Communauté.

Àson avis ‒et ceci répond à une question de M. Adenauer ‒il faut créer une organisation supranationale d’un caractère nouveau, qui respecte les États membres sur le plan national comme sur le plan communautaire; c’est donc une association d’États souverains dans une Communauté d’un caractère particulier qu’il convient de définir.

Il faut donc que certains intérêts essentiels des États membres fassent l’objet de décisions d’un organe statuant dans certains cas à l’unanimité. Les Ministres devront définir les points requérant l’unanimité. En cette matière, M. Van Zeeland ne devra pas aller beaucoup plus loin que les suggestions contenues dans le projet de l’Assemblée ad hoc.

En ce qui concerne la procédure, il exprime l’opinion qu’une conférence soit convoquée, si possible dans le courant de septembre, au cours de laquelle les experts et les suppléants termineraient une première phase des travaux. À ce moment les Ministres pourraient se réunir à nouveau pour en prendre connaissance et soumettre ensuite le travail accompli à leurs Gouvernements.

IV. Point 5 de l’ordre du jour: Organisation des travaux ultérieurs relatifs à la Communauté Européenne.

M. le PRÉSIDENT propose que la conférence des suppléants et des experts se tienne le 22 septembre. Il suggère d’autre part que la réunion des Ministres qui aura lieu à l’issue de la conférence, siège à La Haye.

M. BIDAULT propose Rome comme lieu de conférence des suppléants et des

experts. Ces propositions sont acceptées.

M.VAN ZEELAND ne voudrait pas qu’on donne l’impression que les suppléants et les experts doivent en trois semaines élucider la totalité du problème.

M. le PRÉSIDENTpropose alors qu’on se borne à dire que les Ministres se réuniront le 20 octobre à La Haye, pour prendre connaissance des travaux des suppléants et sans préciser si les travaux seront terminés ou non.

Il en est ainsi décidé.

M. le PRÉSIDENTdemande ensuite si les Ministres pensent examiner dès maintenant la question des observateurs.

M.ADENAUER estime que l’on devrait suivre l’exemple de ce qui a été fait lors des négociations sur l’armée européenne, certains observateurs, notamment britanniques, désirant vivement assister à cette conférence.

M. BIDAULTrappelle qu’il est toujours partisan de resserrer les liens entre l’Europe des six et l’Europe des quinze. Cependant l’Assemblée Commune a déjà décidé d’écarter la présence d’observateurs britanniques. D’autre part, il est difficile de limiter arbitrairement le nombre des observateurs en négligeant les autres membres du Conseil de l’Europe. Il pense que le fait de soulever officiellement ce problème qui n’est pas pour le moment susceptible de solutions rapprochées ou immédiates peut avoir des conséquences que la sagesse conseille de reporter à des temps plus opportuns.

M. le PRÉSIDENT indique que dans ces conditions, il est préférable de ne pas prendre de décisions à ce sujet. La question pourra éventuellement être discutée par voie diplomatique.

En ce qui concerne la lettre adressée par MM. Spaak et von Brentano à M. De Gasperi, il est décidé, sur proposition de M. le PRÉSIDENT, que les Ministres conseilleront à leurs suppléants de prendre contact avec des parlementaires, à un moment donné de la conférence.

La séance est levée à 19 heures 45.

SÉANCE DU 8 AOÛT(1953)

La séance est ouverte à 10 heures 15.

V. Point 4 de l’ordre du jour: Échange de vues sur les questions de politique étrangère intéressant les six Pays.

M. le PRÉSIDENT donne la parole à M. Adenauer.

M.ADENAUER désire présenter un tableau rétrospectif des évènements récents qui ont agité la scène internationale et analyser les conséquences qui doivent en être tirées par les six Gouvernementsen ce qui concerne la politique étrangère à poursuivre.

Le Chancelier Fédéral remarque tout d’abord que les évènements récents ont affecté l’Allemagne d’une manière toute particulière. Le voisinage de la Zone orientale et l’observation directe et précise des évènements qui y sont survenus permettent au Gouvernement Fédéral d’avoir une bonne connaissance des faits et d’en tirer certaines conclusions quant à la situation à Moscou et dans les autres États satellites.

Après avoir souligné que les évènements récents ont bien montré que le Gouvernement de la Zone orientale n’est qu’un «Gouvernement de marionnettes», strictement aux ordres du Kremlin, M. Adenauer indique que le nouveau Haut-Commissaire soviétique ‒M. Semionov ‒avait été envoyé à Berlin, porteur d’instructions devant entraîner d’importantes modifications du régime en vigueur dans la Zone soviétique. Ces instructionsvisaient en particulier, à rapprocher les partis bourgeois du Gouvernement et à remettre en activité, par la nomination du Haut-Commissaire, le Conseil de Contrôle des quatre Puissances occupantes qui avait été investi des pouvoirs suprêmes en 1945. Comme M. Semionov est un ami de Beria, on peut en inférer que c’est Beria qui a dicté ce changement de politique. Cependant, personne ne sait où M. Semionov se trouve en ce moment, et, déjà dans les premières semaines qui ont suivi son arrivée à Berlin, les modifications de politique envisagées ont été freinées, ce qui peut impliquer que l’affaire Beria avait éclaté à ce moment. Le Gouvernement Fédéral a été étonné d’apprendre la chute de Beria, car celui-ci paraissait jouir d’une position très forte. Il rappelle, à cet égard, qu’après la mort de Lénine, les luttes internes pour la prise du pouvoir ont duré quatre années.

En ce qui concerne les émeutes ‒terme qui n’est en rien exagéré ‒qui se sont produites à Berlin et dans la Zone orientale, le Chancelier Fédéral précise que le mouvement a été, à son début, suscité ou, en tous cas, toléré par M. Semionov et qu’il avait le caractère d’une opposition à l’encontre du Gouvernement de la Zone orientale. Les troubles ont commencé par des manifestations d’ouvriers de Berlin-Est, et sur certaines feuilles de salaires qui sont parvenues au Gouvernement Fédéral, on peut lire que ces ouvriers réclamaient, entre autres, des élections libres. Il eut été facile d’arrêter les troubles à cette phase mais, sous l’effet de la haine accumulée et de la misère, le mouvement s’amplifia soudain. De véritables émeutes éclatèrent qui gagnèrent toute la Zone orientale. Débordé, le Gouvernement de cette zone dut faire appel aux troupes russes.

M.Adenauer rend ici hommage au courage de la population de Berlin-Est et surtout à celui de la population de la Zone orientale qui, plus éloignée des alliés occidentaux, ne pouvait espérer aucune aide. Il souligne l’étonnement et le réconfort ressentis par le Gouvernement Fédéral en constatant que la jeunesse de la Zone orientale n’est pas devenue la victime de l’éducation et du système communiste, mais reste vivement éprise de liberté.

Le caractère des émeutes mentionnées ci-dessus ressort clairement de certains détails symptomatiques: le courage des deux ouvriers qui ont arraché le drapeau soviétique de la Porte de Brandebourg; les revendications des manifestants: liberté, élections libres, réunification de l’Allemagne, Europe Unie et réalisation de la CED; le respect, à travers les scènes de violence et les incendies, de la propriété privée.

De l’avis du Chancelier Fédéral, on peut s’attendre à tout moment à de nouveaux mouvements. Les mesures prises à l’Ouest pourraient favoriser une telle évolution. À cet égard, il mentionne la distribution des paquets de vivres envoyés par le Président Eisenhower, distribution qui, malgré les obstacles suscités par l’administration de la Zone orientale, n’a può être entièrement empêchée. Le flot de ceux qui bravent tous les dangers pour venir chercher ces paquets à Berlin ne fait qu’augmenter et il faut y voir une preuve de la misère profonde des populations opprimées.

Un désespoir total pousse certains paysans à abandonner terres et maisons pour se réfugier à l’Ouest, et il n’est pas douteux que ce désespoir et cette misère ne suscitent bientôt une recrudescence de l’agitation. Le Gouvernement Fédéral, de son côté, a également pris des mesures, qui ont fait l’objet d’une publicité moins large, pour venir en aide aux populations de l’Est, et l’action des deux Églises chrétiennes est fort importante.

De tous ces évènements, il est possible de conclure que le désir de liberté des populations de la Zone orientale est resté très grand et que les autorités soviétiques, généralement peu soucieuses de respecter la vie humaine, n’ont pas può prendre à cette occasion de mesures extrêmes. On peut voir là le signe d’une certaine faiblesse intérieure.

Quant à la note soviétique qui vient d’être remise aux trois Puissances Occidentales, le Chancelier Adenauer estime qu’elle constitue un refus camouflé des propositions adressées par ces trois Puissances à l’URSS au terme de la Conférence tenue à Washington. À son avis, l’URSS n’est pas prête à engager des négociations sur une base réaliste et susceptible de succès, car le Kremlin est actuellement le théâtre de luttes et de divisions. En outre, les dirigeants soviétiques croient toujours que l’Ouest ne parviendra pas à une unification stable, et ils restent convaincus de la vérité de la prédiction de Staline selon laquelle l’Ouest se désagrègera de lui-même sans qu’il soit nécessaire de lui faire la guerre.

Pour M. Adenauer, les dirigeants soviétiques ne voient qu’un seul ennemi véritable que l’URSS puisse avoir à affronter: les États Unis. En effet l’URSS est dépassée par les États Unis dans la production des armes atomiques, mais elle considère pouvoir rattraper ce retard. Par contre, elle ne peut, avec les ressources dont elle dispose, espérer compenser son infériorité dans le domaine de la production minière et industrielle. Ceci l’amène à jeter les yeux vers l’Europe occidentale, riche en charbon et en acier, et dont le potentiel, joint au sien, permettrait de modifier le rapport des forces. C’est pour s’assurer ce potentiel que le Kremlin mène la guerre froide et entretient l’action des partis communistes et des organisations camouflées.

Sur le plan militaire, le Chancelier Fédéral rappelle que l’URSS dispose, d’après les estimations des experts, de 170 divisions sur pied de guerre, ainsi que de 70 à 80 divisions dans les pays satellites. En outre, elle a procédé à de grands travaux d’importance stratégique.

M. Adenauer estime donc que l’URSS n’est pas inquiète en raison des forces militaires de la CED et des quelques 12 ou 24 divisions qui constitueraient l’apport de l’Allemagne, mais parce que la CED représente l’élément le plus important de l’intégration européenne qui, une fois réalisée, mettra fin à son rêve de conquête de l’Europe occidentale et amènera incessamment la détente dans les rapports internationaux.

En conclusion, le Chancelier Fédéral insiste pour que l’intégration européenne, condition de la détente générale, soit réalisée le plus rapidement possible.

M. BIDAULT exprime son accord tant sur les grandes lignes que sur les conclusions de la déclaration de M. Adenauer. Pour sa part, il s’efforcera d’analyser la récente note soviétique faisant suite aux propositions adressées à l’URSS au terme de la Conférence de Washington, ainsi que les conséquences qu’il y a lieu d’en tirer pour l’avenir.

M. Bidault déclare que, comme on pouvait s’y attendre, la réponse soviétique ne constitue pas à proprement parler un refus de tenir une Conférence à Quatre. C’est cet aspect de la note soviétique que l’opinion publique, et dans une large mesure, la presse européenne semblent avoir retenu tout particulièrement. M. Bidault s’inquiète de constater que ces dernières ont négligé de relever l’importance des points de désaccord, car si l’URSS ne s’oppose pas clairement à la convocation d’une Conférence à Quatre, les conditions de son acceptation modifient fondamentalement les bases des propositions des trois Puissances Occidentales. Ces propositions se limitaient, dans un but de clarté et pour faire l’épreuve de la sincérité du désir de conciliation de l’URSS, aux problèmes allemand et autrichien. Elles prévoyaient deux phases dans les négociations, la première de ces phases devant comporter, pour l’Allemagne, des élections libres dans les quatre zones et l’institution d’un Gouvernement allemand unique et libre, susceptible d’être associé aux négociations sur le Traité de Paix. Or la réponse soviétique bouleverse le programme ainsi proposé, car elle prévoit en premier lieu l’examen de toutes mesures de nature à éliminer la tension internationale et, comme second point, l’examen des problèmes allemand et autrichien. Un tel ordre du jour permettrait évidemment de traiter dès l’abord et sans préparation, de n’importe quel sujet. En mentionnant dans ce cadre la question de la participation de la Chine communiste et celle des bases militaires étrangères, l’URSS précise clairement ses intentions et l’expérience des conversations antérieures indique qu’il faut n’y voir qu’une manœuvre destinée à servir avant tout les besoins de la propagande soviétique. Il y a donc lieu de conclure que les Soviets ne sont pas pressés de voir aboutir, ou même commencer, une Conférence à Quatre.

Cette impression est confirmée par les autres parties de la réponse soviétique. En effet, les termes dans lesquels sont mentionnés les récents événements de Berlin sont outrageants pour les hommes courageux qui ont manifesté leur amour de la liberté. De plus, les dirigeants soviétiques manifestent un aveuglement volontaire, car ils font semblant de ne pas comprendre que, en ce qui concerne l’Autriche, le projet de Traité abrégé est pratiquement retiré et que, pour l’Allemagne, les clauses des notes antérieures relatives aux enquêtes à effectuer avant l’organisation d’élections libres sont également retirées. À la lecture de la Pravda du 23 juillet 1953, il apparaît de même clairement que les Soviets éprouvent de vives appréhensions à la perspective d’élections libres dans toute l’Allemagne.

L’analyse de la note soviétiquepermet donc d’envisager la conduite à tenir par les six Gouvernements.

Un des points principaux auxquels ceux-ci doivent s’attacher est de remédier à la dérive de l’opinion publique qui ne veut pas laisser échapper un espoir de conversation à Quatre aussi longtemps qu’un tel espoir, même réduit, subsiste et ce, malgré le danger de s’engager sans garanties préalables dans une discussion sans cadre, dont tout échec serait mis à profit par la propagande soviétique.

En réalité, l’URSS ne refuse pas la conversation, mais il est clair qu’elle ne la désire pas. Elle n’est pas sincèrement disposée à une vraie Conférence à Quatre pour le règlement du problème allemand. Ce qu’elle souhaite, c’est de prolonger l’écho des espérances soulevées par la déclaration de Sir Winston Churchill et de substituer à la confrontation pleine et éclatante qui lui a été proposée une succession de contacts bilatéraux avec les autres Gouvernements ne s’étant pas préalablement concertés et des contacts avec toutes les opinions publiques. Une telle procédure permettrait entretemps d’alimenter la propagande et les contacts se transformeraient en un échange de notes prolongé. M. Bidault exprime son impression personnelle que l’on s’achemine vers un «dialogue de sourds».

Résumant sa pensée, M. Bidault indique qu’il est remarquable que la note soviétique reporte le problème allemand à l’arrière-plan et que pas un mot de cette note ne s’adresse à l’opinion publique allemande. L’ordre du jour qu’elle propose, et qui place en première ligne la discussion de tous les problèmes pendants avant d’aborder la question allemande, indique clairement, pour ceux qui connaissent la méthode procédurière des Soviets, que l’on parlera de tout avant de parler de l’Allemagne. Cette attitude montre que les Soviets ne sont intéressés ni à l’organisation d’élections dans toute l’Allemagne, ni à la forme de dialogue qui leur a été proposée. Leur politique est d’avoir en face d’eux soit les Trois séparés ‒ou l’Europe séparée ‒soit les Trois ensemble sans qu’ils se soient concertés préalablement.

Dans ces conditions, on risque ou de revenir à des échanges de vues diplomatiques, ou de tenir une Conférence dans des conditions telles que l’on parle de tout à la fois, sans aboutir à rien, sauf à fournir à la propagande des éléments nouveaux.

En conclusion, et après avoir rappelé que son exposé suivait un plan rigoureusement complémentaire de celui du Chancelier Adenauer, M. Bidault estime qu’il est utile de donner une armature à l’Europe, tant sur le plan de la défense que sur celui des institutions. Mais il insiste aussi sur le fait que la tâche de bâtir l’Europe doit s’appuyer sur l’opinion publique de tous les États, pleinement convaincue et confirmée. C’est à cette tâche que les Gouvernements doivent maintenant s’atteler.

M. VAN ZEELAND déclare qu’il chercherait en vain un point des exposés précédents sur lequel il ne puisse marquer son accord. S’il intervient dans la discussion, c’est que la situation demande que chacun fasse connaître son point de vue et ses réflexions, même sur les points de détail.

M. van Zeeland indique tout d’abord que, pour comprendre la politique soviétique, il a renoncé à la méthode consistant à tenter de se mettre dans l’esprit des dirigeants du Kremlin. La manière de penser de ces hommes est entièrement différente de celle d’un occidental. Par conséquent, lorsqu’il s’agit d’apprécier et de prévoir la politique de 1’URSS il est toujours nécessaire de considérer plusieurs hypothèses.

Pour sa part, M. van Zeeland ne croit pas que les Soviets aient modifié jusqu’ici ou désirent changer dans l’avenir leur ligne politique générale. Leur objectif a été et reste la conquête du monde à l’idéologie communiste. Pour réaliser cet objectif, tous les moyens sont bons, même la force ou la détérioration par l’intérieur.

D’autre part, on ne peut nier que 1’URSS ait modifié son attitude depuis la mort de Staline. Pour interpréter ce changement, il est nécessaire de considérer plusieurs hypothèses: l’impression causée par la politique atlantique des occidentaux, les difficultés intérieures, tant sur le plan politique que sur le plan économique, en URSS même et dans les pays satellites. Sans conclure, on peut constater que la mort de Staline a ouvert une période de flottement et de lutte interne et a amené une modification de méthode, de tactique ou de stratégie.

Quelle doit être à présent l’attitude des Occidentaux? Sur ce point, M. van Zeeland partage les opinions exprimées par les orateurs précédents, mais tient à rappeler que, cette fois, l’initiative de proposer les contacts est venue des Russes. À son avis, l’attitude adoptée par les trois Grands ‒avec l’accord du Chancelier Adenauer ‒à l’égard de l’initiative soviétique visant à la reprise des contacts, est justifiée et sage. La récente note soviétique révèle d’ailleurs l’embarras du Kremlin et confirme que la position adoptée à Washington était bonne. Comment faut-il interpréter cette note? Plusieurs hypothèses sont possibles, mais il paraît que, si la position générale des soviets est inchangée, ils laissent néanmoins la porte ouverte à la reprise des contacts.

Les Russes n’ont évidemment fait aucune espèce de concession sur aucun point. C’est dans leur tradition et c’est peut-être une position de départ pour les négociations.

Pour M. van Zeeland, il est sage de poursuivre fermement la politique adoptée jusqu’à présent. Celle-ci peut être formulée brièvement comme suit: l’objectif principal est la paix; il faut défendre la paix en étant forts; la force dépend de l’union, de l’Union Atlantique et de l’Union Européenne. L’intégration européenne doit être poursuivie activement. Elle est la condition nécessaire du succès de négociations éventuelles. Solidement appuyés sur leurs opinions publiques, qu’il importe de convaincre de l’excellence des buts et des méthodes adoptés ‒ainsi que le souhaitait M. Bidault

‒les Gouvernements, unis et fermes dans leurs objectifs communs, doivent être prêts à aller vers une négociation qui leur serait offerte, même si une telle offre recouvrait en réalité une manœuvre. Il faut donc continuer dans la voie suivie jusqu’ici et, si la négociation est possible, s’y engager dans les meilleures conditions, sans complexes d’infériorité, avec la force que donnent une attitude fermement définie et des intentions droites. À cet égard, M. Van Zeeland estime que la réunion des Ministres aura été fructueuse et que le communiqué de presse qui la conclura apportera à l’opinion publique de nouveaux motifs de confiance.

Clôturant le débat sur ce point, M. le PRÉSIDENTsouligne l’importance du fait que la solidarité occidentale et la politique d’union européenne ont été l’objet, au cours de la présente réunion, d’une nouvelle affirmation. Toutefois, rappelant les préoccupations de M. Bidault au sujet de la «dérive de l’opinion publique», M. Taviani affirme que celle-ci pose un problème qui devra être examiné le plus rapidement possible, peut-être même au cours d’une réunion prochaine des Six Ministres.

VI. Point 6 de l’ordre du jour: Divers.

Néant.

VII. Communiqué de Presse.

Après discussion, le communiqué de presse est approuvé (Annexe 2). Au cours de la discussion relative à la phrase «l’organe parlementaire bicaméral comportera une chambre des Peuples émanant en principe d’élections européennes directes» ‒discussion à laquelle participaient, entre autres, MM. Hallstein, Bidault et Van Zeeland ‒il a été convenu que l’emploi du mot «bicaméral» ne préjugeait en rien la structure définitive de la deuxième chambre, qui n’a pas encore fait l’objet d’un débat sur le fond.

Avant de clore la réunion, M. le PRÉSIDENTadresse les remerciements des Ministres au Gouvernement Fédéral et aux autorités locales pour l’excellent accueil qui leur a été réservé.

Il souligne également l’esprit européen qui a présidé aux travaux et grâce auquel, dans les circonstances délicates du moment, un pas significatif a può être franchi.

M. le Président désire aussi exprimer, avant que les Ministres ne se séparent, le regret que ses collègues et lui-même ont ressenti en apprenant la mort tragique de M. J.

C. Paris, Secrétaire Général du Conseil de l’Europe. Cette perte met en deuil non seulement l’administration française, à laquelle M. Paris appartenait, mais aussi l’administration européenne. Il présente à M. Bidault les condoléances des Ministres et le prie de transmettre l’expression de leur sympathie à Madame Paris et à toute sa famille.

La séance est levée à 13 heures 45.

Annexe I

RÉUNION DES SIX MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES

2.Approbation du procès-verbal de la réunion du 12 mai 1953.

P/53 OJ 4. Secrétariat Baden-Baden, les 7 et 8 août 1953.

ORDRE DU JOUR

1. Approbation de l’ordre du jour.

3. Suite de l’examen des questions relatives au Traité instituant une Communauté Européenne.

4. Exchange de vues sur les questions de politique étrangère intéressant les six pays.

5. Organisation des travaux ultérieurs relatifs à la Communauté Européenne.

6. Divers.

Annexe II RÉUNION DES SIX MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES

Secrétariat CM/53 RB 5. Baden-Baden, le 8 août 1953.

COMMUNIQUÉ DE PRESSE

I. Les Ministres des six États membres de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier, réunis les 7 et 8 août 1953 à Baden-Baden sous la présidence de M. TAVIANI, réaffirment unanimement la nécessité de créer une Communauté Politique Européenne. Ils déclarent que la formation d’une Communauté Européenne stable constitue une contribution essentielle à la paix du monde.

En conséquence, ils proclament leur résolution de poursuivre fermement et sans délai les travaux conduisant à l’établissement d’une Communauté Politique.

II. S’inspirant de l’article 38 du Traité instituant la Communauté Européenne de Défense ainsi que de la résolution de Luxembourg, et tenant compte des résultats de leurs conférences antérieures, les six Ministres ont constaté leur unité de vues sur les points suivants:

1) Il sera créé une Communauté d’États souverains qui, dans l’intérêt de tous, exercera les fonctions supranationales définiespar les traités en vigueur ou qui pourraient résulter de traités ultérieurs.

2) Cette Communauté devra rester ouverte à tous les États européens qui s’engagent à respecter les Droits de l’Homme et les libertés fondamentales. Ceux d’entre eux qui ne deviendront pas membres de la Communauté pourront se rattacher à elle par un lien d’association. La Communauté devra entretenir avec le Conseil de l’Europe des liens aussi étroits que possible.

3) La Communauté englobera, selon des modalités à déterminer, la Communauté du Char

bon et de l’Acier et la Communauté de Défense.

Le progrès de la Communauté est lié à l’établissement de bases communes de développement économique. La création d’un marché commun demeure un objectif essentiel de la Communauté. Ce marché doit être créé progressivement afin d’éviter – moyennant des clauses de sauvegarde et des mesures de compensation qui pourront être établies – des déséquilibres ou des troubles graves dans les domaines économique et social.

4) Les institutions de la Communauté devront être organisées selon des principes assurant un contrôle politique et démocratique efficace des organes exécutifs existant en vertu de traités en vigueur ou qui viendraient à être créés en vertu de traités ultérieurs.

L’organe parlementaire bicaméral comportera une Chambre des Peuples émanant en principe d’élections européennes directes. Le Conseil de Ministres nationaux devra constituer un des éléments essentiels de la nouvelle Communauté.

III – Pour assurer un progrès rapide des négociations, les Ministres ont décidé que leurs suppléants se réuniront le 22 septembre 1953 à Rome afin d’élaborer des propositions en vue d’une nouvelle conférence des Ministres des Affaires Étrangères.

Celle-ci aura lieu le 20 octobre 1953 à La Haye.

2.

CONFÉRENCE DES MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES SECRÉTARIAT

P (53) 5 PV (Projet). Luxembourg, le 5 décembre 1953.

PROCÈS-VERBAL DE LACONFÉRENCE DES MINISTRES DESAFFAIRES ÉTRANGÈRES TENUE À LAHAYE, LES 26, 27 ET(28)NOVEMBRE 1953(2)

Étaient présents:

Allemagne:

S.E. M. ADENAUER, Chancelier fédéral, Ministre des Affaires Étrangères;

Belgique:

S.E. M. VAN ZEELAND, Ministre des Affaires Étrangères; France:

S.E. M. BIDAULT, Ministre des Affaires Étrangères, représenté au cours des trois premières séances par

M.A. PARODI, Secrétaire Général du Ministre des Affaires Étrangères; Italie:

S.E. M. PELLA, Président du Conseil, Ministre des Affaires Étrangères;


2 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 21, fasc. 80.

Luxembourg:

S.E. M. BECH, Ministre des Affaires Étrangères; Pays-Bas:

S.E. M. BEYEN, Ministre des Affaires Étrangères.

PREMIÈRE SÉANCE (jeudi, 26 novembre 1953)

La séance est ouverte à 15 heures 30 par M. BECH, Président.

M. PARODI exprime les regrets et les excuses de M. Georges Bidault qui n’a può quitter Paris en raison du débat de politique étrangère engagé à l’Assemblée Nationale.

M. le PRÉSIDENT prononce une allocution au cours de laquelle il tient à exprimer la gratitude de tous les participants envers le Gouvernement néerlandais pour l’accueil chaleureux et l’aimable hospitalité qu’il a bien voulu réserver à la Conférence.

M.BEYEN, répondant aux remerciements de M. le Président, exprime la satisfaction qui éprouve le Gouvernement néerlandais à accueillir la Conférence.

I.Approbation de l’ordre du jour.

Le projet d’ordre du jour (P (53) 5 0.J. – Projet) est approuvé (Annexe I).

II. Point 2 de l’ordre du jour: Approbation du procès-verbal de la réunion tenue par les Six Ministres à Baden-Baden les 7 et 8 ao 1953.

Le procès-verbal de la réunion de Baden-Baden (P(53) 4 PV4) est adopté, avec les modifications demandées par les délégations allemande (voir CM/S (53) 269) et belge (voir CM/S (53) 213) (Annexes II et III).

III. Point 3 de l’ordre du jour: Questions relatives à la prise de contact avec les membres de l’Assemblée «ad hoc», à la présence du Secrétaire Général du Conseil de l’Europe, à la lettre du Président de l’Assemblée Consultative du Conseil de l’Europe en date du 23 octobre 1953, et à la participation d’observateurs des pays tiers (lettre de M. Van Zeeland en date du 19 novembre 1953).

M.le PRÉSIDENTestime qu’il serait opportun de régler, pour cette conférence et pour l’avenir, les modalités de la coopération entre la Conférence des Ministres et les organismes de 1’Assemblée «ad hoc»et du Conseil de l’Europe, compte tenu des liens étroits que les Ministres ont toujours entendu conserver avec ces institutions.

1) Prise de contact avec les membres de l’Assemblée «ad hoc».

Sur proposition de M. ADENAUER, il est décidé d’entendre, au cours de la séance, M. von Brentano, Président de la Commission Constitutionnelle de 1’Assemblée «ad hoc», qui désire faire une communication sur la manière selon laquelle pourrait être établie, à l’avenir, la coopération entre les Ministres et les Parlementaires.

2) Invitation à adresser au Président de l’Assemblée Consultative du Conseil de 1’Europe.

La Conférence décide d’entendre, dans les mêmes conditions que M. von Brenta-no, M. de Menthon, Président de l’Assemblée Consultative.

Au cours de la discussion relative à ce point, M. VAN ZEELAND signale que, en sa qualité de Président en exercice du Comité des Ministres et conformément à des décisions antérieures des Six Ministres, il a l’intention de faire des exposés sur les travaux de la Conférence lors des prochaines réunions du Comité Mixte et du Comité des Ministres du Conseil de l’Europe, prévues pour décembre.

3) Invitation au Secrétaire Général du Conseil de l’Europe d’assister aux travaux de la Conférence.

La Conférence décide d’inviter le Secrétaire Général du Conseil de l’Europe à assister aux travaux relatifs au point 4 de l’ordre du jour.

4) Participation d’observateurs des pays tiers.

M. VAN ZEELAND demande que, puisqu’il est trop tard pour avoir une réponse quant à la participation d’observateurs à la Conférence, le problème soit gardé à l’esprit pour le moment opportun.

Au cours de la séance, M. von Brentano est introduit et, sur l’invitation de M. le Président, fait la déclaration dont il a été chargé par le Groupe de Travail de l’Assemblée «ad hoc». Après avoir indiqué que le Groupe de Travail a renoncé à se réunir à La Haye, et évoqué les travaux accomplis jusqu’ici au niveau gouvernemental, M. VON BRENTANO suggère que, si une commission d’étude composée d’experts venait à être créée pour la poursuite de ces travaux, et en particulier pour l’élaboration d’un nouveau projet de Traité, le Groupe de Travail pourrait être en rapport avec cette commission. Le Groupe serait disponible à tout moment pour apporter les éclaircissements et les explications désirables sur les solutions adoptées par l’Assemblée «ad hoc»; une telle coopération serait accueillie avec grande satisfaction par les membres du Groupe. Ceux-ci ne devraient toutefois pas être adjoints aux délégations nationales; en effet, tenant leur mandat de l’Assemblée, ils ne peuvent que présenter et expliquer les décisions de celle-ci.

En remerciant M. von Brentano M. le Président se déclare convaincu que les propositions pratiques qui viennent d’être présentées faciliteront pour les Ministres l’établissement des modalités de collaboration entre eux et les Parlementaires.

(Voir suite de la discussion du point 3: 4ème séance).

IV. Point 4 de l’ordre du jour: Poursuite des échanges de vues relatifs à l’instauration d’une Communauté Politique Européenne ‒Examen du Rapport établi par les Suppléants lors de la Conférence de Rome.

Sur la proposition de M. BEYEN et PELLA, il est décidé que l’examen de ce point commencera par une discussion générale.

Ouvrant cette discussion générale M. BEYEN exprime l’avis que la présente Conférence doit prendre acte des résultats de la Conférence des Suppléants et chercher à élargir les accords obtenus, mais que trop de données manquent encore pour qu’il soit possible de prendre des décisions sur de grands problèmes de principe. Sans trop s’inquiéter de l’impatience qui se manifeste parfois, il semble donc opportun de charger à présent une commission, qui serait composée des mêmes experts que ceux qui ont pris part à la Conférence de Roma, de poursuivre l’étude des points non encore résolus. Cette Commission pourrait se réunir à Paris où les gouvernements de plusieurs États membres ont leurs organisations, et procèderait au travail de préparation d’une prochaine Conférence de Ministres, à tenir par exemple, au printemps, sans être entourée de journalistes qui en chaque jour veulent voir une échéance.

Passant à l’examen du problème de fond, M. BEYEN rappelle que, lors de la Résolution de Luxembourg, les Ministres se sont écartés de la procédure prévue par l’article 38 du Traité CED et ont estimé qu’il ne fallait pas attendre la ratification de ce traité pour commencer à étudier, tant le problème du contrôle politique et démocratique de la CED que celui de la création d’une Communauté politique.

Le problème de la Communauté Politique Européenne qui, normalement, aurait dû être étudié sans précipitation, est maintenant placé sous l’ombre d’un autre problème demandant une réponse rapide, voire immédiate: celui de la Communauté Européenne de Défense.

Pour résoudre cette difficulté, ou bien l’on se limitera à l’article 38 et l’on cherchera à modifier le Traité de la CED pour y prévoir un véritable contrôle démocratique et, à cet égard, des solutions pourraient être trouvées dans un délai assez court; ou bien l’on poursuivra dans la voie de la résolution de Luxembourg, en prenant son temps pour élaborer un projet de Communauté politique, avec la conviction que cette solution qui n’implique aucuneatteinte au texte du Traité de la CED et à l’équilibre de pouvoirs qu’il établit, est, à longue échéance, la meilleure.

Quant à une autre solution qui, à première vue, répondrait à ces deux objectifs, solution consistant à créer une Communauté politique qui ne ferait que coiffer la CED et la CECAelle n’est pas acceptable pour le Gouvernement néerlandais; en effet, elle entraînerait une grande confusion dans le fonctionnement des Communautés existantes ou à venir, et, surtout, elle affecterait sérieusement l’établissement ultérieur d’une véritable Communauté politique, c’est à dire d’une communauté dotée d’attributions réelles sur le plan général.

Le Gouvernement néerlandais est disposé à étudier, dès à présent dans le cadre de l’examen des principes et des modalités de la création d’une Communauté politique, s’il est possible de trouver une solution qui, pendant la période de transition précédant l’intégration complète des deux Communautés spécialisées, assurerait le contrôle démocratique de la CED. Cette question pourrait être examinée par la Commission d’étude mentionnée plus haut.

De cette manière, tout en poursuivant normalement la préparation de la Communauté politique, une exigence immédiate se verrait satisfaite.

En ce qui concerne les travaux de la Conférence, M. Beyen s’efforcera de rapprocher son point de vue de ceux des autres délégations afin de dégager le plus grand nombre d’accords possible; il considère toutefois comme entendu que les accords réalisés au cours de la Conférence sur les divers points à envisager restent subordonnés à l’accord général que les Ministres devront donner, à un stade ultérieur, sur l’ensemble du projet de Communauté politique européenne.

M. PELLA remercie M. Beyen d’avoir placé le débat sur un plan très élevé. Il partage certaines des idées de base contenues dans l’analyse de M. Beyen.

M. Pella tient à réaffirmer que l’Italie continue à considérer la Communauté politique comme le résultat à atteindre, et les Communautés spécialisées comme des préfigurations de cette Communauté politique générale.

Se référant à l’exposé de M. Beyen, il exprime son accord sur l’idée que la Communauté politique ne peut se limiter à coiffer les deux Communautés spécialisées. Le Gouvernement italien reste attaché à l’esprit et aux principes de la Résolution de Luxembourg, par laquelle les Six Gouvernements ont entendu dépasser le cadre de l’article 38. Il serait utile que les Ministres confirment de nouveau qu’ils entendent se conformer à ces principes, et que la position juridique exprimée dans l’article 38 est dépassée par l’expression de la volonté politique commune des Gouvernements consignée dans la Résolution du 10 septembre 1952.

Quant aux accords réalisés au cours de la Conférence de Rome, M. Pella estime que la Conférence devrait les entériner et s’efforcer de rapprocher les positions divergentes, de manière à permettre une reprise des travaux au niveau technique, par les Suppléants et les experts. S’attachant à la définition du caractère de la Communauté,

M. Pella indique que son Gouvernement approuve entièrement la conception qui est contenue dans le Rapport des Suppléants; le principe est donc posé que la Communauté se verra confier de nouvelles tâches en matière économique. Quant aux points sur lesquels un accord n’a può se faire, le Gouvernement italien est prêt à considérer toute solution qui permette d’atteindre l’objectif commun et qui soit acceptable pour tous.

M. PARODI déclare qu’en envisageant les problèmes relatifs à la création d’une Communauté politique européenne, le Gouvernement français s’est inspiré d’une conception assez différente de celle exposée par MM. Beyen et Pella. C’est à partir de l’article 38 du Traité CED que le Gouvernement français a toujours entendu raisonner. Il lui est apparu en effet qu’il serait à la fois logique et pratique de ne pas concevoir le contrôle démocratique comme exclusivement limité à la CED, mais comme devant également s’appliquer à la CECA. L’avantage pratique de cette unité de contrôle est considérable, car, de cette manière, les relations des deux Communautés, dont les compétences sont voisines dans de multiples domaines, seraient réglées, la coordination du travail assurée et une sorte d’arbitrage institué pour les cas où des conflits surgiraient entre elles.

D’autre part, si l’on conçoit le contrôle démocratique sous la forme d’institutions telles que cellesqui ont été envisagées à Rome, il est évident que l’on trouve là le schéma de ce que serait normalement une Communauté politique. Quant aux institutions, il ne semble pas qu’il y ait des raisons de penser qu’elles devraient être conçues d’une manière différente selon qu’il s’agirait de contrôler des communautés spécialisées ou d’accomplir d’autres tâches à déterminer ultérieurement. Aussi, a-t-il paru normal de doter d’avance cette Communauté politique d’organes susceptibles d’assumer ces différentes tâches au fur et à mesure qu’elles seront déterminées, tout en lui confiant d’emblée le contrôle des deux Communautés spécialisées.

Cette conception ne s’oppose nullement à ce que la Communauté politique se voie confier d’autres tâches. À cet égard, le Gouvernement français estime que l’une des fonctions des organismes qui auraient été créés serait de donner l’impulsion, de faire les études nécessaires pour déterminer les autres tâches possibles, et en même temps d’être un «organe-moteur», un organe dynamique poussant à la réalisation des études accomplies.

Aussi, la Communauté politique serait, selon la conception du Gouvernement français, une communauté partant des Communautés existantes, avec des institutions s’adaptant à la fois à celles-ci et aux autres fonctions à déterminer, et chargée de contrôler ces deux communautés et de préparer les autres tâches à lui confier plus tard. Cette conception, qui a été exposée récemment par M. Bidaultà la tribune de l’Assemblée Nationale française, a l’avantage de ne pas rejeter trop loin dans l’avenir l’institution d’une Communauté politique et de donner immédiatement à celle-ci une tâche précise, c’est à dire le contrôle de ce qui existe déjà.

Bien entendu le Gouvernement français n’est pas opposé à ce que soient examinées dès maintenant les autres tâches possibles de la Communauté politique. Mais il ne conçoit pas que ces tâches puissent être déterminées autrement que par la voie de Traités successifs semblables à ceux qui ont déjà été signés et, en aucun cas, la Communauté ne serait habilitée à déterminer elle-même sa compétence ou à procéder à des extensions de ses attributions.

Quant à la suite des travaux, M. Parodi se rallie à la suggestion de M. Beyen et approuve l’idéed’instituer des commissions qui travailleront sur la base des principes arrêtés par la Conférence.

M. VAN ZEELAND a l’impression que, dans la discussion générale en cours, les Ministres risquent de remettre en discussion des points qu’ils ont résolus d’un commun accord au cours de leurs réunions antérieures, et il estime que ce risque devrait être évité.

L’objectif de la Conférence actuelle est de permettre aux Ministres de se prononcer sur les conclusions de la Conférence de Rome, et, à cet égard, M. Van Zeeland estime qu’il y a lieu d’être impressionné par le nombre des accords unanimes réalisés par les Suppléants. Il suggère donc que, comme premier pas, ces accords soient à présent confirmés par les Ministres. Un deuxième pas en avant pourrait être fait, qui consisterait à rechercher des accords sur tous les points qui n’ont può être résolus par les experts, mais à propos desquels la distance entre les diverses positions ne paraîtrait pas trop grande. Si ce second pas pouvait être franchi, la Conférence de La Haye aurait été, elle aussi, féconde et l’on verrait se rapprocher sensiblement le moment où pourrait être envisagé, soit le paraphe, soit la signature d’un Traité. En même temps, les Ministres pourraient donner de nouvelles directives à la Commission d’experts qui poursuivra le travail de préparation détaillée entrepris par la Conférence de Rome.

M.ADENAUER déclare qu’il approuve entièrement l’exposé de M. Van Zeeland et, en particulier, la procédure que celui-ci a suggérée pour la suite des travaux.

M.BECH déclare que, comme il l’a souligné au cours des réunions antérieures, le Gouvernement luxembourgeois est toujours favorable à la création d’une Communauté politique européenne. Cette communauté doit être investie de tâches nouvelles, soit dans le domaine économique, soit dans d’autres domaines à déterminer. Elle doit avoir des institutions de caractère supranational et permanent, mais l’accord du Gouvernement luxembourgeois sur ce point est subordonné à la condition que l’exercice, par ces institutions ‒Assemblée, Exécutif et éventuellement Sénat ‒de leurs attributions comporte un contrôle du Conseil de Ministres nationaux. Ce contrôle, dont la Commission suggérée par M. Beyendéfinirait les modalités, devra se traduire, tant pour les décisions du Parlement que pour celles de l’Exécutif, par l’accord majoritaire, ou, pour les questions vitales, par l’accord à l’unanimité du Conseil de Ministres. De plus, M. Bech indique que le Parlement et le Gouvernement luxembourgeois sont absolument opposés à toute auto-extension des compétences de la Communauté politique; cela n’exclut pas la possibilité de prévoir un système de révision, dans lequel l’élargissement des attributions serait subordonné à l’assentiment des Gouvernements nationaux.

Ainsi, en créant des institutions à caractère définitif, c’est à dire pour toute la durée du Traité, et en restreignant leurs attributions à celles que les Gouvernements nationaux jugeraient utile de leur conférer dans le cours des temps, les Ministres éviteraient un double risque: d’une part, celui d’être accusés d’aller trop vite, et, d’autre part, celui de ne plus être considérés comme des européens de bonne volonté. M. Bech rappelle que le bon sens et l’expérience commandent la prudence. Il souligne le caractère révolutionnaire de la Communauté politique européenne et considère que, si cette institution est vraiment conforme à la volonté des peuples, elle ne manquera pas de se développer avec le temps. Le dynamisme de l’Assemblée parlementaire élue au suffrage universel direct et l’importance considérable sur le plan économique et budgétaire des deux Communautés spécialisées assureront, mieux que la meilleure logique prévoyante, le développement et le succès futurs de la Communauté politique.

Enfin, M. Bech marque son accord sur la proposition, faite par M. Beyen, de renvoyer la suite des travaux à une commission.

Clôturant la discussion générale, M. le PRÉSIDENTconstate que toutes les délégations sont à présent disposées à aborder l’examen détaillé des conclusions de la Conférence de Rome, étant entendu, toutefois, comme l’a suggéré M. Beyen, que les accords qui seront obtenus resteront subordonnés à l’accord général à donner par les Ministres, à un stade ultérieur, sur l’ensemble du projet de Communauté politique européenne.

Après discussion, il est décidé de procéder, au cours de la prochaine séance, à l’examen détaillé des conclusions de la Conférence des Suppléants, sur la base d’un document de travail à préparer, consignant les accords réalisés au cours de la Conférence de Rome (ce document a été publié sous la référence P (53) 5 - Doc. /Sec/3).

La séance est levée à 19.00 heures.

DEUXIÈME SÉANCE (vendredi, 27 novembre 1953)

La séance est ouverte à 10 heures 30.

M. le PRÉSIDENTsalue la présence de M. Léon Marchal, Secrétaire Général du Conseil de l’Europe.

M. Léon MARCHAL remercie M. le Président et les autres Ministres de l’invitation qu’ils lui ont adressée.

Point 4 de l’ordre du jour: Poursuite des échanges de vues relatifs à l’instauration d’une Communauté politique européenne. Examen du rapport établi par les Suppléants lors de la Conférence de Rome (Suite).

La Conférence procède à l’examen détaillé des conclusions de la Conférence des Suppléants sur la base des documents suivants: CIR/16. Tableau comparatif des positions prises à la Conférence de Rome – P(53) 5 Doc/Sec. 3. Liste des accords intervenus à la Conférence de Rome.

I. Caractère de la Communauté. La Conférence approuve la définition du caractère de la Communauté:«Communauté d’États souverains qui, dans l’intérêt de tous, exercera les fonc

tions supranationales définies dans les Traités en vigueur ou qui pourraient résulter de Traités ultérieurs».

II. Institutions.

A. Caractère de l’Organisation Exécutive.

M. le PRÉSIDENT rappelle que la position commune des Suppléants (rapport page 11) sur ce point était:

«L’Organisation Exécutive doit se caractériser par le maintiende l’équilibre entre l’élément national et l’élément supranational».

M. HALLSTEIN confirme que, pour la délégation allemande, le Conseil de Ministres doit être considéré comme un organe «sui generis».

Il lui semble en outre que toutes les délégations sont d’accord sur l’idée que le Conseil de Ministres doit représenter l’élément national dans la Communauté.

M. BEYEN, soulignant que la délégation néerlandaise à la Conférence de Rome avait réservé sa position sur ce point, déclare se rallier à la position allemande. Tout en se demandant si la définition proposée a vraiment une importante pratique, il estime qu’il est préférable de considérer le Conseil de Ministres comme une institution «sui generis». En effet l’autre position, qui est de nature à susciter confusion et critiques, surtout chez les auteurs du projet de l’Assemblée «ad hoc», laisse ouverte la question de savoir comment va fonctionner cette organisation exécutive, si les deux éléments travailleront ensemble de manière permanente et quels seront leurs rapports. La position véritable du Conseil de Ministres sera définie par les pouvoirs que le Traité lui accordera; en attendant, M. Beyen préfère se rallier à la solution la plus claire.

M. VAN ZEELAND rappelle qu’il y a vraiment eu un accord entre les Suppléants sur la définition générale citée plus haut et confirme l’accord de la délégation belge sur ce point. Il constate cependant que les Suppléants ne se sont pas entendus sur le point de savoir si le Conseil de Ministres ferait ou non partie de l’Exécutif. Pour lui, le grand problème sera celui des relations entre la Communauté et les États nationaux. Afin de prévenir les conflits qui pourraient surgir entre la Communauté et l’un de ses membres, M. van Zeeland souhaite une organisation institutionnelle qui n’isole pas trop fortement dans la pratique le fonctionnementde la Communauté de celui des États; il estime qu’entre l’Exécutif européen proprement dit, c’est-à-dire le collège qui sera directement responsable devant le Parlement, et le Conseil de Ministres, il devrait y avoir des relations aussi confiantes et aussi intimes que possible.

M.van Zeeland suggère alors de dire que les deux organes feront partie de l’Exécutif dans le sens le plus large du terme, tout en admettant qu’il y aura une nette distinction entre leurs compétences et que ce sera l’Exécutif proprement dit qui sera responsable devant le Parlement. Une telle formule permettrait d’expliquer aisément à l’opinion publique le fonctionnement respectif des États et de la Communauté; dans le cadre de la division classique entre les trois pouvoirs législatif, exécutif et judiciaire, on donnerait ainsi une place au Conseil de Ministres. Mais, au cas où il ne serait pas possible de se mettre d’accord sur sa suggestion, M. van Zeeland préférerait que le problème soit laissé ouvert et renvoyé à la Commission.

M. PARODI approuve la déclaration de M. van Zeeland et insiste sur le fait qu’il est important, afin de prévenir tout conflit, de bien organiser la collaboration entre l’élément supranational et les Gouvernements des États membres. Cette idée, qui est à la base de la position française sur ce point, constitue essentiellement une directive pour les juristes: il s’agit de prévoir une organisation dont les deux éléments soient bien imbriqués l’un dans l’autre, «mordent» l’un sur l’autre comme un engrenage et travaillent en commun. Si cette tâche paraît un peu complexe dans l’abstrait, il n’en est pas moins vrai que tout le problème se clarifiera dès que l’on abordera la rédaction des textes.

M. BEYEN se rallie à la proposition visant à renvoyer la question à la Commission. Il désire toutefois observer qu’il faudrait éviter, en déclarant que le Conseil de Ministres fait partie de l’Exécutif, que l’on puisse imaginer que le Conseil sera responsable devant le Parlement supranational.

M. le PRÉSIDENT, constatant le désaccord sur le caractère de l’Organisation

Exécutive, propose que la question soit renvoyée à la Commission. Il en est ainsi décidé.

B. Conseil de Ministres nationaux.

M. le PRÉSIDENT suggère que, en raison du désaccord constaté ci-dessus, la Conférence renvoie à la Commission toute la partie du document CIR/16 consacrée à l’élément national de l’Organisation Exécutive.

M. PARODI demande que la phrase utilisée dans les documents de travail du Secrétariat: «l’élément national est représenté par le Conseil de Ministres nationaux» soit remplacée par la phrase: «l’élément national est représenté par “unˮ Conseil de Ministres», tirée du rapport des Suppléants (voir page 11). Avec cette correction, M. Parodi se déclare d’accord sur cette formule.

M. HALLSTEIN estime que s’il y a désaccord sur le point de savoir si le Conseil de Ministres doit être considéré comme un organe «sui generis» ou come une branche de l’Organisation Exécutive, il reste un certain nombre de points, au sujet desquels l’accord des délégations devrait être constaté.

Ainsi, il est clair que toutes les délégations veulent un Conseil de Ministres nationaux, quelle que soit la place assignée à ce Conseil dans la Communauté. De même, la phrase: «les pouvoirs des Conseils de Ministres prévus par les Traités de la CECA et de la CED ne doivent pas être affectés au cas où serait créé un Sénat élu» ne paraît pas soulever d’objection.

Revenant sur la question de savoir si le Conseil de Ministres doit être un élément de l’Exécutif ou un organe «sui generis», M. Hallstein souligne que, en dernière analyse, la Communauté à créer n’est pas un État. Par conséquent, la distinction traditionnelle entre les pouvoirs législatif, exécutif et judiciaire ne doit pas être appliquée de manière rigide à une organisation dont le but même est de réaliser une certaine fusion des États. Il est donc possible d’envisager un organe qui soit séparé des trois pouvoirs traditionnels.

M. VAN ZEELAND déclare qu’il répondra plus tard à la dernière observation de M. Hallstein concernant la place du Conseil de Ministres dans la Communauté. Il considère, lui aussi, que les Suppléants se sont mis d’accord sur une série d’autres questions, et désire confirmer l’accord du Gouvernement belge sur les points cités par

M. Hallstein.

M. le PRÉSIDENTconstate donc qu’en ce qui concerne les pouvoirs du Conseil de Ministres, il y a accord sur la phrase: «La création d’un Sénat élu ne doit pas porter atteinte aux pouvoirs des Conseils de Ministres CECA et CED».

Pour le reste, M. le Président observe que les positions sont divergentes.

M. BEYEN rappelle que, lors de la Conférence de Rome, la délégation néerlandaise avait proposé que «le Conseil de Ministres soit appelé, selon les dispositions des Traités existants, du Traité instituant la Communauté politiqueet des Traités ultérieurs, à donner des avis simples ou conformes et des directives au Conseil exécutif».

En vue de dissiper tout malentendu sur la portée de cette proposition, M. Beyen indique qu’elle ne vise que les directives contenues dans les Traités existants et dans les Traités ultérieurs, s’il y a lieu.

M. BENVENUTI déclare que le Gouvernement italien est, lui aussi, d’accord sur le fait que la création d’une Chambre Haute ne doit pas porter atteinte aux pouvoirs du Conseil de Ministres tels qu’ils sont énoncés dans les Traités instituant la CECAet la CED.

Partageant, en outre, le point de vue de M. Beyen, il estime que le Conseil de Ministres sera appelé à donner des avis simples ou conformes et des directives au Conseil exécutif dans les cas prévus par les Traités de la CECAet la CED et, le cas échéant, dans les Traités ultérieurs qui le prévoiraient expressément.

M.VAN ZEELAND indique qu’il est disposé à se rallier à la proposition formulée à Rome par la délégation italienne.

M. van Zeelanddonnerait donc volontiers au Conseil de Ministres, sur des points déterminés et essentiels, le genre de pouvoirs qui ont été attribués aux Conseils des Communautés restreintes: avis simples ou avis conformes, dans certains cas, et dans des cas expressément déterminés un pouvoir de directive générale.

Il s’agit là, bien entendu, pour M. van Zeeland, d’une disposition qui vise l’avenir, et qui s’applique au Conseil de Ministres de la Communauté politique, sans qu’il soit porté atteinte aux pouvoirs prévus pour le Conseil de Ministres dans les Traités de la CECAet de la CED. Toutefois, si un accord ne peut être obtenu sur ce point, M. van Zeeland suggère qu’il soit renvoyé à la Commission.

M. BECH regrette de ne pouvoir se rallier à la proposition italienne. Il rappelle qu’il a exposé, au cours de la première séance, la conception du Gouvernement luxembourgeois sur le rôle du Conseil de Ministres. À son avis, il devrait être admis, en principe, que l’avis conforme du Conseil de Ministres est requis en cas de décision importante de l’Exécutif et du Parlement supranational; avis conforme à la majorité pour la plupart des questions, avis conforme à l’unanimité pour les questions fondamentales, vitales pour les États et qui devraient être énumérées dans le Traité. M. Bech est donc d’accord pour renvoyer ce point à la Commission.

M. BEYEN intervient pour préciser qu’il ne voit aucune différence entre la position de M. van Zeeland et la sienne. Il a tenu à indiquer que, à son avis, le Conseil de Ministres ne doit pas être un organe supérieur à l’Exécutif supranational; le Conseil ne peut donner que les directives qui sont mentionnées dans le Traité.

Il est décidé de renvoyer la question des pouvoirs du Conseil de Ministres à la Commission.

M. le PRÉSIDENT estime que sur le point suivant: «Composition du Conseil de Ministres» un accord devrait pouvoir être obtenu.

M. HALLSTEIN explique les motifs pour lesquels la délégation allemande s’est ralliée aux propositions contenues dans le projet de l’Assemblée «ad hoc» (article 36): d’une part, ces propositions paraissent plus pratiques, plus souples, car elles permettent à différents ministres de siéger selon que les matières à l’ordre du jour sont de leur compétence ou pas; d’autre part elles sont conformes aux solutions adoptées pour les deux Communautés spécialisées.

M.VAN ZEELAND souligne qu’à son sens, il y aura accord de tous pour dire que les États doivent être représentés à ce Conseil au moins par un membre de leur Gouvernement. D’autre part, pour souligner l’importance de la Communauté politique, il paraîtrait opportun que ce soit le chef du Gouvernement ou le Ministre des Affaires Étrangères qui fasse partie du Conseil. M. van Zeeland suggère donc de décider que le Conseil sera composé en principe des chefs de Gouvernement ou des Ministres des Affaires Étrangères mais qu’ils pourront éventuellement être remplacés par d’autres ministres, selon le cas.

M. PARODI rappelle le rôle essentiel de liaison que doit jouer le Conseil de Ministres, entre le national et le supranational. Il semble donc préférable, pour éviter d’affaiblir l’institution, que le Conseil soit composé d’hommes toujours les mêmes et habitués à travailler ensemble. Toutefois M. Parodi estime qu’un accord est possible sur ce point.

M. BEYEN signale que, dans certains Gouvernements, le portefeuille des Affaires Étrangères pourrait être partagé entre deux titulaires; dont l’un serait spécialement chargé des matières relatives à la Communauté. Il se rallie donc aux propositions de l’Assemblée «ad hoc»,

M. HALLSTEIN déclare que la délégation allemande se rallieà la proposition de

M.van Zeeland: Chef de Gouvernement ou Ministre des Affaires Étrangères, ou, éventuellement, un autre membre du Gouvernement; le mot «éventuellement» signifiant que les deux premiers ont une certaine priorité.

M.le PRÉSIDENTconstate qu’il y a accord sur la proposition de M. van Zeeland. C. Organe exécutif supranational nouveau.

M. le PRÉSIDENTconstate que toutes les délégations sont d’accord sur la création d’un organe exécutif nouveau représentant l’élément supranational.

Quant au caractère de cet organe, M. le Président indique que la question est liée à celle des attributions de la Communauté, en particulier dans le domaine économique; il suggère donc que ce point soit repris après l’examen du problème des attributions.

En ce qui concerne la question des attributions de l’Exécutif nouveau vis-à-vis de la Haute Autorité de la CECAet du Commissariat de la CED, M. le Président demande s’il y a accord sur la phrase: «les Exécutifs prévus par les Traités existants doivent être maintenus», et signale que toutes les délégations se sont prononcées en faveur d’un «Exécutif coiffant la Haute Autorité et le Commissariat»à l’exception de la délégation néerlandaise pour laquelle: «l’Exécutif nouveau ne doit pas “coifferˮla Haute Autorité et le Commissariat».

M. BEYEN tient à préciser la position néerlandaise. Il regrette que les formules utilisées ici ne soient pas très heureuses. En fait, il ne s’agit pas seulement de définir les relations entre les Exécutifs, mais de déterminer la place des deux Communautés spécialisées dans la Communauté politique.

D’autre part, la formule utilisée pour décrire la position des Pays-Bas ne donne pas une impression exacte; en effet, le Gouvernement néerlandais désire que la CECA et la CED soient incorporées dans la nouvelle Communauté selon des modalités à fixer. M. Beyen n’est donc pas opposé à l’idée de «coiffer» les deux Communautés restreintes, mais il désire souligner que cette opération suscite de sérieux problèmes qu’il importe d’étudier très attentivement.

En fait, le problème vraiment difficile n’est pas la relation entre les Exécutifs, mais plutôt la question du contrôle démocratique, c’est-à-direla question des rapports entre les Exécutifs et l’Assemblée. M. Beyen souligne qu’il est disposé à examiner comment ce contrôle démocratique pourrait être établi, même pendant la période nécessaire pour parvenir à l’intégration complète. La Commission devrait recevoir des directives pour étudier la question de l’intégration des trois Communautés sur un plan plus général.

M. BENVENUTI exprime une réserve en ce qui concerne la phrase: «les Exécutifs prévus par les Traités existants doivent être maintenus». La délégation italienne souhaite, en effet, que d’autres solutions puissent être envisagées surtout pour la période définitive.

M.Benvenuti souligne en outre que le mot «coiffer» se prête à des interprétations très différentes; il estime qu’il appartiendra aux suppléants et aux juristes d’examiner les possibilités pratiques qu’ouvrent ces interprétations.

M. le PRÉSIDENT propose que la question des pouvoirs de l’Exécutif supranational nouveau soit renvoyée à la Commission. Il en est ainsi décidé.

M. le Président aborde alors le problème de la composition de l’organe exécutif nouveau et signale qu’aucun accord n’a été réalisé sur ce point par les suppléants.

M. BEYEN estime que le problème de la composition de l’Exécutif se rattache directement à celui qui vient d’être examiné, et à la question plus générale des relations entre les Communautés restreintes et la Communauté politique. Il suggère donc de le renvoyer à la Commission. En tout cas, le Gouvernement néerlandais craint de voir rompre le caractère collégial de la Haute Autorité et du Commissariat; c’est pourquoi il s’est opposé à ce que l’un des membres ou le Président de chacune de ses institutions soit «ex officio» membre de l’Exécutif supranational nouveau.

M. HALLSTEIN souligne que cinq délégations sont d’accord pour prévoir que des représentants des organes exécutifs de la CECAet de la CED feront partie de l’organe exécutif nouveau, et souhaite que l’on puisse arriver à un accord. En réponse à M. Beyen, il indique qu’il ne croit pas que la solution de ce problème doive nécessairement dépendre de la solution du problème général de l’intégration de la CECA et de la CED dans la Communauté politique. En effet, il est possible de prévoir dès à présent une disposition de caractère institutionnel et de laisser ou

verte la question de la collégialité soulevée par M. Beyen. À cet égard, il souligne que tous désirent que le principe de la collégialité au sein des deux Exécutifs soit maintenu.

M. BEYEN regrette de ne pouvoir prendre une position définitive sur cette question avant de savoir comment sont envisagées les relations entre les Communautés restreintes et la Communauté politique.

Sur la suggestion de M. le Président, il est décidé de renvoyer la question de la composition de l’organe exécutif nouveau à la Commission.

M. le PRÉSIDENT ouvre ensuite la discussion sur le point: «Désignation des membres de 1’Exécutif nouveau».

M. BEYEN constate que, à l’exception de la délégation allemande qui désire que le Président soit nommé par le Sénat, toutes les autres délégations sont en faveur de la désignation du Président ou de tous les membres par le Conseil de Ministres nationaux. Il espère que la délégation allemande pourra se ranger à l’opinion des autres délégations.

M. HALLSTEIN déclare que la délégation allemande se rallie à la position de la délégation française, selon laquelle: «le Président et les membres de l’organe nouveau doivent être désignés par le Conseil de Ministres nationaux». Cette position lui paraît la meilleure, car elle est conforme au système adopté pour la Haute Autorité de la CECA et pour le Commissariat de la CED.

M. VAN ZEELAND et M. BEYEN se rallient également à la position de la délégation française.

M.BENVENUTI reconnaît que la solution de l’Assemblée «ad hoc»et celle de la délégation française sont assez voisines, car c’est toujours aux États membres que l’on reconnaît une compétence en cette matière. Aussi la délégation italienne n’a-t-elle pas d’objection à étudier une autre formule que celle proposée par l’Assemblée «ad hoc» à laquelle elle s’était ralliée. Cependant, elle réserve sa position sur tout le problème de la désignation de l’Exécutif.

M. le PRÉSIDENT constate que compte tenu de la réserve de la délégation italienne, il y a accord, en principe, sur la position présentée par la délégation française.

En ce qui concerne la responsabilité de l’organe exécutif nouveau, les délégations belge, italienne, luxembourgeoise et néerlandaise sont d’accord sur la position suivante:

« - L’Exécutif sera politiquement responsable devant le Parlement.

-Il fonctionnera sous forme collégiale.

-Il ne sera pas tenu de solliciter l’investiture de la Chambre des Peuples avant d’entrer en fonctions».

M. PARODI explique que la délégation française n’a pas pris position sur ce point, car il lui a paru qu’il existait un lien étroit entre la question de la responsabilité et laquestion de la constitution de l’organe et des tâches dont il sera chargé, qu’il s’agisse de tâches déjà prévues par les Traités existants ou de nouvelles tâches qu’il importera de déterminer. D’autre part, il doit demeurer bien entendu que la responsabilité de l’organe nouveau ne peut affecter la position du Conseil de Ministres nationaux. Il appartiendra donc aux experts de définir un fonctionnement raisonnable des deux éléments de l’organisation exécutive. Sous ces réserves générales, et, en particulier,

sous la réserve que l’ensemble du système reste à mettre au point, M. Parodi n’a pas d’objection à formuler à l’égard de la formule adoptée par les quatre délégations citées ci-dessus.

M. HALLSTEIN indique que la formule de la délégation allemande – l’article 31 du projet de l’Assemblée «ad hoc» – ne diffère pas, en substance, de celle des autres délégations, mais vise à résoudre dans une mesure plus large le problème de la responsabilité. La délégation allemande peut donc se rallier à la position des autres délégations, selon laquelle l’Exécutif doit être politiquement responsable devant le Parlement, mais elle se réserve d’examiner plus à fond les modalités d’exercice de cette responsabilité et de reprendre, en ce qui les concerne, les points de vue qu’elle avait soutenus lors de la Conférence de Rome. Àcet égard, M. Hallstein considère qu’après avoir affaibli le caractère supranational de l’Exécutif en confiant sa désignation au Conseil de Ministres nationaux, il apparaît d’autant plus nécessaire de faire ressortir ce caractère supranational de l’organe exécutif dans l’organisation de sa responsabilité.

M. le PRÉSIDENT demande s’il y a accord sur le principe de la responsabilité de l’Exécutif devant le Parlement et sur le renvoi à la Commission de l’examen des modalités.

M. PARODI précise que tout en donnant son accord sur l’idée générale, il n’est pas en mesure de peser exactement les conséquences du principe ainsi posé et demande que, tout au moins en ce qui concerne la délégation française, la formule d’accord puisse être considérée comme une directive générale pour la Commission, avec la réserve que les Ministres pourront réexaminer la question à la lumière des propositions des experts.

Il est donc décidé de renvoyer cette question à la Commission qui tirera ses directives des exposés mentionnés ci-dessus.

M. le PRÉSIDENT ouvre ensuite la discussion sur la question des pouvoirs.

M. PELLA désire souligner que la formule italienne (Document CIR/16, page 18; Rapport de la Conférence de Rome, pages 16 et 20) est la plus large et, dans son esprit, vise à comprendre tout le contenu des propositions des autres délégations. Pour le Gouvernement italien, les pouvoirs de l’Exécutif supranational doivent être les plus larges possibles, sous réserve, bien entendu, des limitations qui y seront apportées par l’existence d’un Conseil de Ministres.

M. BEYEN se rallie à la formule belge. Il tient en outre à souligner que le problème en discussion dépend étroitement des solutions à adopter en ce qui concerne les attributions de la Communauté et, en particulier, de la solution du problème de l’intégration des deux Communautés restreintes dans la Communauté politique européenne. Il suggère en conséquence que la question soit renvoyée à la Commission.

M. le PRÉSIDENT se rallie à la position de la Belgique et des Pays-Bas. Il est décidé de renvoyer cette question à la Commission.

D. Cour de Justice.

La Conférence approuve la proposition contenue dans le rapport des suppléants: «institution d’une Cour européenne unique; au moment opportun, une commission de juristes devrait examiner l’ensemble du problème juridictionnel sur la base du projet de l’Assemblée “ad hocˮ».

E. Parlement.

La Conférence approuve la position commune suivante: «il est nécessaire de composer le Parlement de deux organes: une Assemblée élue représentant les Peuples de la Communauté et une Chambre Haute ou un organe en tenant lieu, représentant les États».

De même, en ce qui concerne les pouvoirs, la Conférence approuve la position commune suivante:

«il est nécessaire d’assurer un contrôle politique et démocratique efficace sur l’organisation exécutive, la détermination des modalités d’exercice de ce contrôle étant toutefois liée strictement à la structure du Parlement et de l’organisation exécutive de la Communauté».

Sur le problème des modalités, M. le PRÉSIDENT fait savoir qu’il se rallie à la position prise par l’Italie, sous réserve que, d’une part, le pouvoir législatif attribué au Parlement ne doit pas inclure d’auto-extension et que, d’autre part, l’activité législative du Parlement doit être soumise au contrôle du Conseil de Ministres sous forme d’avis conformes.

M. PELLA accepte la première réserve et propose de renvoyer la seconde à la Commission.

M. PARODI remarque que le contrôle par le Conseil de Ministres du pouvoir législatif va à l’encontre des traditions. Il ne peut accepter actuellement la proposition italienne et propose le renvoi de l’ensemble de la question à la Commission.

M. HALLSTEIN se déclare en faveur du renvoi, d’autant plus que les Ministres ne savent pas encore quels seront les rapports entre le Sénat d’une part et le Conseil de Ministres d’autre part. Il propose que cette question soit examinée par la Commission en même temps que celle du Conseil de Ministres.

F. Assemblée élue.

M. le PRÉSIDENT ouvre la discussion sur la question des élections.

M.BEYEN tout en n’étant pas convaincu par les arguments en faveur d’élections directes dès l’entrée en vigueur du Traité, est impressionné par l’unanimité des cinq autres délégations. Aussi accepte-t-il le principe d’élections directes sans période transitoire. Toutefois, il assortit son acceptation de l’inscription dans le Traité de certains principes généraux concernant les modes d’élections. Si un accord ne pouvait être obtenu sur ces principes de base, il ne se considérerait pas comme lié par son acceptation.

En attendant qu’il soit possible d’établir une loi électorale commune, les premières élections pourront se tenir sur la base de lois nationales, mais il conviendrait de rechercher dès à présent certains principes qui régiraient les lois électorales nationales. La Commission devrait étudier ce problème.

M. PARODI, tout en ne s’opposant pas à la demande de M. Beyen, estime que l’acceptation d’élections au suffrage universel direct et la répartition des sièges forment déjà l’essentiel de principes électoraux. Il reconnaît qu’il y aurait un avantage à poser certaines règles communes, mais pense qu’il n’est pas indispensable de trop entrer dans les détails d’organisation.

Il insiste ensuite sur l’importance de la décision prise par les Ministres. Le suffrage universel est la base de la souveraineté nationale. On envisage de dédoubler, de démembrer cette souveraineté nationale au profit d’une assemblée européenne, très grand pas en avant, qui exigera probablement des modifications constitutionnelles dans la plupart des pays. Ainsi, l’organe moteur extrêmement puissant et dynamique que sera la Chambre des Peuples, trouvant son fondement dans le suffrage universel direct, aura un titre et une autorité comparable à ceux des Parlements nationaux.

M. HALLSTEIN marque son accord avec les déclarations de Parodi.

M. VAN ZEELAND se réjouit du grand pas en avant qui vient d’être fait. Toutefois, comme il s’agit aussi d’une décision lourde de conséquences, il tient à préciser que ce Parlement tirera ses pouvoirs du Traité; ce fait constitue la mesure et la limite d’un acte d’une importance considérable qui dote la Communauté d’une institution essentiellement dynamique.

M. le PRÉSIDENT souligne que la Conférence partage les remarques de MM. Parodi et Van Zeeland, sur l’importance et la gravité de la mission qui sera confiée au Parlement.

M. BEYEN, sur une question de M. le Président, renouvelle sa réserve générale, mais donne son accord pour qu’elle ne figure pas dans le communiqué de presse.

La séance, interrompue entre 13 heures et 15 heures 15, est levée à 17 heures 10.

TROISIÈME SÉANCE (samedi, 28 novembre 1953)

La séance est ouverte à 9 h 50.

M. le PRÉSIDENTsouhaite la bienvenue à Lord Layton, vice-Président de l’Assemblée consultative représentant M. de Menthon, Président, empêché, accompagné de M. Bohy, rapporteur de la Commission des Affaires générales.

Lord Layton, après avoir remercié les Ministres d’avoir donné l’occasion aux représentants à l’Assemblée consultative de venir exposer leurs points de vue à la Conférence rappelle les termes de la résolution de Luxembourg ainsi que les idées qui sont à la base du Plan Eden. Les craintes de voir la Communauté politique se développer en dehors du Conseil de l’Europe ont disparu, le Conseil de l’Europe ‒et notamment l’Assemblée consultative ‒ayant été associé aux travaux de l’Assemblée «ad hoc». Nous avons constaté, ajoute Lord Layton, que le noyau des Six Pays européens, loin de rompre les liens qui existaient déjà entre une grande partie des États européens, ne fait que renforcer ce groupement d’États.

Le projet de l’Assemblée «ad hoc» prévoit une association étroite entre la future Communauté politique et l’institution de Strasbourg et correspond à l’esprit du Plan Eden. Il est utile dans ces conditions que les représentants de l’Assemblée consultative puissent être consultés par les experts gouvernementaux sur ce problème particulier. Lord Layton rappelle le précédent du Conseil de l’Europe suivant lequel les Ministres eux-mêmes ont créé un Comité mixte pour rendre plus efficace la collaboration entre gouvernements et parlementaires et formule l’espoir que des Parlementaires puissent assister aux travaux gouvernementaux, afin d’exposer leur point de vue lorsque des décisions importantes seront prises.

Lord Layton cite en exemple deux de ces problèmes qui ont retenu spécialement son attention:

d’une part la liaison personnelle prévue par le projet de L’Assemblée «ad hoc» entre le Parlement de la Communauté et l’Assemblée consultative par l’intermédiaire du Sénat;

d’autre part la possibilité pour des pays-tiers non membres du Conseil de l’Europe d’adhérer à la Communauté.

En ce qui concerne le premier point il indique que si le projet de l’Assemblée «ad hoc» devait être modifié, il conviendrait de tenir compte de la liaison personnelle prévue. Quant au second point, il indique que, s’il devait être rendu possible à certains pays qui n’appartiennent pas au Conseil de l’Europe d’adhérer à la Communauté des Six, la solidarité qui existe entre les Six et le Conseil de l’Europe en serait diminuée.

M. LE PRÉSIDENT remercie Lord Layton de son exposé. Il fait savoir que M. van Zeeland fera au Comité mixte du Conseil de l’Europe un exposé sur les travaux pour la création d’une Communauté politique, lors de la prochaine réunion de ce Comité.

Point 4: Poursuite des échanges de vues relatifs à l’instauration d’une Communauté politique européenne. – Examen du Rapport établi par les Suppléants lors de la Conférence de Rome. (suite)

F. Assemblée élue: répartition des sièges.

M. PELLAinsiste sur la position du gouvernement italien, qui préfère une répartition des sièges en fonction de la population des différents pays. Il demande le renvoi de cette question à la commission.

Il en est ainsi décidé.

G. Chambre haute ou organe en tenant lieu.

a) interprétation de l’article 38 CED.

M. PELLA propose le renvoi de cette question à la commission.

M. BEYEN, appuyé par M. Hallstein, indique qu’il ne s’agit là que d’une interprétation juridique. À son avis, la formule adoptée laisse le problème ouvert.

b) position commune: «La création d’un Sénat élu ne devra pas porter atteinte aux pouvoirs des Conseils de Ministres tels qu’ils sont prévus dans les traités CECA et CED». – adoptée.

c) Sénat élu.

M. HALLSTEIN estime que l’ensemble du problème, notamment l’alternative, Sénat élu ou Conseil de Ministres, ne peut être résolu sans connaître le rôle qui sera dévolu à la deuxième Chambre. En conséquence, il propose le renvoi à la commission.

Il en est ainsi décidé.

M. LE PRÉSIDENT souhaite la bienvenue à M. Bidault qui entre en séance.

III. Attributions. La Conférence passe ensuite à l’examen des attributions économiques. Après un échange de vues sur les premiers paragraphes, M. PARODI fait remar

quer que le rapport de Rome a été établi avec beaucoup de nuances et qu’il est difficile dans ces conditions d’adopter un texte qui ne les contient pas.

M. LE PRÉSIDENT appuie le point de vue exprimé par M. Parodi et propose le renvoi du document à la commission.

M.Van ZEELAND, appuyé par M. Beyen propose que les Ministres adoptent, en matière économique, les points de vue qui ont été communs à la Conférence de Rome, tel qu’ils sont enregistrés dans le rapport.

Il en est ainsi décidé. Les problèmes qui n’ont pas fait objet d’accords lors de la Conférence de Rome sont renvoyés en commission.

Point 5: Dispositions concernant les travaux ultérieurs relatifs à la Communauté politique européenne.

M. LE PRÉSIDENT propose d’examiner en premier lieu les modalités des liaisons à établir avec les parlementaires de l’Assemblée «ad hoc» et de l’Assemblée consultative.

M. HALLSTEIN voudrait que la suite des travaux fasse l’objet d’une discussion avant que ne soient examinées les modalités de ces liaisons. Il demande si une décision quant à la création et éventuellement à la composition de la commission a déjà été prise.

M. LE PRÉSIDENTindique que la création de cette commission a déjà fait l’objet d’une décision. Quant à sa composition, il suggère que les délégations soient présidées par les suppléants assistés d’experts.

M. BEYEN marque son accord sur la proposition du Président tout en faisant remarquer qu’il serait opportun de ne plus employer le mot «suppléants». Cette qualification a créé une certaine confusion dans l’opinion publique et le fait que les chefs de délégation puissent prendre des décisions au nom de leur Ministre peut gêner le travail. Il suggère en même temps que les délégations soient présidées par les anciens suppléants.

Il tient à ce que cette commission ait le caractère d’une commission d’études, ce qui permettrait à la commission d’avoir à la fois des échanges de vues libres et de travailler à l’écart de la presse.

Les gouvernements ne devraient pas être tenus nécessairement de donner des instructions définitives à leur délégation. La commission pourrait baser ses travaux sur les décisions prises au cours de cette Conférence et les délégations se tiendraient en contact continuel avec les gouvernements dès le moment où la possibilité se manifesterait de parvenir à des positions communes.

Il en est ainsi décidé.

M. HALLSTEIN demande s’il n’est pas possible d’envisager que la participation des parlementaires pris dans leur ensemble puisse être réglée par la commission elle-même? Les parlementaires pourraient assister à certaines réunions du Comité de Direction comme cela avait été le cas à Rome où un échange de vues extrêmement constructif a può être réalisé.

M. VAN ZEELAND donne son accord à condition que la procédure établie à Rome soit maintenue.

M.LE PRÉSIDENTapprouve ce point de vue et précise que cette procédure serait appliquée aux représentants tant à l’Assemblée «ad hoc» qu’à l’Assemblée Consultative. En ce qui concerne les conférences des Ministres, il propose que les Ministres conservent l’initiative comme ce fut le cas pour les suppléants à Rome.

M. HALLSTEIN souligne qu’il n’était pas dans ses intentions d’assimiler les parlementaires des deux Assemblées. Les premiers sont les auteurs d’un projet, les seconds ont d’autres intérêts. On pourrait entendre les représentants de l’Assemblée consultative sur des questions qui les intéressent spécialement, notamment les liaisons avec le Conseil de l’Europe ou l’adhésion de pays-tiers, questions mentionnées par Lord Layton.

M. LE PRÉSIDENT se déclare d’accord avec M. Hallstein.

Ces précisions lui permettront de rédiger en termes précis ses réponses à M. von Brentano et à M. de Menthon. Cette procédure pourrait également être appliquée aux réunions des Ministres.

M.PARODI précise que les Ministres devraient décider eux-mêmes de l’opportunité des contacts à établir tout en retenant le principe de la formule d’audition.

Quant à la commission, M. Parodi, se référant aux réponses que le Président doit donner aux représentants des deux Assemblées, déclare qu’il lui semble que toutes les délégations sont d’accord sur le principe d’une collaboration sous la forme de l’audition, telle qu’elle a déjà été utilisée lors de la Conférence à Rome.

Dans cette limite, la commission serait libre d’apprécier elle-même le moment, les modalités, et la durée de ces auditions, ainsi que les questions sur lesquelles elles pourraient porter.

Il en est ainsi décidé. En ce qui concerne le siège de la commission M. ADENAUER propose Paris. Il en est ainsi décidé.

M. BEYEN suggère de laisser aux chefs de délégations, dès qu’ils seront désignés, de fixer eux-mêmes la date à laquelle se réunira la commission. Il en est ainsi décidé.

Après interventions de M. HALLSTEIN, de M. PELLA, et de M. BEYEN la Conférence fixe au 15 mars la fin des travaux de la commission et au 30 mars à Bruxelles la prochaine Conférence des six Ministres des Affaires Étrangères.

Point 6: Échange de vues sur les questions de politique étrangère intéressant les six gouvernements.

Sur proposition de M. Adenauer, M. Pella expose le point de vue du gouvernement italien sur le problème de Trieste (voir annexe IV). Il est décidé que le texte intégral de son intervention sera remis aux Ministres.

Point 7: Divers.

M. LE PRÉSIDENTpropose que chaque délégation désigne un fonctionnaire qui se mettra en rapport avec le Secrétariat pour l’examen de la question relative au remboursement à la Haute Autorité des frais de l’Assemblée «ad hoc».

Il en est ainsi décidé.

Communiqué de Presse:

Après interventions de M. Parodi, Hallstein, Beyen, Bidault, Pella et de M. le Président, la Conférence approuve le communiqué de presse (voir annexe V).

M.ADENAUER félicite M. le Président pour la façon dont il a mené le débat et lui exprime les remerciements des Ministres.

La séance est levée à 12 h. 40.

Annexe I

CONFÉRENCE DES MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES

La Haye, 26-28 novembre 1953

Secrétariat P (53) 5 0J. La Haye, le 26 novembre 1953.

ORDRE DU JOUR

1. Approbation de l’ordre du jour.

2.Approbation du procès-verbal de la réunion tenue à Baden-Baden les 7 et 8 août 1953.

3. Questions relatives:

a) -à la prise de contact avec les Membres de l’Assemblée «ad hoc»;

b) -à la présence du Secrétaire Général du Conseil de l’Europe;

c) -à la lettre du Président de l’Assemblée Consultative du Conseil de l’Europe en date du 23 octobre 1953;

-à la participation d’observateurs des pays tiers (lettre de M. van Zeeland du 19 novembre 1953).

4. Poursuite des échanges de vues relatifs à l’instauration d’une Communauté Politique Européenne. – Examen du rapport établi par les Suppléants lors de la Conférence de Rome (Document CIR/I5).

5. Dispositions concernant les travaux ultérieurs relatifs à la Communauté Politique Européenne.

6. Échange de vues sur les questions de politique étrangère intéressant les six Gouvernements.

7. Divers.

Annexe II

RÉUNION DES SIX MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES

Baden-Baden, les 7 et 8 août 1953

CM/S (53) 213. Luxembourg, le 9 septembre.

Lettre de : Ministère des Affaires Étrangères de Bruxelles

En date du : 8 septembre 1953

à : Monsieur Calmes, Secrétaire du Conseil Spécial de Ministres – Luxembourg Objet : Addendum au Procès-Verbal de la Réunion de Baden-Baden, les 7 et 8 août 1953

MINISTÈRE DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES ET DU COMMERCE EXTÉRIEUR

Direction générale

Bruxelles, le 8 septembre 1953.

Monsieur le Secrétaire,

M. le Ministre des Affaires Étrangères a pris connaissance avec intérêt du procès-verbal, établi par vos soins, de la réunion qui s’est tenue à Baden-Baden les 7 et 8 août dernier.

Il a può constater que ce document a été établi avec un soin qui mérite les plus vives félicitations.

M. Van Zeeland m’a toutefois chargé de vous demander un addendum qui devrait être introduit page 25 du procès-verbal, au Point VII; après les mots : «…débat sur le fond» il faudrait ajouter la phrase suivante: «M. Van Zeeland déclare à ce propos que son accord au sujet du principe des élections européennes directes est lié à la création d’un Sénat dont la structure donnerait certaines garanties aux petits pays».

Veuillez agréer, Monsieur le Secrétaire, l’expression de mes sentiments très distingués.

Le Secrétaire Général

L. Scheyven

Annexe III

COMMUNAUTÉ EUROPÉENNE DU CHARBON ET DE L’ACIER

Le Conseil Secrétariat

CM/S (53) 269. Luxembourg, le 21 novembre 1953.

Lettre de : M. Calmes, Secrétaire du Conseil Spécial de Ministres, Luxembourg,

en date du : 15 septembre 1953,

à : MM. les Ministres des Affaires Étrangères,

Objet : Modifications au procès-verbal de la réunion de Baden-Baden demandées

par M. le Chancelier ADENAUER.

COMMUNAUTÉ EUROPÉENNE DU CHARBON ET DE L’ACIER

Le Conseil Secrétariat

Luxembourg, le 15 septembre 1953.

Monsieur le Ministre,

J’ai l’honneur de porter à votre connaissance les modifications demandées par M. le Chancelier Adenauer au procès-verbal de la réunion des Six Ministres qui s’est tenue les 7 et 8 août à Baden-Baden.

Ces modifications concernent le texte allemand et le texte français du procès-verbal.

En ce qui concerne le texte français:

– Page 19 9ème ligne, remplacer les mots «minière et industrielle» par les mots «du charbon, du fer et de l’acier».

– Page 19 25ème ligne, remplacer le mot «incessamment » par le mot «nécessaire

ment». En ce qui concerne le texte allemand (exposé de M. Bidault):

– Page 21 12ème ligne, intercaler entre le mot «einzigen » et le mot «deutschen» les mots «und freien» pour mettre le texte allemand en concordance avec le texte français.

Je vous prie de croire, Monsieur le Ministre, à l’expression de ma très haute considération.

Le Secrétaire

C. Calmes

Annexe IV

CONFÉRENCE DES MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES

La Haye, 26-28 novembre 1953

P (53) 5 Doc. Séance 3. Luxembourg, le 30 novembre 1953.

EXPOSÉ de S.E. M. PELLA sur la question de Trieste(3)

Annexe V

CONFÉRENCE DES MINISTRES

DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES

La Haye, 26 - 28 novembre 1953

Secrétariat La Haye, le 28 novembre 1953.

COMMUNIQUÉ DE PRESSE

Les Ministres des Affaires Étrangères des États membres de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier se sont réunis à La Haye les 26, 27 et 28 novembre 1953, sous la présidence de M. Bech, Ministre des Affaires Étrangères du Grand-Duché de Luxembourg. Ils ont poursuivi leurs travaux pour la création d’une Communauté Politique Européenne sur la base du rapport établi à Rome par leurs suppléants.

Ils ont entendu M. von Brentano, Président de la Commission Constitutionnelle de l’Assemblée «ad hoc», ainsi que Lord Layton, Vice-Président de l’Assemblée Consultative, accompagné de M. Bohy, Rapporteur de la Commission des Affaires Générales et M. Léon Marchal, Secrétaire Général du Conseil de l’Europe.

Conformément aux principes qui, depuis la résolution de Luxembourg du le septembre 1952, ont inspiré leurs travaux, ils ont approuvé les dispositions du rapport de Rome qui avaient déjà fait l’objet d’un accord, tant sur les questions institutionnelles que sur les questions économiques.

Les Ministres ont notamment approuvé la création d’une Assemblée, qui représente les peuples de la Communauté, et d’une Chambre Haute ou d’un organe en tenant lieu, représentant les États. La Chambre des Peuples sera élue au suffrage universel direct dès l’entrée en vigueur du Traité, selon des modalités faisant l’objet d’une étude préliminaire. Ainsi sera assuré d’emblée, au sein de la Communauté, un contrôle démocratique efficace.


3 Vedi D. 66.

La question de l’organisation exécutive qui avait déjà été abordée par les suppléants, à Rome, a donné lieu, d’autre part, à d’utiles discussions. Les Ministres ont, en particulier, rapproché leurs points de vue en ce qui concerne d’une part, la désignation du Président et des membres de l’organe exécutif supranational nouveau, d’autre part, la composition du Conseil de Ministres.

Le principe de la création d’une Cour Européenne unique a été approuvé et une commission de juristes examinera, sur la base du Projet de l’Assemblée «ad hoc», l’ensemble du problème que pose la création de cette institution.

La Communauté englobera, selon des modalités qui restent à déterminer, la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier ainsi que la Communauté Européenne de Défense.

Les Ministres ont décidé de charger une Commission de poursuivre, à la lumière de leurs débats, les travaux relatifs à la création d’une Communauté Européenne et de commencer l’élaboration du texte du Traité.

La Commission qui siégera à Paris, fera rapport pour le 15 mars, aux Ministres, qui se réuniront à Bruxelles le 30 mars 1954.

Les Ministres ont, en traitant de questions politiques générales, entendu un exposé du Président du Conseil italien sur la Question de Trieste et sur le point de vue du Gouvernement de Rome.

COMMUNAUTÉ EUROPÉENNE DE DÉFENSE CONFÉRENCE DE BRUXELLES(4)

CR/1. Bruxelles, 19 ao 1954.

COMPTE-RENDU

PREMIÈRE SÉANCE

Jeudi, 19 août 1954

La séance est ouverte à 11 heures 10 sous la présidence de M. P.-H. Spaak, Ministre des Affaires Étrangères de Belgique.

Ouverture de la Conférence

M. LE PRÉSIDENT: Messieurs, j’avais pensé que mes premiers mots seraient pour vous souhaiter la bienvenue. Le destin en a décidé autrement. Nous avons tous été bouleversés, ce matin, par la cruelle nouvelle qui nous est arrivée d’Italie, la mort de M. de Gasperi nous touche tous profondément. Je le considérais comme l’un des hommes d’État actuels des plus intelligents, des plus courageux, des plus honnêtes. Sa disparition n’est pas seulement une perte cruelle pour l’Italie, pour son parti, pour ses amis: tous ceux qui ont eu l’insigne honneur de l’approcher se sentent touchés comme ses plus proches et ses plus fidèles partisans.

Si j’étais superstitieux, à la cruauté personnelle de mon chagrin s’ajouterait une angoisse en face des travaux que nous commençons, car la disparition d’un de ceux qui fut parmi les plus généreux, parmi les meilleurs et parmi les plus ardents euro-


4 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

péens, au moment même où s’ouvre cette conférence décisive, pourrait être considérée comme un mauvais présage, mais je crois qu’il ne faut pas nous laisser aller à ces vues pessimistes des choses. Je crois que, au contraire, il faudra que chacun d’entre nous commence cette Conférence en se souvenant du haut exemple qu’il n’a cessé de nous donner de la foi européenne, qu’il n’a cessé de témoigner pendant des années et, au-delà des buts que nous nous assignons tous, peut-être pouvons-nous nous promettre formellement d’être dignes de l’effort et de l’exemple qu’il nous a donné.

M. PICCIONI: (En italien) Traduction: Messieurs, vous me pardonnerez si, sous le coup de l’émotion de la triste

nouvelle qui nous est arrivée ce matin, la nouvelle de la mort de cet homme qui était parmi les meilleurs italiens, parmi les meilleurs européens, si sous le coup de cette émotion, vaincu par cette émotion douloureuse, je ne puis pas dire ici en paroles dignes de la mémoire de ce grand italien, de ce grand européen, tout ce que je ressens.

Je me bornerai à dire, comme Monsieur le Président Spaak l’a dit également, que cette nouvelle cruelle qui nous atterre doit être le seul réconfort que nous pouvons trouver, qu’ellepourrait même être le signe d’une plus grande et plus sincère fraternité européenne à laquelle Monsieur de Gasperi croyait lui-même profondément.

Nous sommes, dans la délégation italienne, atterrés par cette nouvelle si triste car celui qui était pour nous, par sa dignité morale, son élévation morale, un perpétuel enseignement, était constamment celui qui nous dirigeait dans la dure bataille que nous avions à mener pour l’Europe et que nous menons encore pour atteindre ce but: l’Europe.

Je remercie Monsieur le Président Spaak des paroles touchantes qu’il a trouvées. Je m’associe à son vœu, puisse l’esprit de notre cher défunt rester dans cette salle pour nous inciter à continuer l’oeuvre qu’il a commencé pour atteindre le but qu’il nous a montré.

Désignation du Président

M. LE PRÉSIDENT: Messieurs, je crois que nous pouvons commencer nos travaux. Le premier point à notre ordre du jour est la désignation du président de la Con

férence. La parole est à Monsieur le Chancelier Adenauer.

M. LE CHANCELIER ADENAUER: (En allemand). Traduction: Je propose de confier la présidence à Monsieur le Président Spaak.

M. LE PRÉSIDENT: Pas d’opposition. (Sourires).

Messieurs, je vous remercie de cette aimable confiance. J’espère que je pourrai mener à bien les travaux de cette Conférence.

M. LE PRÉSIDENT: Nous avons deux questions de procédure à régler. Je pense que Monsieur le Président du Conseil Mendés-France désire que la note française soit maintenant livrée à la publicité.

M. MENDÈS-FRANCE: Oui, Monsieur le Président.

M. LE PRÉSIDENT: Y a-t-il des objections?

M.BEYEN: Je n’ai pas à formuler des objections directes, Monsieur le Président, mais j’épreuve de grandes craintes. Je crois qu’il serait infiniment préférable de ne pas procéder à une publication officielle. Nous ne l’avons jamais fait auparavant.

Si Monsieur Mendès-France insiste, je ne veux pas faire d’objections. Je me borne à dire que si les documents étaient publiés je regretterais fort la décision de Monsieur Mendés-France.

M. LE PRÉSIDENT: La parole est à Monsieur Mendès-France.

M. MENDÈS-FRANCE: Monsieur le Président, j’avais proposé de livrer à la publication officielle les documents soumis à la Conférence par la délégation française, car un certain nombre de fuites ou d’indiscrétions s’étaient produites et ces documents ont été publiés imparfaitement et incomplètement jusqu’à ce jour. Il me semble que c’était peut-être faire œuvre de clarté pour l’opinion publique que d’autoriser la publication totale de ces documents. Mais, ainsi que je l’ai dit hier à

M. le Secrétaire général de la Conférence, je ne souhaitais faire cette proposition que dans la mesure où elle recueillerait l’adhésion unanime de nos collègues. Il me suffit d’avoir entendu les réserves de mon collègue des Pays-Bas pour dire immédiatement et sans aucune difficulté que je n’insiste pas pour la proposition que j’avais faite hier.

M. LE PRÉSIDENT: La publication ne sera donc pas faite. La deuxième question est de savoir comment nous allons travailler. Monsieur Mendès-France propose, et je crois que c’est une bonne idée, que nous

commencions par une conférence tout à fait restreinte et que la Conférence ne débute qu’entre les Ministres et un de leurs collaborateurs.

Tout le monde est-il d’accord sur cette suggestion? Je me vois donc forcé de demander à tous ceux qui ne sont pas les Ministres et leur premier collaborateur de bien vouloir quitter la salle.

COMMUNAUTÉ EUROPÉENNE DE DÉFENSE CONFÉRENCE DE BRUXELLES

(Bruxelles, 19-22 ao 1954)(5)

COMMUNIQUÉ

1. Les représentants des six Gouvernements signataires du Traité de Paris (CED) se sont rencontrés à Bruxelles les 19, 20, 21 et 22 août 1954.

2. Malgré une longue discussion sur les modifications qui, d’après le gouvernement français, devraient être apportées au Traité de Paris, ils n’ont può réaliser leur accord.

3. Ils ont constaté que les buts principaux de leur politique européenne:

– resserrer la coopération européenne pour protéger l’Europe occidentale contre les forces qui la menacent,

– éviter toute neutralisation de l’Allemagne,

– contribuer à l’unification de l’Allemagne et à sa participation à la défense commune,

– préfigurer une formule politique et économique de l’intégration occidentale, restent inchangés.

4. Les Ministres ont décidé de publier conjointement:

a) le projet de protocole d’application du Traité instituant la Communauté Européenne de Défense présenté par le Gouvernement français;


5 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc.1.

b) le projet de déclaration pour l’interprétation et l’application du Traité de Paris instituant laCommunauté Européenne de Défense, proposé par les Ministres des Affaires Étrangères de la République Fédérale d’Allemagne, du Royaume de Belgique, de la République Italienne, du Grand-Duché de Luxembourg et du Royaume des Pays-Bas, en réponse aux propositions françaises.

PROTOCOLE D’APPLICATION DU TRAITÉ INSTITUANT LA COMMUNAUTÉ EUROPÉENNE DE DÉFENSE(6)

Les États parties au Traité instituant une Communauté Européenne de Défense:

Rappelant les liens étroits qui unissent la Communauté Européenne de Défense et l’Organisation du Traité de l’Atlantique Nord et l’importance des engagements souscrits par le Royaume-Uni et les États-Unis d’Amérique vis-à-vis de la Communauté;

Résolus à réaliser l’application du Traité selon une procédure progressive et décentralisée;

Soucieux de préciser les pouvoirs respectifs et le fonctionnement des organes de la Communauté;

Considérant les déclarations conjointes ci-annexées, relatives à leurs objectifs communs, déclarations dans lesquelles sont réaffirmés le caractère exclusivement défensif de la Communauté Européenne de Défense et la volonté des États signataires de parvenir à une solution satisfaisante pour tous du problème de la sécurité;

Conviennent ce qui suit:

Titre I

Relations entre la Communauté Européenne de Défense et l’Organisation du Traité de l’Atlantique Nord

1) La Communauté Européenne de Défense est un organe complémentaire de la Communauté Atlantique dans le cadre de laquelle est définie la politique générale de défense de l’alliance occidentale.

Toutes les décisions relatives à la politique de défense et susceptibles d’affecter la Communauté Européenne notamment celles concernant l’emploi des forces européennes sont prises à l’unanimité par le Conseil de l’Atlantique Nord siégeant conjointement avec le Conseil de la Communauté Européenne de Défense.

Les décisions politiques sont du domaine réservé des États. Les contacts permanents entre le Secrétariat Général de l’Organisation Atlantique et les Services du Commissariat prévus au Protocole du 27 mai 1952 se référant au seul plan technique.

2)Aussitôt après la mise en vigueur du Traité, le Conseil proposera au Conseil de l’Atlantique Nord de déterminer, conformément à l’article 18 du Traité, les pouvoirs exercés en temps de paix par le Comandant Suprême Atlantique et ses commandements subordonnés sur les Forces Européennes de Défense.

En même temps seront précisées les conditions suivant lesquelles s’exerceront les pouvoirs d’inspection du Commissariat au bénéfice du Commandant Suprême compétent relevant de l’organisation du Traité de l’Atlantique Nord.

3) La Communauté Européenne de Défense a son siège dans la même ville que l’Organisation du Traité de l’Atlantique Nord.

4) Les six Gouvernements,

prenant acte des assurances reçues du Gouvernement des États-Unis et du Royaume-Uni selon lesquelles la politique des États-Unis et du Royaume-Uni à l’égard de l’Organisation du Traité de l’Atlantique Nord est définie notamment par les principes et engagements suivants:

-Le Traité de l’Atlantique nord doit être considéré comme étant en vigueur pour une durée indéterminée et non pour un nombre d’années préfixé.

-Les États-Unis et le Royaume-Uni maintiendront, suivant une proportion équitable, des Forces sur le continent européen, y compris l’Allemagne, aussi longtemps que subsistera la menace qui pèse sur la sécurité de l’Europe occidentale et de la Communauté Européenne de Défense


6 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 27, fasc. 94.

soulignent que les principes et engagements ainsi définis constituent un élément fondamental de la politique de sécurité mutuelle qu’ils mettent en œuvre en créant la Communauté Européenne de Défense. Ils déclarent que tout changement de la politique des États-Unis et du Royaume-Uni, telle que définie ci-dessus constituerait une situation nouvelle qui, aux termes de l’article 126 du Traité, rendrait nécessaire une consultation immédiate entre les États membres, et que chacun d’eux serait alors libre de décider s’il continue ou non sa participation à la Communauté Européenne de Défense.

5) Les six Gouvernements s’engagent à procéder à une consultation analogue dans l’éventualité de la réunification de l’Allemagne, la liberté de choix découlant de l’article 7 § 3 de la Convention sur les relations entre les trois puissances et la République fédéraled’Allemagne signée à Bonn le 27 mai 1952 s’appliquant à tous les États membres de la Communauté.

Titre II

Organisation et fonctionnement des organes de la Communauté

1) Conformément à l’article 39 du Traité, le Commissariat agit dans le cadre des directives qui lui sont adressées par le Conseil.

2) Le Commissariat n’a aucune attribution politique. Ses tâches se limitent à la gestion, l’administration, la mise en condition et l’équipement des Forces Européennes de Défense.

Recours contre les décisions du Commissariat

3) Au cours d’une période de huit ans après la mise en vigueur du Traité, toute décision considérée par un membre du Conseil comme affectant ses intérêts vitaux sera suspendue sur sa demande, afin de permettre une conciliation entre le Conseil et le Commissariat.

Ce droit de recours ne saurait être utilisé pour justifier une violation des clauses du Traité.

Il sera mis fin à cette suspension par décision unanime du Conseil.

À l’issue de la période de huit ans, le Conseil décidera à la majorité du régime des recours contre les décisions du Commissariat en vue de parvenir progressivement à l’application du Traité.

Il pourra être mis fin à tout moment au régime des recours sur décision unanime du Conseil siégeant au rang des Chefs de Gouvernement, conformément aux dispositions du Titre VII, § 2 ci-dessous.

4) Pendant la période de huit ans ci-dessus mentionnés, le Commissariat fera rapport une fois par mois au Conseil.

Le Conseil se réunira aussi souvent qu’il est nécessaire pour suivre et orienter l’action du Commissariat.

Limitation du droit de recours du Commissariat

5) Il est convenu que pendant la même période de huit ans, le Commissariat ne fera pas usage de possibilités de recours devant la Court, qui lui sont offertes par l’article 117. Il s’efforcera d’utiliser toutes les possibilités de conciliation par l’entremise du Conseil.

Décentralisation du Commissariat

6) Le Commissariat exercera les pouvoirs qui lui sont confiés en évitant toute centralisation excessive. À cet effet, il sera composé de la manière suivante:

a) un échelon central comprenant des services administratifs centraux, tant civils que militaires, et l’État-Major central;

b) des échelons délégués composés, selon les besoins, de services administratifs civils et militaires, ce dernier comprenant notamment, pour la durée de leur mission, le délégué de l’État-Major central et la section détachée de cet État-Major.

Dans le cadre des délégations de pouvoirs qui seront définies par le Commissariat, les échelons délégués s’efforceront d’appliquer le Traité de façon progressive et souple sans que soit porté atteinte aux pouvoirs de contrôle du Commissariat.

7) La Mission du délégué et de la section détachée de l’État-Major central sera prorogée au-delà de la période de 18 mois prévue à l’article 10 du Protocole Militaire, si, à l’expiration de ce délai, le Conseil constate, sur rapport du Commissariat que cette mission s’accomplit conformément aux objectifs du Traité.

Période initiale

8) Les diverses règles communes visées par le Traité et notamment celles qui s’appliquent aux statuts des personnels (article 11 du Protocole Militaire), au recrutement et à l’encadrement des Forces Européennes de Défense (articles 12 à 14 inclus du Protocole Militaire) à la discipline générale (articles 15 à 20 du Protocole Militaire), aux dispositions pénales (article 19 du Protocole juridictionnel), au régime des pensions (Protocole sur les rémunérations des personnels militaires et civils de la Communauté et sur leur droit à pension), ainsi qu’à toute autre matière non explicitement visée au Traité, entreront en vigueur à la fin d’une période unique dite période initiale, sur décision unanime du Conseil siégeant au rang des Chefs de Gouvernement conformément aux dispositions du Titre VII, § 2 ci-dessous.

9)Avant que soit mis un terme à la période initiale,

– le Commissariat soumettra au Conseil un rapport d’ensemble sur les conditions d’exécution du Traité;

– le Conseil convoquera, en exécution de l’article 126, une Conférence en vue d’examiner les modifications qu’il conviendrait d’apporter au Traité à la lumière de l’expérience acquise au cours de la période initiale.

10)Au cours de la période initiale, les lois et règlements en vigueur dans les États membres seront appliquées concurremment par les autorités nationales et les échelons délégués du Commissariat.

La modification des lois et règlements existants, l’élaboration de lois ou règlements nouveaux seront effectués par l’État intéressé en consultation avec le commissariat, conformément à l’article 112 et en respectant les principes définis par le Titre III du Protocole Militaire et par le Protocole relatif au droit pénal militaire.

11) La préparation des règles communes sera effectuée selon les directives et sous le contrôle du Conseil.

Au cours de la période initiale, le Commissariat se préoccupera essentiellement de coordonner le fonctionnement de ses propres services et des services nationaux correspondants.

12) Au cours de la période initiale, les échelons délégués coopéreront avec les autorités nationales suivant des modalités à déterminer par accord entre le Commissariat et les États membres.

À cet effet, le Commissariat pourra confier aux États membres l’exécution de certaines tâches, sans que soit porté atteinte aux pouvoirs de contrôle de la Communauté.

Incompatibilité

13) Les fonctions de membre du Commissariat de la Communauté Européenne de Défense, sont incompatibles avec celles de membre de la Haute Autorité de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier. Cette incompatibilité prendra fin cinq ans après l’expiration de l’un ou de l’autre mandat.

Organisation de la Cour

14) Conformément à l’article 53, et en vue de faire face à ses nouvelles tâches, la Cour:

a) constituera une seconde Chambre installée au siège de la CED, dont les membres seront désignés dans les mêmes conditions que ceux de la Cour;

b) créera dans chacun des États membres une chambre territoriale de la Cour, chargée de juger en premier et dernier ressort des litiges nés du fonctionnement de la Communauté dans l’État considéré. Les litiges entre la Communauté et les États restent de la compétence exclusive de la première Chambre.

Titre III

Dispositions relatives aux grades

1) Jusqu’à l’approbation par le Conseil statuant à l’unanimité des textes définissant le statut européen des personnels visés à l’article II du Protocole Militaire, et en tout cas pour une période transitoire de quatre ans, les décisions comportant l’avancement, la rétrogradation, perte de grade et radiation des contrôles et concernant les personnels mis à la disposition de la Communauté par les États disposant d’une organisation militaire nationale avant l’entrée en vigueur du Traité seront prises par les Autorités nationales de ces États après consultation de l’échelon délégué du Commissariat.

Ces dispositions seront également applicables aux grades supérieurs à celui de Commandant d’unité de base, sous réserve de l’accord du Commissariat et de l’approbation unanime du Conseil.

La faculté de procéder à des échanges individuels entre les Forces nationales et les Forces européennes de Défense s’appliquera également aux officiers titulaires dans les Forces nationales d’un grade équivalent ou supérieur à celui de Commandant d’unité de base, sans qu’il soit porté atteinte à l’article 31, paragraphe 3 du Traité.

2) Si, à l’expiration d’une période de quatre ans, le statut prévu à l’article 11 du Protocole Militaire n’a può entrer en vigueur, les États se concerteront en vue de déterminer s’il convient d’étendre le régime ci-dessus à l’ensemble des États membres de la Communauté. Si aucun accord n’est obtenu, ce régime cessera d’être applicable.

Les dispositions précédentes sont substituées aux articles IV, V, VI du Protocole additionnel à l’article 10 du Traité pendant la période de quatre ans ci-dessus visés.

Titre IV

Dispositions militaires

L’intégration des unités de base du premier échelon de forces, telle qu’elle est prévue aux articles 68 et 69 du Traité, sera limitée aux unités de l’armée de terre stationnées dans la zone de couverture, et aux unités aériennes d’appui des forces terrestres de couverture, conformément aux dispositions proposées par le Commandant suprême compétent relevant de l’Organisation Atlantique.

En application des articles 68, § 3, et 69, § 3, des unités de base originaire d’États signataires du Traité de l’Atlantique Nord et n’appartenant pas à la Communauté Européenne de Défense concourent à la constitution des grandes unités européennes, conformément aux propositions formulées par ces États et aux dispositions prises en conséquence par le Commandant Atlantique en Europe.

Titre V

Établissement et révision des programmes militaires

Le programme de mise sur pied du premier échelon de Forces sera adapté aux ressources mises à la disposition de la Communauté par les États membres et aux ressources propres de la Communauté. Il sera procédé périodiquement à la révision de ce programme, conformément à la procédure adoptée par l’Organisation Atlantique et tout en respectant les proportions convenues entre les différents contingents mis à la disposition de la Communauté par les États membres.

La décision prévue à l’article 87 en ce qui concerne la fixation du budget sera prise par le Conseil siégeant au rang des Chefs de Gouvernement et sera précédée du vote du montant de la contribution de chaque État membre par le Parlement de cet État, lequel recevra communication préalable du projet de budget par chapitres et par articles, établi par le Commissariat, ainsi que des comptes du dernier exercice clos.

Ce programme sera ensuite examiné conjointement par le Conseil de la Communauté Européenne de Défense et le Conseil Atlantique, dans le cadre de la révision annuelle, et en tenant compte des recommandations du Commandant Suprême Atlantique aussi bien en ce qui concerne la structure des unités, leur degré de préparation que leur nombre.

Titre VI

Dispositions économiques et financières

1) Pour la définition des armes atomiques telle qu’elle résulte des annexes I et II à l’article 107 du Traité, il ne sera pas tenu compte des dispositions du § I, alinéa C) de l’annexe II au dit article en dehors des zones stratégiquement exposées.

2)Les États membres désireux d’établir les conditions d’une concurrence équitable entre les fournisseurs de la Communauté conviennent de ce qui suit:

1. Pour définir les offres les plus avantageuses visées à l’article 104, parag. 3 du Traité, la comparaison des offres, en ce qui concerne les prix, pour un marché ou une opération quelconque est faite sur le prix comprenant tous les droits et taxes applicables dans le pays du soumissionnaire, déduction faite des droits et taxes dont une opération similaire serait exonérée par la législation fiscale du pays en cause, si elle était faite à l’exportation.

2. Les États membres conviennent de donner comme directives au Commissariat, d’inclure les dispositions correspondant aux principes énoncés ci-dessus dans le règlement sur les marchés, prévu à l’article 104, paragraphe 4.

3. En application de l’article 37 de la Convention relative au régime commercial et fiscal de la Communauté, les États membres conviennent de reverser à la Communauté sur une base réelle ou forfaitaire, la différence entre le prix payé au fournisseur en vertu de l’article 29 de ladite convention et celui qui a été retenu pour la comparaison des offres conformément aux dispositions du paragraphe I ci-dessus. Il sera tenu compte de ce reversement lors de la détermination, conformément à l’article 94 du Traité, des contributions des États membres.

3)Les commandes d’armement intéressant les matériels de guerre visés à l’annexe II de l’article 107 seront exceptées des règles définies par le Traité en matière de transfert monétaire, celles-ci devant dès lors s’appliquer, déduction faite de la part du budget commun, affectée à ces commandes.

La part en question du budget commun, complétée, le cas échéant, par toutes ressources extraordinaires dont pourrait disposer la Communauté, sera gérée par le Commissariat dans des conditions propres à favoriser la mise en commun des moyens de production, y compris la recherche scientifique, tout en permettant l’implantation des installations en dehors des zones stratégiquement exposées.

Titre VII

Dispositions générales

1)Les États membres, résolus à poursuivre leur effort dans la voie de l’organisation de l’Europe, constatent que des négociations relatives à la constitution d’une Communauté Européenne future ont été engagées, et qu’en conséquences la procédure prévue à l’article 38 du Traité n’est plus actuellement applicable.

Ils précisent que les principes mentionnés dans cet article ne peuvent être interprétés comme limitant la liberté d’action, ni préjugeant les décisions des Gouvernements ou des Parlements en ce qui concerne les modalités d’une future communauté européenne.

Ils sont d’accord sur le principe d’une Assemblée élue sur une base démocratique et ils s’engagent à se consulter sur les modalités de mise en œuvre de cet accord.

2) Le Conseil se réunira aussi souvent que nécessaire au rang des chefs de Gouvernement. Lorsque ces réunions traiteront de questions intéressant la coopération entre la Communauté et le Royaume-Uni, le Gouvernement du Royaume-Uni sera invité à y participer.

3) Sans préjudice des dispositions du parag. 8 du Titre II du présent Protocole, les États membres donnent par avance leur accord à la réunion de la Conférence prévue à l’article 126 du Traité, si dans un délai d’un an après la mise en vigueur, le Conseil est saisi par l’un de ses membres d’une proposition d’amendement au Traité, appuyée d’un vœu exprimé par le Parlement de l’État intéressé. Le Gouvernement du Royaume-Uni pourra, s’il le désire, participer à la conférence en question.

4) En application de l’article 80, les États parties au Traité et signataires des Conventions de Genève conservent pour l’application de ces Conventions, les mêmes droits et obligations qu’avant l’entrée en vigueur du Traité à l’égard de leurs ressortissants faisant partie des Forces Européennes de Défense.

5) Les États membres se déclarent prêts à conclure avec des pays qui ne seraient pas disposés à souscrire à la totalité des engagements prévus dans la Communauté Européenne de Défense, des traités d’association qui reconnaîtraient aux États en question, dans les organismes européens, des droits proportionnels aux engagements vis-à-vis de la Communauté Européenne de Défense.

6)Le présent Protocole, qui fait partie intégrante du Traité, au même titre que les Protocoles énumérés à l’article 127 et les Protocoles additionnels, sera déposé dans les archives du Gouvernement de la République Française. Des copies certifiées conformes seront ensuite transmises par ce Gouvernement à tous les États parties au Traité instituant une Communauté Européenne de Défense.

En foi de quoi, les plénipotentiaires désignés ont signé la présent Convention.

Fait à Paris, le…

PROJECT DE DÉCLARATION

PROPOSÉ AU NOM DE LEUR GOUVERNEMENTS PAR LES MINISTRES DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES DE LA RÉPUBLIQUE FÉDÉRALE D’ALLEMAGNE, DU ROYAUME DE BELGIQUE, DE LA RÉPUBLIQUE ITALIENNE, DU GRAND-DUCHÉ DE LUXEMBOURG ET DU ROYAUME DES PAYS-BAS POUR L’INTERPRÉTATION ET L’APPLICATION DU TRAITÉ DE PARIS INSTITUANT LA COMMUNAUTÉ EUROPÉENNE DE DÉFENSE(7)

Les représentants des Hautes Parties contractantes, parties au Traitéinstituant une Communauté Européenne de Défense, réunis à Bruxelles les 19, 20, 21 et 22 août 1954:

– rappelant les liens organiques qui doivent unir la Communauté européenne de Défense et l’Organisation Atlantique;

– prenant acte des engagements et des assurances reçus du Gouvernement des États-Unis

et du Gouvernement du Royaume-Uni, déclarent que leurs Gouvernements signataires du Traité de Paris considèrent:

1. que la CED est l’un des éléments d’une politique internationale pacifique strictement conforme aux principes de la Charte des Nations-Unies et qui s’intègre dans le Pacte Atlantique;

que si celui-ci venait à être dissous ou si la contribution des États-Unis et de la Grande-Bretagne, suivant une constatation faite à l’unanimité par le Conseil des Ministres, venait à y être réduite d’une façon substantielle, chacun des signataires du Traité de Paris, après un examen en commun aurait le droit de revoir sa position et cette situation nouvelle pourrait avoir pour conséquence la fin du Traité;

que le droit de sécession qui pourrait exister dans le chef d’une des Hautes Parties contractantes implique l’existence d’un droit similaire dans le Chef de toutes les autres;

2.que la CED n’est pas un organisme chargé de prendre des décisions politiques, que cellesci restent du domaine des États;

que la CED tend à créer une organisation commune des forces militaires des Pays signataires; qu’aussitôt après la mise en vigueur du Traité, le Conseil de la CED proposera au Conseil de l’Atlantique Nord, les mesures qui devront assurer une étroite collaboration entre les deux Organismes et notamment celles qui détermineront, conformément à l’article 18 du Traité, les pouvoirs en temps de paix du commandant suprême sur les forces européennes de défense;

3. Que la volontédes signataires est de réserver à chacun d’entre eux la sauvegarde de leurs droits nationaux aussi large que possible, compte tenu de la nécessité de rendre l’organisation commune pleinement efficace.


7 Gabinetto, 1953-1961, b. 23, fasc.1

À cet effet, ils soulignent que dans de multiples cas qui concernent leurs intérêts vitaux, aucune décision ne peut être prise si elle ne réunit l’unanimité des voix des membres du Conseil des Ministres.

Qu’en vue de donner plein effet à la responsabilité collégiale du Commissariat:

1. Toutes les décisions d’une certaine importance seront prises en collège, seules celles d’importance mineures reconnues telles par le Conseil des Ministres à l’unanimité pourront être déléguées à des membres du Commissariat agissant individuellement;

2. Qu’un quorum élevé devra assurer que toutes les décisions du Commissariat seront prises, tous les intérêts en cause ayant été examinés;

3. Que les décisions du Commissariat seront prises à une majorité qualifiée sauf les catégories de cas où une majorité simple sera reconnue suffisante. Les règles précises en la matière seront adoptées selon la procédure prévue à l’article 125 du Traité.

4. Que le Commissariat exercera les pouvoirs qui lui sont confiés, en évitant une centralisation excessive. À cet effet, il sera composé de la manière suivante:

a) un échelon central comprenant les services administratifs centraux tant civils que militaires et l’État-Major central;

b) des échelons décentralisés composés selon les besoins du service, administratifs, civils et militaires, et comprenant notamment pour la durée de leur mission le délégué de l’État-Major central et la section détachée à cet État-Major;

Que cette matière fera l’objet d’une directive prise en application de l’article 39 du Traité,

Que la mission du délégué et de la section détachée de l’État-Major central sera prorogéeau-delà de la période de 18 mois prévue à l’article 10 du Protocole Militaire, si, à l’expiration de ce délai, le Conseil constate en accord avec la décision du Commissariat, que cette mission s’accomplit conformément aux objectifs du Traité.

5. Que le Commissariat, avant de faire usage des possibilités de recours devant la Cour qui lui sont offertes par l’article 117 du Traité, s’efforcera toujours d’utiliser préalablement par l’entremise du Conseil toutes les possibilités de conciliation.

6. a) Que les règles communes visées par le Traité concernant le statut des personnels (article 11 du Protocole Militaire), la discipline générale (articles 15 à 20 du Protocole Militaire), lesdispositions pénales (article 19 du Protocole Juridictionnel) entreront en vigueur, sur décision unanime du Conseil des Ministres composés des chefs de gouvernement ou, au choix de chacun desÉtats membres, d’un ministre spécialement désigné à cet effet, à la fin d’une période dite initiale;

b) Qu’avant que soit mis un terme à la période initiale, et au plus tard après deux ans, le Commissariat soumettra au Conseil un rapport d’ensemble sur les conditions d’exécution du Traité;

c) Que pendant la période initiale,les lois et règlements en vigueur dans les États membres seront appliqués concurremment par les autorités nationales et le Commissariat.

La modification des lois et règlements existants, l’élaboration de lois ou règlements nouveaux seront effectuées par l’État intéressé, en consultation avec le Commissariat, conformément à l’article 112 et en respectant les principes définis par le Titre III du Protocole Militaire et par le Protocole relatif au droit pénal militaire.

d) Que durant la période initiale, les échelons délégués coopéreront avec les autorités nationales suivant des modalités à déterminer par accord entre le Commissariat et les États membres.

À cet effet, le Commissariat pourra confier aux États membres l’exécution de certaines tâches, sans que soit porté atteinte aux pouvoirs de la Communauté.

7. Qu’ils sont d’accord pour utiliser, selon les modalités prévues aux articles 68 par. 3 et 69 par. 3, la faculté d’introduire dans l’armée européenne des unités de base originaires d’États signataires du Traité de l’Atlantique Nord et n’appartenant pas à la CommunautéEuropéenne de Défense et réciproquement d’introduire dans des commandements relevant de l’organisation de l’Atlantique Nord des unités de base européenne ainsi que leurs unitésde support;

8. Que la décision prévue à l’article 87 du Traité en ce qui concerne la fixation du budget sera prise par le Conseil composé des chefs du Gouvernement ou, au choix de chacun des États membres, d’un ministre spécialement désigné à cet effet.

Le projet de budget établi par le Commissariat sera transmis en temps utile aux Gouvernements, afin de leur permettre de le soumettre à leurs Parlements respectifs avant la fixation par le Conseil du montant de la contribution de chaque État membre;

9. Que le Conseil composé des chefs de gouvernement, ou au choix de chacun des États membres, d’un ministre spécialement désigné à cet effet, se réunira aussi souvent que nécessaire. Lorsque ces réunions traiteront de questions intéressant la coopération entre la Communauté et le Royaume Uni, le gouvernement du Royaume Uni sera invité à y participer;

10. a) Qu’ils s’engagent à donner les directives nécessaires au Commissariat pour que les contrôles visés à l’article 107 ne soient pas de nature à affecter la coopération internationale relative à la recherche ou à la production de combustibles nucléaires à des fins civiles.

b) Que désireux d’établir des conditions équitables de concurrence entre les fournisseurs de la Communauté, ils décident que le Commissariat en application de l’article 104, par. 3 du Traité, établira des règles permettant de rendre, en tant que de besoin, les offres comparables, entre autres du point de vue des prix, en prenant en considération les situations particulières des États membres et notamment la diversité de leurs législations fiscales.

c) Il s’efforcera, dans ces conditions, de respecter un juste équilibre entre les différentes industries de chacun des pays signataires.

11. Qu’ils se déclarent prêts à conclure avec les pays qui ne seraient pas disposés à souscrire à la totalité des engagements prévus à la Communauté Européenne de Défense, des traités d’association qui reconnaîtraient aux États en question, dans les organismes européens, des droits proportionnels aux engagements souscrits vis-à-vis de la Communauté Européenne de Défense;

12. Que les États signataires donnent par avance leur accord à la réunion de la Conférence prévue à l’article 126 du Traité, si dans un délai de deux ans après la mise en vigueur du Traité, le Conseil est saisi par l’un de ses membres d’une proposition d’amendement.

INDICE DEI NOMI(1)


1 I numeri rinviano ai documenti.

Indice dei nomi

Acker, Achille van, 249.

Adenauer, Konrad, 1, 2, 4, 5, 7, 8, 17, 18, 19, 20, 22, 28, 29, 30, 31, 32, 34, 35, 36, 37, 41, 42, 43, 44, 45, 48, 51, 52, 54, 57, 61, 64, 66, 70, 73, 87, 117, 127, 128, 129, 130, 133, 138, 151, 159, 162, 169, 177, 191, 196, 199, 201, 205, 209, 213, 216, 220, 231, 232, 245, 250, 253, 255, 266, 267, 270, 272, 281, 282, 283, 284, 285.

Aldrich, Winthrop Williams, 48.

Alexander, Harold Rupert Leofric George, 72.

Alphand, Hervé, 50, 64, 87, 90, 124, 148, 156, 172, 182, 186, 188, 214.

Alverá, Pier Luigi, 282.

Amery, Julian, 53.

André, Pierre, 118.

Antier, Paul Alphonse, 118.

Attlee, Clement, 63.

Auriol, Vincent, 90, 102, 173.

Babuscio Rizzo, Francesco, 37, 41, 44, 45, 75, 117, 132, 133, 139, 162, 169, 175, 200, 202, 211, 230, 232, 233, 248, 250, 255, 259, 285, 293, 297.

Badini Confalonieri, Vittorio, 107, 256.

Baldoni, Corrado, 297.

Barrachin, Edmond, 90, 210, 214.

Bassani, Giorgio, 107.

Bathurst, Maurice E., 231.

Beaumont, vedi Guérin, Jean Michel du Boscq de Beaumont.

Bebler, Aleš, 70, 193.

Bech, Joseph, 1, 6, 14, 28, 34, 38, 43, 64, 170, 216, 221, 259, 282.

Bedell Smith, Walter, 214, 239.

Benvenuti, Lodovico, 23, 30, 55, 57, 59, 64, 75, 77, 80, 81, 88, 91, 97, 100, 104, 105, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 119, 126, 127, 128, 142, 145, 147, 150, 152, 158, 161, 162, 164, 182, 184, 194, 206, 208, 217, 222, 235, 241, 243, 244, 250, 256, 282.

Bérard, Armand, 45.

Berija, Lavrentij Pavlovič, 162.

Bertoni, Guido, 40.

Beyen, Johan Willem, 1, 26, 38, 62, 64, 101, 110, 186, 216, 221, 282.

Bidault, Georges, 1, 3, 5, 9, 12, 17, 19, 24, 28, 31, 32, 34, 35, 36, 37, 38, 41, 42, 43, 47, 48, 50, 54, 63, 64, 65, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 82, 85, 90, 95, 97, 116, 117, 118, 122, 124, 127, 128, 129, 130, 133, 138, 147, 148, 157, 161, 168, 172, 174, 177, 180, 181, 185, 201, 234, 243, 253, 262, 264, 279, 291.

Billotte, Pierre Armand, 190, 240.

Blaisse, Pieter Alphons, 114.

Blank, Theodor, 4, 52, 87, 133.

Blankenhorn, Herbert, 1, 22, 28, 29, 31, 34, 35, 37, 44, 45, 61.

Blücher, Franz, 175.

Blum, Léon, 234.

Bohlen, Charles E., 48, 49.

Bollack, André, 155.

Bollack, Robert, 155.

Bombassei Frascani de Vettor, Giorgio, 2, 4, 5, 8, 13, 27, 50, 52, 69, 76, 77, 79, 80, 81, 82, 88, 94, 97, 104, 121, 123, 124, 136, 144, 152, 161, 168, 172, 178, 182, 195, 197, 198, 203, 214, 229, 282, 291.

Bonbright, James C.H., 167.

Bonnefous, Édouard, 76, 90.

Bonnet, Henri, 138.

Boothby, Robert John Graham, 53.

Boris, Georges, 234.

Bourgès-Maunoury, Maurice, 210, 214, 221, 223, 238, 240, 250.

Brentano, Heinrich von, 6, 23, 34, 43, 54, 64, 114, 127, 162.

Brosio, Manlio, 7, 10, 18, 25, 47, 56, 74, 80, 82, 106, 122, 124, 131, 146, 148, 149, 153, 193, 228, 231, 251, 263, 284, 295, 297.

Bruce, David Kirkpatrick Este, 2, 5, 8, 13, 48, 64, 87, 97, 130, 139, 143, 153, 195, 269, 272, 282, 283, 284.

Cahen-Salvador, Jean, 87.

Calenda, Carlo, 282.

Calmes, Christian, 5, 6, 14, 15, 20, 23, 34, 38, 43, 66.

Canali, Paolo, 187, 282.

Cancellario d’Alena, Franz, 46.

Carney, Robert Bostwick, 57.

Caruso, Casto, 75, 101.

Casardi, Alberico, 189.

Catalano di Melilli, Felice, 119.

Cavalletti di Oliveto Sabino, Francesco, 6, 20, 35, 51, 55, 66, 77, 78, 80, 81, 86, 88, 91, 99, 104, 105, 109, 110, 112, 126, 142, 143, 144, 150, 152, 153, 158, 161, 164, 169, 170, 194, 199, 216, 221, 222, 230, 235, 244, 282.

Chaban-Delmas, Jacques, 90.

Cheysson, Claude, 243.

Chipman, Norris B., 231.

Chou En-lai, 262.

Churchill, Winston, 7, 9, 18, 22, 25, 48, 53, 60, 61, 65, 68, 69, 108, 201, 203, 204, 211, 218, 224, 228, 231, 236, 240, 261, 263, 267, 278, 279, 281, 282, 284, 285, 287, 297.

Cittadini Cesi, Gian Gaspare, 53.

Clarke, Ashley, 131, 174, 179.

Claxton, Brooke, 72.

Cleveland, Stanley Matthews, 64, 87, 110, 127.

Conant, James Bryant, 44, 48, 200, 202, 214.

Coppé, Albert, 280.

Cornaggia Medici Castiglioni della Castellanza, Gherardo, 91.

Corrias, Angelino, 23, 30, 51, 91, 113, 280, 289.

Cosentino, Francesco, 136.

Costa, Angelo, 254.

Coty, René, 90, 115, 241.

Cutler, Robert, 22.

Daladier, Edouard, 117, 118.

Debré, Michel, 53.

De Gasperi, Alcide, 1, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14, 15, 16, 20, 22, 23, 24, 26, 28, 29, 31, 34, 37, 38, 46, 54, 57, 71, 81, 98, 155, 163, 201, 230, 271, 279, 280, 282, 286, 287.

De Gaulle, Charles, 76, 85.

Dehousse, Fernand Louis Jean, 55, 114.

Del Balzo di Presenzano, Giorgio, 7, 23, 30, 47, 51, 57, 59, 64, 100, 135, 153, 206, 208, 239, 241, 277.

Delbos, Yvon, 190, 203.

De Rege Thesauro di Donato e di San raffaele, Giuseppe, 49.

De Rossi, Gaetano, 282.

De Staercke, André, 1, 34, 39, 55, 64, 87, 104, 161, 225, 243.

Dillon, C. Douglas, 48, 284.

Di Stefano, Mario, 247, 252.

Dixon, Sir Pierson John, 7, 18.

Douglas, James H. Jr., 45.

Dowling, Walter Cecil, 232, 255.

Ducci, Roberto, 135.

Dulles, John Foster, 9, 11, 12, 17, 21, 22, 47, 65, 72, 73, 76, 77, 80, 87, 90, 97, 117, 118, 127, 129, 130, 138, 139, 160, 167, 171, 172, 173, 177, 180, 181, 185, 186, 187, 189, 192, 204, 213, 236, 239, 240, 246, 253, 267, 273, 275, 279, 282, 283, 286, 288, 296, 297, 298, 299.

Durbrow, Elbridge, 187, 189, 239, 283, 292.

Edelsten, John Hereward, 72.

Eden, Anthony, 56, 64, 72, 73, 131, 146, 165, 174, 175, 176, 179, 180, 187, 204, 224, 253, 281, 284.

Ehlers, Hermann Ludwig, 159.

Eisenhower, Dwight David, 4, 9, 16, 22, 32, 40, 44, 45, 57, 72, 138, 176, 177, 185, 187, 189, 192, 203, 231, 236, 239, 246, 279, 285, 286, 299.

Engels, Friedrich, 187.

Eschauzier, Henri F., 1, 34.

Fanfani, Amintore, 93, 98, 135.

Faure, Edgar, 282.

Fauvel, 124.

Favretti, Luciano, 91, 113, 123.

Fenoaltea, Sergio, 201.

Ferrari Aggradi, Mario, 73, 155, 254.

Fock, Cornelis Laurens Willem, 34.

Fornara, Domingo, 282.

Fouques-Duparc,Jacques, 51, 55.

François-Poncet, André, 29, 37, 41, 64, 87, 117, 200, 232.

Frenay, Henri, 214.

Freund, Richard B., 135.

Gérard, Jacques, 24.

Giusti del Giardino, Justo, 121, 183.

Giustiniani, Raimondo, 34, 35, 36, 61.

Goes van Naters, Marinus van der, 114, 177, 191.

Gouin, Félix, 102, 253.

Grandval, Gilbert, 42.

Grazzi, Umberto, 39, 60, 75, 84, 95, 96, 141, 153, 157, 205, 212, 215, 218, 219, 227, 230, 235, 249, 254, 259, 264, 275, 276, 277, 289, 297.

Grillo, Remigio Danilo, 48, 135.

Gruber, Karl, 135.

Gruenther, Alfred M., 40, 72, 73, 174, 181, 299.

Guérin, Jean Michel du Boscq de Beaumont, 210, 214, 220, 221, 232, 235, 241, 243, 244, 282.

Guazzugli Marini, Giulio, 20, 24, 26.

Hallstein, Walter, 1, 29, 34, 35, 45, 51, 55, 64, 99, 104, 105, 127, 162, 232, 233, 245, 248, 255, 259, 285.

Handy, Thomas Troy, 49.

Healey, Denis, 53.

Herriot, Édouard, 90, 117, 118.

Ho Chi Minh, 68.

Hommel, Nicolas, 161.

Hughes, John C., 48.

Ismay, Hastings Lionel, 72, 73, 87, 181.

Isorni, Jacques, 190.

Jackson, Charles Douglas, 22.

Jacquet, Gérard, 243.

Jacquinot, Louis, 90.

Jebb, Gladwyn, 151.

Joss, vedi Joxe, Louis.

Joxe, Louis, 37.

Joyce, Robert P., 140.

Juin, Alphonse, 76, 90, 115, 168, 173, 174, 210, 214, 234.

Kaisen, Wilhelm, 41.

Kanellopoulos, Panagiōtīs, 72.

Kirkpatrick, Sir Ivone, 122, 139, 146, 263, 284.

Kœnig, Marie-Pierre, 198, 203, 210, 214, 221, 223, 238, 240, 243, 244, 250.

Köprülü, Mehmet Fuat, 72.

Krekeller, Heinrich Ludwing Hermann, 213.

Lange, Halvard M., 72.

Laniel, Joseph, 42, 48, 52, 64, 65, 72, 85, 90, 97, 102, 115, 117, 118, 124, 127, 129, 130, 133, 138, 139, 168, 172, 173, 174, 177, 185, 191, 195, 196, 200.

Lapie, Pierre-Olivier, 76, 85, 87.

La Tournelle, Guy Le Roy de, 70, 210.

Layton, Lord Robert, 64.

Le Troquer, André, 90, 115.

Linthorst-Homan, Johannes (Hans), 78.

Lippman, Walter, 61.

Lloyd, John Selwyn Brooke, 7, 18, 25.

Lombardo, Ivan Matteo, 8, 50, 59, 79, 82, 85, 87, 90, 91, 93, 97, 98, 99, 100, 103, 104, 106, 120, 124, 137, 156, 166, 182, 184, 186, 188, 225, 226, 229, 282.

Luce, Clare Boothe, 48, 49, 63, 167,

176, 187, 189, 192, 193, 239, 246,

279, 286, 292, 296, 298, 299.

Lyon, Cecil, 231.

MacMahon, Brien, 72, 73.

McCormick, Lynde Dupuy, 72.

Magistrati, Massimo, 1, 2, 5, 6, 8, 13, 23, 27, 34, 36, 40, 45, 50, 51, 52, 55, 58, 59, 60, 66, 67, 62, 63, 64, 72, 73, 75, 77, 79, 80, 81, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 90, 91, 93, 94, 96, 97, 98, 100, 101, 102, 104, 106, 107, 109, 110, 111, 120, 126, 135, 139, 142, 143, 150, 152, 153, 154, 155, 158,163, 168, 180, 181, 182, 194, 195, 197,

198, 199, 202, 206, 208, 214, 216, 217, 220, 221, 229, 230, 233, 235, 241, 247, 259, 275, 282, 288, 293.

Majerus, Pierre, 34, 51, 55, 64.

Malenkov, Georgij Maksimilianovic, 36, 252.

Malfatti, Franco Maria, 124, 182.

Maltzan, Vollrath von, 34.

Manzini, Raimondo, 176.

Mao Tse-tung, 68, 72.

Marchal, Léon, 55, 57.

Margerie, Roland, 119.

Margue, Nicolas, 170.

Maroger, Jean, 85, 210, 214.

Marras, Luigi Efisio, 59.

Martin, Edwin McCammon, 59.

Martino, Gaetano, 220.

Massigli, René, 25, 263, 284.

Maudling, Reginald, 72.

Mayer, René, 19, 90, 97, 102, 168, 190, 195, 198, 203, 278, 291.

Mendès-France, Pierre, 42, 201, 203, 204, 206, 208, 210, 212, 214, 215, 216, 218, 219, 220, 221, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 234, 238, 240, 241, 243, 244, 249, 250, 251, 254, 255, 256, 259, 260, 262, 263, 266, 267, 272, 273, 275, 276, 277, 278, 279, 281, 282, 283, 284, 285, 287, 288, 290, 291, 292, 295, 296, 297, 298.

Menichella, Donato, 254.

Menthon, François de, 54, 57, 243.

Merchant, Livingston Tallmadge, 16, 48, 167, 187, 204, 209, 224, 236.

Merkatz, Hans-Joachim von, 114.

Moch, Jules, 52, 102, 107, 168, 190, 198, 291.

Mollet, Guy, 51, 52, 53, 85, 90, 102, 108, 110, 111, 115, 117, 118, 124, 125, 127, 128, 133, 161, 164, 168, 178, 195, 196, 198, 203, 225, 243.

Molotov, Vjačeslav Michajlovič, 116, 117, 134, 187, 201, 253, 256, 261, 262, 279.

Monnet, Jean, 85, 117, 127, 226, 244, 258.

Murphy, Robert, 192.

Mutter, André, 54, 127.

Naegelen, Marcel-Edmond, 198.

Naters, vedi Goes van Naters, Marinus van der.

Nenni, Pietro, 9, 92, 111, 124, 155, 160.

Nixon, Richard, 167.

Nora, Simon, 234, 240.

Nordstat, Lauris, 181.

Nutting, Anthony, 53, 131, 228.

Ockrent, Roger, 72.

Ollenhauer, Erich, 19.

Ophüls, Carl Frederich, 158, 248.

Papayannis, Costantine, 72.

Parodi, Alexandre Maurice Marie,

1, 28, 34, 35, 36, 63, 64, 66, 99, 100,

158, 161, 164, 208, 220, 221, 291.

Pearson, Leaster Bowles, 72.

Pella, Giuseppe, 8, 38, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 51, 54, 56, 57, 58, 59, 61, 62, 63, 65, 66, 67, 68, 70, 71, 72, 73, 82, 90, 93, 98, 135, 280.

Philip, André, 102.

Piccioni, Attilio, 92, 93, 95, 98, 114, 116, 117, 118, 119, 125, 129, 132, 138, 140, 141, 147, 154, 149, 162, 165, 166, 167, 173, 174, 179, 180, 181, 187, 192, 193, 200, 201, 204, 206, 207, 208, 209, 212, 213, 218, 224, 227, 234, 236, 241, 243, 244, 245, 246, 249, 250, 254, 264, 265, 266, 267, 268, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 281, 282, 288, 290, 296, 298, 299.

Pinay, Antoine, 90, 102, 108, 115, 124, 195, 278, 291.

Pinna Caboni, Mario, 29, 31, 245, 248.

Pirelli, Alberto, 107.

Pisa, Marco, 88, 182.

Plaja, Eugenio, 2, 31, 33, 71, 80, 85,

89, 91, 124, 143, 182, 241, 256, 282,

283.

Pleven, René, 52, 90, 168, 172, 173, 174, 195.

Prato, Eugenio, 34, 51, 55, 174, 193, 280, 282, 289.

Prunas, Pasquale, 78, 86, 94, 99, 113, 121, 123, 152.

Quaroni, Pietro, 5, 10, 12, 17, 18, 19, 28, 32, 35, 40, 42, 47, 54, 56, 65, 68, 69, 70, 74, 75, 77, 80, 82, 83, 90, 93, 98, 100, 102, 104, 107, 108, 111, 112, 115, 117, 118, 119, 121, 124, 125, 127, 128, 139, 140, 141, 143, 145, 147, 149, 153, 155, 161, 163, 167, 173, 174, 190, 210, 223, 229, 230, 233, 234, 238, 240, 241, 243, 244, 288, 297.

Qvistgaard, Erhard Jørgen Carl, 72.

Radford, Arthur William, 59, 299.

Reston, James, 167.

Reuter, Émile, 1.

Revedin di san Martino, Giovanni,

262.

Reynaud, Paul, 5, 19, 54, 68, 172, 282, 291.

Robens, Alfred, 53.

Roberts, Frank, 231, 251, 263, 295.

Rosenfeld, Oreste, 198.

Ross, Archibald, 281, 284.

Rossi Longhi, Alberto, 61, 72.

Salisbury, Lord Robert Gascoyne-Cecil, 9, 16, 18, 25.

Sampieri, Aldo, 243.

Santos Costa, Fernando dos, 72.

Saragat, Giuseppe, 93, 201.

Sassen, Emmanuel Marie Joseph Antony, 280.

Scelba, Mario, 107, 111, 124, 131, 135, 139, 159, 160, 162, 163, 167, 171, 174, 176, 180, 187, 189, 192, 193, 201, 220, 246, 266, 267, 268, 269, 270, 271, 272, 274, 279, 280, 286, 298, 299.

Schneiter, François Charles Pierre, 278.

Schuman, Robert, 42, 54, 65, 85, 108, 173, 220, 234, 282, 291.

Schumann, Maurice, 1, 52, 65, 69, 174, 178, 182.

Sébilleau, Pierre, 256.

Semionov, Vladimir Semionović, 117.

Seydoux de Clausonne, François, 34, 35, 37, 64, 178, 282.

Sforza, Carlo, 66.

Shinwell, Emanuel, 108.

Snoy et d’Oppuers, Jean Charles, 218.

Spaak, Paul-Henri, 1, 15, 23, 34, 38, 43, 50, 51, 53, 64, 85, 114, 181, 205, 206, 208, 210, 211, 212, 214, 215, 216, 218, 219, 220, 221, 223, 225, 227, 234, 235, 241, 243, 249, 250, 251, 254, 255, 259, 264, 266, 268, 269, 270, 275, 276, 277, 281, 282, 285, 287, 291.

Speidel, Hans, 87.

Spinelli, Altiero, 216.

Staf, Cornelis, 72.

Stalin, Iosef Vissarionovič Džugašvili, 13, 52, 53, 66, 72.

Starkenborgh, vedi Tjarda van Star

kenborgh Stachouwer, Alidius War

moldus Lambertus.

Stassen, Harold E., 187, 192, 246.

Stéphane, Roger, 234.

Straneo, Carlo Alberto, 3, 28, 36, 239, 256, 282, 292.

Strang, Sir William, 25.

Struye, Paul, 53.

Tabouis, Geneviève, 155.

Tarchiani, Alberto, 9, 10, 11, 16, 17, 21, 22, 25, 59, 116, 129, 134, 138, 140, 149, 151, 153, 160, 167, 177, 185, 191, 192, 196, 204, 209, 213, 224, 236, 237, 242, 246, 283, 290, 296, 297, 298, 299.

Tasca, Henry Joseph, 192.

Tassoni Estense di Castelvecchio, Alessandro, 278.

Taviani, Paolo Emilio, 8, 34, 35, 37, 59, 72, 73.

Teitgen, Pierre Henri, 5, 54, 55, 57,

65, 90, 114, 117, 118, 126, 127, 172,

195, 203.

Theodoli, Livio, 7.

Thomson, George Morgan, 232.

Tito (Broz Josip), 44, 47, 49, 54, 63,

66, 70, 132, 140, 149, 193, 246, 279,

299.

Tjarda van Starkenborgh Stachouwer, Alidius Warmoldus Lambertus, 1, 34, 55, 64, 99, 105, 161, 186,

Togliatti, Palmiro, 48.

Tomlison, William M., 127.

Treves, Paolo, 204, 209.

Tupini, Giorgio, 73.

Tyler, William R., 298.

Valletta, Giuseppe Vittorio, 254.

Vandenberg, Hoyt Sanford, 72.

Vredenburck, Henri van, 87.

Walravens, Gérard, 34, 39.

Weygand, Maxime, 85, 95, 210, 214.

Wigny, Pierre, 55.

Wiley, Alexander, 177.

Wilson, Charles Erwin, 66, 72, 73.

Wormser, Olivier, 78.

Zeeland, Paul van, 1, 24, 28, 34, 35, 36, 38, 39, 51, 60, 61, 63, 64, 68, 72, 87, 90, 95, 157, 161, 206, 249.

Zingale, Salvatore, 282.

Zoppi, Vittorio, 6, 7, 12, 23, 31, 34, 35, 36, 45, 46, 48, 49, 50, 51, 52, 54, 56, 57, 59, 65, 77, 78, 80, 82, 83, 87, 90, 92, 95, 97, 98, 99, 100, 102, 106, 107, 108, 115, 116, 117, 118, 122, 124, 125, 127, 128, 132, 133, 138, 139, 143, 144, 145, 148, 149, 150, 153, 155, 157, 162, 165, 167, 168, 169, 173, 174, 187, 189, 190, 191, 192, 200, 205, 206, 208, 209, 210, 212, 213, 214, 216, 219, 220, 221, 224, 234, 235, 236, 237, 239, 240, 241, 242, 246, 249, 250, 281, 294, 297, 298.